L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
Eleaml


Sinteticamente le ragioni del separatismo

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Tra meridionali e tosco-padani non esistono diversità di razza, di lingua, di cultura. Malgrado le sporche ingiurie degli stronzobossisti, né i meridionali né i settentrionali hanno ripudiato il sentimento della comune appartenenza.

Le ragioni del separatismo rivoluzionario non si rifanno, quindi, al concetto di nazionalità, ma sono squisitamente economiche, per dirla secondo la logica della Bocconi, o squisitamente antropologiche, per dirla nella mia lingua.

Partendo da una nazione con due Stati fra loro non federati, per quanto attiene al Sud, ciò che intendiamo costruire è uno Stato napoletano (la Sicilia non ha certo bisogno dei nostri suggerimenti) che affronti i problemi del paese meridionale avendo come punto di vista gli interessi della sua gente, e non quelli dei centrosettentrionali, come fa fatto l'Italia-Una dal tempo di Cavour, dei suoi generali sanguinari e dei suoi ministri vampiri, fino alla vergognosa lesina del duo confindustriale Ciampi-Amato.

Più specificatamente uno Stato indipendente la cui funzione sociale sia quella di porre fine alla cosiddetta questione meridionale, in sostanza al problema della disoccupazione (inoccupazione), che è incorporato a tal punto nei meccanismi del sistema unitario italiano da potere essere eliminato soltanto con un'operazione chirurgica, cioè cancellando l'unità politica.

Dal 1880 al 1970, il Sud, che oggi conta poco più di venti milioni di abitanti, è stato costretto a buttar fuori dal suo territorio 26 o 27 milioni di persone. Il congegno che presiede all'esistenza dello Stato unitario è primitivo. Perciò facilmente spiegabile: ramazzare ogni risorsa umana e materiale ottenibile al Sud e riversarla a piene mani, e senza badare a sprechi, su Torino, Milano, Firenze, Roma.

In tal modo al Sud è stato strappato, a volte violentemente a volte subdolamente, il necessario per modernizzare il suo assetto produttivo. Il Sud sta in Italia per dare risorse e fare da sbocco alle merci padane, allungando fuori stagione una condizione coloniale che in altre colonie quelle definite con tale nome - è stata archiviata da tempo.

Peraltro, costretti i meridionali all'emigrazione ad opera degli stessi sedicenti compatrioti, l'emigrazione meridionale ha dato all'ingrata patria una valanga di valuta pregiata. Quanta ne è occorsa a quel furfante di Giolitti per eliminare il peso del debito pubblico, che appesantiva il regno sabaudo ancor prima che lo Stato italiano nascesse.


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Quel patrimonio in valuta pregiata, oggi incalcolabile (per venticinque anni, forse, un quarto del reddito nazionale), per formare il quale lo Stato nazionale (cioè il capitalismo padano) non spendeva una sola lira (insomma, anche qui tutto gratis) permise a Fiat, Ansaldo, Breda, Pirelli, Bastogi, e a simili veri nemici della nazione, di acquistare in Germania, Inghilterra, Francia, Stati Uniti gli impianti moderni, che essi fecero andare a pieno regime - e con utili incalcolabili - durante la prima Guerra Mondiale.

La seconda ondata migratoria, quella degli anni cinquanta, ha forse dato di più in termini assoluti, tuttavia l'apporto è stato meno importante in termini di sviluppo. Il Triangolo industriale il colpaccio, infatti, l'aveva fatto già nel 1948-49, impadronendosi, con la benedizione di De Gasperi e Togliatti, dei soldi con cui gli americani volevano compensare le amlire fatte circolare al Sud.

Comunque, senza la manodopera meridionale, che restituiva i salari percepiti alle stesse città per cui lavorava, sotto forma di affitto ai padroni di casa e sotto forma di spesa per alimenti ai bottegai, non ci sarebbe stata quella crescita chiamata "miracolo economico italiano che ha fatto dell'Italia (settentrionale) una potenza industriale.

In buona sostanza - cornuti e mazziati - l'emigrazione di 26 milioni di meridionali ha fatto il Nord qual è, ma non ha dato niente al Sud, tanto è vero che oggi siamo già dentro una disperazione disoccupazionale non diversa dalle due precedenti.

Anche al tempo dei Borbone, qui si studiavano Dante e Leopardi. Lo provano La giovinezza di De Sanctis e la Storia della letteratura di Settembrini. Ma Dante e Leopardi non ci toglievano alcunché. Invece i sedicenti banchieri (in verità bancarottieri, sempre salvati dai governi nazionali, in primo luogo da quel "galantuomo" che aveva nome Quintino Sella, da tutti celebrato sicuramente per la sua attitudine a sorvolare sugli intrallazzi) liguri, piemontesi e fiorentini ci hanno spogliato fino all'osso.

Perduta l'indipendenza, sottomesso a tale genere di gaglioffi., il Sud ha perduto tutto, prima d'ogni cosa il coraggio di reagire alle sopraffazioni.

Al punto in cui siamo, se anche lo Stato italiano volesse (ma non vuole), non potrebbe fare alcunché. Primo perché si è impegnato con l'Unione Europea a non concedere agevolazioni allo sviluppo. Secondo perché con la stessa U.E. si è impegnato a eliminare le industrie a capitale statale. L'U.E. ha avocato a sé i problemi dello sviluppo e tutti i giorni i giornali del sistema antimeridione e la televisione dello Stato, che lo serve, sbandierano i grandi risultati conseguiti in Irlanda e Spagna.

Non ci sbandierano invece che la Germania - per la quale l'avocazione U.E. non pare valga - ha speso e va spendendo l'equivalente di 3 milioni di miliardi per la rinascita delle regioni ex comuniste (17 milioni di abitanti).

Se - permanendo il quadro italiano - vogliamo inquadrare l'esatta dimensione quantitativa degli investimenti necessari a portare il Sud a livello dell'Emilia e del Veneto, la cifra è identica a quella che sta spendendo la Germania. Rispetto a tale dimensione, i miliardi erogati o erogabili, a titolo di sostegno, della presuntuosa U.E. sono solo la pipì di un passero sul deserto.

I discorsi circa il successo dell'intervento comunitario in Spagna e Irlanda servono solo a prenderci per i fondelli. Intanto esso non è poi così esaltante come papa Eugenio Scalfari vorrebbe far credere. Comunque è stato reso possibile da due fattori.

Primo, il livello di vita, alla partenza, molto più basso in quei paesi. Secondo, il fatto che il soccorso comunitario è arrivato a Stati aventi una sola organizzazione sociale, e non due come nello Stato italiano. Tecnicamente, qui, l'impatto sarebbe stravagante.

Il Sud è un paese in cui i redditi da lavoro dipendente e autonomo (artigianato nuovo, essenzialmente riparazioni) sono orientai da quelli tosco-padani, mentre la capitalizzazione industriale e agricola è appena un sesto rispetto al Centronord.

Se la strampalatezza del sistema non verrà corretta politicamente, qualunque apporto finirebbe in tasca al settore del lavoro privilegiato (giudici, medici, carabinieri, politici, elettrici ecc.).

Inoltre, il possesso della sovranità politica fa dì Spagna e Irlanda delle aziende-nazioni ben definite, degli insiemi economici dentro le quali, un flusso che penetri dall'esterno gira, circuita l'intera economia, senza disperdersi. Il Sud italiano, invece, non ha sovranità economica, ma vive una condizione pienamente coloniale.

La storia dice che quello che altrove si è rivelato un gran vantaggio qui darebbe luogo a zero, se non del tutto a un danno. Al tempo della Cassa per il Mezzogiorno, chi trasse veri benefici dall'intervento pubblico fu l'industria del Triangolo Genova-Torino-Milano: cementieri, fonditori di tondino, industria meccanica, elettrica, dei cavi, degli arredi ecc.

Nonché le grandi banche milanesi e gli studi professionali romani. A noi sono rimaste le opere infrastrutturali (ormai invecchiate), ma sul piano produttivo la Cassa non promosse altro che "un cimitero di industrie" - quelle dei settentrionali scesi qui a fottersi i soldi dello Stato e quelle che facemmo noi meridionali, rimettendoci i nostri pochi soldi. Altro che Rostow! Altro che decollo! Il Sud ci rimise propriamente il collo.

C'è un'evidente impossibilità (sempre che ci fosse la volontà) italiana e comunitaria a modificare lo stato del Sud (Gramsci pensava che lo avrebbe modificato una rivoluzione a Torino, ma i torinesi non sono stati così fessi da rinunziare a un privilegio).

E poi il Sud non ha bisogno d'alcun aiuto. Infatti, nonostante centoquarant'anni di colonizzazione padana, il Sud è riuscito a conservare una potenzialità irlandese, costituita. dai suoi disoccupati,- che sono lavoratori moderni quanto gli inglesi e gli americani, dal risparmio disponibile e da quello che si potrebbe facilmente creare.


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Sarebbero possibili a vista circa tre o quattrocentomila miliardi d'investimenti, e negli anni seguenti questi potrebbero essere incrementati in misura elevata. Insomma il Sud ha tutto quello che gli serve per rinascere, meno il fatto che nemmeno una padella vi si può fabbricare, perché il Nord l'ha già bella e pronta.

Al Sud serve soltanto la libertà di operare. Di scegliere. Di volere. Di fare il proprio tornaconto. Di non essere uno sbocco di merci altrui. L'atto stesso della separazione darebbe automaticamente luogo a una fiorente industrializzazione, perché, esistendo già un mercato di consumo, esso spingerebbe i meridionali a produrre ciò che attualmente viene fornito dal Nord; cosa che ben si vide tra il 1943 e il 1945, quando l'Italia rimase divisa, mezza americana e mezza tedesca.

Un secondo concetto è il seguente. La separazione non avrebbe senso, ai fini della superamento della questione meridionale, cioè a fini dell'occupazione, se si desse spazio al capitalismo privato. Un Sud indipendente in mano ai capitalisti non farebbe cosa diversa da quella che fanno le aziendenazione dell'Occidente, in cui la nuova filosofia è l'abbassamento dei salari a livello cambogiano.

La strada maestra del capitalismo occidentale, ormai, non è quella di creare, ma di ridurre l'occupazione, ovvero di sostituire il lavoratore nazionale con emigrati poveri, sottopagati che tengano basso il livello dei salari; il tutto nella folle speranza che le legioni illiriche salvino l'Impero Romano.

Anche qui bisogna guardarsi dal dottor Scalfari e dai suoi epigoni. Ciò che avviene negli USA, dove il capitalismo crea ancora lavoro, qui non è possibile. Gli USA possono finanziare la propria crescita stampando dollari quanto appare necessario alla Federal Reserve (che è una riserva per modo di dire, essendo in effetti un'applicazione della regola del fotti-compagno; infatti quanto più carta stampa senza creare inflazione, tanti più beni affluiscono gratis nei circuiti USA dal resto del mondo). Ma la crescita dell'occupazione in USA crea disoccupazione altrove, secondo una regola mai smentita sin dal tempo in cui l'Inghilterra vietò agli indiani l'esportazione delle loro cotonine.

Dal mondo del capitalismo morente, il nuovo mondo, che sta nascendo sotto i nostri occhi senza che essi sappiano vederlo, eredita il sistema degli scambi mondiali e la logica della concorrenza fra produttori. Dette eredità si faranno rispettate per virtù propria. Ma esauritosi, come è facile osservare, il patto tacito tra capitalisti e aristocrazie operaie occidentali, in vigore sin dal 1860 circa, dette strutture saranno accettate da una classe diversa da quella che si regge sul profitto.

Non siamo più ai tempi di Smith. Gli spiriti animali sono costretti a rintanarsi. A produttori che sono andati a scuola e che sanno maneggiare i nuovi strumenti dell'informatica, il capitalista privato non serve più. E' un'effettiva remora per la produzione. Valore d'uso, valore di scambio, cioè il valore lavoro - frazione personale del lavoro globale - livello delle sussistenze tendono a globalizzarsi.

Saranno gli stessi lavoratori, padroni di se stessi e del proprio prodotto, a competere in produttività fra loro, adeguando gli standard sussistenziali alla produttività media di ciascun habitat nazionale.

 

Nicola Zitara

 

 
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4 settembre a Mongiana

Annuncio - Urgente! (Nicola Zitara)

Parte il Movimento di liberazione del Sud Italia

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