L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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io nun me scordo

“Voglio vivere a Napoli…”

di Andrea Balìa

(se vuoi, puoi scaricare l'articolo in formato RTF o PDF)

Napoli, 5 Giugno 2007

Una domanda ricorrente, che ci si sente rivolgere o che la si ascolta in giro magari rivolta ad altri, è: “…ma dove vorresti vivere?”. E qui - via con la fantasia - ognuno si sbizzarrisce e vai con indicazioni di posti caraibici, isole sperdute, o spesso città europee di grande importanza o città italiane fredde ma ordinate e sonnolente. In uno dei miei viaggi ricorrenti al Nord per motivi di lavoro anche il sottoscritto ha ricevuto la fatidica domanda che era pressappoco articolata così’: “..dall’accento sei sicuro del Sud, certamente napoletano, e allora ‘sta monnezza?

Come fate? Tu vivi proprio lì? Ma se potessi scegliere dove andresti a vivere?”

Devo dire che anni fa sarei stato più prudente ed avrei dato una risposta probabilmente nella sostanza non diversa, ma di sicuro più complessa e meno diretta.

Invece mi è venuto subito in mente Gossram (lo scrittore israeliano) ed una sua frase mi è apparsa in mente come un flash; non solo quella frase l’ho ricordata, ma l’ho vista come scritta in grossi caratteri su un foglio o un muro bianco.

E ho risposto: “…voglio vivere a Napoli!” Il mio interlocutore, quasi stupito e preso in contropiede, di rimando: “…ma come.. vivi a Napoli e…vuoi vivere a Napoli?”

Non ci ha aggiunto ma, era palesemente sottinteso,” c’è l’immondizia, la criminalità, il caos che è scontato, là vivi, e vuoi vivere a Napoli?” E allora gli ho ripetuto la frase di Gossram, che ho fatto mia all’istante, ma di cui, per onestà, ne ho subito dopo dichiarato la paternità.

Ed ho risposto, assaporando tutta la fierezza, il senso d’appartenenza e l’orgoglio contenuto in quelle parole: “…lo so vivo in un posto difficile, ma è la mia terra, sono le mie radici; e poi io non voglio una vita comoda, ma una vita che abbia un senso!”  

Ho approfittato del vuoto di qualche istante creato dalla mia risposta ed ho aggiunto: “…anzi, vedi, negli ultimi anni appena me ne allontano, provo nostalgia e desiderio di rientrarvi, e poi…a noi, cittadini perbene – e ne siamo tanti – la monnezza, la criminalità, e altre amenità, non ci piacciono e né le giustifichiamo, ma siamo un popolo che viene da lontano, con una lunga e significativa storia alle spalle.

Siamo abituati a ben altre sventure, siamo un po’ come i Curdi, i Tibetani, gli Indiani.

Rispetto a loro abbiamo sì conservato la terra, ma non ne siamo più padroni. Abbiamo subito un’unità più simile ad un’annessione che ad un’integrazione, tra l’altro non desiderata e con le sue scellerate conseguenze.

Cosa vuoi che ci spaventi – pur creandoci mille problemi – al confronto l’immondizia e la criminalità ? Se andassimo via, lavandocene le mani come fanno tanti, ora io cosa ti risponderei?”

Il mio interlocutore mi ha detto che aveva da fare, si è allontanato un po’ e ha iniziato un nuovo discorso con un suo compatriota nordico.







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