L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


Camera dei Deputati - Seduta n. 502 antimeridiana 22 giugno 1950
Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico
interesse nell’Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) (1170)

Giugno 2012



Camera dei Deputati - Seduta del  17 Marzo 1950 - De Gasperi

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Camera dei Deputati - Seduta n. 499 pomeridiana 20 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 501 pomeridiana 21 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 502 antimeridiana 22 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 503 antimeridiana 23 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 504 pomeridiana 23 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 505 antimeridiana 24 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 507 pomeridiana 27 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 508 antimeridiana 28 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 509 pomeridiana 28 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 513 pomeridiana 04 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 514 antimeridiana 05 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 523 antimeridiana 12 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 524 pomeridiana 12 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 525 antimeridiana 13 luglio 1950

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Senato - seduta n. 483 - venerdì 21 luglio 1950

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Senato - seduta n. 491 pomeridiana - giovedì 27 luglio 1950

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Senato - seduta n. 493 pomeridiana - venerdì 28 luglio 1950

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Senato - seduta n. 494 antimeridiana - sabato 29 luglio 1950

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Senato - seduta n. 495 pomeridiana - sabato 29 luglio 1950

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SEDUTA DI GIOVEDÌ 22 GIUGNO 1950
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI
INDI
DEL VICEPRESIDENTE CHIOSTERGI, DEL PRESIDENTE GRONCHI
E DEL VICEPRESIDENTE LEONE

Congedi    …......................................................................................................... 19905

Disegno di legge (Presentazione)............................................................................19939

Disegni di legge (Seguito della discussione):

Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nella Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno), (1170). — Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. (1171)    

PRESIDENTE    ….............................................................................. 19906

DE MARTINO FRANCESCO    ….................................................................. 19906

PINO    …........................................................................................................... 19915

CASSIANI    …............................................................................... 19915

MATTEUCCI; RELATORE DI MINORANZA…............................................... 19924

MELIS    ….......................................................................................................... 19932

VOLGGER     …............................................................................... 19939

SEMERARO GABRIELE    …............................................................................... 19941

CARTIA    …......................................................................................................... 19941

ROBERTI    …....................................................................................................... 19950

Proposte di legge:

(Annunzio)..........................................................................................................19905

(Annunzio di ritiro)............................................................................................19906

(Trasmissione dal Senato).................................................................................19905

Interrogazioni e interpellanza (Annunzio)...................19955

La sedata comincia alle 16.

GIOLITTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta pomeridiana di ieri.

(È approvato).

Congedi.

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i deputati Giordani e Repossi.

(I congedi sono concessi).

Trasmissione dal Senato di proposte di legge.

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso a questa Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa parlamentare, approvate da quella VI Commissione permanente:

senatore Bisobi: «Assegnazione di lire 150.000.000 per ripristino Gallerie dipendenti dalla Sopraintendenza di Firenze» (1376);

senatori Palermo, Gelmetti, Reale Eugenio e Spezzano: «Sistemazione degli insegnanti ex perseguitati politici e razziali nei ruoli della pubblica istruzione» (1377).

Saranno stampate, distribuite e trasmesse alle Commissioni competenti.

Annunzio di proposte di legge.

PRESIDENTE. Sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge di iniziativa parlamentare:

dal deputato Geuna:

«Ricostituzione dei comuni di Bonzo e di Valgioie, in provincia di Torino» (1378);

«Ricostituzione del comune di Segno, in provincia di Savona» (1379);

dai deputati Franceschini e Bertola:

«Collocamento a disposizione di provveditori agli studi» (1380).

Avendo i proponenti dichiarato di rinunciare allo svolgimento, le proposte saranno stampate, distribuite e trasmesse alle Commissioni competenti, le prime due in sede legislativa.

Altra proposta di legge è stata presentata dai deputati Bertola, Bina, Franceschini, Titomanlio Vittoria e Dal Canton Maria Pia:

19906

«Riconoscimento del servizio prestato nella scuola elementare ai fini della carriera nelle scuole medie» (1381).

Sarà stampata e distribuita. A norma dell'articolo 133 'del regolamento, poiché essa importa onere finanziario, ne sarà fissata in seguito la data di svolgimento.

Annunzio di ritiro di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Comunico che il deputato Monticelli ha dichiarato di ritirare la sua proposta di legge: «Per la determinazione' del carico dei contributi unificati nella mezzadria e colonia parziaria» (1327).

La proposta è stata, pertanto, cancellata dall'ordine del giorno.

Seguito della [discussione dei disegni di legge: Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). (1170). Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nel? Italia settentrionale e centrale. (1171).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge: Istituzione della Cassa per opere straordinarie di "pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale.

È iscritto a parlare l'onorevole Francesco De Martino. Ne ha facoltà.

DE MARTINO FRANCESCO. Il dibattito che si sta svolgendo sulla presente legge assume quasi, in seno a questa Assemblea, il carattere di un monologo: sin ora, infatti, soltanto i deputati dell'opposizione sono intervenuti, e appena ieri l'onorevole Lucifredi ha toccato di sfuggita i problemi relativi al Mezzogiorno.

Il dialogo però esiste nel paese. Il giornale del partito che ha la maggiore responsabilità di governo, Il Popolo, ha ritenuto utile replicare alle critiche che in quest'aula furono recate dal nostro collega Giorgio Amendola, il quale in un discorso documentato e serio ha discusso i problemi fondamentali sui quali l'opposizione diverge dalla concezione che ha ispirato il Governo nel proporre il presente disegno di legge. Non posso che rinviarmi ai dati dell'onorevole Amendola e in gran parte alle critiche mosse, da altra parte della Camera, dall'onorevole Corbino, né' intendo infastidire i colleghi ripetendo detti dati; vorrò anzi limitare il mio intervento

a tre punti che mi sembrano essenziali, tanto più che ieri l'onorevole Lucifredi assumeva che l'opposizione, anche a proposito di questa legge (che a suo giudizio sarebbe una legge d'importanza assai grande per il Mezzogiorno), avrebbe preso una posizione critica per seguire il suo abituale sistema. Egli diceva: dobbiamo abbandonare l'illusione che anche di fronte a provvedimenti di questa entità possa aversi il consenso dell'opposizione.

Signori, se vi è una legge sulla quale non potete chiedere il nostro consenso è precisamente questa, perché sarà facile per noi dimostrare come la concezione che vi guida nel giudizio dei problemi riferentisi al Mezzogiorno sia inadeguata a risolverli. Vi dimostrerò come sia coerente la posizione che noi assumiamo e diversa da quella che voi oggi proponete al paese.

A noi sembra poi che voi consideriate questa questione come a sé stante, tale cioè da potersi risolvere o avviare a soluzione indipendentemente dalla politica generale del paese; noi invece riteniamo che questa questione non possa essere risolta se non nel quadro di una politica nazionale dello Stato italiano. Vi dimostreremo come a nostro giudizio la politica generale che il vostro Governo conduce non si risolve in un beneficio per il Mezzogiorno, ma in un danno.

GUI. «Vostro»?

DE MARTINO FRANCESCO. Governo «vostro» nel senso che è stato investito del potere con un voto della maggioranza, e, come tale, purtroppo non esprime la nostra volontà. Con ciò non vogliamo dire che esso non sia il Governo della Repubblica.

Ribadiremo infine le critiche che sono venute da molte parti sul concetto che vi ha guidato nell'istituzione di un nuovo organo, la Cassa per il Mezzogiorno.

Chiunque conosca la questione meridionale e sia ispirato a idee di progresso non si stupirà se noi respingiamo questo programma per il Mezzogiorno. Un apprezzamento empirico potrebbe condurre a considerare che una spesa di 1000 miliardi, sia pure ripartita in 10 anni, è sempre un aiuto importante, anche se non definitivo, per le regioni più povere del nostro paese.

Però chi conosca la letteratura che vi è su questo tema, chi risalga lungo la storia della politica condotta dalla monarchia unitaria, e chi soprattutto abbia identificato le cause dell'arretratezza dell'Italia del sud, non potrà pronunciare un giudizio così sicuro:

19907

egli si domanderà in primo luogo se l'annunciato programma sarà tale da rimuovere le cause della miseria, se i 1000 miliardi saranno spesi per consolidare o rinnovare la struttura dell'economia e della società meridionale, se la politica generale dello Stato consentirà di spingere le popolazioni del sud verso il progresso ovvero se essa ne accrescerà la servitù secolare. A queste domande noi crediamo nostro dovere e ci permettiamo di ritenere sia anche dovere vostro rispondere. Però noi non abbiamo ancora ascoltato i colleghi della maggioranza su questo argomento, e queste domande rimangono quindi senza risposta sullo sfondo, spesso tragico, sempre doloroso, della miseria meridionale, della miseria che si abbatte sulle masse dei contadini, dalle quali si levano insanguinate e non vendicate le ombre dei caduti nelle lotte contadine.

Voi siete stati mossi dall'idea della inferiorità del Mezzogiorno: una natura ingrata, con le sue maledizioni, con la sterilità del terreno, la malaria, le montagne brulle e via dicendo; un'idea che poi viene ribattezzata con un'espressione di marca anglossassone, quello cioè di aree depresse. Ecco quindi l'idea di risolvere la questione meridionale cercando di modificare questi elementi della natura e dell'ambiente, spendendo 4500 miliardi per la bonifica integrale, 300 per la trasformazione fondiaria, il rimanente in opere minori.

Ma il fatto è che i meridionalisti, anche quelli della scuola liberale, come Giustino Fortunato (cui si riferiva ieri un eminente collega in un suo editoriale su Il Popolo affermando che se don Giustino fosse vissuto oggi non avrebbe potuto se non approvare la politica dell'attuale Governo), la pensavano in modo alquanto diverso. Ed io credo chela lettura delle opere di Giustino Fortunato ci convincerebbe facilmente di ciò, poiché, se è vero ch'egli combatteva la vecchia tradizione della magna parens frugum, è anche vero che considerava con reale amarezza l'oppressione della grande borghesia agraria sul proletariato contadino e comprendeva assai bene come la struttura della società meridionale fosse talmente oppressiva da non consentire alcun progresso, stante l'assenza di una classe media di attivi imprenditori e la minaccia costante dell'odio del contadino pronto a esplodere in rivolta. La questione meridionale non era allora considerata come una semplice questione di depressione naturale: era la questione di una società in cui il feudo era scomparso

come istituzione giuridica, ed era largamente restato come sostanza di rapporti umani, donde la distinzione fra galantuomini e contadini, i quali ultimi non sono uomini 'nel senso proprio del termine: sono esseri inferiori.

Sempre attuale è una pagina in cui vengono descritti i rapporti delle classi in Sicilia, che sono poi i rapporti delle classi in tutta l'Italia del mezzogiorno. Dalla amara descrizione che mi accingo a leggervi, potrete facilmente intendere quale fosse il concetto che quegli scrittori avevano della situazione meridionale:

«Nelle relazioni fra il contadino e il proprietario, o in genere fra il contadino e il cosiddetto «galantuomo», ossia la persona civile, molto è rimasto ancora dei costumi feudali, e non è da sorprendersene ove si pensi che il feudalismo in Sicilia fioriva ancora in tutta la sua pienezza al principio di questo secolo». E poi, dopo aver fatto accenni alla legislazione eversiva della feudalità: «Quella che era stata fino allora potenza legale rimase come potenza,o prepotenza di fatto, e il contadino, dichiarato cittadino dalla legge, rimase servo e oppresso. Il latifondista restò sempre barone e non soltanto di nome; e nel sentimento generale la posizione del proprietario di fronte al contadino restò quella di feudatario di fronte al vassallo».

Onorevoli colleghi, queste pagine sono del Sonnino, e non di uno scrittore socialista. E tuttavia la politica dello Stato italiano non fu mai rivolta contro la struttura che il Sonnino descriveva. I rapporti umani rimasero immutati, la vittoria della sinistra sulla destra storica accrebbe la corruzione della piccola borghesia che consolidò il blocco agrario capitalistico; lo sviluppo industriale del nord, favorito dal protezionismo, aumentò la miseria nel meridione.

La prima guerra mondiale sottrasse poi sangue e danaro alle popolazioni del sud, i risparmi faticosamente accumulaci con l'emigrazione contadina, finché il fascismo, accrescendo il potere della burocrazia e del grande capitale finanziario, sostituì alla vecchia classe trasformista una ben più pesante oppressione.

L'ordinamento sociale e politico dello Stato era tale che tutti i nobili propositi verso il Mezzogiorno naufragarono. Il Mezzogiorno era un territorio semicoloniale, ove una classe capitalistica giunta in ritardo nella spartizione delle ricchezze coloniali tentò di spartirsi la miseria dei contadini. Così nel Mezzogiorno la sola politica possibile divenne quella del favore governativo, in cambio della passiva acquiescenza allo sfruttamento del paese. La libertà borghese non fu conosciuta.

19908

Così un uomo di Stato, che era un liberale, il Giolitti, non disdegnò nel sud di fare le elezioni con la camorra e la mafia alleate alla burocrazia, pur di assicurare la vittoria al candidato governativo, il quale, quasi sempre, non aveva un idea politica diversa da quella del suo avversario.

In quei tempi devo lealmente dirlo anche il socialismo, sorto nelle avanzate regioni industriali del nord, non aveva compreso i termini della questione meridionale, e appoggiava la politica protezionista a favore ''dell'industria del nord, la quale faceva pagare, dalle masse contadine meridionali, in crescente miseria e in crescente dolore, il relativo benessere del nord, le cui briciole venivano ripartite fra la classe operaia.

Solo il Salvemini, che aveva meditato sui problemi storici e aveva conoscenza diretta ed esperienza della società meridionale, indicava al socialismo le masse dei contadini meridionali come una forza autonoma rivoluzionaria, combattendo la vergognosa oppressione della burocrazia, il corrotto costume piccolo borghese, i metodi e i risultati del regime giolittiano.

Gli anni della polemica protezionista furono gli anni nei quali Salvemini si staccò dal partito e continuò la sua battaglia insieme con i liberali antiprotezionisti e con pochi socialisti; una battaglia che, però, fu ben presto superata dai grandiosi avvenimenti della guerra mondiale.

Fu dopo di questa e dopo la formazione di un più maturo proletariato, consapevole della fondamentale unità nella classe lavoratrice, che i termini della questione meridionale furono compresi in modo sempre più chiaro e si vide che essi erano i termini di un ordine sociale e politico, non i termini di una inferiorità naturale.

Sorsero allora altri politici e scrittori, il Dorso, il Gobetti, e tutti coloro che seguivano questi giovani movimenti culturali e politici nati dopo la guerra, a sostenere la necessità di una trasformazione radicale della società meridionale. In particolare Antonio Granisci, il quale si era formato nella esperienza della lotta degli operai torinesi, riprendeva le tradizioni meridionalistiche più progressive, sottoponeva a un'analisi precisa la società meridionale, ne denunciava la disgregazione, e nell'unità degli operai settentrionali e dei contadini meridionali additava la forza di rinnovamento della società italiana.

A questa tradizione meridionalista, onorevoli colleghi, noi oggi riconosciamo pieno valore. La diagnosi della questione meridionale è stata confermata dalla esperienza storica. Se esaminiamo la politica dello Stato unitario prima del fascismo (non voglio nemmeno parlare della politica dello Stato italiano durante il fascismo), noi ci accorgiamo che questa politica fu rivolta a consolidare la struttura della società: e fu precisamente una politica di lavori pubblici. Onorevoli signori, io mi sono permesso di raccogliere alcuni dati' relativi ai lavori pubblici che sono stati compiuti dallo Stato unitario nel Mezzogiorno, e ciò non per esaltare quella politica o il vecchio Stato prefascista rispetto al nostro, ma per dirvi che la politica dei lavori pubblici fu la classica politica dello Stato italiano unitario, e che essa ebbe come conseguenza il consolidamento della arretratezza del Mezzogiorno.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Ciò non ostante sono rimaste arretrate anche dopo, onorevole De Martino.

DE MARTINO FRANCESCO. Voi credete di introdurre un nuovo corso nella politica generale proponendo una notevole mole di lavori pubblici. Non discuto se voi successivamente manterrete la parola facendo veramente questi lavori pubblici, se avrete i finanziaménti o no; posso anche ammettere che voi farete questi lavori per l'importo che avete annunciato. Non voglio nemmeno entrare nelle critiche, che pure sono state mosse, sulla correttezza costituzionale del provvedimento: io, dunque, ammetto che voi spenderete 1000 miliardi. Ma il problema che noi solleviamo è un altro: voi credete di dar vita a un nuovo corso nella politica italiana e di avere trovato la strada, attraverso il sistema di un notevole investimento in opere pubbliche, per avviare la questione meridionale verso la sua soluzione. Ebbene, noi vi diciamo che questa impostazione del problema è errata e che la storia del nostro paese dimostra che, posto il problema in questo modo, non vi è soluzione progressiva.

Perché? Perché lo Stato unitario nel Mezzogiorno...

SCOCA, Presidente della Commissione. Allora voi siete contro la legge e contro i lavori pubblici da eseguirsi nel sud...

TOMBA. Allora dovremmo arrivare alla conclusione che per il Mezzogiorno non vi è medicina possibile!

DE MARTINO FRANCESCO. Il fatto che siamo in questa Camera, onorevoli colleghi, significa che vi sono strati notevoli del Mezzogiorno

19909

che ci hanno ritenuti meritevoli di rappresentarli: e io voglio augurarmi che questi strati siano sempre più larghi in avvenire, per aver essi compreso qual'è la parte e quali i partiti che fanno veramente l'interesse del Mezzogiorno.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Voi della maggioranza volete ridurre la Camera all'altezza del consiglio comunale di Peretola. (Proteste al centro e a destra).

DE MARTINO FRANCESCO. Secondo i dati che sono riportati in una pubblicazione molto seria del 1924, una specie di inventario della politica dello Stato prefascista, lo Stato italiano dal 1862 al 1924 spese per le ferrovie meridionali, su un totale nazionale di 3 miliardi e 892 milioni di lire, la somma di 1 miliardo 248 milioni e 619 mila lire che, secondo il valore della moneta di quei tempi, potrebbe essere valutata fra i 200 e i 300 miliardi attuali: questo mio calcolo è molto approssimato, non avendo io avuto il tempo di fare l'esatto computo del rapporto monetario fra la lira di allora e quella attuale. Per opere straordinarie, cioè per opere stradali, idrauliche, di bonifica, per opere marittime e costruzioni di edifici pubblici, noi avemmo, sempre per l'Italia meridionale, una spesa superiore a quella delle altre regioni italiane, perché avemmo in Italia meridionale 1 miliardo 651 milioni e 643 mila lire contro 1 miliardo e 19 milioni nel nord, e 1 miliardo 267 milioni nell'Italia centrale. Complessivamente, con le opere ordinarie, su di un totale di poco superiore a 21 miliardi, 8 miliardi e 200 milioni furono spesi nel sud.

E se poi si esamini, in rapporto alla superficie del suolo e alla spesa per abitante, l'entità di queste spese in lavori pubblici, noi non possiamo lamentarci di essere stati trattati peggio delle altre regioni del nostro paese, perché anzi dovremmo constatare che in alcune regioni dell'Italia meridionale, ad esempio in Campania, avemmo una. media di 255 mila lire per ogni 10 chilometri quadrati e 112,685 per. ciascun abitante, mentre troviamo che in regioni del nord o dell'Italia centrale, come il Piemonte e la Toscana, si ebbero cifre infinitamente inferiori. Questo dico non per concludere che quella politica fu una politica favorevole per il Mezzogiorno, ma per osservare che l'impostazione della questione meridionale, come di una questione che si risolve con una politica di lavori pubblici, fu la tradizionale politica dello Stato monarchico, il quale in realtà consolidava

 la struttura oppressiva dell'Italia meridionale e asserviva le popolazioni meridionali rafforzando il blocco capitalistico agrario. Questa politica dal fascismo fu spinta più avanti, e i lavori pubblici divennero una delle parole d'ordine del fascismo.

Debbo forse ricordare l'acquedotto pugliese? Solo per l'acquedotto pugliese dal 1913 al 1922 si spesero 486 milioni, ed in Sardegna, nello stesso periodo di tempo, 512 milioni di moneta di quel tempo!

Mettendo assieme queste varie voci arriviamo a una somma che supera i 2 mila miliardi di lavori pubblici per il Mezzogiorno.

SCOCA, Presidente della Commissione. E, ciò non ostante, non esiste ancora una ferrovia che colleghi la mia provincia di Avellino a Napoli; e ciò non ostante non esistono fognature; e ciò non ostante non esistono edifici scolastici.

ALICATA, Relatore di minoranza. Non esisteranno nemmeno dopo la Cassa.

SCOCA, Presidente della Commissione. Vuol dire che non si è speso a sufficienza, anche se si è speso.

DE MARTINO FRANCESCO. Le sue interruzioni, onorevole Scoca, dimostrano la radicale differenza che vi è nel giudizio di questa questione! Quando i vostri colleghi si stupiscono del fatto che non siamo d'accordo sulla presente legge, si stupiscono a torto, perché i partiti di maggioranza hanno di questi problemi la storica visione borghese italiana.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio Non è esatto: ella sa che ne abbiamo parlato in Commissione.

DE MARTINO FRANCESCO. Sì, ella ha detto in Commissione che la legge è un avvio alla soluzione. Noi non riteniamo che sia un giusto avvio. Del resto, onorevole Campilli, mi permetta di dire che il modo come il suo partito non lei, e forse nemmeno il Presidente del Consiglio ha presentato nel paese questo piano di investimenti per il Mezzogiorno dava il diritto al paese di intendere che voi la questione la volete risolvere. Abbiamo visto tappezzata l'Italia di manifesti in cui si magnificava il grandioso programma che avrebbe risolto la questione!

A ogni modo, le posizioni diventano chiare; voi assumete che mediante una politica di lavori pubblici ed in particolare di bonifica, di trasformazioni fondiarie e di minori opere pubbliche, create la condizione perché la questione meridionale venga risolta. Noi abbiamo una posizione assolutamente opposta.

19910

Noi riteniamo che mediante una politica di lavori pubblici, fine a se stessa, che non incida sulla struttura della società, che non muti la politica economica del paese, la questione meridionale non viene risolta. Si continueranno a spendere molti miliardi, anche più dei 1000 promessi, e un bel giorno ci accorgeremo che la arretratezza del Mezzogiorno non è diminuita, ma forse accresciuta! Così abbiamo visto, dopo lo Stato unitario e lo Stato fascista, che hanno speso molti miliardi, come oggi il rapporto fra la popolazione attiva ed il totale della popolazione sia più basso del rapporto del 1860. (Commenti)

SCOCA, Presidente della Commissione. È un dato comune oppur no che le opere pubbliche bisogna farle?

DE MARTINO FRANCESCO. Io non riesco a intendere le ragioni del vostro stupore di fronte a una posizione che non stiamo inventando oggi, qui alla Camera; ma che ha, direi, cinquantanni di storia!

SCOCA, Presidente della Commissione. Di più!

DE MARTINO FRANCESCO. Sì, di più; ma dicevo la nostra posizione, alla quale più particolarmente ci riferiamo, ha cinquanta anni, cioè è la posizione logica di forze politiche le quali sostengono la necessità di mutamenti strutturali nell'organismo sociale ed economico del paese, e ritengono che senza questi mutamenti una semplice politica di lavori pubblici non risolverà il problema. I fatti hanno già confermato l'esattezza di questa tesi. Se poteste dimostrarci che il vecchio Stato non ha fatto lavori pubblici in Italia, se poteste dimostrarci che nell'epoca fascista e prefascista il Mezzogiorno fu trascurato e abbandonato, allora sì, potremmo, almeno in modo empirico, seguirvi nel vostro ragionamento: noi faremo più lavori pubblici, più investimenti, e il problema sarà risolto.

Però non sono queste le posizioni dei meridionalisti; la storia ha dimostrato che di investimenti per lavori pubblici, talvolta ingenti, ne furon fatti per il sud, ma non ne modificarono l'ordinamento economico-sociale.

Nessuno di noi oggi contesta che le regioni meridionali sono in condizioni arretrate, il che per lo meno ci autorizza...

RUSSO PEREZ....a lasciarle arretrate.

DE MARTINO FRANCESCO. Affatto, al contrario...

RUSSO PEREZ. Ella deve dimostrarmi che senza questi miliardi la situazione del Mezzogiorno migliorerà!

DE MARTINO FRANCESCO. La realtà è che la politica tradizionale delle forze domi' nanti lo Stato italiano è rivolta a consolidare la struttura sociale, ed è pronta a concedere talvolta per ragioni di ordine elettorale, come era uso fare all'epoca della monarchia prefascista, talvolta per altri motivi (non so esattamente quali siano i vostri: non mi importa di saperlo; voglio solo mettermi sul terreno più obiettivo, più sereno possibile) opere pubbliche e a lasciare immota ed inerte la società meridionale.

Né voglio parlare delle vecchie leggi speciali che l'onorevole Cerabona ricorderà: le leggi sulla Basilicata, le leggi per Napoli, tutte le altre; ciò non ha importanza. Quel che importa è che questa fu la linea tradizionale italiana: politica di lavori pubblici.

Voi. dite: furon troppo pochi i denari, e perciò la questione non fu risolta. Noi diciamo il contrario: diciamo che non basta far dei lavori pubblici nell'Italia meridionale; occorre fare infatti qualcosa di assai più importante dei lavori pubblici: cambiare la struttura dei rapporti sociali delle classi, cambiare la struttura dell'economia...

TOMBA. Bisogna farla nuova. [Commenti all'estrema sinistra).

DE MARTINO FRANCESCO. Appunto; farla nuova significa cambiare i rapporti sociali! (Interruzione del deputato Tomba).

ALICATA, Relatore di minoranza. È una vergogaa ch'ella sieda allo stesso posto in cui sedeva Giustino Fortunato! (Proteste al centro e a destra).

DE MARTINO FRANCESCO. Mi dispiace di dover far rilevare all'onorevole Tomba, membro del partito democristiano, che in questo libro, che ho davanti, vi è un articolo di don Luigi Sturzo, che credo fonte non sospetta, intitolato II Mezzogiorno e la politica italiana. (Interruzione del deputato Tomba).

PRESIDENTE. Onorevole Tomba, non interrompa!

DE MARTINO FRANCESCO. L'articolo di don Luigi Sturzo è precisamente rivolto a confutare la tesi dell'onorevole Tomba, e cioè la inferiorità delle popolazioni del Mezzogiorno.

AMENDOLA GIORGIO. Dei «fannulloni».

DE MARTINO FRANCESCO. È un articolo diretto a dimostrare precisamente l'opposto. Vengo rapidamente alla politica delle bonifiche, perché questa è, direi, la parte fondamentale del vostro programma per il Mezzogiorno. Dirò le cose lealmente, perché un problema di questa entità va affrontato in maniera seria.

19911

Dal 1913 sino al 1942 lo Stato italiano ha speso in bonifiche per il mezzogiorno d'Italia 15 miliardi di lire, fra spese compiute direttamente dallo Stato e contributi forniti ai privati; complesso notevole di investimenti, che, rapportato al valore attuale della moneta, ci dà qualcosa come un migliaio di miliardi di lire.

Senza dubbio la bonifica fu compiuta nelle regioni del nord in modo più ampio e quindi è più avanzata in quelle regioni; e, in certo senso, rende logico il fatto che oggi consideriamo più urgente il problema delle bonifiche nel Mezzogiorno.

Nel 1942, su una superficie di 3.617.231 ettari classificati nel nord, in 1.216.894 ettari la bonifica era compiuta, cioè sul 33,64 per cento del territorio; in 1.402.869 ettari vi erano lavori in corso, cioè sul 38,78 per cento; mentre su 997.468 ettari, cioè sul 27,58 per cento, non vi erano lavori iniziati.

Nell'Italia meridionale su un totale di 2.492.000 ettari, solo in 750.459 ettari i lavori erano compiuti, cioè sul 30,11 per cento; in 882.581, cioè sul 35,41 per cento erano incorso; in 859.174 non erano ancora iniziati (e nelle isole la situazione è ancora più grave, come in alcune regioni continentali). Nell'Abruzzo, il 69,89 per cento delle opere non era ancora iniziato; in Lucania, il 71,14 per cento; in Calabria il 39 per cento; in Sicilia il 76 per cento; in Sardegna il 70 per cento.

In media, nell'Italia meridionale e nelle isole, il 52,29 per cento delle opere non era ancora iniziato; il 26,65 per cento era in corso.

Però mentre nel nord l'intervento privato in opere di trasformazione fondiaria raggiunge il 60 per cento della superficie in cui la bonifica fu ultimata, nel Mezzogiorno e nelle isole questo intervento raggiunge, rispettivamente, il 36 per cento e il 48 per cento. Il che significa che la bonifica nel Mezzogiorno, per le condizioni economiche del paese, non spinge l'iniziativa privata, e cioè i proprietari nei cui terreni vengono eseguite le bonifiche non fanno poi quel che sarebbe loro dovere di fare, vale a dire le trasformazioni fondiarie. Ciò dipende dalla struttura stessa della società meridionale, struttura che determina l'inerzia del ceto dei proprietari; un'inerzia che li rende incapaci di sostenere il compito della trasformazione fondiaria e della creazione di moderne aziende. Nella vostra relazione è detto che per la prima volta un governo si presenta con un programma organico di così vasta portata.

Noi diciamo che il programma di bonifica, anche se più ampio del precedente, anche se tale da esaurire la bonifica nell'Italia meridionale (il che è da escludere), non è mai da considerare un programma organico.

Qual'è la politica rivolta a modificare le condizioni economiche e sociali in cui versa oggi la società meridionale? Qual'è la visione del Governo rispetto ai problemi fondamentali di questa società? L'esperienza storica ci dice che non basta bonificare perché un determinato ambiente si trasformi sostanzialmente. Talvolta la bonifica impone uno sforzo economico al paese, sforzo che può riuscire perfino dannoso, perché sottrae capitali e risparmi ad investimenti più produttivi lasciando immutate le strutture sociali e consolidando l'inerzia storica di ceti incapaci di una funzione dirigente.

Anche il fascismo, che in parte non poteva e in più gran parte non voleva risolvere i problemi di struttura, considerò la politica delle bonifiche integrali come una delle sue principali glorie. Ma fu un successo per la economia italiana la politica fascista della bonifica integrale? Può dirsi che la politica allora largamente seguita abbia migliorato le condizioni economiche dei ceti contadini e trasformato le campagne d'Italia?

TONENGO. Gli uomini sono passati, ma le opere restano.

BERTI GIUSEPPE fu Angelo. Le opere del regime?

TONENGO. E tante !

RUSSO PEREZ. Hanno cambiato di nome!

DE MARTINO FRANCESCO. Quel migliaio di miliardi che fu investito in bonifiche, in lire attuali, è stato, sostanzialmente, nei risultati positivi, un utile investimento per la politica generale del paese?

Oggi riprendiamo questa linea e questa strada in condizioni che sono assai diverse dalle condizioni di allora, dopo una guerra che ha trasformato radicalmente l'economia mondiale, e dopo che si è determinata in Europa e all'interno del paese una situazione politica ed economica nuova e diversa. Ebbene, noi continuiamo per la vecchia strada, la. strada della politica della bonifica integrale, sulla linea della vecchia legislazione.

Quindi, è legittimo il nostro dubbio. Voi non avete una concezione adeguata al presente stato di cose; voi non ci dite in termini di utilità economica come avete valutato il problema;

19912

non ci dite in termini sociali a che cosa condurrà l'esecuzione del progetto che state per intraprendere. Siete forse persuasi che spendendo questi miliardi per la bonifica nel Mezzogiorno e nelle isole potrete creare quei nuovi beni produttivi che accrescano adeguatamente la sicurezza economica del paese e costituiscano nelle regioni arretrate del sud l'impulso necessario per spingere le popolazioni e i ceti produttivi verso un nuovo cammino di progresso e di civiltà? Quale aumento di reddito voi prevedete che deriverà da questo programma? Quale occupazione di forze di lavoro? E, in definitiva, per quali classi sociali la bonifica verrà eseguita, per e chi farete questa bonifica? Per chi chiederete al paese, anche alle classi più povere del paese, di contribuire ai necessari oneri di spesa?

SCOCA; Presidente della Commissione. Per chi lavora!

DE MARTINO FRANCESCO. Per le masse di contadini poveri del Mezzogiorno, assetati di terra,...

SCOCA, Presidente della Commissione. Precisamente.

DE MARTINO FRANCESCO, i vecchi proprietari assenteisti?

Se volete fare la bonifica per i contadini poveri del Mezzogiorno, dovete cambiare la legge sulla bonifica per assegnare le terre bonificate ai contadini. Ma voi non la cambiate, anzi vi riferite ancora alla vecchia legge sulla bonifica per eseguire il programma di investimenti; o peggio ancora" queste bonifiche le farete per quei gruppi capitalistici e monopolistici che, piombando nel sud come sparvieri, acquisteranno per pochi denari le terre con acquitrini desolati e selvaggi per poi ricevere dallo Stato terre produttive, terre poste in condizioni fertili.

Potreste dirci: vi è la riforma agraria. Potreste dirci: questa bonifica noi la faremo per la riforma agraria. Io non so se nella tecnica della legge, quale essa é congegnata, voi siate autorizzati a dire che quelle spese di bonifica si faranno per la riforma fondiaria. Forse, bisognerebbe ritenere il contrario, onorevole ministro Campilli, perché una specifica norma della legge, che in Commissione è stata modificata, prevede una spesa di 30 miliardi annui, se non erro, per le trasformazioni fondiarie nelle zone in cui avrà luogo la riforma agraria; perciò la legge non prevede alcuno specifico investimento in bonifiche in quelle zone in cui avrà luogo la riforma agraria.

A prescindere da questo apprezzamento sul dettaglio tecnico della legge, vengo alla riforma agraria.

Devo qui osservare, onorevoli colleghi, che noi ci troviamo di fronte a un caso non consueto, e cioè a una specie di ipoteca che il Governo pone sul futuro, che il Governo pone sul Parlamento. Esso ci chiede di approvare una legge in cui il 30 per cento degli stanziamenti sono devoluti alle trasformazioni fondiarie che si faranno in conseguenza della riforma agraria, quando la riforma agraria il Parlamento non l'ha ancora discussa, e quando perfino il partito di maggioranza è in dissenso sulla riforma stessa. (Interruzioni al centro e a destra).

Onorevoli colleghi, se avete superato tali dissensi in queste ultime ore io non so; ma fino a qualche giorno fa questi dissensi esistevano! A ogni modo, prima che il Parlamento abbia discusso e approvato la riforma agraria, noi abbiamo il diritto di sapere come vengono spesi questi 30 miliardi annui per trasformazioni fondiarie in terreni; noi non sappiamo infatti, almeno ufficialmente (anche perché non vi è stato alcun dibattito qui alla Camera) quali saranno questi terreni. Quindi, una ipoteca! Il Governo chiede al Parlamento una ipoteca. Esso dice: approvate questo progetto di spese per una riforma che noi faremo in una entità, in dimensioni e in limiti che ancora sono fuori della conoscenza del Parlamento. (Interruzioni al centro e a destra). Onorevoli colleghi, dissensi dicevo ve ne sono stati in seno al partito di maggioranza, per quanto riguarda la riforma agraria, anche se qualche collega mi annuncia che sono stati superati. L'onorevole Luci fredi si meravigliava che noi avremmo votato contro questa legge; il dovere dell'opposizione è di criticare l'esecutivo e, se vi sono ragioni serie per votare contro questa legge, sono precisamente queste!

Voi pretendete dai partiti che non hanno la responsabilità dell'esecutivo, che hanno divergenze fondamentali con voi, di accettare la spesa di 300 miliardi per una riforma che non si sa quando potrà essere attuata. Onorevoli colleghi, io credo che neanche gli angeli del paradiso, nei quali voi credete, accetterebbero questo!

TONENGO. Onorevole De Martino, avrà il coraggio di dire queste cose nelle piazze del sud? (Proteste all'estrema sinistra).

DE MARTINO FRANCESCO. Talvolta le ipoteche sono poste all'interno dello stesso Governo. Io non vorrei fare questa insinuazione, ma credo che il ministro abbia voluto porre questa ipoteca dei 30 miliardi annui per le trasformazioni fondiarie forse nel timore che, se questi 30 miliardi non fossero stati previsti, egli difficilmente sarebbe riuscito a strapparli al ministro del tesoro! (Interruzione del Presidente del Consiglio dei ministri).

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Allora vuol dire che è lei l'autore di queste ipoteche sulla maggioranza, onorevole De Gasperi. Ad ogni modo è necessaria una linea chiara: un Governo forte non avrebbe proceduto in questo modo; esso avrebbe fatto approvare la riforma agraria, e nella riforma agraria si sarebbero stanziati i 300 miliardi ritenuti necessari per le trasformazioni fondiarie.

Noi non possiamo renderci conto delle ragioni che giustificherebbero un così inconsulto procedimento. La sede naturale è la legge sulla riforma agraria; e sarebbe logico in quella legge stabilire quali debbano essere le trasformazioni fondiarie e in base ad esse stabilire i relativi stanziamenti.

Il ministro Segni vuole questa ipoteca: che la Camera voti cioè lo stanziamento per il Mezzogiorno prima ancora di conoscere quali saranno i limiti e i termini della riforma fondiaria. Ora, a prescindere dal giudizio che noi potremo dare sulla riforma agraria allorché verrà in discussione in questa sede, è chiaro e naturale che l'opposizione esprima un giudizio negativo sull'impiego di questi miliardi prima che la riforma agraria sia stata discussa e approvata dalle Assemblee competenti. La presente legge si dovrebbe intitolare «legge per le bonifiche e per le trasformazioni fondiarie nel Mezzogiorno». E qui.abbiamo l'obbligo di dire che, per giudizio comune di tutti coloro che si sono occupati del problema meridionale, la politica del Mezzogiorno non è che la politica generale dello Stato italiano.

Voi ricorderete le polemiche tra protezionisti e liberisti; ricorderete le polemiche per la riforma tributaria, ecc.: anche quelle non erano questioni specifiche del Mezzogiorno, ma questioni dello Stato italiano, il cui indirizzo finiva poi per risolversi in un vantaggio o in un danno per il Mezzogiorno.

Ora, la vostra politica generale si risolve in uno svantaggio per il Mezzogiorno. Siamo indubbiamente in un periodo di depressione economica; questa è provocata dalla politica deflazionistica condotta dal ministro Pella, la quale porta all'abbassamento dei consumi, da cui deriva la maggiore povertà dei contadini meridionali, e alla crisi agricola. A questo riguardo io potrei leggere una relazione del Banco di Napoli ove si fanno dichiarazioni molto esplicite relativamente alla crisi agricola nel Mezzogiorno.

Pregherei gli onorevoli colleghi di rendersi conto della situazione reale, e di leggere questa relazione.

La crisi, particolarmente grave nel Mezzogiorno, è appunto la conseguenza della vostra politica generale, e quindi voi dovete cambiare questa politica. Così la crisi industriale è innegabile: una gran parte dell'Europa è tagliata fuori dai nostri scambi economici, in conseguenza della nostra politica estera. Se è vero che tutto questo pesa sul Mezzogiorno; e se voi non vi convincete che per giovare realmente al Mezzogiorno non bastano i lavori pubblici, ma bisogna cambiare la direttiva generale di politica economica, allora voi ricadete nello stesso errore dei vecchi gruppi dominanti del nostro paese,»i quali facevano lavori pubblici, spendevano miliardi nel Mezzogiorno; però facevano una politica economica generale la quale si risolveva nell'impoverimento del Mezzogiorno e consolidava le condizioni di arretratezza di queste sventurate regioni.

La politica finanziaria che voi conducete con l'enorme sproporzione delle imposte indirette, rispetto a quelle dirette, che colpiscono gli scambi e i consumi, lo stesso sistema tributario pesa enormemente sul Mezzogiorno. Esso è una delle cause della miseria crescente delle popolazioni meridionali. {Interruzione del deputato Russo Perez).

Quei mille miliardi che si dànno al Mezzogiorno, per la vostra politica generale e finanziaria, il Mezzogiorno li paga in misura assai maggiore. Ecco la politica in cui il Governo crede e in cui hanno creduto i vecchi gruppi dominanti. Cambiate la politica generale e potrete far rifiorire il Mezzogiorno. Ella, onorevole Russo Perez, segue la stessa idea cui si ispirarono coloro che hanno preceduto questo regime, un'idea che fu rovinosa per le nostre regioni.

Vedete lò stesso meccanismo dei finanziamenti: per ciascuno dei primi due anni, 30 miliardi sono forniti da un aumento delle imposte. Quali imposte? Le Imposte sui consumi. Ed ecco il sud pagare una parte di questi 30 miliardi.

La politica di smobilitazione industriale, che è estremamente preoccupante anche nel sud, è determinata dalla mancata riconversione delle industrie e dalla mancata eliminazione delle industrie parassitarie. Per risolvere i problemi sociali conseguenti non sono state fatte sorgere nello stesso tempo altre industrie! I problemi dell'occupazione operaia pesano nel modo più grave sul mezzogiorno d'Italia. Voi seguite in fondo l'opinione dei gruppi dirigenti delle industrie italiane: i costi di produzione sono elevati; per questo siamo battuti dalla concorrenza internazionale; bisogna ridurli

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colpendo l'occupazione, riducendo i salari: questa è la Lesi dei gruppi industriali dominanti. E voi credete che una politica di questo genere non abbia le sue immediate ripercussioni sull'economia meridionale, che è in gran parte una economia agricola? Voi credete che la caduta dei prezzi di taluni prodotti agricoli, per esempio del vino, e la diminuzione del consumo non siano una conseguenza anche di questa situazione economica generale?

E vengo al piano strettamente politico. 11 Mezzogiorno è oggi in lotta per liberarsi dalla sua servitù storica, secondo le sue tradizioni progressive. Sì anche la tradizione del 'Salvemini, quando credeva nelle masse contadine meridionali! Ora egli ha mutato il suo convincimento: nella prefazione della sua antologia dice di aver perduto la fiducia nella forza autonoma delle masse meridionali a risolvere i problemi dei contadini. Egli attende adesso l'intervento degli altri, dei protettori. Ma noi restiamo col Salvemini che credeva in queste cose! (Interruzione del deputato Giulietti).

Sul piano strettamente politico la vostra politica dell'anticomunismo si è risolta nell'appoggio delle forze più reazionarie e nel tentativo di schiacciare l'impeto di liberazione delle masse contadine e lavoratrici del Mezzogiorno che si sono organizzate nei sindacati, nel partito socialista e nel partito comunista.

Un tempo voi credevate nell'antica tesi meridionalista: spezzare l'oppressione burocratica, decentramento, regionalismo! Ed oggi quale posizione assumete rispetto all'autonomia? Cresce nel Mezzogiorno l'oppressione burocratica e cresce una delle cause di arretratezza civile di queste regioni.

D'altra parte, noi neghiamo l'idea fondamentale che vi ispira, l'idea cioè che l'onorevole relatore per la maggioranza proclama nella sua relazione, l'idea che studi recenti abbiano dimostrato convenire di più lo sviluppo dell'agricoltura.

Noi chiediamo invece per il Mezzogiorno non solo un'agricoltura sviluppata, ma chiediamo un'industria fiorente. Non vogliamo che il Mezzogiorno, in tempi in cui la civiltà significa industria, sia relegato in questa condizione eterna d'inferiorità. Noi vogliamo che il Mezzogiorno si sviluppi, secondo l'esigenza di tutti i paesi moderni, che si sviluppi nell'agricoltura, sì, ma che si sviluppi anche nell'industria.

Vi sono industrie nel Mezzogiorno; vogliamo che esse continuino a vivere! Bisogna risolvere i problemi del Sulcis in Sardegna, i problemi tutti dell'industria meridionale. Noi ci domndiamo se sia corretto e se sia coerente da parte di coloro che veramente desiderano il progresso di queste regioni distruggere le industrie del Mezzogiorno.

SCOCA, Presidente della Commissione. Ma questo non lo afferma nessuno.

DE MARTINO FRANCESCO. Questo, onorevole Scoca, lo dicono anzitutto i fatti, che segnano una continua progressiva smobilitazione di quelle industrie, e lo dice anche la vostra relazione.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Ma niente affatto! È il contrario. Legga l'alinea ), onorevole De Martino: è la perfetta antitesi di ciò che ella sta dicendo. Non mi attribuisca delle idiozie. (Commenti).

DE MARTINO FRANCESCO. Io parlo della sua tesi, onorevole Jervolino, là dove ella espone un programma di preindustrializzazione.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Ma poi parlo di industrializzazione.

DE MARTINO FRANCESCO. Va bene, ma voi l'industrializzazione la concepite come conseguenza della trasformazione agraria; ciò noi recisamente neghiamo. Noi diciamo che dovrà avvenire caso mai il contrario.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Affermare questo mi pare un po' esagerato, onorevole De Martino.

DE MARTINO FRANCESCO. Io, quindi, onorevole Jervolino, non le attribuisco per nulla delle idiozie, le attribuisco quello che è il suo pensiero e il pensiero del Governo, di realizzare prima una fase di preindustrializzazione e poi, dopo l'esaurimento di essa, passare, se mai, all'industrializzazione.

Forse una parte di questi mille miliardi promessi al Mezzogiorno sarebbero più utili a rafforzare e a sviluppare le industrie, anziché a compiere opere di bonifica che, lo sappiamo bene, gioveranno soltanto a ceti ristretti dell'Italia meridionale.

Brevissimamente toccherò il problema della Cassa che è stato affrontato non solo dal collega Amendola, ma anche dall'onorevole Corbino, e che ha suscitato notevoli critiche nel paese.

Il problema della Cassa è serio, non tanto per gli uomini che il Governo sceglierà. Potrebbe essere indifferente la scelta di questi uomini, se è vero che gli uomini, direttamente o indirettamente, sono legati agli interessi economici, sono portatori di questi interessi.

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Noi siamo convinti che gli uni o gli altri di questi uomini che voi sceglierete, illustri o non illustri, con un passato o senza un passato, questi uomini saranno portatori di determinati interessi che non sono favorevoli allo sviluppo delle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno.

Per me, ripeto, il problema è non tanto di uomini quanto di principio. Qual'è il concetto della Cassa? É quello di contrapporre ad organi dell'amministrazione statale, alla concezione dell'amministrazione pubblica svolta da organi pubblici, da funzionari responsabili legati ad una gerarchia e ad una responsabilità nel complesso organico amministrativo, un'amministrazione di privati i quali non hanno questo legame organico con lo Stato ma hanno un legame, direi quasi, personale con il Governo; uomini che il Governo delega all'amministrazione di un fondo così notevole di denaro pubblico.

Siamo di fronte ad un esperimento massiccio di sottrarre l'amministrazione pubblica del denaro agli organi statali, ed attribuirla ad organi personali del Governo; ciò significa, respingere l'esecuzione organica della legge e affidarla, quasi per propria delega, per mandato, a persone investite della fiducia personale del Governo. Significa, in sostanza, sostituire ad un organismo statale un organismo personale di Governo. Voi comprendete che ci mettiamo su una strada estremamente pericolosa; e se dovessimo andare avanti per questa strada ogni volta che vi sono problemi gravi per il nostro paese, ciò significherebbe distruggere praticamente l'organizzazione statale, la responsabilità dei funzionari, che sono legati verso lo Stato e non verso gli uomini di Governo.

B AVARO. Anche questo è decentramento.

DE MARTINO FRANCESCO. No, il decentramento nel quale noi crediamo è un decentramento che è fondato sulla autonoma volontà delle popolazioni di scegliersi uomini di governo della regione. Non è fondato sulla distruzione del criterio organico della responsabilità strutturale da parte dei funzionari. Non si è mai sostenuto da alcuno di coloro che credono nel decentramento e nel regionalismo di affidare a semplici privati il potere di spendere i soldi dello Stato.

La verità è che siete fedeli ad una ideologia, quella che il Presidente del Consiglio tante volte ha proclamato: che prima dello Stato vi è l'individuo, vi è una società naturale.

Questa è l'ideologia, ma essa sul piano del diritto pubblico e delle istituzioni si trasforma in quest'altra cosa: creare un appendice personale, un potere personale del Governo in contrapposto ai poteri tradizionali dello Stato.

Voi intendete come, a prescindere dalle altre ragioni, basterebbe soltanto questa, perché non solo i socialisti e i comunisti ma tutte le correnti politiche che hanno il senso dello Stato moderno  siano fermamente contrarie alla vostra legge. (Applausi all'estrema sinistra)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pino. Ne ha facoltà.

PINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'approfondirsi del problema, o meglio della serie di problemi inerenti al progetto governativo di istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, attraverso il dibattito, in Commissione prima ed attualmente in questa aula, sottolinea, a mio modesto avviso, da un lato lo sbocco cruciale di un contrasto trascinato da decenni e che si evolve, sotto la spinta delle masse, verso il suo fatale epilogo, dall'altro l'esasperarsi delle contraddizioni interne in seno alla borghesia italiana, contraddizioni che del resto hanno sempre costituito gli aspetti più salienti della questione meridionale. Il Governo ha tenuto, per bocca del Presidente del Consiglio, a rivendicare la priorità in fatto di iniziative del genere. «Credo che sia la prima volta che un Governo si può presentare con un programma organico di così vasta portata» ha affermato l'onorevole De Gasperi. E, nella relazione al disegno di legge, ed in quella di maggioranza, si parla della Cassa quale «strumento esecutivo adatto e necessario» a risolvere la nostra questione meridionale, mediante «il più esteso programma di opere pubbliche che sia stato ideato dalla costituzione dell'Italia ad unità».

In altri termini il Governo, di fronte al marasma crescente del Mezzogiorno, compreso di paternalistica premura, vara un provvedimento in cui si parla di uno stanziamento totale di mille miliardi, prescrive la somministrazione di questi mille miliardi in dosi, che definirei epicratiche annuali, e così, attraverso questa cura ricostituente ad effetto dilazionato, la guarigione è certa.

Tutto qui. Sulle cause politiche ed economico-sociali di questo marasma, sugli aspetti veri e reali, storici, di questo gravissimo problema divenuto ormai, grazie al movimento popolare di rinascita del Mezzogiorno, questione nazionale, non una parola. 0 meglio le parole vi sono, e molto sbrigative, e molto chiare nel loro implicito significato.

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Il Mezzogiorno è «area depressa»; conseguente esigenza di «concentrare lo sforzo su spese produttive, d'incremento del reddito globale». Vi è uno scarso sviluppo delle industrie, limitatezza dei mercati di consumo, un tenore di vita tremendamente basso delle popolazioni: conseguente bisogno di aprire la via «alla trasformazione ambientale ed alla elevazione materiale e spirituale del Mezzogiorno», ma questo si badi bene non mediante l'industrializzazione, ma mediante la preindustrializzazione. La quale, sempre secondo il Governo, deve far perno su «opere di valorizzazione agraria, su alcune fondamentali opere pubbliche, sul rinnovamento ed il potenziamento delle attrezzature turistiche». Tutto questo per realizzare la cosiddetta «seconda fase dello sviluppo economico nazionale, per aumentare il reddito globale ed i consumi, mediante la riduzione delle importazioni, l'incremento delle esportazioni dei prodotti caratteristici, l'intensificato traffico turistico».

Dove però le parole svelano in maniera allarmante le intenzioni, è a proposito del fondamentale problema dei rapporti che l'istituzione della Cassa viene a crea,re nei riguardi delle due regioni del meridione a statuto speciale: la Sardegna e la Sicilia.

Anch'io, come il collega onorevole De Martino, non mi propongo di intrattenermi sulle critiche di fondo fatte al disegno governativo, poiché da questa parte della Camera esse sono state già ampiamente sviluppate, investendo e mettendo a nudo tutta la serie di aspetti negativi della Cassa, nel suo indirizzo istitutivo così come in quello operativo, nel suo fondamento politico così come in quello sociale e storico. Non farei che malamente ripetere delle cose ben dette. Mi permetto piuttosto richiamare alla considerazione della Camera, quale siciliano, l'altro lato del problema, quello dei rapporti tra Cassa' e regione siciliana.

L'articolo 123 della Costituzione dice: «Ogni regione ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative alla organizzazione interna della regione. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Lo statuto è deliberato dal consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ed è approvato con legge della Repubblica».

Come si nota, questo articolo detta la norma generale valevole per tutte le regioni.

Ma per la Sardegna e la Sicilia non si tratta di «statuto approvato con legge della Repubblica», non si tratta di autonomia pura e semplice, ma si tratta di regioni ad autonomia particolare, rette da «statuti speciali», adottati «con leggi costituzionali».

Questa distinzione giuridica fondamentale è chiaramente consacrata nell'articolo 116, che ricordo a me stesso. «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli Venezia Giulia e alla Valle D'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali».

Ne consegue una diversa posizione costituzionale tra regioni ad autonomia normale e regioni ad autonomia speciale. Questa diversità si impernia sul fatto che, mentre gli statuti delle prime sono approvati con «legge ordinaria», ossia con un atto del normale potere legislativo, gli statuti delle regioni ad autonomia speciale sono stati invece separatamente approvati con «leggi costituzionali», ossia con un atto dell'Assemblea Costituente. In sostanza, nel primo caso, quello generale, si parla di statuto in quanto «atto emanante dalla regione», e ad esso si applica il disposto dell'articolo 123; nel secondo caso si parla di statuto in quanto «complesso di norme emananti dal potere costituente», e ad esso si applica l'articolo 116.

Pertanto, mentre lo statuto normale è modificabile mediante una legge ordinaria, lo statuto speciale è, ovviamente, modificabile soltanto attraverso la procedura di revisione costituzionale, procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione. Esso sancisce che «Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti».

Ora, quale è, dal punto di vista costituzionale, la posizione giuridica del Governo nei confronti della regione siciliana?

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Lo statuto siciliano che, secondo l'incisiva espressione dell'onorevole Montalbano, fa parte integrante della Costituzione, come tutti sanno, all'articolo 38 statuisce: «Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell'esecuzione di lavori pubblici.

Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella regione in confronto della media nazionale. Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo».

Diciamo, tra parentesi, che questo contributo di solidarietà nazionale dovrebbe aggirarsi attualmente sui 70 miliardi l'anno.

Con l'articolo 19, invece, del disegno di legge ministeriale sulla istituzione della Cassa, al primo comma si stabilisce che «della, spesa per le opere di cui all'articolo 1 da farsi nel territorio della Sicilia, sarà tenuto conto ai fini della determinazione del contributo di solidarietà nazionale previsto dall'articolo 38 dello statuto della regione siciliana, approvato con decreto legislativo.15 maggio 1946 n. 455». Ed all'ultimo comma che «i programmi delle opere relative alla Sicilia ed alla Sardegna saranno predisposti dalla Cassa d'intesa con i competenti organi delle due regioni».

La gravità del disposto di questo articolo è apparsa alla stessa maggioranza della Commissione, la quale ha sentito la necessità di dare alla stesura di esso, una l'orma, se così può dirsi, più attenuata, che però lascia inalterata la sostanza.

E la sostanza è questa. Con l'articolo 19 del presente disegno di legge, si vuole perpetrare un ennesimo atto di aperta violazione della Costituzione, tentando di modificare, con l'articolo di una legge ordinaria, quale quella in discussione vale a dire con un atto del normale potere legislativo l'articolo di una legge costituzionale vale a dire di un atto dell'Assemblea Costituente. E ciò si fa in modo preordinato, premeditato, oserei dire, speculando, anzi sfruttando, la supina acquiescenza o meglio, diciamolo chiaramente, la complicità della maggioranza democristiana e dei satelliti, in seno al Governo e all'assemblea regionale siciliana.

Il Governo del 18 aprile non soltanto non ha, per il passato applicato, fra l'altro, e reso operante l'articolo 38 dello statuto siciliano, ma ora, con la speciosa occasione della Cassa, vuole addirittura svuotare questo articolo, e così infliggere ancora un nuovo e più grave colpo all'autonomia.

Il popolo siciliano, in altri termini, viene chiamato ad avallare una spoliazione ai suoi danni, in premio dei discutibili benefici di questa problematica Cassa. Il popolo siciliano deve rinunciare ad un suo diritto fondamentale, ad un caposaldo della sua autonomia, deve chiudere tutti e due gli occhi, deve essere spettatore inerte di questa concussione per avere, nel migliore dei casi, come aleatoria contropartita, quello che perde come diritto. Deve infatti barattare un diritto certo ed acquisito costituzionalmente, per l'offa di un beneficio ipotetico.

È l'aneddoto, mi permetto dire, di quel cane che rinunciò all'osso che teneva fra i denti, per gettarsi nel fiume ad inseguire quella che era la sua ombra.

Ma forse l'onorevole De Gasperi dimentica che il popolo siciliano la sua autonomia se l'è conquistata. Essa rappresenta lo sbocco di un processo storico, che va di pari passo con un processo di evoluzione politica e sociale, con l'espandersi anche in Sicilia di un soffio di democrazia e di progresso.

Autonomia per ripetere le parole del senatore Li Causi nella seduta della Costituente, del 7 maggio 1946 «per la Sicilia e per la Sardegna significa restituire ciò che, naturalmente con l'aiuto dello Stato, fu mal tolto, ossia, per i siciliani, riavere tutto quello che la Sicilia ha dato all'Italia settentrionale per sviluppare le sue industrie, come pure ciò che ha pagato sotto forma di protezionismo doganale, ecc., onde la necessità di cercare una formula affinché i territori più ricchi del paese contribuiscano a sviluppare le parti più povere del paese stesso».

Questo è, in fondo, il significato dello stesso contributo annuale di solidarietà.

Il popolo siciliano, ripeto, la sua autonomia se l'è conquistata, e come ha lottato per realizzarla, così ha lottato e lotterà per difenderla, cosciente di difendere una sua conquista, di difendere la Costituzione.

Ma non è questo soltanto l'aspetto strettamente giuridico dei rapporti tra Cassa e regione siciliana.

Gli articoli 118 e 119 della Costituzione chiaramente sanciscono l'autonomia amministrativa e finanziaria delle regioni.

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Dice l'articolo 118: «Spettano alle regioni le funzioni amministrative per la materie elencate nel precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle province, ai comuni o ad altri enti locali. Lo Stato può con legge delegare alla regione l'esercizio di altre funzioni amministrative». Mi dispenso dal leggere il resto.

L'articolo 119, poi, al primo comma sancisce che «Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle province e dei co rnuni». Ed al terzo che «per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato assegna per legge a singole regioni contributi speciali».

Gol secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge governativo, col disposto degli articoli 17 e 17bis, relativi alle tabelle organiche ed alla vigilanza sulla gestione, col disposto dell'articolo 19 già citato, si contravviene in modo chiaro anche agli articoli 118 e 119 della Costituzione e si vengono a ledere prerogative ed attribuzioni primarie della regione siciliana.

I danni conseguenti, in quanto regione a statuto speciale, sarebbero per la Sicilia ancora più gravi di quanto lo sarebbero per le regioni a statuto ordinario; e questo sarebbe già, di per se stesso, un motivo di attrito fra questi due settori dell'ordinamento regionale.

In Sicilia esistono sul piano regionale organi veri e propri di Governo, con caratteri e funzioni di ministeri tecnici.

La Cassa, accentrando mezzi e prerogative, per prima cosa sottrae all'amministrazione ed al controllo non solo del Parlamento nazionale, ma degli stessi organi regionali, quali il parlamento regionale ecc. l'impiego di quella quota della Cassa spettante alla Sicilia, utilizzando tuttavia organismi ed uffici della regione e talora sostituendosi.

Ma v'è ancora di peggio. Essa sottrae, in realtà, in tutto o in parte, alla diretta ed esclusiva competenza degli organi regionali anche quei fondi che, in base all'articolo 38 dello statuto siciliano, lo Stato deve alla regione come contributo di solidarietà, i quali fondi, d'altra parte, ritornerebbero alla regione per altra via, cioè attraverso una istituzione nella quale gli organi regionali avrebbero solo funzione consultiva.

Così facendo, la regione siciliana verrebbe a trovarsi in una situazione di minoranza irrimediabile.

La sua funzione sarebbe gravemente compromessa, e da primaria ed esclusiva, si ridurrebbe a secondaria, di semplice intesa e di consultazione.

Si può opporre, da parte governativa, che l'accentramento delle attribuzioni nella Cassa è motivo di snellezza, di sveltimento burocratico.

Noi ribattiamo che, proprio per la Sicilia, la vera snellezza consiste nel non creare inceppi all'attività autonomistica. Consiste nel l'attribuire agli organi regionali esistenti anche il compito di amministrare quella quota che indipendentemente dall'articolo 38 della Costituzione, anzi, fermo restando questo nello spirito e nella lettera spetta alla Sicilia, secondo un piano di distribuzione "concepito ed attuato democraticamente, sulla base di un criterio generale di giustizia distributiva, che tenga conto proporzionale delle condizioni e delle necessità delle singole regioni.

Ma i motivi di carattere più o meno stret tamento giuridico si fondono, in modo intimo, con gli altri di carattere politico ed economicosociale. Per non infastidire la Camera, torno a dire, non ripeto gli argomenti di critica generale, sviluppati in precedenza. Tuttavia, non posso fare a meno di rilevare che essi acquistano un particolare valore per la Sicilia.

Il ricatto che sul piano politico il popolo siciliano è chiamato a subire, lo porta a considerare che il sollecito paternalismo governativo è frutto di calcolata mossa politica.

Anche i lavoratori siciliani constatano che, a questa mossa, il Governo è stato costretto a ricorrere in seguito al serrato movimentQ di opposizione in Parlamento e nel paese, ai movimenti e alle assise per la rinascita del Mezzogiorno, al piano economico della C. G. I. L., in seguito alle lotte che essi stessi unitamente ai lavoratori del meridione e di tutta Italia hanno ingaggiato e condotto sotto la guida dei partiti democratici. Ed il loro pensiero va ai lavoratori caduti in questa lotta, a quelli numerosissimi in carcere, a quelli che più sono stati bersaglio della repressione poliziesca, alle loro avanguardie organizzate.

Essi constatano che, anche a proposito della Cassa, il Governo non smentisce affatto la sua linea di condotta antidemocratica. Constatano che la Cassa significa per la Sicilia sottrazione di miliardi all'amministrazione regionale ed al controllo democratico, elargizione di miliardi a favore degli interessi dei grandi agrari, delle cricche mafiose, della reazione clerico-baronale;

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che essa rappresenta un rafforzamento, anche in Sicilia, delle vecchie strutture, il tentativo di tonificare un mercato coloniale in collasso, per poterne rendere più vantaggioso e più stabile lo sfruttamento.

Essi constatano che, appunto per questo, da fonte governativa si parla «di incremento del reddito globale» e non di perequazione del reddito individuale, di ridimensione dei profitti. Appunto per questo si parla di «opere di valorizzazione agraria» intese, anche in Sicilia a dar ossigeno al capitalismo agrario, chiuso tra la propria incapacità ed il crescente moto di riscatto popolare di «fondamentali opere pubbliche», e non si parla di politica produttivistica, di opere di rinnovamento strutturale nel campo agrario, di revisione delle condizioni sociali ed umane. Appunto per questo si tace sulle cause della grave miseria del Mezzogiorno e della Sicilia.

Non sarà, onorevoli signori del Governo, con una politica di lavori pubblici è stato già detto e lo ripeto presa in sé e per sé, che la Sicilia potrà risorgere, quando rimanga intatta, anzi rafforzata, la secolare struttura latifondistica, la arretratezza industriale, ed intatti i rapporti di economia feudale o precapitalistica. Quando rimanga infranta l'autonomia, e la spinta democratica che il popolo siciliano non può permettere che s'intacchi. II popolo siciliano vuole che l'autonomia venga integralmente rispettata e che il sistema così come ebbe già ad affermare il Presidente Einaudi funzioni senza attriti fra Governo centrale e governo regionale.

Il disegno di legge per l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno minaccia invece di creare una questione siciliana, di mettere in conflitto Stato e regione.

Onorevoli colleghi, sempre nella citata seduta della Consulta, il senatore Li Causi affacciava un dubbio. Egli affermava «che gli autonomisti avevano anche nuove preoccupazioni, come quella che l'autonomia siciliana possa andare a vantaggio proprio di quei ceti privilegiati che in passato si sono accordati col settentrione in base ad un compromesso politico e che oggi riporterebbero volentieri la Sicilia nelle loro mani contro di loro e contro lo Stato italiano».

Ebbene, noi pensiamo che il Governo, agendo come ha agito e come tenta di agire a proposito della Cassa, faccia di tutto perché questo dubbio divenga amara realtà.

In Sicilia i lavoratori, le correnti ed i partiti democratici, lottano invece affinché questo dubbio, o se preferite, questo pericolo, svanisca.

Ed io chiudo con le parole dell'onorevole Montalbano in un suo recente articolo: «La Sicilia non può essere esclusa dai benefìci della Cassa, e deve conservare sempre integro il diritto a pretendere dallo Stato l'attuazione dello statuto, ed in particolare dell'articolo 38, che è decisivo per l'attuazione di un piano economico che trasformi radicalmente le condizioni arretrate dell'isola».

Onorevoli colleghi, questa è la volontà del popolo siciliano. Signori del Governo, voi non potete non ascoltarla. (Applausi all'estrema sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cassìani. Ne ha facoltà.

CASSIANI. Onorevoli colleghi, prendo la parola a nome del gruppo al quale ho l'onore di appartenere, ma io sento di parlare oggi anche per la mia coscienza di deputato meridionale, per la mia Calabria, dove si addensa tutto il dramma del Mezzogiorno, e spero che le cose modeste che mi accingo a dire possano essere accolte da molti deputati di altri settori che non sentono il peso di quella che potremo chiamare la nomenclatura parlamentare, quando si tratta di avere una chiara visione delle necessità urgenti del Mezzogiorno, che si identificano innegabilmente con le necessità urgenti del paese.

Il disegno di legge in esame trae evidentemente la sua origine da una antica esigenza, che questo agitato dopoguerra ha reso scottante: l'esigenza di un organo di coordinamento per le opere da compiere a vantaggio dell'Italia meridionale.

Chi vi parla è stato, forse, fra i primissimi a sostenere la necessità di questo organo di coordinamento, benché allora questo organo apparisse come un commissariato e talvolta finanche come un Ministero. Ho parlato di «antica esigenza», e invero io vorrei dire agli spigolatori in materia di diritto pubblico che sono intervenuti nella discussione in questa materia che forse il precedente più significativo è costituito da quella legislazione speciale in tema di opere pubbliche, che ha innegabilmente rivelato la necessità di evadere dall'ordinaria amministrazione, quando si è trattato di affrontare la soluzione di problemi che sono tante volte l'espressione di un mondo chiuso all'attenzione di coloro che in quel mondo non vivono.

Parecchi decenni fa, infatti, il Parlamento votò le leggi speciali per la Sardegna, per Napoli, per la Basilicata, per la Calabria, e le votò in una atmosfera di fiducia immensa.

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Nessuno allora gridò «alla scoperta della colonia», certamente non gridarono «alla scoperta della colonia» i deputati dell'estrema sinistra. Nessuno allora gridò allo scandalo, che anzi l'eccezionalità di quelle leggi fece pensare al valore del documento, e i deputati di sinistra, allora, insieme con i deputati degli altri settori, sorsero in piedi plaudendo quando si annunciò l'esito della votazione di quelle leggi. Altri tempi, certamente più sereni dei nostri, ma forse anche altri uomini!

Le leggi speciali in materia di opere pubbliche hanno rappresentato la soluzione tecnica a cui fanno ricorso gli organi responsabili delle nazioni più progredite per risolvere i problemi di quelle che si chiamano oggi le aree depresse, ovvero per adattare le leggi alle esigenze delle singole regioni: così con leggi speciali si sono eseguite in Francia le sistemazioni montane; in Inghilterra si sono eseguite quasi tutte le opere a carico dello Stato; e con leggi speciali in Germania e in Austria si sono eseguite le opere riguardanti i problemi idraulici.

È da notare, a proposito delle critiche assai facili quando si tratta di cose nuove, che le leggi speciali portarono come conseguenza e questo è interessante a proposito della Cassa modifiche non lievi all'organizzazione burocratica degli uffici cui fu demandato il compito di eseguirle. Per esempio la istituzione, niente meno, di un commissariato civile per la Basilicata.

Nessuno allora si scandalizzò di questo fatto notevole che poteva avere, agli occhi degli osservatori interessati o anche superficiali, l'aspetto di qualche cosa di offensivo verso il Mezzogiorno. E così dicasi di tutti quegli accorgimenti cui si fece ricorso in armonia con l'eccezionalità dei provvedimenti. In un certo senso possiamo dire che in questi precedenti è l'atto di nascita della Cassa. La novità consiste nella organicità del nuovo programma da realizzarsi entro un determinato tempo. Oggi un impegno d'onore, assunto dal Governo, ci dice che c'è una somma spendibile e che questa rende possibile l'attuazione del programma organico.

Si è detto: voi non avete fiducia nella burocrazia. Se avessimo compiuto un atto di fede nella burocrazia, probabilmente si sarebbe detto: voi siete dei burocrati. Io ho imparato in questi anni a rispettare molto la burocrazia: è uno spettacolo commovente quello dei direttori generali, dei capi divisione che hanno nel sangue il senso dello Stato,

e difendono in maniera quasi spasmodica le competenze del proprio Ministero, come se si trattasse di un patrimonio di casa propria. È questo, indubbiamente, la garanzia della continuità. La verità è che l'ingranaggio dello Stato è cosa talmente vasta e complessa da rendere in alcuni casi come quello della soluzione dei più "notevoli problemi del Mezzogiorno pressoché impossibile una attuazione di programmi organici.

Avviene così, onorevoli colleghi, che bisogna pur dirlo lo Stato, i comuni e le province lavorano con visioni economiche assai spesso errate, eseguono lavori con visioni economiche qualche volta corrotte da ragioni localistiche, eseguono lavori antieconomici per mancanza di coordinamento. Ma il coordinamento suppone evidentemente l'organo coordinatore, la solidarietà degli organi, mentre lo stesso ingranaggio burocratico porta tante volte alla impossibilità di serie intese tra i vari ministeri. È uno dei più gravi inconvenienti, questo. Ma chi di voi, onorevoli colleghi, non l'ha mai sperimentato, come deputato che difende gli interessi del proprio collegio? Non ce n'è uno solo tra voi, penso, che non abbia sperimentato questo terribile fenomeno; la quasi impossibilità, che è nella forza delle cose più che nella volontà degli uomini, di intese necessarie alla soluzione dei problemi pur tante volte urgenti, complessi, prementi ai fianchi di popolazioni assetate di vita e di giustizia.

Io penso che sia stata questa una delle cause non ultime per cui si è speso poco e male per il mezzogiorno d'Italia; e se io potessi entrare in particolari che non voglio toccare in questo momento, anche perché avrebbero bisogno di una nozione completa dei luoghi e degli ambienti in cui i fatti si sono svolti farei constatare quanto, specialmente in materia di strade, si è sciupato di quel poco che lo Stato largiva al Mezzogiorno, quasi sempre per aver seguito i consigli di persone che nel Mezzogiorno non erano state mai o quasi mai, e che creavano piani fantasiosi sulla carta, alcuni dei quali vorrei dire: purtroppo si sono realizzati a quella maniera.

A tutti questi lavori disorganici, e qualche volta passivi, il Governo intende sostituire lavori organici e produttivi, che sono, sì, elencati nell'articolo 1 del disegno di legge che ci interessa, ma che potrebbero, a mio modo di vedere, essere espressi con un termine comprensivo: bonifica agraria.

Cosa vuol dire bonifica agraria, e nel termine tecnico e nel termine umano e nel valore che ha il termine nella comune lingua parlata?

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Vuol dire questo: vuol dire strade, acquedotti, industrie derivanti dall'agricoltura. È questa la bonifica che noi intendiamo, onorevole De Martino: bonifica umana, bonifica sociale, quella che ella invocava dianzi. E mi lasci dire solo, a questo punto per la profonda convinzione che io ho del significato di queste due parole «bonifica agraria» e per la convinzione che al centro del disegno di legge vi sia, se pur non espresso, questo concetto mi consenta che]ripeta ciò che ho detto qui a proposito della bonifica agraria in Calabria: che il Governo della democrazia italiana ancora una volta obbedisce alle grandi esigenze collettive, obbedisce anche questa volta alle grandi voci della storia, affrontando, a questa maniera, con coraggio nuovo, i problemi del Mezzogiorno, nei limiti delle umane possibilità.

Problemi complessi, che la Cassa non potrà risolvere in pieno, ma che impegnano il Governo, e che innegabilmente dal giorno della unità ad oggi 90 anni rappresentano un fatto nuovo. Chi volete che non sappia che è veramente complesso questo benedetto problema del Mezzogiorno? Dovremmo essere degli ingenui e degli ignoranti, non dei meridionali per non capire almeno questo, per non capire cioè che quello che hanno, detto l'onorevole Amendola prima e l'onorevole De Martino dopo è terribilmente vero. Gli è che essi partono da una premessa errata, che noi, cioè, si neghi questa realtà.

La così detta questione meridionale è la più complessa che mente umana possa immaginare. V'è per esempio un piccolo problema doganale: ma chi di noi pensa che sia decisiva l'importanza che questo problema delle tariffe doganali e dei trattati di commercio riveste? V'è un problema di lavori pubblici, che però, se risolto isolatamente, lascerebbe povere le regioni che attualmente lo sono. Il problema dèi Mezzogiorno è soltanto in parte un problema di industrie. Vorrei che così non fosse; ma in molte regioni mancano le premesse necessarie alla creazione delie industrie. Perciò, riforma fondiaria e politica di investimenti, onorevole De Martino. Politica di investimenti attraverso un organo coordinatore, e il Governo ha pensato ad un organo tecnico non già pèr soppiantare, come qualcuno ha detto, gli organi politici che stanno al vertice, giacché il controllo del Parlamento è assicurato, come è assicurato in materia tecnica il controllo da parte di un organo di altissimo prestigio, che è il Consiglio superiore dei lavori pubblici. E ciò al posto di tanti organi che si perdono nei rigagnoli, talvolta politicamente incontrollati, e direi avvelenati dalla politica spicciola.

Io non ho ascoltato il discorso dell'onorevole Corbino perché involontariamente assente, ma l'ho letto nel resoconto sommario. Ebbene, ivi ho letto una strana cosa: che l'onorevole Corbino, cioè, non ritiene opportuna la Cassa, poiché non è possibile risolvere i problemi del Mezzogiorno dissociandoli da quelli dell'attrezzatura produttiva del nord.

Io dicevo poc'anzi che sono un fervido ammiratore dell'onorevole Corbino, ma questo non mi esìme dal dover dire che egli enuncia una verità che poggia su un sofisma o su un paradosso: la verità è che il meridione non possa dissociarsi dall'attrezzatura produttiva del nord, il sofisma, ovvero il paradosso, consiste nel vedere e conce'pire la Cassa come un'isola.

Se non fossimo dinanzi ad uno dei più autorevoli, dei più brillanti parlamentari poiché l'onorevole Corbino è un parlamentare di razza se dovessimo pensare soltanto al professore Corbino, autore di opere che hanno segnato punti fermi nella scienza economica del nostro paese, dovremmo dire che il sofisma si è presentato ancora una volta come il tarlo roditore della cattedra.

Ma torniamo ai lavori produttivi che si chiamano bonifiche idrauliche, intensificazione e valorizzazione della produzione agricola, produzione di concimi, costruzione di strade necessarie al traffico.

Ma questa è la tecnica, non è la cosiddetta politica; cioè a dire non è la politica (come dire?) giornaliera, perché la cosiddetta politica è questa: ogni comune, preoccupato di rimediare alla disoccupazione locale, impiega gli operai che vivono in quel comune. Gli operai di tante regioni non vogliono emigrare nemmeno all'interno; le inframmettenze piccole e grandi, non sono poche; la impreparazione tecnica e amministrativa, qualche volta, è notevole; soprattutto manca ogni piano di insieme, manca ogni piano regolatore.

Lasciate, onorevoli colleghi, che un meridionalista, il quale sente il dramma della sua terra come se fosse quello della sua casa, vi dica con onestà di intenti che le opere di bonifica, di irrigazione, di sistemazione di bacini montani sono il cuore del nostro problema, sono le premesse della nostra rinascita.

Si tratta, onorevoli colleghi, della messa in valore di moltissimi terreni; della soppressione della malaria e perciò di una maggiore efficienza dei lavoratori; della estensione della pianura abitabile, e perciò della soluzione, che direi meccanica, di altri problemi: quello della viabilità, delle linee automobilistiche, delle scuole (perché no?);

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 degli ospedali: problemi che sono il necessario corollario alle premesse di questa legge che noi siamo chiamati a votare.

Si tratta della irrigazione, e quindi delle possibilità dell'agricoltura industrializzata.

Questo non è il tentativo di un elenco. Non è possibile farlo in questa sede: io vi tedierei più di quanto non sia costretto a fare. È soltanto il tentativo di alcune specificazioni.

Finora si è proceduto spesso annaspando, perché è mancata la contemporaneità, la solidarietà di insieme dei provvedimenti. Inefficaci le iniziative, e antieconomica la maniera di affrontare il problema.

Poco fa dicevo del coordinamento, e quindi della necessità assoluta di organi coordinatori. Aggiungo un'altra cosa, della quale voi mi darete ragione, io penso, onorevoli colleghi di ogni settore della Camera: tante volte è meno facile di quanto si pensi il necessario affiatamento tra i vari ministeri. Questo non è soltanto il male di oggi, ma è un male che ha corroso ogni tentativo, intenzionalmente benevolo a favore del Mezzogiorno, per tutti i novanta anni di vita unitaria; è un male che ha fatto perdere al nostro paese dei tecnici di grande valore, di straordinaria intelligenza, di grande probità. Voi mi direte: perché? Il perché lo avete compreso prima che io ve lo dica: erano tecnici i quali scappavano dall'Italia per la dissociazione tra i vari Ministeri, perché ogni risoluzione non arrivava a tradursi in realtà, in fatti concreti. Tecnici valorosi che preferivano poter andare a respirare altrove, a fare qualche cosa fuori del loro paese.

Si tratta di affrontare problemi che investono l'economia di tutto il paese. Qualcuno ha detto: «Voi parlate sempre del Mezzogiorno. Ma volete comprendere che in questo vostro Mezzogiorno tesori nascosti non ve ne sono?». D'accordo, onorevoli colleghi, ma chi dice il contrario? E se qualcuno di noi meridionali lo dice, fa male assai, afferma cosa inesatta, inventa una cosa che non è. D'accordo, dunque: voglio mettermi per un istante dalla parte di quei tecnici pessimisti i quali affermano che il 90 per cento delle terre del Mezzogiorno non è suscettibile di grandi miglioramenti. Resterebbe, però, il 10 per cento, anche per questi pessimisti, migliorabile all'infinito. Ebbene, questo 10 per cento basterebbe a compensare il tutto, se migliorabile all'infinito.

Il paradosso dell'Italia meridionale, onorevoli colleghi, è essenzialmente questo: che vi sono coltivati terreni non industrializzabili, mentre sono abbandonati terreni fertili, i terreni delle foci, delle piane, delle valli dove la profusione di humus è enorme, dove il sole, il clima e la verginità del terreno, il limo che viene depositato, garentendo una produzione decuplicata, promettono veri tesori alla ricchezza del paese. Per effetto di questa situazione economica tutta la vita meridionale è una vita contro natura. Basti pensare che in quelle regioni sono abitate le alture e deserte le piane. Questo stato di fatto sovverte tutta la civiltà ed impedisce qualsiasi progresso economico.

Su questo certamente sono d'accordo con me tutti i deputati del Mezzogiorno, a qualunque settore appartengano, in quanto si tratta di rilievi di natura puramente obiettiva.

Accennerò, onorevoli colleghi, ad alcuni esempi tra i più significativi. La Sardegna conta un milione e duecentomila abitanti su un terreno vasto come la Sicilia, che, invece, conta 4 milioni di abitanti. Basterebbe bonificare le immense distese oggi deserte per aumentare gli abitanti dell'isola di altri 2 milioni. Questa non è fantasia: sono i dati forniti dall'alto commissario per la Sardegna e dal provveditorato alle opere pubbliche alle autorità centrali competenti. Ricordo anche un'accurata informazione del collega Mastino, fornita durante un suo mirabile discorso che ascoltammo tempo fa.

In Sicilia la piana di Catania ha una superficie di 500 chilometri quadrati che comporterebbero 300400 abitanti per ogni chilometro quadrato con un totale di almeno 150 mila abitanti. Ebbene essa è in gran parte disabitata e la popolazione si addensa tutta su 8001000 chilometri quadrati.

In Basilicata la piana di Metaponto è estesa di circa 60 mila ettari, pari a 600 chilometri quadrati. Ebbene ancora oggi, pur dopo le provvidenze degli ultimi anni, la stazione di Metaponto è nel deserto.

In Calabria, nella famosa valle del Grati, vi è l'immensa piana di Sibari dove un tempo sorse potente l'antica città della Magna Grecia. Ivi è una razza depauperata di contadini, curvi sotto il peso di una forza che li sovrasta, pallidi e smunti per la malaria, che ancora regna demolitrice in tanta parte di quella pianura che potrebbe essere fonte di immensa ricchezza!

Perché tutto ciò, onorevoli colleghi?

Qui si può dare utilmente la parola alle cifre.

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Ecco come lo Stato in Italia si è regolato, onorevole De Martino, da quando di bonifica si parla, cioè da circa 40 anni. Per il nord: in Liguria, in Emilia, in Toscana e nelle Marche le opere di trasformazione e le opere pubbliche erano già tutte iniziate ed in corso di ultimazione, all'inizio della nuova vita del nostro paese. Per il sud: in nessuna regione le opere erano interamente iniziate; rimanevano da iniziare opere su una estensione di due milioni di are.

Insomma, mentre al nord la bonifica era già ultimata ed in via di ultimazione per 3.600.000 ettari, ossia sui tre quarti all'incirca del totale, nel sud era in corso o già ultimata soltanto la metà.

Nel 1936, ad esempio, vennero ultimate opere di bonifica, al nord su 90.000 ettari; al sud su 26.000.

E ancora: nel 1928 vennero ricostruite strade interpoderali col sussidio dello Stato e con mutui di favore, per 3 mila chilometri al nord e per 1.400 al sud. E ancora: le opere di irrigazione sussidiate dallo Stato, eseguite dal 1922 al 1928, si estendono su una superficie di 458 mila ettari, distribuiti per 400 mila al centro e al nord, e 58 mila al Mezzogiorno e alle isole.

Non sono più confortevoli le cifre per quel che riguarda gli acquedotti; nel decennio 1928-1938 furono costruiti, con sussidi e mutui di favore dello Stato, 550 acquedotti per due mila chilometri; soltanto 50 al sud, per 200 chilometri, e ben 500 al nord, per d.800 chilometri. Se fosse questo il momento opportuno, ed evidentemente non lo è, potrei fornire cifre egualmente impressionanti per quanto concerne l'edilizia, le strade ferrate e le scuole. Ecco i motivi della arretratezza del Mezzogiorno, onorevole De Martino! In queste cifre, e in altre che non dico, si annida il fatto sociale che preoccupa lei, come preoccupa noi! Si comprende così la richiesta di quanti vorrebbero che alle parole dell'articolo 1 della legge «i grandi acquedotti» si sostituissero le parole «gli acquedotti».

Vi sono regioni del Mezzogiorno ancora assetate e dove occorrono soltanto medi acquedotti, come nella mia Calabria; senza dire di comuni isolati ove occorrono derivazioni lunghe anche molti chilometri, onde la quasi impossibilità di provvedere col bilancio ordinario. Questa è la ragione delle richieste: la. quasi impossibilità di provvedere col bilancio ordinario! Coloro che scrivono di industrializzazione del Mezzogiorno senza guardare a questo problema

 

come ad un anello della complessa catena di problemi che incombe sul Mezzogiorno d'Italia, evidentemente accendono i fuochi della fantasia, o, nella migliore delle ipotesi, accendono i fuochi del sentimento. Affrontare i problemi dell'acqua che manca, delle strade che mancano (fino al punto di essere collocata una di quelle regioni, la mia Calabria, all'ultimo posto nei dati statistici più recenti), significa creare fondate possibilità al sorgere di industrie in zone particolarmente indicate per le produzioni agricole locali, ovvero per la vicinanza ai porti e ai nodi del traffico.

Poiché, allo stato, nel Mezzogiorno eccezion fatta per Napoli e per Bari non vi è che una sola possibilità: le industrie legate ai prodotti della terra. Sta di fatto che industrie possibili sono le industrie conserviere, l'industria agrumaria, l'industria enologica, la produzione di alcole da vino, gli oleifìci, l'industria delle calci e dei cementi, dell'asfalto e del bitume, di concimi, zolfo, tannino, li querizia e tabacco.

Per questo sorge la Cassa del Mezzogiorno, la Cassa di quella regione in cui il solo proprietario non potrà fare mai nulla.

Ho letto in questi giorni un'apostrofe che vorrebbe avere la drammaticità delle apostrofi pronunciate nell'assemblea costituente di Francia; e, invece, mi si consenta, è tema da comizio. Si è scritto, in questi giorni, a' proposito del disegno di legge che ci tiene occupati: ma perché mai non obbligate i proprietari a fare ciò che essi devono fare?

Ebbene, volete una prova di quanto questa domanda sia priva di fondamento e di logica comune? La bonifica idraulica di un terreno desertico, senz'acqua, malarico, costa per ogni ettaro il doppio del valore della terra. La bonifica agraria che, come dicevo dianzi, importa strade, case, acqua, costa cinque volte di più. Donde trarrebbero queste somme i proprietari, dato che avessero la capacità di concepire la grandiosità di una opera simile?

I colleghi dell'estrema sinistra, a questo punto, potrebbero dire che, stabilita la premessa, bisogna tirarne le conseguenze, cioè mandar via i proprietari. Questo è un altro argomento, e non mi pare adatto a essere trattato in sede di discussione sul progetto di legge per la Cassa del Mezzogiorno.

Intanto, esistono immense estensioni di terra che potrebbero diventare il granaio d'Italia. Vi sono, a questo riguardo, dati statistici veramente desolanti. In Belgio, con la stessa unità territoriale dell'Italia, si ha una produzione doppia di grano, e in Germania in tempi normali una produzione tripla.

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Presidenza del Vicepresidente CHIOSTERGI

CASSIANI. Noi prepariamo, votando questo disegno di legge, un vasto programma organico secondo basi economiche e principi produttivistici, anche con la fondata speranza di creare le possibilità d'importazione di capitali privati stranieri nell'Italia meridionale e insulare.

Insomma, il Governo della democrazia italiana segna questa ora come quella decisiva per la vita e per la storia del Mezzogiorno d'Italia. Così dice questo ardimentoso dise gnp di legge, che vuol essere soltanto un coraggioso tentativo nel campo delie fondate possibilità. Noi invitiamo i colleghi della Camera a votarlo e il voto avrà questo significato: appuntare gli sforzi in ciò che può sollevare veramente a vita civile il Mezzogiorno, guardando alla sostanza delle cose, al di sopra e al di fuori delle forme, guardando allo spirito, al di sopra delle parole.

Legge eccezionale, si è detto. Incerta definizione giuridica, si è aggiunto. Evasione dai binari tradizionali, si è gridato. Ma che importa, signori? Noi compiamo un atto ardimentoso di elevazione e di equità. Lo compiamo per il bene del paese! (Vivissimi applausi al centro e a destra — Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Matteucci. Ne ha facoltà.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, alla calda ed appassionata parola del collega Cassiani, che mi ha preceduto, succederà la mia che sarà fredda e raziocinante.

Mi scuso in anticipo se, nel breve giro di pochi giorni, ho dovuto di' nuovo prendere la parola; ma la logica dei lavori parlamentari ha le sue necessità, cui ognuno e tutti dobbiamo sottostare.

I due disegni di legge oggetto della nostra discussione, quello per la costituzione della Cassa per il Mezzogiorno e l'altro per i provvedimenti per le zone economicamente depresse del centro e del settentrione costituiscono, a detta dello stesso Governo ed anche dei giornali che se ne occupano, l'inizio della terza fase della politica economicofinanziaria del Governo. La presenza in quest'aula dello stesso Presidente del Consiglio di cui mi compiaccio, ringraziandolo di seguire questi nostri lavori parlamentari sta a testimoniare l'importanza che hanno questi due disegni di legge

non soltanto presi a sé stanti, quanto come inizio di una terza fase della politica economico-finanziaria del Governo.

E allora è naturale che, se vogliamo esaminare a fondo questi problemi e vogliamo dare su di essi un giudizio in piena scienza e coscienza, dobbiamo esaminare, sia pure brevemente, tutta la politica degli investimenti del Governo. Politica degli investimenti che non è inscindibile, ma che è una conseguenza della politica economico-finanziaria, che dovrebbe essere, questa, la risultante di un criterio di politica generale.

Segue il Governo questo criterio politico? Ha il Governo questo pensiero politico chiaro e coerente? Io credo che dobbiamo ammettere tutti che non è possibile governare senza avere un pensiero politico chiaro e coerente, senza avere un pensiero generale che guidi l'azione di governo.

Vedete, se esaminiamo lo sviluppo della politica dèi popoli anche meno portati a ragionare per idee generali, rileviamo che questa si svolge secondo criteri generali che obbediscono ad indirizzi politici chiari e coerenti.

Vedete il popolo inglese. Se v'è un popolo il più alieno dal ragionare per idee generali è il popolo inglese; è un popolo che cerca di risolvere i suoi problemi con un sano empirismo, mano a mano che essi si presentano nel tempo e nello spazio. Eppure, chi osserva la politica inglese degli ultimi cento anni vede che essa ha seguito le linee generali di un indirizzo politico chiaro e coerente: dal 1846, dal tempo in cui i whigs riuscirono a demolire le leggi protettive sui cereali, fino alla grande depressione europea del 18801882, fu il liberalismo che guidò la politica inglese, che ebbe in Cobden, Bright e in Gladstone i suoi maggiori sostenitori. Dal 1882 fino alla guerra mondiale fu l'imperialismo che guidò le linee generali della politica inglese, e che ebbe nel vecchio Disraelì l'iniziatore, in Cecil Rodhes e in Joe Cham berlain i suoi più alti vessilliferi, e in Kipling il suo massimo poeta.

In questo dopoguerra è il laburismo che fa la politica dirigistica e pianificatrice, che produce all'interno una redistribuzione del reddito, ed all'esterno tenta di salvare il salvabile; ma è una politica.

Non vi parlo della politica dell'Unione Sovietica e delle nuove democrazie popolari: non voglio darvi dei dispiaceri. Ma sapete che esse hanno una politica, che costruiscono secondo un loro piano, con enormi sacrifici, con il proprio lavoro il loro destino.

Una voce al centro. A spese di chi?

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MATTEUCCI, Relatore di minoranza. A spese di loro stesse.

GIANNINI GUGLIELMO. Anche a spese degli altri.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Quando è possibile, anche questo. Ma qual'è il criterio della politica economico-finanziaria del nostro Governo? Non è facile, onorevole Campilli, rintracciarla. L'onorevole Andreotti su una rivista di edilizia, riferendosi alle critiche mosse a proposito della costruzione di cinema di lusso e, in genere, di nuovi locali di spettacolo, mentre molti comuni sono tutt'oggi mancanti di edifici, di fognature e di acqua, osserva che è probabile che gli investimenti di denaro in nuove costruzioni di lusso possono apparire eccessivi o risultare male distribuiti territorialmente, ma che non si deve dimenticare che il cardine della sana vita economica italiana è, sino a questo momento, poggiato sulla libera scelta dell'operatore privato. Quindi: liberismo.

Ma, a correggere questa troppo decisa posizione del nostro giovane ed intraprendente sottosegretario alla Presidenza, è venuto lo, stesso onorevole Presidente del Consiglio, il quale in un suo recente discorso ha detto che egli prende il buono dove lo trova.

Ed infine l'onorevole Pella, il ministro del tesoro, il maggiore responsabile della politica economica del Governo, in un recente discorso ha detto che prende dal dirigismo e dal liberismo quanto hanno di meglio, per poter così fare, secondo lui, una ottima politica economica.

SCOCA, Presidente della Commissione. Fior da fiore!

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Io veramente, onorevole Scoca forse dipende dalla mia scarsa comprensione non so scorgere in tutto ciò un pensiero politico chiaro e coerente.

Se ho ben capito, il nostro ministro del tesoro vorrebbe fare una specie di ibridazione fra il dirigismo ed il liberismo, e tirarne fuori una nuova eletta teoria economica. Che l'onorevole Pella intenda cambiar mestiere e, da bravo economista quale egli è, si voglia trasformare in genetista, è affar suo; ma che voglia trasportare la scienza della genetica nel campo della politica economica, questo è altro affare. Perché dal tentativo di sposare il dirigismo col liberismo non si sa ohe cosa verrà fuori. Io vorrei ricordare all'onorevole Pella mi dispiace che non sia presente, ma l'onorevole Campilli glielo riferirà...

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Perché proprio io?

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Perché ella siede al banco del Governo, ed è suo dovere riferire ciò che si dice ai suoi colleghi. Vorrei ricordare, dicevo, a proposito di questo matrimonio, di questa ibridazione, ciò che alcuni anni fa un grande scrittore inglese, G. B. Shaw, rispondeva ad una delle vedette di Hollywood, la quale gli aveva scritto una lettera di questo tenore: «Egregio signore, io sono la più bella donna del mondo, voi siete il più grande ingegno vivente. Facciamo un figlio insieme e doneremo all'umanità un essere pressoché perfetto». Shaw rispose presso a poco così: «Gentile signora, avevo in un primo momento divisato di accettare 'la vostra cortese collaborazione per donare all'umanità un essere perfetto. Senonché sono stato poi assalito dal dubbio che il nascituro potesse somigliare fisicamente a me e avere il vostro cervello». Io non vorrei che alla politica di ibridazione che fa l'onorevole Pella potesse accadere ciò che G. B. Shaw prevedeva del nascituro creato in collaborazione fra la vedetta e lui...

Comunque, vero è che noi non riusciamo a rintracciare un pensiero politico chiaro e coerente nella politica finanziaria ed economica del Governo. Non potendo, quindi, dedurre questa politica da un criterio generale, la dobbiamo dedurre dai risultati, dalle conseguenze che questa politica economico-finanziaria ha dato. E i risultati me lo permetta il ministro Campilli non sono felici. È unanimemente riconosciuto che la nostra economia è in crisi. La crisi sta investendo in pieno, settore per settore, tutto il nostro apparato produttivo, con effetti veramente deleteri.

La crisi, a detta di quasi tutti gli esperti, è oggi in Italia di duplice natura: strutturale e ciclica. A parte le tare specifiche del nostro apparato produttivo, è normale che dopo ogni guerra esso subisca una crisi strutturale. Infatti durante la guerra esso è sottoposto ad un superlavoro che ne accelera l'usura degli impianti, mentre nessun rinnovamento degli impianti stessi è possibile.

Cosa ha fatto il Governo per eccitare e stimolare il rinnovamento degli impianti e il rimodernamento delle attrezzature? Quale azione ha svolto il Governo per mettere il nostro apparato produttivo in condizioni di poter resistere all'onda ciclica ed alla pressione demografica del popolo italiano? Nessuna o quasi. Seguendo il concetto caro all'onorevole Andreotti, che il cardine della sana vita  economica italiana è poggiato sulla libera scelta dell'operatore privato, si è lasciato che l'ammalato si curasse da sé.

19926

E l'ammalato si sta curando tanto bene che rischia di morire di inanizione.

La verità è che l'apparato produttivo italiano sta andando in pezzi. Assistiamo giorno per giorno al suo sgretolamento: ieri erano i metalmeccanici, oggi sono i tessili, domani saranno i chimici, dopodomani i siderurgici. Nessun settore si salva.

Perché gli impianti non sono stati rimodernati? Perché il Governo non ha impiegato prima d'ora gli aiuti E. R. P. per questa bisogna? Eppure, Francia, Inghilterra e Belgio hanno largamente' adoperato gli aiuti del piano Marshall per rinnovare le strutture del loro apparato produttivo.

CAMPILLI, Ministro senza, portafoglio. Ci è stato rimproverato proprio questo, ed ogni programma di acquisto di macchinari è stato contrastato!

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Dovevate operare all'interno. Noi vi abbiamo rimproverato di acquistare del macchinario all'estero quando lo potevate avere in Italia Non vi abbiamo mai detto di non rinnovare le attrezzature e di non acquistare i macchinari!

Il fatto è che l'onda ciclica della crisi si sta abbattendo su un apparato produttivo già strutturalmente in crisi. I prezzi all'ingrosso dell'anno scorso sono ribassati del 17 per cento: l'inizio dell'avanzarsi dell'onda ciclica.

La verità è questa, onorevole Campilli: che il nostro Governo ha preferito usare gli aiuti E. R. P. per aumentare le riserve che giacciono inerti nella Banca d'Italia, o per finanziare le sterline congelate ed i pesos.

Onorevole ministro, in un paese serio che non fosse l'Italia, un direttore generale che avesse fatto la topica dei 100 milioni di sterline congelate sarebbe stato spazzato via immediatamente.

In Italia invece, non solo voi lo tenete al proprio posto; ma è proprio colui che più determina con la sua opera la politica economica e finanziaria del Governo!

Intanto, quale è oggi la situazione? Abbiamo un reddito nazionale che non raggiunge in cifra assoluta il reddito del 1938, con un aumento di popolazione di quasi 4 milioni di unità. Questa è la nostra situazione! E laddove si è verificata qualche leggera punta di aumento nella produzione, in confronto a quella del 1938, sono aumentate le giacenze dei prodotti finiti.

Vale a dire che altro è il produrre, altro è il vendere! E qui, naturalmente, la crisi agisce, come ella m'insegna, onorevole Campilli, per cicli concentrici. Da una parte avviene l'aumento della disoccupazione, tanto quella assoluta quanto quella relativa della diminuzione delle ore di lavoro. Si comprime, così, il volume dei salari, e conseguentemente si determina la diminuzione della capacità di acquisto delle masse lavoratrici. A sua volta il mercato interno si deprime, e si contrae determinando in tal modo l'aumento delle scorte dei prodotti finiti!

Nasce allora la necessità di ridimensionare le aziende, e cioè aumentare ancora le unità disoccupate. E così il ciclo infernale continua.

L'aumento dei fallimenti e dei protesti cambiari è impressionante; il bollettino mensile dei protesti cambiari della Camera di commercio di Roma è diventato voluminoso quanto la guida Monaci. Vi sono degli istituti bancari della capitale che hanno dovuto triplicare gli impiegati addetti all]aggiorna mento del bollettino dei protesti cambiari con il loro schedario. E intanto, in questa situazione, i mercati esteri divengono ogni giorno più difficili da conquistare, per l'asprezza della concorrenza, che lavora con un apparato produttivo rimodernato che è uscito _ o sta per uscire dalla crisi strutturale. Quindi, mercati esteri sempre più difficili da conquistare, mercato interno«che si deprime ogni giorno di più, oltre che per le ragioni anzidette, anche per la riduzione che hanno subito i prezzi agrari, fenomeno che dovevate prevedere, e che è normale di ogni dopoguerra e tende a trasportare la crisi dell'agricoltura, all'industria e al commercio.

Come tutto ciò non bastasse, onorevole ministro, vi è la situazione della tesoreria! Lo Stato non paga, o paga con un ritardo inverosimile. Sono giacenti al Ministero dei trasporti mandati inevasi per oltre 30 miliardi; vi sono delle imprese, delle cooperative di produzione e di lavoro che vantano ingenti crediti verso il Ministero dei lavori pubblici, e non riescono a realizzarli. Vi sono ditte che devono essere liquidate dal Ministero della difesa, dall'aeronautica, dalla marina militare fin dall'epoca della guerra, e che non riescono a farsi pagare. Voi avete una tesoreria che è sotto la pressione di una ridda di residui passivi senza essere bilanciata da residui attivi, nel momento stesso in cui vi si stanno flettendo i canali normali che alimentano la tesoreria stessa.

In queste condizioni, quali prospettive avete al di fuori di quella che l'ammalato si curi da sé? Come volete provvedere?

19927

Come pensate di superare il punto morto di questa crisi che minaccia di mandare a pezzi tutto il nostro apparato produttivo? Voi siete impigliati nella rete della vostra insufficienza e delle vostre contraddizioni, e non sapete cosa fare. Ed il bello è che confessate di non sapere cosa fare!

Una commissione di sindacalisti, venuta giorni or sono da una zona dove esiste in prevalenza l'industria tessile, si è recata da un ministro per sottoporgli la situazione catastrofica della propria industria, con tutti i magazzini pieni: anche se si volesse o potesse continuare a lavorare, non si saprebbe dove mettere la merce. Questa commissione di sindacalisti di ogni colore e tendenza ha sottoposto al ministro, al quale parlava, alcuni espedienti per uscire dalla situazione. Il ministro, uno dopo l'altro, li scartava tutti, per una ragione o per l'altra. Allora questi rappresentanti hanno detto al ministro: questo è quanto potevamo suggerire noi; ora ella ci consigli sul come si possa uscire dall'impasse. Il ministro, mettendosi le mani nei capelli, ha detto: «Magari lo sapessi!». Certo è che la situazione in cui vi siete messi è realmente difficile. Ma non è tale da non esservi rimedio. Per noi marxisti non vi è situazione, per quanto difficile essa sia, nella quale non sia possibile fare una politica capace di superare le difficoltà insite nella situazione stessa. Signori del Governo, se è vero che ogni politica che tende a superare e dominare gli eventi invece di esserne dominata è una politica dura e difficile, è anche vero che questa è l'unica politica degna di un governo capace e responsabile.

DOMINEDÒ, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Non è marxista questo concetto: è troppo spirituale!

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Voi non riuscirete a superare il punto morto di questa situazione se non con una politica di grande solidarietà nazionale. È necessaria una politica che mobiliti le classe lavoratrici attorno ad un piano di ricostruzione nazionale.in modo che, nel momento in cui si gettino nella battaglia le riserve della Banca d'Italia per dare il colpo di volano alla messa in movimento della spirale produzione-consumo ben più importante del pareggio del bilancio le classi lavoratrici stesse, facendo ulteriori sacrifici e cooperando a tenere fermo il volume dei salari, impediscano di cadere nella spirale inflazionista. Ma bisogna creare i presupposti per poter fare questa politica. Occorre dare ai lavoratori un corrispettivo. Bisogna, cioè, accettare il «piano di lavoro» della C.G.L.L.;

bisogna dare la sicurezza alla classe lavoratrice che gli ulteriori sacrifici che ad essa si chiedono vadano a beneficio della collettività nazionale, e non di una piccola minoranza di monopolisti privilegiati; e soprattutto che questo nuovo sforzo non vada ad alimentare la politica della guerra.

Occorre determinare un'atmosfera di solidarietà nazionale; occorre determinare un'atmosfera di entusiasmo e di solidarietà nazionale, senza della quale nulla è possibile. Ma voi non potete o non volete fare questo. E allora? E allora siete condannati a pestare l'acqua ne] mortaio, senza poter risolvere nessuno dei problemi di fondo che stanno dinanzi a voi.

Nelle condizioni in cui si trova la nostra economia, voi oggi venite di fronte al Parlamento con due progetti di legge per un investimento di 120 miliardi all'anno, di cui 100 per il Mezzogiorno e 20 per le zone economicamente depresse del centronord. E qui ripeterò quanto ebbi già a scrivere: con questi due disegni di legge si ha la sensazione di essere messi di fronte, invece che al reale paesaggio, alla cromolitografìa di una scatola di cerini. Questi provvedimenti non solo sono insufficienti, ma arrivano con un ritardo di almeno due anni. Ma, anche in questa misura ridotta, noi siamo molto scettici che voi possiate riuscire a realizzare il programma contenuto in questi disegni di legge.

Invero, la massa di manovra più importante per il vostro intervento almeno per i primi due esercizi finanziari è costituito dal fondolire. Ma nel clima attuale in cui si trova la nostra economia ed ecco la ragione del mio precedente esame il fondo lire non si forma, o perlomeno non si forma con quella ampiezza e quella celerità che sono necessarie per la messa in esecuzione dei progetti di legge stessi. Difatti gli industriali non ritirano le merci americane somministrate con il piano Marshall, e quando le ritirano si trovano nelle condizioni di non volerle o poterle pagare. E così il fondo lire non si forma, e conseguentemente non si rendono le somme necessarie disponibili. L'onorevole Cassiani parlava poco fa di somme disponibili, di somme spendibili: ed è proprio queste che mancano, almeno per i primi due esercizi, che sono quelli che ci interessano. A parte, poi, la questione costituzionale fatta dall'onorevole Amendola e fatta anche dall'onorevole Corbino e'di cui io non mi interesso: stanziare ora per allora dei miliardi può costituire una specie di impegno morale che siamo tutti disposti ad ammettere, ma che non investe la responsabilità concreta del Governo.

19928

Del resto, esamineremo più analiticamente questo punto quando passeremo alla questione del finanziamento.

Ma, prima di passare all'esame analitico di questi disegni di legge, che farò molto brevemente per non tediare la Camera, io debbo ribadire qui il concetto del mio amico e compagno onorevole, De Martino: noi non siamo d'accordo sui principi direttivi su cui sono basati questi due disegni di legge. Cosa è il problema del Mezzogiorno? E veramente un problema di fondo, è un problema di civiltà. Vi è una larga plaga d'Italia che si estende da Roma in giù, che per ragioni storiche, economiche, politiche, geofìsiche è rimasta arretrata nel suo sviluppo civile. E il motivo principale di questa arretratezza, di questa deficienza di sviluppo va cercato proprio nella politica: cioè, non si è fatta mai nei confronti del Mezzogiorno una politica seria, costruttiva, tenace, continuativa, che mirasse a rimuovere quelle cause storiche, politiche, economiche, geofisiche che avevano determinato e determinano tuttora la deficienza, di sviluppo di quelle zone.

E il grave è, signori, diciamocelo francamente, che questa politica è stata fatta d'accordo tra l'oligarchia dominante in Italia e le stesse consorterie politiche del Mezzogiorno. Dall'unificazione in poi è avvenuta, nei confronti del Mezzogiorno, una mostruosa collusione tra l'oligarchia monarchico-borghese e le consorterie locali del Mezzogiorno, e la base di questo patto scellerato è stata questa: da un parte le consorterie locali garantivano all'oligarchia dominante le necessarie maggioranze parlamentari che le assicurassero il potere; dall'altra parte l'oligarchia dominante, a sua volta, garantiva alle consorterie locali i propri privilegi. Da questa mostruosa collusione è nata una politica che ha impedito un adeguato sviluppo di tutta l'economia meridionale.

Presidenza del Presidente GRONCHI

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Quale è oggi il problema da risolvere? È proprio quello di rompere (ecco, onorevole Cassiani dove io mi ricollego al discorso del mio amico e compagno onorevole De Martino) le vecchie strutture economiche, politiche, sociali che hanno impedito e impediscono tuttora con il peso statico della tradizione, il largo respiro di tutta questa zona del Mezzogiorno. Si tratta di favorire in tutti i sensi e in tutte le direzioni lo sviluppo.di queste popolazioni meridionali. È, ripeto, un problema di civiltà.

Ha coscienza di ciò il Governo?

L'onorevole Campilli, che ha così duttile e versatile ingegno lo dico senza ombra di ironia ci ha detto in sede di Commissione che questo disegno di legge è considerato dal Governo soltanto come un avviamento alla risoluzione dei problemi del Mezzogiorno.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. È evidente.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Veda, onorevole Campilli, è vero che non si può risolvere tutto in un giorno e vi sono, di fatto, problemi che attendono da secoli la loro soluzione e non si possono purtroppo risolvere con un colpo di bacchetta, magica. In questo, dunque, siamo d'accordo; ma, se siamo d'accordo sull'avviamento, dobbiamo però prima ancora metterci d'accordo dove vogliamo arrivare.

Quando io prendo una strada debbo sapere dove questa strada mi porta. In cinematica che è la scienza del movimento per caratterizzare il moto, bisogna conoscere due elementi: la velocità e il senso." La vostra velocità, ve lo diciamo subito, è tardigrada; il vostro senso è contrario al nostro. È naturale, quindi, che non andiamo d'accordo, e siamo contro i vostri progetti. (Commenti al centro). Abbiamo, cioè, la netta convinzione che la vostra strada vi porti a consolidare quelle vecchie strutture che noi riteniamo il maggiore ostacolo per risollevare le desolate plaghe del Mezzogiorno.

Si tratta di un intervento per lavori pubblici fatto sotto l'imperio della vecchia legislazione. Voi avete preso tutta la vecchia legislazione, e l'avete trasferita di peso nella Cassa.

E così vi siete incamminati completamente su quella vecchia strada. La Cassa è collegata...

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. È in dipendenza.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Sì, anche in dipendenza (io sono abituato a dare a Cesare quel che è di Cesare) di tutta la vecchia legislazione. (Commenti al centro).

Se voi non abbatterete le vecchie strutture, non compirete nessuna opera di rinnovamento, anche se riuscirete a fare dei lavori pubblici. La verità è che voi vi incamminerete sulla vecchia strada, che è una brutta strada. È vero che sbandierate la riforma agraria e che collegate questa vostra opera alla riforma agraria, all'opera di trasformazione fondiaria. Ma la vostra riforma agraria noi conosciamo già, nelle sue grandi linee. Abbiamo già gli elementi sufficienti per affermare che essa mira semplicemente a costituire nel Mezzogiorno

19929

qualche migliaio di contadini benestanti i quali dovrebbero avere la duplice funzione di rompere l'unità proletaria da una parte, e dall'altra parte riverniciare a nuovo le vecchie consorterie che rimarrebbero padrone del Mezzogiorno. Questa è la nostra convinzione. E voi, con quei 10-50-100 mila contadini che beneficerete, non solo non romperete le vecchie strutture, ma riuscirete soltanto a costituire l'offa per ribadire la catena del servaggio e della miseria, sulle restanti popolazioni del Mezzogiorno.

Senza dire, poi, che anche questa vostra riforma agraria sta subendo in seno al vostro gruppo un processo di edulcorazione, di riduzione ai minimi termini...

PERTUSIO.... e di miglioramento.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Vedremo. In queste condizioni, onorevole Campilli, la Cassa, così come è congegnata, non sfuggirà al dominio di quelle forze monopolistiche che sono state e sono le maggiori responsabili della situazione in cui oggi si trova il Mezzogiorno. A parte che siano vere o no le voci che corrono per i corridoi di Montecitorio sul nome degli uomini in pectore per essere destinati ad assumere le cariche di presidente, di vicepresidente del consiglio di amministrazione, un fatto però è certo: che voi non sfuggirete al dominio di quelle forze. Non vi sfuggirete perché sono quelle stesse forze che vi hanno suggerito i provvedimenti; sono quelle forze che hanno la loro base a Napoli, il dispositivo a Roma ed il cervello direttivo a Milano. Sono quelle forze che si impadroniranno di questo strumento e lo volgeranno ancora una volta ai loro fini!

E voi non sfuggirete a queste forze che già trattano dietro le vostre spalle, con le autorità americane, con gli uomini di affari americani; non vi sfuggirete soprattutto perché la vostra politica generale ed è questo il vostro errore, la vostra colpa! la politica generale della democrazia cristiana è rivolta a ricostituire, negli uomini e negli istituti, tutta la vecchia oligarchia dominante. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che il nostro giudizio su questi due disegni di legge è completamente negativo.

Detto questo, in linea generale, passo brevemente ad una critica dei disegni di legge.

Perché questa Cassa (per quanto nella redazione del testo da parte della Commissione con la collaborazione anche del Governo,

mi piace dire la verità, sia stata migliorata) è autonoma, avulsa dal corpo dello Stato? Se vi è attaccata, lo è per un tenue filo, quale è quel fantomatico comitato dei ministri che dovrebbe approvare il programma che la Cassa propone. Io domando: perché costituire questo organo staccato? Non si tratta di una piccola cosa, ma dell'amministrazione di mi, liardi! Perché non avete voluto accettare (questo rinforza la mia convinzione che voi sarete preda di quelle forze monopolistiche) un'azienda autonoma? Si è detto che questa azienda autonoma non ha una immediatezza ed una scioltezza di movimento. Ma questo non è vero! Le aziende autonome hanno la stessa immediatezza e la stessa scioltezza di intervento delle aziende private. Perché staccare questo ente da qualsiasi controllo amministrativo e politico? Non mi dite, onorevoli colleghi della Commissione, che l'espediente di presentare preventivamente i programmi al Parlamento, senza che questo possa decidere e discuterne, costituisca il controllo preventivo del Parlamento! Ma questa è una burletta, una parodia di controllo. Se voi al Parlamento ne date semplicemente comunicazione, io potrò leggerla, ma non farne oggetto di un intervento.

SCOCA, Presidente eletta Commissione. Perché no?

MATTEUCC1, Relatore di minoranza. Il controllo del Parlamento si esplica in sede di presentazione di un programma e di un piano che debba ottenere per legge l'approvazione delle Camere. La comunicazione mi eviterà tutto al più di chiedere a qualcuno quei dati che io volessi conoscere. D'altra parte la responsabilità del Governo non diminuisce la competenza e la responsabilità del Parlamento. In questo modo voi amministrate ì mille miliardi all'infuori del controllo amministrativo della Corte dei conti e all'infuori del controllo politico preventivo del Parlamento. I consuntivi il Parlamento non li ha mai discussi: questa è la verità.

E qual'è la ragione che, a vostro dire, vi induce a fare ciò? Una sola: quella di avere un organismo che sia sciolto, che possa intervenire immediatamente, libero quanto più "possibile dalle pastoie burocratiche,...

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza....e che non subisca le vicende politiche del Governo.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Questo non c'entra: ella, onorevole Jervolino, ha perduto completamente il senso dello Stato, il senso della continuità dello Stato. Che su quei banchi sieda Sforza o Campilli o qualche altro non ha importanza

19930

agli effetti della continuità dello Stato, delle sue funzioni e dei suoi organi. Questa vostra mancanza del senso della continuità dello Stato è molto grave, perché essa è proprio un sintomo delle classi dirigenti che sono arrivate alla fine della loro parabola.

SCOCA, Presidente della Commissione. Ma il nostro è uno Stato borghese...

ALICATA, Relatore di minoranza. Appunto per questo la Cassa non potrà essere un istituto socialista. Io ho più fiducia in un direttore generale di un ministero che nella persona che voi metterete a dirigere la Cassa.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza, lo affermo che un'azienda autonoma potrebbe avere la possibilità di un immediato intervento come e meglio di questa Cassa. Ve lo dimostrerò citandovi le esperienze delle aziende che già funzionano. Quali sono le esigenze che noi dobbiamo pretendere che siano soddisfatte nei confronti di questo disegno di legge? Appunto l'immediatezza dell'intervento (e in questo sono d'accordo con voi) in aggiunta, però, al controllo politico del Parlamento e amministrativo della Corte dei conti, perché occorre sapere come vengono spesi i denari dei contribuenti. Bisogna contemperare queste due esigenze che, secondo noi, potrebbero essere realizzate da una azienda autonoma. Guardate, per esempio, l'Azienda autonoma della strada. Essa si è trovata, subito dopo la guerra, con 8.256 chilometri di strade distrutte o danneggiate, 2.968 ponti e 326 case cantoniere pure distrutti. Alla fine del 1948, cioè ad appena tre anni dopo la fine della guerra, tutti gli 8.256 [chilometri di strade erano riparati, 2.536 ponti sui 2.968 ricostruiti e 316, sulle 326 case cantoniere, riedificate. Ora l'Azienda autonoma della strada ha decurtato i suoi lavori, perché ha chiesto 6 miliardi per finanziamenti straordinari e gliene sono stati concessi soltanto uno e mezzo: evidentemente potrà lavorare per quel tanto.

Guardate ancora alle ferrovie dello Stato, altra azienda autonoma: le ferrovie dello Stato hanno tatto di meglio, hanno addirittura speso di più ed è per questo che accennavo al fatto che vi sono 30 miliardi di mandati inevasi di quanto era stato a loro favore stanziato.

Vedete, dunque, che v'è scioltezza di movimenti e immediatezza di interventi! Ma questa scioltezza di movimento e questa immediatezza di intervento sono accompagnate dal controllo amministrativo e politico.

Anche se il controllo della Corte dei conti è preventivo in rapporto alla legittimità ed è susseguente in rapporto al merito, io mi accontento. È un controllo susseguente: ma vi è il controllo preventivo politico del

Parlamento, perché le aziende autonome,., come l'Azienda della' strada e le ferrovie dello Stato, sottopongono il loro bilancio al controllo preventivo del Parlamento, e quindi sono sindacate dal Parlamento stesso.

Quindi, è nell'azienda autonoma che si contemperano le due esigenze della immediatezza dell'intervento e dei necessari controlli amministrativi e politici.

Sulla questione dei finanziamenti, onorevole ministro, ho scritto un articolo...

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. L'ho letto.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. È intitolato: «Il sole di agosto»; l'ho letto anch'io e lo tengo conservato. Eccolo: glielo commenterò domani.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Bene, sono contento che mi diate una risposta. Ringrazio che abbiate letto la mia modesta prosa.

Dunque, ho scritto un articolo nel quale esaminavo i finanziamenti di questa Cassa, i primi 100 miliardi, del primo esercizio finanziario e del secondo, che sono i due che ci interessano. Esaminavo quali erano i cespiti da cui derivavano questi primi 100 miliardi. Vi è una parte di 33 miliardi che è quella proveniente dalle nuove tasse che abbiamo messo: e su quelle la Cassa credo che possa contare. È un aumento di entrate sui cerini, sul caffè, sullo zucchero, e sono i lavoratori stessi, caro Di Vittorio, che pagano sempre! Plus ga change, plus c'est la méme chose! Pagheranno, in proporzione, più le classi lavoratrici che le altre, perché sono tasse che incidono maggiormente sui consumi.

Ma questi 33 miliardi, che sono frutto delle nuove tasse, ci saranno, se l'onorevole Pella le trasferirà dalla Tesoreria alla Cassa.

Vi sono, poi, gli altri 67 miliardi che sono costituiti da 42 miliardi e mezzo mi sembra quota parte della somma di 55 miliardi di cui all'articolo 18 della legge 23 aprile 1949, n. 165. Questa benedetta legge, approvata da noi già da un anno, non ha avuto alcuna esecuzione. Molti se la prendono col Parlamento: ma il Parlamento approva e il Governo non esegue. E quanti inni abbiamo ascoltato qui, su questa legge! Anche con questa legge si doveva rinnovare il Mezzogiorno! Però non si è stanziato un soldo, e di questi 55 miliardi oggi si prende una quota parte e si travasa nella Cassa.

19931

Ma questi 55 miliardi si devono prendere sul fondolire. Il fondolire a che punto è? Ella, onorevole ministro, sa che la legge è operativa, e questa legge, per la quale noi trasferiamo questi denari alla Cassa, dice che i 55 miliardi saranno prelevati dal fondolire, quando il fondolire avrà sfiorato cioè superati i 258 miliardi che sono stati precedentemente impegnati.

Io ho chiesto all'onorevole sottosegretario per il tesoro: ci volete dire, oggi. 22 giugno, a che punto è il conto speciale del fondolire? Ma nessuna risposta ho avuto.

L'ultimo conto del tesoro (conto della Banca d'Italia al 28 febbraio 1950) dà un saldo 'per il fondolire di 261 miliardi e 277 milioni. Se da questi 261 miliardi togliamo i 258 miliardi che la legge ci dice che sono stati impegnati; se togliamo quel 5 per cento che per l'accordo con gli Stati Uniti dovete accantonare a loro disposizione e che l'onorevole Riccardo Lombardi tante volte vi ha domandato dove va a finire (voi certamente lo sapete, ma non lo dite; veramente anche noi, purtroppo, crediamo di saperlo); se togliete le spese di trasporto e di scarico delle merci che sono pure a carico del fondolire; se togliete ancora le spese che dovete rimborsare per la missione E. R. P. in Italia, ditemi un po' cosa rimane per i 42 miliardi che dovete trasferire alla' Cassa: nulla, perché non si sono raggiunti ancora i 258 miliardi dei precedenti impegni.

Io chiedo di essere illuminato.'Non ho che gli elementi che ufficialmente ci fornite. È in base a questi» elementi che devo, necessariamente, giudicare.

Altri 24 miliardi li prelevate dal conto speciale istituito a norma del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 135. Ora, questo conto, per l'accordo del 2 giugno 1948 stipulato con gli Stati Uniti d'America, che è stato reso esecutivo con una legge approvata dal Parlamento, questo conto, dico, non esiste più. E come fate voi a prendere denari da un conto che non esiste più?

Così dice l'articolo 4, n. 2, comma a) del detto accordo: «Il saldo residuale alla chiusura degli affari dal giorno della firma del presente accordo dei conti speciali presso la Banca d'Italia intestati al Governo italiano, conti istituiti ai termini degli accordi tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo italiano in data 4 luglio 1947 e 3 gennaio 1948 nonché qualsiasi altra somma che, di volta in volta, deve essere depositata nei conti speciali ai sensi di tale accordo».

Voi, dal giorno in cui avete firmato questo accordo, il conto aperto con il decreto legislativo. 14 febbraio 1948 n. 135 lo avete versato nel conto speciale del fondolire. Gome fate a prelevare 23 'miliardi da un conto che non esiste? Ce lo dirà l'onorevole ministro. Sono i misteri eleusini. Il povero Giolitti se la prendeva con Magliani, per la «finanza, allegra»; e non aveva ancora assistito a questo.

E allora noi vi abbiamo dimostrato che era possibile fare una azienda autonoma, e cioè accoppiare le due esigenze dell'immediatezza degli interventi e dei dovuti controlli amministrativi e politici, e non lo avete fatto; vi abbiamo dimostrato che per i primi due esercizi è molto dubbio che la Cassa possa avere una consistenza di 100 miliardi.

Noi, ferme restando le critiche di fondo che vi abbiamo mosso e che investono tutta la vostra politica economico-finanziaria degli investimenti, cercheremo di portare degli emendamenti, in questo senso, alla legge, perché non comprendiamo ancora oggi che difficoltà vi sia dì costituire questa azienda autonoma, e vi proponiamo anche ché i 100 miliardi per i primi due esercizi finanziari siano dati a carico del Tesoro, e che la copertura la trovi esso stesso su questi benedetti conti, affinché la Cassa abbia in contanti i 100 miliardi.

Restano ferme, come lio detto, tutte le critiche di fondo che vi abbiamo fatto.

Per il disegno di legge del centronord, io sono relatore. Questo, effettivamente, è un progetto di legge disgraziato. Come si fa ad approvare un disegno di legge che non si sa in quali zone è destinato ad operare? Non si sa esattamente cosa si vuol fare, e non si sa neanche quali sono gli organi che debbono eseguire.

Tutte le caratteristiche tecniche che deve avere una legge, e che diano la possibilità al potere esecutivo di applicarla, mancano.

Noi ci siamo scervellati, in Commissione. Ma nessuno ha saputo indicare cosa si intende per zona economicamente depressa. Io do lode al collega Angelini di aver cercato di enumerare, secondo lui, quali possano essere le zone economicamente depresse, quali possano essere le caratteristiche; ma la Commissione non è stata capace di fissar nel disegno di legge n. 1171 per il centro nord le zone economicamente depresse, e ha risolto il problema non risolvendolo, cioè svestendosi essa di un attributo specifico che è del potere legislativo e trasferendo al potere esecutivo il compito di dichiarare quali sono le zone economicamente depresse.

19932

Voi ce lo dovete dire. Perché noi possiamo approvare una legge, e possiamo autorizzare a spendere 200 miliardi, voi ci dovete dire cosa volete fare, e dove e come intendete operare.

Come volete che noi possiamo approvare una legge di questo genere? Non è possibile. Questa legge è un vero pasticcio. Qui vi è tutto il De Gasperi minore.

Ma, poi, vi è sproporzione, onorevole Campilli, tra il fine che vogliamo raggiungere ed i mezzi a disposizione.

Cosa volete fare nel centronord con 20 miliardi! Il solo acquedotto del Fiora costerà più di 20 miliardi. Io posso convenire: la vostra politica economico-finanziaria vi impedisce di avere altri miliardi a disposizione; ma allora non proponete una legge per 20 miliardi l'anno! Aumentate 10 miliardi sullo stato di previsione della agricoltura, con la legge di bilancio, e 10 miliardi sul bilancio dei lavori pubblici, dicendo: «Questi miliardi servono per questa opera nella zona depressa tale, questi altri per la zona depressa tal'altra». Sarete più seri. Non costringete il Parlamento a votare una legge inapplicabile, che creerebbe una grande quantità di conflitti di competenza fra gli stessi ministeri che dovranno applicarla.

Noi per questa legge del centronord abbiamo presentato un ordine del giorno che propone di rinviare al Governo questo disegno di legge, invitandolo a portare davanti al Parlamento dei provvedimenti precisi per ogni singola zona economicamente depressa, provvedimenti che tengano conto delle opere che si vogliono fare, del relativo piano finanziario con i conseguenti stanziamenti ed indichino chiaramente quale sia l'organo a cui è demandata l'esecuzione delle opere stesse.

Onorevoli colleghi, in tutta questa faccenda il giuoco delle parti è ben delimitato.

È. risaputo che, quando don Chisciotte teneva ai caprai il discorso sulla età dell'oro, Sancio Pancia, poco discosto, alzava l'otre e mangiava il formaggio.

Il giuoco delle parti è chiaro, signori: molti di voi, nuovi don Chisciotte, andate predicando nel Mezzogiorno che con questa Cassa vi sarà l'avvento dell'età dell'oro.

QUARELLO. Cominciamo a lavorare seriamente.

MATTEUCCI, Relatore di minoranza. Ma vi sono gli altri che, dietro le quinte, attendono di prendere l'otre e di mangiare il formaggio.

La nostra parte è un'altra: è quella di aprire gli occhi alle popolazioni meridionali sull'inganno che questa Cassa costituisce, e e di cercare, nei limiti del possibile, di levare l'otre dalla bocca ed il formaggio dai denti ai vai'i Sancio Pancia che aspettano. (Vivi applausi all'estrema sinistra — Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

MELIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge sottoposto al nostro esame segna un punto in attivo a favore del Mezzogiorno, qualunque convinzione partico lare ci guidi nell'analisi o nelle critiche.. 0

Anzitutto, esso consacra in una legge il dovere e l'interesse nazionale a risolvere il problema del Mezzogiorno.

Ed un altro merito, a mio avviso, va senz'altro affermato: l'ansia di rendere immediatamente operante questa legge, per l'urgenza dei problemi e le condizioni di estrema drammatica emergenza in cui, in questo durissimo momento di miseria, il Mezzogiorno si dibatte, in tutte le sue classi ed in tutti i suoi settori; il che è, quanto dire, che impegno solenne e dobbiamo prendere i legislatori in parola è di passare dalle parole ai fatti.

È, io' credo, la prima volta che si ha unu' impostazione che voglia farsi immediatamente e concretamente realizzatrice di opere, la cui innegabile necessità investe settori fondamentali del Mezzogiorno, tanto degradati; ed indubbiamente un fatto di questo genere va segnalato all'attivo della politica italiana e della attesa del Mezzogiorno

Approvo perciò, in funzione di questa impostazione, il criterio di realizzare la legge per il Mezzogiorno attraverso una speciale organizzazione, con una speciale procedura, con uomini mobilitati a questo unico e grande compito, disinnestati dalla complessa burocrazia statale per questo programma di grande avvenire.

In primo luogo vi è una ragione psicologica. Occorre dare a mio avviso a chi interverrà nella elaborazione e nella realizzazione il senso della grande impresa, il senso della guerra guerreggiata. Immagino il presidente della Cassa come un pioniere, come l'uomo investito di una missione di civiltà, come una volontà fervida, bruciante, che abbia il senso nazionale delle sue responsabilità e dei suoi compiti; e perciò stesso ho il bisogno di renderlo libero dalle pastoie inutili.

Questo clima non può determinarsi nella normale burocrazia, dove fatalmente rimarrebbe vittima delle mille transazioni, degli adattamenti dell'ordinaria amministrazione, della pavidità delle responsabilità.

19933

L'esperimento, che nella realizzazione della Cassa si vuol tentare e concludere, è un esperimento rinnovatore del vecchio sistema: deve essere scritto da un organismo sensibile, agile nei capillari e vivo al centro. Quindi non posso non sorprendermi della difesa non disinteressata di «chi avrebbe voluto che l'intervento nei problemi del Mezzogiorno (un intervento di questa natura, che definisco massiccio per la sua eccezionalità) venisse realizzato attraverso il normale apparato burocratico statale.

Anzitutto il problema imponente del Mezzogiorno non si può incastonare nella burocrazia che deve controllare tutti i settori dell'economia nazionale, che deve quindi rendersi edotta ed attiva e dovunque vedere, intervenire non con una mentalità uniforme, con una monotonia di impostazione che ripete il trantran del passato e che non è sensibile né all'urgenza né alla caratterizzazione specifica del problema stesso del Mezzogiorno.

Pertanto occorre una specializzazione degli uomini, una autonomia delle funzioni della Cassa in relazione alle esigenze particolari e peculiari cui deve provvedere. Non solo, ma occorre dare alla Cassa l'autorità per cui la sua funzione sia capace e si renda determinante degli indirizzi della Cassa anche rispetto alle pressioni, alle influenze, ai controlli ed ai contrasti che per via diretta o indiretta o traversa potrebbero eventualmente cercare di fermarne la procedura.

In sostanza io investo gli uomini della Cassa della rappresentanza funzionale di questa realizzazione e, quindi, anche dell'autorità che dovrà per questo stesso motivo renderla operante, malgrado la mentalità e gli interessi opposti ed ostili.

In sostanza, proprio in questa sede e con questa visione abbiamo anche impostato in profondità il problema morale. Le leggi sono tutte discutibili, ma gli uomini che le realizzano sono le volontà che in pratica dànno significato, concretezza e autorità alle leggi stesse. Il problema della incompatibilità, che è stato sollevato anche su mia proposta e che è stato accettato in un ordine del giorno votato all'unanimità dalla Commissione, già determina e già definisce il clima nel quale si vuole che operi la nostra Cassa, la Cassa del Mezzogiorno; un clima che renda veramente liberi, e che costituisca nella personalità morale gli uomini che dovranno realizzare i fini della Cassa, affinché non abbiano radici in interessi pericolosamente tossici per la vitalità della Cassa stessa.

Perché, onorevoli colleghi, in sostanza, bisogna tendere alla riuscita del grande esperimento, con lo stabilire l'esigenza di una moralità superiore per i compiti agli uomini affidati, in considerazione dell'aspettazione profonda del mezzogiorno d'Italia, impegnato per la sua rinascita civile.

Onorevoli colleghi, voglio fermamente credere che gli amministratori della Cassa dovranno rappresentare una specie di magistratura eletta del divenire umano e sociale del Mezzogiono, perché è veramente in questo modo che si deve attendere ai compiti della Cassa, così come un grande meridionalista che vive intensamente la battaglia di questi giorni, don Luigi Sturzo, va proclamando dalla sua alta cattedra di democrazia.

Occorre, quindi, amalgamare questo clima di intransigenza morale.

Io non so perché la nostra democrazia non si sia già dato questo adeguamento alla realtà del tempo nostro. Siamo dinanzi alle grandi pianificazioni, e la realizzazione della Cassa per il Mezzogiorno vuole essere la prima impostazione pianificata del problema della civilizzazione del sud. Non possiamo ignorare quanti interessi traversi, quante volontà sabotatici, quanto ostruzionismo, praticamente, operino per l'arresto delle forze vitali che potranno determinare la rinascita del Mezzogiorno; e pertanto adeguata devono essere la difesa e la resistenza. Difesa adeguata attraverso una polizia tecnica come si realizza già nei paesi che hanno l'aspetto della durezza e della severità, in regimi da me non condivisi per molti aspetti oltre che per intima convinzione politica. Comunque, chiunque saboti, l'allenti, non risponda fedelmente delle sue azioni, deve essere chiamato a concrete responsabilità e vigilato assiduamente. È tempo che il nostro Governo controlli coloro che hanno la responsabilità della pubblica cosa, in ogni atto che viene loro affidato, in modo che anche la loro vita privata costituisca la dimostrazione della buona fede e della concreta fedeltà con la quale essi assolvono al loro compito. Questo deve essere il clima per la vigilanza assidua, severa e fiscale che va realizzata nell'interesse di tutti, specie nei «riguardi di un organismo come la Cassa per il Mezzogiorno.

Il problema tecnico-giuridico che è stato affacciato sul funzionamento della Cassa io non intendo riprenderlo: istituto di diritto pubblico o ente autonomo? Questo problema è stato discusso ampiamente in questa sede ed in sede di Commissione ed è stato discusso con senso di collaborazione, col desiderio e l'intento della chiarificazione, con lealtà e assoluta buona volontà da tutte le parti.

19934

La preferenza che la maggioranza ha dato alla impostazione realizzata nel disegno di legge ha risposto al proposito, anzitutto di automizzare al massimo la Cassa, di darle la massima autorità immediata e di estenderne le funzioni attraverso la entità dei prestiti anche esteri che la Cassa utilmente potrà ottenere, proprio affinché il Mezzogiorno abbia la maggiore disponibilità possibile: ed è in funzione del modo più concretamente efficiente con cui la Cassa dovrebbe realizzare le sue attribuzioni che è stata data la preferenza a questo tipo di istituto, di ente di diritto pubblico.

Il pro e il contra quindi si possono equivalere ma ciò che è essenziale sono i mezzi, evidentemente, sono quelle risorse che daranno alla Cassa quotidianamente la possibilità di diffondere la sua opera benefica e feconda.

In passato il Mezzogiorno ha avuto leggi speciali e ne ha avute molte. Questo è un riconoscimento della necessità di risolvere con criteri rispondenti alla situazione ambientale i problemi stessi, attraverso strumenti legislativi adeguali alla particolare situazione del sud; ma quelle leggi non sono state operanti, soprattutto perché lo Stato del passato, lo Stato che noi dobbiamo superare se vogliamo superare tutti) il male che si è avuto, ha rappresentato uno Stato che non ha fornito quelle leggi dei mezzi necessari, che non ha cioè dato la possibilità di rispondere alle esigenze concrete, ma le ha defraudate della risorsa che era loro necessaria e che era la sola che rendeva possibile l'attuazione di quelle leggi e quindi la risoluzione di quei problemi.

È un triste retaggio che io non vorrei che si ripetesse oggi, e ciò per la pericolosità estrema che un fatto di questa natura rappresenterebbe per la vita stessa della nostra, Repubblica e della nostra democrazia. La Commissione sì è data carico di questo: si è preoccupala che le fonti di finanziamento potessero non rispondere al piano che il Governo ha concretato, mettendole a disposizione tempestivamente ed integralmente per gli scopi che la Cassa per il Mezzogiorno si propone di raggiungere.

Ha perciò impegnato il Governo ad assicurare alla Cassa la tangente di 100 miliardi che deve rispondere a 100 miliardi di opere per ogni anno; onde noi riteniamo di avere obbligato lo Stato che ha accettato questo impegno a rispondere in ogni caso

affinché fluiscano le risorse e ì mezzi necessari alla Cassa; e quindi è garante lo Stato per l'impegno d'onore e per la forza della nostra legge.

Onorevoli colleghi, debbo analizzare ora un altro punto che mi pare d'importanza fondamentale.

Il Mezzogiorno è stato consegnato alla nascente Repubblica nelle Condizioni in cui è: una vergogna nazionale che presenta il passato monarchico liberale alla storia, nella sua fallimentare politica e nel tradimento della vita della nazione in una parte così vasta e così essenziale del paese quale è il Mezzogiorno.

Quando da certi banchi si sollevano critiche, che ignorano le responsabilità dei regimi liberali e monarchici, si dimentica che questi regimi sono stati sempre assenti, sono stati veramente inesistenti e ignari o legali ad una politica contrastante con gli interessi del Mezzogiorno. Sono essi che hanno permesso, che hanno determinato la frattura tra una parte e l'altra d'Italia, che hanno creato le due Italie pericolosamente contrastanti, ed è veramente grande merito, grande dimostrazione di responsabilità o di consapevolezza, che il primo Parlamento repubblicano si sia proposto un così grande problema, e che un così grande problema sia entrato nella coscienza nazionale, sia entrato nella realizzazione dei fatti e delle opere. Questo è veramente il fatto nuovo: un fatto storico che sta a rappresentare l'antitesi della democrazia operante di oggi in confronto alla ignavia e all'inerzia di ieri.

La nostra Repubblica non deve fallire a questo compito se non vuole naufragare come espressione di democrazia nazionale. La frode sotto qualunque aspetto, sarebbe il tradimento della vita e dell'unità nazionale. Perché, come disse un grande maestro di virtù morale congiunta all'amore per il Mezzogiorno, Giustino Fortunato: «Il meridione sarà la sfortuna o la salvezza d'Italia». È questo il primo e più grande pericolo che noi dobbiamo con sensibilità e con maturità considerare.

Io aborro come delittuosa la eventualità che si determini una frode anche solo di ordine secondario, apparentemente accessorio. Abbiamo stabilito che i programmi della Cassa sono indipendenti dal bilancio normale dei vari dicasteri. Questi hanno sempre una loro disponibilità e un impegno alla spesa per le varie branche dell'amministrazione dello Stato: lavori pubblici, agricoltura, industria e commercio, ecc.. Se per caso e per traversi disegni di falsamente intelligenti e veramente perfidi sistemi di Governo» si volessero distrarre dal bilancio normale

19935

somme per spenderle attraverso la Cassa, e presumere con questo di aver dato al Mezzogiorno una nuova illusione, una nuova e più amara delusione, anche questa sarebbe frode, e per questo si concreterebbe un nuovo tradimento: tradimento e frode che è bene denunciare in anticipo affinché non intervenga un sistema di questo genere, che non potrebbe trovarci complici né subietti. In definitiva mi preoccupo di quello che è già stato detto in quest'aula, di quello che si è preannunciato dai pessimisti. Io sto semplicemente delineando una situazione ed una posizione potenziali senza affermare ancora che i bilanci dei vari ministeri si siano già alleggeriti di notevoli somme da riversare nella Cassa: ma tal fatto rivelerebbe un sistema abusivo e fraudolento, che non potrebbe passare impunito. Il discredito raggiungerebbe il Governo, tutto il nostro Parlamento, e farebbe naufragare tutti i responsabili nel giudizio della pubblica opinione e nella reazione del Mezzogiorno aspettante.

Mi domando, onorevoli colleghi: è affrontato il problema del meridione in questa legge? Rispondo subito che non è affrontato. Basta leggere l'articolo 1 per rendersi conto che è affrontato soltanto per un certo settore. Rimangono problemi altrettanto urgenti: dell'industria, dei trasporti, delle bonifiche, delle scuole, delle molteplici, drammatiche esigenze che parallelamente ed organicamente vanno pur esse affrontate e risolte.

Io credo utile a questo proposito rievocare un brano del discorso fondamentale pronunciato al congresso repubblicano di Napoli del gennaio 1948 dall'attuale ministro La Malfa. Egli disse: «Se voi aiuterete con strade, ferrovie, case, lavori pubblici, bonifiche il meridione, con un piano graduato nel tempo, se voi risolverete il problema terriero con la distruzione delle grandi proprietà é con la creazione di piccole proprietà che sono l'anima e la vita di queste regioni, voi arricchirete la vita nazionale che si eleverà ad una fase più attiva e più socialmente utile. C'è un problema di investimenti, e questo problema va affrontato nella vit, sociale; nel nord si trova la possibilità di un contributo per le zone più povere del sud».

Io credo infatti che una soluzione di questo problema, ottenuta attraverso la solidarietà e l'interesse del nord per rinsanguare l'economia del sud, sia la premessa che noi dobbiamo considerare per il problema nella sua integralità.

È questo, onorevoli colleghi del Mezzogiorno, un problema di civiltà nella sua essenza: adeguamento del sud alla civiltà razionale degli altri fratelli d'Italia, che noi vogliamo uniti in una comune civiltà.

È soltanto un problema di lavori pubblici quello che qui si vuole risolvere; non è ancora il problema di fondo, soprattutto perché non viene spezzata l'oligarchia degli interessi privilegiati e monopolistici che gravano parassitariamente sulla nazione, che hanno infeudato lo Stato, che hanno diretto la politica di guerra e di pace, che hanno voluto la politica coloniale, che hanno fratturato l'unità nazionale necessaria nella sostanza e non solo formale, asservendo una parte del paese alle varie forme della sua economia industriale, esuberante di capitali quanto l'altra ne veniva depauperata.

Ancora si tende a persistere nella politica che tutti i profondi indagatori del problema meridionale hanno posto alla base della loro critica, nella indagine e nella diagnosi dell'arresto dell'unità nazionale iniziata col risorgimento, che l'unitarismo regio accentratore e tirannico aveva spezzato.

Tale problema, onorevoli colleghi, è stato posto molti anni fa nella sua integralità, e portato come elemento di lotta politica nella partecipazione delle masse, quale contributo alla chiarificazione dei problemi politici ed economici che sono alla base della vita del nostro paese, consentitemelo, dal mio partito: un piccolo partito che ha un grande passato, il partito sardo d'azione.

È un partito che ha grandi titoli di nobiltà. È sorto dai combattenti della guerra del 191518. I soldati sardi, raccolti nelle brigate sarde, hanno fatto una esperienza collettiva quando sulle trincee attraversarono le ricche regioni del nord e le difesero col loro sacrificio. Essi sentirono nella differenza drammatica di vita e nel richiamo sen sibile alle condizioni in cui avevano lasciato, tormentosamente, i loro cari, il loro dovere di dare il contributo e l'impulso vitale di rinascita; e, nel momento stesso in cui, colla loro lotta generosa, davano al paese il più alto contributo di sangue, gettavano le basi del diritto a ricostituire l'armonia della giustizia violata ai danni della civiltà del nostro paese.

Questa grande battaglia di popolo che i combattenti hanno riportato nella nostra piccola isola, con sensibilità più viva degli altri combattenti forse per la loro condizione di isolani, le cui brigate avevano espresso il cuore pulsante e fervido della nostra terra nelle battaglie di guerra e nelle battaglie di pace, questa battaglia aveva sintomatica mente la Sardegna all'avanguardia della impostazione di questi problemi di unità nazionale.

19936

Badate che non è una affermazione retorica quella che io faccio alla Camera in questa tarda ora, isolato politicamente e preoccupato della mia pretesa di parlare a voi di queste cose; ma è un fatto consacrato nel riconoscimento di pensatori profondi come Piero Gobetti, che ha esaltato il fenomeno politico espresso dalla Sardegna come denso di significato e d'avvenire, come Guido Dorso che nel suo libro magistrale Rivoluzione meridionale pone questa matrice fervida, costituita dalla lotta del partito sardo di azione, alla base di una grande speranza di rinascita per la rivoluzione meridionale che quel partito andava preparando con le sue idee, con i suoi uomini, con la sua fedeltà alla battaglia meridionale fermata dalla marea fascista statolatra ed accentratrice. E, più oltre ancora, l'onorevole Antonio Gramsci nel 1927, dopo aver rilevato il carattere, in generale amorfo, del movimento combattentistico italiano, denunziava: «La sola regione dove il movimento degli ex combattenti assunse un carattere più preciso e riuscì a crearsi una struttura sociale più solida è la Sardegna. E si capisce. La spinta dal basso esercitata dalla massa dei contadini e dei pastori non trova un contrappeso soffocante nei superiori strati sociali di grandi proprietari, intellettuali e dirigenti, che ne subiscono in pieno la spinta».

E nella tarda età Giustino Fortunato si associava allo stesso tributo di fede nella battaglia meridionale, rappresentata dalla nostra lotta. Anch'egli diede questo tributo di riconoscimento alla nostra volontà e coscienza politica, a questa luce che veniva dall'isola che pare perduta nel mare.

Ebbene, questo movimento, al quale mi riferisco per un'opera di diagnosi che debbo fare del problema di cui è investita la Cassa, colpiva nel vivo veramente lo stato morboso di questo Stato accentratore, tirannico, prepotente, ignorante, assente, lontano, corrotto, che era asservito agli uomini stessi del Mezzogiorno paghi di posizioni personali, e alla piattaforma di clientela e di grandi interessi che consentivano ad essi la carriera politica. Un dato dobbiamo subito segnalare. Gli uomini della vecchia democrazia, della cosiddetta democrazia, hanno consegnato all'Italia questo Mezzogiorno in condizioni che costituiscono un atto di accusa insuperabile, che rappresentano veramente la degradazione di ogni sistema di governo. Fallimentare la politica dei vecchi governi in tutti i settori:

ed io non starò ad analizzarla per non aggiungere una documentazione (superflua a tutte quelle che sono già state portate e che costituiscono ormai un grave fardello, il fardello che la Cassa per il Mezzogiorno dovrebbe incidere come un bubbone purulento. Certo è il protezionismo che ha creato l'ingiustizia.

La critica di questi problemi in funzione di certi interessi è la sola vitale ed è quella che un poco ha andicappato il discorso dell'onorevole Amendola. In definitiva esattamente Guido Dorso, quando analizzava la opera del Gramsci che intuiva l'esistenza del problema meridionale e ne propugnava la soluzione con l'alleanza fra gli operai delle industrie del nord ed i contadini del sud, si chiedeva: ma lo sviluppo di questa impostazione potrà essere condotto dal Gramsci coerentemente fino a distruggere la bardatura che ha consentito la vita parassitaria privilegiata degli industriali e l'alto tenore di vita delle masse operaie del nord, in modo da raggiungere l'adeguamento dell'economia industriale dell'alta Italia alla necessità di progresso del mercato di consumo del sud, di quel mercato di consumo che vuole a sua volta creare la sua industria, che deve distruggere le sovrastrutture artifiziose che impediscono il respiro della sua economia, che impediscono là maturazione e lo sviluppo delle risorse latenti in modo che si raggiunga il potenziale risolutivo dei grandi problemi insoluti? Mi pare che anche l'estrema sinistra, nella impostazione critica che ha dato a questo disegno di legge, nei rilievi elevati contro di esso, critiche per vari aspetti utili e direi incisive, non abbia risposto a questo interrogativo fondamentale.

La vostra politica in difesa degli interessi delle vostre masse operaie industriali é la politica che si è concretata nel mantenimento delle oligarchie industriali nelle quali' le vostre masse hanno realizzato il loro diritto al lavoro. Voi non avete creato in funzione dell'interesse del Mezzogiorno la polemica della sua difesa; anche voi l'avete ignorata proprio perché siete più degli altri un partito centralizzato che obbedisce a direttive unitarie, che, cioè, obbedisce alle direttive dell'interesse prevalente e più politicamente, utile alla vostra forza politica così come in genere hanno fatto tutti i partiti che rappresentano l'unitarismo dello Stato accentratore e mancipio degli interessi, i quali non realizzano certo quello che era l'ideale di Stato cui le premesse della Repubblica tendevano: la rivoluzione autonomistica e la possibilità di intervenire nella vita del centro, di scuoterla,

19937

di liberarla dalle sovrastrutture tiranniche, dalla oligarchia degli interessi, di liberarla da tutto ciò che ha falsato la vera unità del nostro paese nel passato e che continua a mantenerlo sotto lo stesso imperio e nello stesso clima di profitti e di sopraffazioni!

Questo è il grande problema! I partiti nazionali ripetono lo stesso difetto e la stessa crisi dello Stato: poiché sono centralizzati, obbediscono a direttive centralistiche.

Nel 1944, Guido Dorso, che anche nella sinistra godette larga stima, faceva risalire l'abbandono del meridione al socialismo riformista che sempre si sforzò di esprimere lo Stato. Egli scriveva: «Le avanguardie proletarie del settentrione, attraverso la politica dei salari e della previdenza sociale, si sono sotterraneamente collegate con le industrie protette, e ne è venuto fuori il giolittismo, lo schieramento politico in cui gli interessi economici dell'industria si sposavano sul terreno economico a quelli degli agrari protetti».

E allora si spiega la difesa del F. I. M., dell'I. M. I., dell'I. R. I. della cantieristica, della metalmeccanica, dell'industria zuccheriera il tutto gravante suda miseria de] sud.

AMENDOLA GIORGIO. Chi ha mai difeso il F. I. M.? Le industrie. Il F. I. M. è un bubbone!

MELIS. E le industrie che hanno bisogno di essere sostenute dal F. I. M. sono allora il bubbone!

DE VITA. (Indica l'estrema sinistra). Perché non fate lo sciopero generale per i braccianti agricoli del sud che prendono 400 lire al giorno? (Commenti al centro).

MICELI. Non sarebbe il primo! Lo sciopero della valle padana ha aumentato anche i salari nel Mezzogiorno! Ella lo sa meglio di me!

MELIS. Onorevoli colleghi, io mi avvio alla conclusione. Questa situazione, che ci è tramandata da 80 anni di vita unitaria, non è ancora stata investita, non è ancora stata affrontata. Questa coscienza meridionalistica deve diventare coscienza nazionale, ed è un problema di limiti nel nord che può determinare lo sviluppo contemporaneo del sud. Questa che noi oggi discutiamo é solo una politica di investimenti produttivistici. E io saluto questo esperimento, veramente capace di stabilire una premessa essenziale se sarà attuato con fedeltà ai programmi di rinascita generale del Mezzogiorno.

Nei particolari aspetti della mia isola, la Cassa ha riconosciuto, in funzione dell'autonomia speciale di cui godono la Sardegna e la Sicilia, all'articolo 19 un particolare diritto di intervenire nella formulazione dei programmi e nella attuazione dei programmi stessi. È stato un aspetto molto tormentato del problema, che investe delicati settori di ordine costituzionale in relazione agli statuti speciali per la Sardegna e per.la Sicilia sanzionati dalla Costituente, e che in sostanza la Sardegna e la Sicilia non potevano lasciar ferire senza reagire a difesa di un diritto che la Costituzione nazionale aveva dato alle isole.

Certo io avrei auspicato un maggior senso di fiducia verso queste regioni ad autonomia speciale, perché, in sostanza, nella disponibilità diretta e integrale delle somme avrebbero potuto realizzare nell'immediatezza e nella sensibilità che esse debbono avere dei problemi, nel controllo responsabile che i consìgli regionali e l'opinione pubblica possono fare di queste realizzazioni, la maggiore rispondenza della Cassa ai problemi e agli interessi delle isole.

L'articolo che è stato elaborato obbedisce ad una necessità di transazione, e veramente anche in questo riconoscimento fatto dalla nostra Commissione si è creata una grande possibilità per le nostre regioni di intervenire nel processo formativo dei programmi per le isole, che hanno caratteristiche così differenziate ed economia così particolare rispetto al resto d'Italia. Tanto più che, per lo statuto, queste regioni hanno il diritto di elaborare la riforma agraria; e non poteva concepirsi che una realizzazione in questo settore, che la Cassa, sia pur parzialmente, comprende, non fosse voluta prima di tutto dalle popolazioni interessate, attraverso l'organismo elettivo che esse si sono date nel go,verno della regione.

Ma un punto vi è, a mio avviso, che va riveduto in questa sede, ed è la rappresen tanza che il presidente della regione deve poter concretamente far valere nell'ambito del comitato ristretto dei ministri che renderà esecutivi i programmi.

Io non capisco infatti come il presidente della regione, che, costituzionalmente, ha il rango di ministro e ha il diritto d'intervenire nel Consiglio dei ministri per i problemi che riguardano la regione, non debba intervenire nel comitato dei ministri che presiede alla Cassa nel momento in cui si elaborano programmi fondamentali per un decennio, da cui dipende tanta parte dell'avvenire, la possibilità di utile lavoro, tutto lo sviluppo di rinascita civile della regione.

19938

Non capisco, ripeto, perché il presidente della regione non possa intervenire a dare indirizzi e a sostenere orientamenti ed esigenze delle quali esso è appunto il rappresentante responsabile.

Si obietta: si 'creerebbe con tale fatto una condizione particolare, quasi di favore, per le regioni a statuto speciale. Io potrei replicare facilmente dicendo che le altre regioni questa condizione non l'hanno perché non si sono date quell'autonomia che è invece nell'urgenza della nostra situazione e nella realtà della nostra Costituzione e dell'organizzazione amministrativa e politica. D'altra parte, non investe nessun interesse, né attraversa i diritti di nessuno, la possibilità di rendere i progz'ammi concreti, attivi, efficienti e rispondenti alla realtà dei nostri particolari problemi.

Io credo che, riproposto questo problema dinanzi a voi, possa essere da voi accolto per la vostra sensibilità e nella sua evidente ragionevolezza. Così mi pare che voi non possiate ignorare, onorevoli colleghi, che il secondo comma dell'articolo 19 conLradice al primo comma dell'articolo 19..In sostanza nell'articolo 19 voi avete dato alla regione la facolLà di elaborare i programmi d'intesa con la Cassa, di elaborarli sotto la sua responsabilità e per il suo impulso. Come è che invece, nella seconda parte, quasi estraniando la regione, la sottomellete all'iniziativa della Cassa? Poiché infatti il disogno di legge stabilisce che nell'esecuzione è il governo regionale che deve procedei d'intesa con la Cassa, che diventa quindi la protagonista di primo piano nell'esecuzione dei programmi stessi. Dovremmo invece seguire un criterio unitario, un indirizzo organico, che risponda ad una responsabilità unica, e cioè che affronti veramente tutti i problemi, per tutto il settore, soprattutto chi è legato alle sorti dell'esperimento.

Ed io ritengo che, anche su questo punto, le proposte che io z'ipeterò in quest'aula possano, meglio valutate, essere accolte dalla vostra considerazione e dalla vostra solidarietà. Perché non mi pare che sia utile, mi pare anzi che determini l'antieconomicità della Cassa e della sua funzionalità, della sua possibilità realizzatrice, il creare troppe sovrastrutture. Voi avete una Cassa che ha possibilità tecniche, possibilità amministrative sue proprie; avete una organizzazione di Stato che ha possibilità tecniche ed amministrative sue proprie in dipendenza della competenza dei vari dicasteri; avete una regione che ha, a sua volta, una sua organizzazione tecnica, una sua organizzazione amministrativa.

Se non coordinate attraverso l'unico ente che nella regione e per la regione ha la sua ragion di essere, se non collegate e se non coordinate tutte le iniziative, voi create una superfetazione di organismi che potranno, attraverso le collisioni, le assenze di coordinamento, attraverso i conflitti fatali sia pur solo di carattere burocratico, rendere ostruzionistico il sistema. Potrete determinare fratture pericolose, ritardi altrettanto perico losi, polemiche che sono tutte defatigatorie della grande realizzazione che dovrà invece imperniarsi nella dinamica della immediatezza e deRa sensibilità realizzatrice.

Onorevoli colleghi, io ritengo di poter dire che occorre aver fiducia nella regione, onde concretare utilmente la "impostazione fondamentale di questa realizzazione: l'iniziativa che sorge dal basso, là dove i problemi si sentono, là dove il problema viene galvanizzato e reso operante.

Ora, per fare ciò, nessun organismo è più sensibile e rispondente della regione: essa ha già preso l'iniziativa efficiente per rompere i monopoli rovinosi, ha dato impulso ai molteplici fattori che in tutti i settori preparano le riforme che siano adeguate e rispondenti al particolare ambiente economico dove la regione svolge la sua opera. È la regione che può veramente condurre a conclusione tutto le iniziative utili ed immediate particolarmente urgenti per la nostra vita, che ha aspetti così doloranti ed esigenze così differenziate dalle altre. La regione, dicevo, deve essa esserne investita, e prendere il «ruolo che può farla determinante finalmente della frattura col passato ed aprire le vie dell'avvenire.

Nella mia prima giovinezza, nella solitudine della capitale lombarda, questa ansia di rinascita meridionale e sarda era anche tormento quotidiano, esigenza viva, bruciante passione, di fronte all'esperienza del mondo operoso che mi circondava. Mi volsi allora all'intelletto vivo, solitario nella sua Napoli, di Giustino Fortunato, al quale scrissi le parole della mia fede e della mia coscienza per il suo alto insegnamento. Le parole di risposta le ripeto a voi perché hanno costituito veramente il viatico di questa mia, dì questa nostra battaglia.

Egli scriveva allora che il pessimismo che lo aveva accompagnato in tutta la sua vita nella visione del problema meridionale, per l'incomprensione degli uomini ed il peso degli interessi prevalenti, trovava conforto, nella sua tarda età, di fronte alle forze giovani che dimostravano nuova sensibilità e volontà fervida di lotta per creare la rinascita del Mezzogiorno.

19939

Dei motivi di questa lotta per le regioni nostre tanto inferiori naturalmente alle altre e per le insufficienze ed il malvolere degli uomini così infelici rispetto al resto d'Italia, egli faceva, depositari i giovani.

In quelle parole vi era la fede rinnovata, volitiva, vi era tanta speranza nell'avvenire che oggi, forse, andiamo preparando.

Con tale ricordo io concludo questo mio intervento, che ha forse avuto il torto di tediarvi ma che io dovevo alla mia coscienza ed al compito di rappresentare la mia isola. Ho voluto rievocare in questa alta Assemblea la lotta che ha costituito veramente la bandiera di un partito per l'avvenire di una regione che ha realizzato l'autonomia attraverso dure battaglie e deve tramandare alle nuove genérazioni l'esperienza e l'insegnamento dei padri. Noi abbiamo la grande speranza che la vita nazionale diventi giusta per tutti, che per tutti sorga il giorno dell'unità, in libertà e in giustizia per il nostro paese. (Vivi applausi. Congratulazioni).

Presentazione di un disegno di legge.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Chiedo di parlare per la presentazione di un disegno di legge.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Ho l'onore di presentare, a nome del ministro degli affari esteri, il disegno di legge:

«Trattamento economico del personale del Ministero degli affari esteri in servizio presso gli uffici diplomatici e consolari all'estero».

Chiedo l'urgenza.

PRESIDENTE. Do atto della presentazione di questo disegno di legge, che sarà stampato, distribuito e trasmesso alla Commissione competente, con riserva di stabilire se dovrà esservi esaminato in sede referente o legislativa.

Se non vi sono obiezioni, rimarrà stabilito che l'urgenza é accordata.

(Così rimane stabilito).

La seduta è sospesa e sarà ripresa alle ore 21.30.

(La seduta, sospesa alle 20,25, è ripresa alle 21.30).

Si riprende la discussione sulla Cassa per il Mezzogiorno

e sulle opere di pubblico interesse.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LEONE

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volgger. Ne ha facoltà.

VOLGGER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio intervento in sede di discussione della legge per l'esecuzione di opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale non scenderà ad una analisi profonda del disegno di legge. Vi sarebbero da dire tante cose, ma mi limiterò a chiedere qualche spiegazione, a fare qualche rilievo e a sottolineare un aspetto della questione che mi sembra molto importante.

Più di un oratore ha osservato che i fondi previsti sono esigui ed insufficienti, e veramente 20 miliardi sono pochi se si considera la mole dei lavori che debbono essere eseguiti. Diventano ancora meno se si sente affermare da colleghi del Mezzogiorno che per il meridione non bastano 100 miliardi ma sono necessari 150 miliardi.

MAROTTA. Non bastano neppure 150 miliardi.

VOLGGER. Ed allora neppure i nostri 20 miliardi bastano. D'altra parte, nessuno può disconoscere che il Governo ha fatto uno sforzo poderoso per venire incontro alle esigenze della popolazione; e, se i soldi sono pochi, non è colpa del Governo, io immagino che tanto il ministro dei lavori pubblici quanto il ministro dell'agricoltura sarebbero i primi a rallegrarsi se potessero eseguire tutti i piani relativi alle opere pubbliche più urgenti che si ammassano sui loro tavoli.

Siccome i piani sono molti, e i quattrini sono pochi, questi devono essere investiti in modo appropriato, e in particolare, in zone che ne hanno più bisogno.

Nel primo articolo del disegno di legge, noi leggiamo che tra i lavori da eseguire sono compresi: la sistemazione dei bacini montani, le bonifiche, la trasformazione agraria, la viabilità minore, gli acquedotti e le fognature principali. Vorrei domandare a questo punto se nella viabilità minore siano comprese le funivie.

SCOCA. Presidente della Commissione. No: la viabilità ordinaria.

VOLGGER. Vorrei allora prospettare al ministro ed alla Commissione, per quanto riguarda la viabilità in montagna, che molte questioni inerenti a questo problema si possono risolvere con minore spesa ricorrendo alle funivie.

19940

Vi assicuro che si risparmiano tre quarti della spesa costruendo le funivie, che possono essere usate come vie ordinarie. Perciò, pregherei che il problema delle funivie fosse esaminato seriamente, in quanto le somme stabilite non potranno essere assolutamente sufficienti per la viabilità di montagna, mentre se si costruiranno le funivie si potrà ovviare a molti inconvenienti derivanti dalla mancanza della viabilità, specialmente in alta montagna.

La Commissione ha ritenuto di sopprimere l'aggettivo «grandi» a proposito degli acquedotti, aggettivo che era nel testo ministeriale; io credo che abbia fatto bene, poiché, evidentemente, si deve intendere che si porrà mano anche alla costruzione di acquedotti minori, di cui c'è tanta necessità. Per quanto riguarda la differenza che esiste fra il testo ministeriale e quello della Commissione, questa consiste soprattutto nello stabilire le località dove le opere dovranno essere eseguite.

Il testo ministeriale si richiama alle opere pubbliche straordinario che interessano l'Italia centromeridionale e in particolare le zone depresse. La Commissione ha creduto di dover stabilire in modo tassativo che le opere devono essere eseguite soltanto nelle zone ad economia depressa.

Onorevoli colleghi, non vi può essere dubbio che sui criteri della identificazione delle zone depresse molti saranno in disaccordo, e la Commissione ha stabilito che la delimitazione delle zone sarà fatta dal Comitato dei ministri, di concerto con il ministro del tesoro, e ha inoltre elencato vari criteri per l'attuazione di questa delimitazione. Nonostante queste precisazioni io francamente non mi sono potuto fare una idea chiara di che cosa significhino le parole «zone depresse».

Cominciamo dalla montagna; tutta la montagna è zona depressa sotto certi aspetti, ma tuttavia vi è differenza tra una zona di montagna ed un'altra. Non abbiate paura che io mi dilunghi in una descrizione pittoresca della miseria della montagna. Il problema della montagna sotto l'aspetto depresso consiste in questi due fatti: dissesto idraulico geologico e mancanza di viabilità. Queste sono le vere cause della depressione delle zone di montagna: niente altro. In qualche caso soltanto si può aggiungere anche l'irrigazione. Nella montagna mancano scuole, acquedotti, fognature; ma queste deficienze non sono tipiche delle montagne, si trovano dappertutto.

Noi, se non vogliamo polverizzare i fondi già scarsi per opere in montagna, dobbiamo fare in modo che i fondi vadano alla sistemazione delle questioni idraulico-geologiche e della viabilità; altrimenti si fa una piccola cosa lì, una scuola, una fognatura o un acquedotto, o qualche cosa di simile, e non si risolverà mai la questione della depressione della montagna: mai!

Per potermi fare una idea più chiara di che cosa significa «zona depressa» vorrei fare la prima domanda: di questi criteri elencati (se anche a puro titolo informativo) dalla Commissiono basta un criterio per la identificazione di zona depressa, bastano due, tre, o sono necessari tutti e quattro?

SCOCA. Presidente della Commissione. Si vedrà caso per caso.

VOLGGER. Mi aspettavo una simile risposta.

Poi, per chiarire la mia idea, vi porto due brevi esempi: chiunque di voi ha visto la Val d'Adige da Merano a Salorno certamente non potrà mai affermare che si tratti d'una zona depressa; anzi: è una delle zone più intensamente coltivate di tutta l'Italia. Ma anche in questa pianura coltivata, pianura piana di frutteti e di altre coltivazioni vi sono delle zone paludoso che minacciano di estendersi ogni anno di più alle zone limitrofe: abbiamo lo stesso fatto constatato già per la Liguria, che cioè nell'ambito dello stesso comune si verificano dei contrasti stridenti fra una parte del territorio e l'altra. Io vorrei sapere ora: queste zone paludose (prendo questo esempio non per campanilismo, ma perché è questione della mia provincia che conosco meglio di altre) potrebbero essere comprese nella espressione «zona depressa»? Aggiungo che la bonifica di queste zone interessa 1840 ettari, e tutta la bonifica si potrebbe fare oggi con 74 milioni: ben poco, mi sembra. Ma se non provvediamo adesso a bonificarla, a sistemare questa estensione, fra cinque o sei anni occorreranno somme più ingenti.

Aggiungo un altro esempio: l'Adige è stato sistemato l'ultima volta un secolo fa. Ogni anno l'Adige si riempie di materiali nuovi, e, se non si pulisce l'alveo del fiume in un periodo da due a cinque anni conforme all'andamento delle precipitazioni l'Adige strariperà certamente: non v'è dubbio, e tutti i tecnici lo dicono.

Onorevoli colleghi, oggi la Val d'Adige non è una zona depressa, ma quando strariperà il fiume la Val d'Adige sarà una delle zone più depresse di tutta l'Italia.

CREMASCHI CARLO. Questo riguarda la manutenzione ordinaria.

19941

VOLGGER. Domando dunque: dobbiamo aspettare fino a che la catastrofe venga o dobbiamo prevenirla anche coi fondi stanziati in questo disegno di legge?

SOCA. Presidente della Commissione. Co fondi ordinari bisogna provvedere.

YOLGGER. Ma quelli sono pochi. Si deve proprio aspettare che una zona che oggi non è depressa sotto tutti gli aspetti diventi depressa sotto tutti i riguardi per poter eseguire i lavori necessari?

. Un altro piccolo esempio ancora. Nella Val di Vizze c'è una zona paludosa di 300 ettari di terreno per sé fertilissimo. I contadini hanno fatto del loro meglio per cercare di bonificarla e sono riusciti a fare qualche cosa; ma da soli che cosa possono fare? Inoltre il torrente della valle ogni anno che passa costituisce una minaccia maggiore, poiché si tratta della minaccia di allagamento non solo della zona bonificata ma anche del fondovalle. Ora, se si fa il lavoro oggi, basterà una spesa non troppo grande, mentre, se si aspetterà che il fiume abbia inondato tutto, solo per i primi aiuti occorreranno allora le somme che oggi sarebbero sufficienti per la sistemazione di tutta la valle.

Dobbiamo dunque attendere anche qui che il disastro sia avvenuto? Oggi il pauperismo in quella zona non è tanto grande, la disoccupazione non è tanto grande: perché attendere che anche quella diventi una zona depressa? Secondo il mio avviso, le somme stanziate per le opere straordinarie di pubblico interesse nelle zone depresse dBll'Italia centrosettentrionale dovrebbero comprendere anche questi lavori preventivi per impedire gli straripamenti.

Su questa esigenza vorrei richiamare l'attenzione del ministro e della Commissione e credo che i competenti ministeri non mi possano dare torto, giacché, con la loro lunga esperienza, debbono certamente essere edotti che con i lavori preventivi si possono risparmiare somme ingenti. Io non ho nulla in contrario a che in primo luogo si pensi alla sistemazione delle zone ove sia reale miseria, ma insisto perché una parte di questi fondi sia spesa anche per quelle zone dove si profila imminente il pericolo della miseria.

Mi raccontava giorni or sono un collega ch nella sua regione era preventivato un certo lavoro per 25 milioni al fine di evitare una frana che si prevedeva imminente: ma intanto, nelle more della concessione della somma predetta, la frana è sopraggiunta e le autorità hanno dovuto spendere ben 12 milioni per i soli primi soccorsi.

19942

Si tratta quindi anche di risparmio di quei preziosi fondi che abbiamo disponibili, tanto più preziosi in quanto sono pochi. In caso contrario, mentre noi cerchiamo di sistemare le zone che si trovano oggi in condizione di grande miseria ci troveremo poi a dover fare altrettanto per zone che saranno nel frattempo diventate ancor più depresse di quelle sistemate.

E un ultimo rilievo: io leggo qui nell'articolo 1 che questi fondi straordinari debbono essere impiegati in base alle leggi vigenti. Ma a quanto mi risulta le leggi vigenti per la sistemazione idraulica e forestale della montagna non' sono assolutamente adatte per queste opere.

Perciò, io mi auguro che la nuova legge sulla montagna, che è stata promessa, venga portata al più presto possibile in Assemblea per creare le premesse adatte per l'investimento di questo prezioso denaro (Applausi).

SEMERARO GABRIELE. Chiedo di parlare.    o

PRESIDENTE. Per quale motivo?

SEMERARO GABRIELE. Domando la chiusura della discussione generale, poiché già vari colleghi di tutti i settori sono intervenuti ampiamente nella discussione.

MONDOLFO. Chiedo di parlare su questa richiesta.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MONDOLFO. Noi ci opponiamo alla chiusura perché i nostri rappresentanti delegati a parlare non sono ora presenti non avendo saputo che sarebbe stata tenuta una seduta notturna.    ]

PRESIDENTE. Credo che sia opportuno, onorevole Semeraro, che ella ritiri per il momento la sua proposta.

SEMERARO GABRIELE. Aderisco al suo invito e mi riservo'di riproporre la chiusura della discussione generale più tardi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cartia. Ne ha facoltà.

CARTIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il gruppo del partito socialista lavoratori italiani mi ha designato ad intervenire in questa discussione e conferma a mio mezzo il suo impegno di approvare questo progetto, votando favorevolmente.

È da tempo postulato un programma di rinascita meridionale da parte del partito socialista lavoratori italiani, e già il nostro Tremelloni ebbe ad impostare in termini concreti un piano economico,

che fu diffuso dalla stampa, proponendo un bilancio pluriennale di 3.000 miliardi.

Sarebbe stato nostro desiderio di chiedere nella combinazione governativa la realizzazione di tale programma, col quale saremmo andati oltre la richiesta dell'onorevole Corbino dai 1.500 miliardi, se non avessimo aderito a quella che è la realtà di bilancio. Lontani dai miracolismi, abbiamo preferito il buono e il modesto oggi, riservandoci di postulare più tardi il meglio e l'integrale.

Indubbiamente è stata fatta una critica fondata, cioè che i 1.000 miliardi sono insufficienti per risolvere il problema meridionale: critica molto elementare, e superficiale. Nemmeno il Governo pretende di risolvere con questi 1.000 miliardi il problema del Mezzogiorno. Però va dato atto che questo è uno sforzo massiccio e coraggioso che noi ci auguriamo possa essere, in avvenire, ulteriormente e maggiormente potenziato.

Che gli investimenti siano massicci si rileva obiettivamente dalla mole della cifra prevista in 10 anni, ma occorre anche rifarsi al senso del relativo.

Particolarmente, occupandomi dei problemi siciliani, ho rilevato da una statistica pubblicata da parte di un alto funzionario elei Ministero dell'agricoltura e delle foreste, in uno studio sulla bonifica inserito nel Nuovo Digesto italiano, che, durante ri periodo fascista, in 20 anni, furono spese per le bonifiche le seguenti somme: nell'Emilia un miliardo e 555 milioni (parliamo di cifre anteguerra); nel Lazio 210 milioni, nel Veneto 763 milioni, nella Toscana 357 milioni, nella Lombardia 236 milioni ed in Sicilia soltanto 95 milioni. Di fronte a questi precedenti, che devono fare meditare tanti nostalgici del meridione che sfruttano il malcontento per una propaganda di più o meno larvata riabilitazione del passato regime, noi guardiamo con sollievo ai 450 miliardi per bonifiche ed irrigazioni che sui mille miliardi sono stati destinati, secondo le dichiarazioni dell'onorevole De Gasperi del 31 gennaio 1950, alle bonifiche stesse, nel Mezzogiorno. Ragguagliando alla moneta di oggi i 95 milioni suaccennati, e tenendo conto di una quota di riparto spettante alla Sicilia alla stregua di criteri territoriali e demografici, noi confronti delle altre regioni meridionali beneficiarie dell'odierno provvedimento, troviamo più che duplicata detta somma e in un periodo per giunta di dieci e non di vent'anni. Anche. questo ci dice che lo sforzo è apprezzabile, seppure non risolve definitivamente il problema, che noi speriamo possa trovare in avvenire una più integrale soluzione.

Se poi a questi 450 miliardi per le bonifiche e le irrigazioni aggiungiamo anche quelli destinati alla trasformazione agraria, alla sistemazione dei bacini montani, alla viabilità e agli acquedotti, pur se non potremo dire di risolvere appieno il problema meridionale, dovremo convenire che v'è il proposito di fare il massimo sforzo per avviarlo a soluzione.

 SCOCA, Presidente della Commissione. Questo è parlare onesto.

MANDOLFO. Perché parla in vostro favore...

SCOCA, Presidente della Commissione. E la constatazione di una realtà di fatto.

GARTIA. Occorre ancora dire che tali investimenti sono stabiliti al di fuori dei normali stanziamenti di bilancio.

Né v'è motivo di essere scettici a proposito di questi normali stanziamenti di bilancio. L'ultimo comma dell'articolo 1° del progetto in discussione è abbastanza esplicito: «Restano ferme le attribuzioni e gli oneri dei ministeri competenti per le opere, anche straordinarie, alle quali lo Stato provvedo con carattere di generalità ed al cui funzionamento viene fatto fronte mediante stanziamenti noi singoli stati di previsione dei ministeri». È questo un comma elaborato dalla Commissione ed accettato dal Governo. E, si noti, stanziamenti normali anche per opere straordinarie: ciò che ci permetterà di inserire le nostre istanze meridionalistiche anche in queste prospettive.

Nemmeno v'è motivo di dubitare della adempienza a queste norme, perché il Parlamento è in grado di controllarne l'applicazione ed anche perché l'articolo 3, coordinato con l'articolo 1° dalla Commissione, enuncia esplicitamente che i programmi delle opere da eseguirsi dalla Cassa saranno predisposti dai competenti ministeri in conformità con l'ultimo comma dell'articolo 1° per l'esecuzione delie opere pubbliche che sono a totale carico dello Stato o possono fruire dei contributi. Dato questo coordinamento, il Parlamento avrà modo di esercitare il proprio controllo sui singoli ministeri.

Certamente il problema del Mezzogiorno, come ho detto, non sarà risolto compiuta. mente, e molto resterà da fare; ma non si può negare che questa prima tappa, apprezzabile e coraggiosa, rappresenta una impostazione conciata di un affannoso e vecchio problema sul piano nazionale: su un piano di convenienza e di solidarietà nazionale. Convenienza perché il sud non può essere e non deve essere soltanto un mercato di consumo per la produzione del nord, ma deve diventare un mercato di scambi efficienti

19943

per tutta l'economia collettiva della nazione: il sud deve uscire dalla sua depressione economica nell'interesse della nazione tutta. Ma non basta a tale uopo un programma di lavori pubblici e di trasformazione agraria; v'è da raccomandare che la politica del Governo tenga presenti tutte le esigenze meridionali. Noi in tal senso sempre postuleremo.

Certamente occorre aver presente il Mezzogiorno non solo per una politica di investimenti, ma in tutto il complesso della politica generale, per cui sento di richiamare l'attenzione del Governo sulla necessità di tener presente il Mezzogiorno in ogni suo atto, sui più diretti o indiretti riflessi che ogni provvedimento può avere a vantaggio o a danno del Mezzogiorno; poiché la politica generale deve essere connessa con le finalità che attraverso la Cassa ci proponiamo di raggiungere. Infatti, non basta stanziare massicci investimenti, se non si coordina l'attività politico economica del Governo indirizzandola a finalità antidepressive, se non si coordina verso lo stesso scopo l'azione del Governo, in tutti i campi, da quello fiscale a quello doganale, da quello creditizio a quello dei prezzi, ecc..

Anche nelle piccole cose che passano inavvertite, che possono formalmente essere ispirate a criteri di giustizia, bisogna stare attenti, perché spesso si può, senza volerlo, frustrare quelle stesse finalità che oggi con la Cassa intendiamo raggiungere.

Ve ne do un esempio recentissimo richiamandomi ad una discussione già svolta in quest'aula pochi giorni fa, a proposito del regime fiscale degli alcoli. In Sicilia due province, la mia (quella di Ragusa) e quella di Siracusa, avranno certamente anch'esse l'apporto degli investimenti della Cassa, e ad esse la notizia dell'odierno provvedimento sarà gradita. Ma ciò nello stesso momento in cui quel decreto del 18 aprile sull'alcoole stende al suolo l'economia agricola delle due province e paralizza e ferma uno sviluppo industriale che già si era consolidato! Perché? Perché è stato visto un problema di politica fiscale in termini generali: praticamente, per andare incontro al vino si sono trattate le carrube come tutte le altre frutta, senza tener conto che il carrubo è una pianta industriale, e si è introdotto un regime ficcale che impedisce la distillazione dalle carrube.

Questo significa che, mentre creiamo la Cassa per il Mezzogiorno, non viviamo coordinatamente in tutti i settori quell'istanza meridionalistica che l'odierno progetto di legge conclama. Le due province a cui ho accennato sono ad agricoltura molto progredita:

perché quando parlo di Ragusa parlo di una provincia che è all'avanguardia della cultura di primaticci, ricercati e conosciuti sui mercati internazionali. Trattasi di una provincia che ha fatto in agricoltura passi giganteschi, anche per la sua particolare storia economico agraria. In quella provincia il latifondo è scomparso attraverso una erosione secolare, iniziatasi con un dissesto di un conte di Modica, il quale, quattro secoli fa, dovendo fronteggiare grossi debiti contratti a causa di una guerriglia, diretta a realizzare il reame di Sicilia, pensò di dare in enfiteusi i feudi della contea per riuscire ad estinguere le sue passività. Egli, avvalendosi di una concessione che lo autorizzava ad esportare del grano in tempi, com'erano quelli, di carestia cronica, diede per canoni in grano la terra in enfiteusi, frazionò i suoi feudi e costruì le premesse di quella piccola proprietà che è oggi alla base della riforma agraria e nelle province di Siracusa e di Ragusa è largamente formata e consolidata. E quella proprietà frazionata, che ha fatto sparire il latifondo, ha sviluppato quasi dappertutto culture intensive. Là dove non si poteva piantare l'albero si è incrementata la zootecnia, che ha affermato una razza bovina assai conosciuta. E dappertutto si è diffuso l'albero, prevalentemente il carrubo, anche nella roccia, che questa pianta rude e benefica riesce a spaccare.

Nelle dette due province vi è un vero bosco di carrube che, oltre ad assolvere a una grande funzione di rimboschimento, rappresenta una apprezzabile fonte di reddito per tanti contadini piccoli proprietari e di lavoro per tanti braccianti, sia per le culture, sia per il raccolto, sia per il trasporto del prodotto. Più tardi, l'utilizzazione industriale delle carrube portò all'impianto di stabilimenti industriali, e sono sorte le distillerie, sono sorte le industrie per frantumare le carrube, sono sorte anche le industrie per la valorizzazione del seme per produzione di farina speciale assai ricercata anche sul mercato internazionale.

Quando la Cassa interverrà in quelle province e avrà fatto delle bonifiche non potrà riparare con ciò quanto si sarà distrutto se non si salverà la valorizzazione industriale delle carrube, che non può nuocere alla distillazione del vino perché l'apporto annuo di alcole da carrube, come ha ammesso lo stesso ministro delle finanze, è di appena 115 mila ettanidri, compreso quello proveniente da carrube importate (e che non si dovrebbe fare importare!). Se la Cassa vuol incrementare lo sviluppo economico del sud non si distrugga con altre leggi lo sviluppo che si è raggiunto.

19944

L'industrializzazione del sud va difesa là dove si è già impiantata e sviluppata, anche se questa difesa avesse aspetti protezionistici. Poiché siamo stati larghi di protezione al nord, possiamo, ogni tanto, sorreggere con speciali provvedimenti, anche se questi avessero aspetti protezionistici, le manifestazioni di sviluppo industriale meridionale, specie quando ciò è per giunta connesso' colla produzione agricola e colla trasformazione agraria.

La politica del Governo deve perciò tener presenti le complesse esigenze meridionali in tutti i settori. Ho accennato a quello fiscale, ma si deve tener presente anche la politica dei prezzi. Ad esempio, si legge nel rapporto sull'Italia dell'amministrazione del piano Marshall: «Nel primo anno di attuazione del piano Marshall si constata un declino dei prezzi agricoli, mentre i prezzi dèi prodotti per l'agricoltura, soprattutto dei fertilizzanti e dei macchinari, rimasero alti in relazione all'eccessivo costo industriale e alla mancanza di una formazione concorrenziale dei prezzi». L'allusione è chiara: si accenna al prezzo dei fertilizzanti, eccessivo, per gli aspetti monopolistici della loro produzione. Se questi incidono dannosamente sa tutta l'agricoltura italiana, è evidente l'incidenza particolarmente nociva che essi hanno sull'economia agricola del meridione. Potrei continuare l'esame in altri campi; in quello doganale per esempio; ma ciò significherebbe allontanarsi dall'esame del progetto di legge, mentre i miei rilievi tendono soltanto a dimostrare che una politica meridionalistica non sarà attuabile soltanto con la Cassa per il Mezzogiorno, ma che occorre anche la vigilante attenzione del Governo, pur nei più modesti e insignificanti aspetti della sua azione quotidiana, affinché i bisogni del Mezzogiorno siano tenuti sempre presenti.

E passiamo all'esame del disegno di legge. Si è criticata la Cassa come ente autonomo; ma e certo che si è raggiunto un duplice risultato: un bilancio pluriennale consolidato di investimenti massicci attraverso un ente che attua le finalità di potenziamento economico del sud con un'azione unica, organica, coordinata e sollecita.

All'onorevole Corbino, che si è meravigliato dell'adesione dei partiti così detti minori partecipanti al Governo per questa sottrazione alla competenza dello Stato di poteri affidati alla Cassa, faccio osservare che egli ha sempre come modello il vecchio Stato liberale. Lo Stato moderno ha moltiplicato le sue funzioni, con una ingerenza sempre più in espansione nei fatti economici e sociali,

e che oggi è fortemente accentuata, per cui la vecchia struttura dello Stato liberale, agnostico o soltanto osservatore, è divenuta insufficiente.

Lo stesso Stato liberale, del resto, avvertiva le esigenze di un decentramento amministrativo, che prospettava sul piano regionale attraverso tentativi di vari progetti.

Ora nulla vieta che tale decentramento abbia non solo aspetti territoriali ma anche funzionali, nella articolazione democratica di uno Stato moderno.

Non mancano precedenti in altri Stati democratici: in America il problema della valorizzazione della valle del Tennessee è stato risolto con un ente unico e là si trattava di sei Stati detentori di sovranità nell'ambito della Confederazione ed attraverso la unificazione di azione con indirizzi organici e decisi dell'ente unico, si operò una grande rivoluzione conomica: e sei Stati hanno sacrificato la loro sovranità in omaggio alla coordinazione ed alla unicità di indirizzo, mentre, purtroppo anticipo dei rilievi che appresso farò le nostre regioni non hanno sentito eguale imperativo categorico nel loro stesso interesse.

Altro precedente: in Inghilterra il governo laburista, nel giugno 1945, ha approvato un provvedimento per le aree depresse. Il provvedimento legislativo fissa alcuni principi fondamentali ed alcune forme di intervento che si ritengono atte a promuovere lo sviluppo industriale nelle aree depresse, demandandone l'applicazione pratica ad un organismo autonomo, il quale ha facoltà molteplici tra le quali quella di acquistare financo i terreni per la costruzione di impianti e di procedere anche direttamente a tali costruzioni, quella di fare prestiti a società industriali operanti nelle aree di sviluppo, la facoltà di assistere gli imprenditori che si propongono di impiantare una industria in una area di sviluppo mediante concessione di prestiti e di sussidi annuali da parte del Tesoro. Qualche cosa di più, come vedete, di quanto noi abbiamo fatto per la industrializzazione del Mezzogiorno e sostanzialmente stiamo invece facendo per la Cassa per il Mezzogiorno.

Ma da noi la creazione di questo ente è soprattutto una imprescindibile esigenza di efficienza nell'azione.

L'insuccesso delle varie leggi nell'interesse del Mezzogiorno, del 1904, 1906, 1907, 1925, e di altre, fu dovuto, in sostanza, a due motivi: una insufficienza e discontinuità di mezzi finanziari, e, secondo,

19945

una visione unilaterale di singole opere pubbliche non coordinate tra di loro per il fatto che l'attività esecutiva delle opere pubbliche è frazionata fra più ministeri, chiusi nelle rispettive competenze e non sempre con identità di vedute tra loro, se non addirittura ignari l'uno delle vedute dell'altro. Ed in seno a ogni singolo ministero l'esclusivismo delle singole competenze delle direzioni generali! Cosi lo Stato, invece di fare convergere i vari mezzi verso un comune risultato, li disperde in mille rivoli, giovando agli interessi particolaristici ed individuali anziché all'interesse generale.

Un tentativo di unificazione fu fatto da un ministro siciliano dei lavori pubblici, Gabriele Carnazza, il quale nel 1921, sia per un bilancio pluriennale consolidato sia per un'unica coordinazione, provocò e fece votare un apposito decreto-legge. Le sette direzioni generali del Ministero dei lavori pubblici, divise per materie (strade, opere idrauliche, bonifiche, porti, ecc.) furono raggruppate in tre direzioni generali territoriali Italia settentrionale, Italia centrale, Italia meridionale ed insulare col compito di affrontare con criterio unitario l'esecuzione delle opere.

Ma, se il provvedimento escogitato dal Carnazza aveva assicurato la unicità di un settore, non risolveva il problema del coordinamento con gli altri molteplici settori, infatti in un complesso e vasto programma contro la depressione economica vi sono non soltanto opere pubbliche ma bonifiche, opere igieniche, problemi marittimi, industriali, ecc., che richiedono azioni convergenti verso un unico risultato. Non basta il coordinamento in seno ai singoli ministeri, ma occorre anche il coordinamento al di sopra e al di fuori dei ministeri.

Ecco, quindi, l'esigenza dell'ente che si è pensato di istituire e che ha precedenti presso altri Stati democratici; ente che assolve a questa funzione di unificare e di coordinare le competenze delle varie amministrazioni.

Ma non basta; occorrono anche speditezza e sollecitudine nell'azione. Lo Stato si muove nel binario delle dotazioni di bilancio; e se ha bisogno di storni, deve attendere per mesi l'adesione della finanza; se ha bisogno di prestiti, deve promuovere una legge che lo autorizzi; e, quando ha ottenuto la legge, l'autorizzazione, i pareri, ecco nuovi ostacoli: la duplice barriera della ragioneria e della Corte dei conti, spesso in gara emulativa tra di loro

a chi sa trovare un maggior numero di rilievi, che si traducono, poi, in remore alla speditezza dell'azione amministrativa.

La Cassa supera la lentezza e la vischiosità burocratiche, senza indebolire i controlli, che sono stati predisposti nel progetto e hanno una serie di garanzie tranquillanti; compreso soprattutto il controllo del Parlamento, assicurato attraverso emendamenti che la Commissione ha predisposto, come quello all'articolo 3, in relazione ai programmi. E vi è la vigilanza del potere esecutivo, attraverso il presidente del Consiglio o il ministro designato; la vigilanza, di carattere continuativo, del collegio dei revisori; i programmi sono sottoposti all'approvazione del comitato dei ministri e successivamente comunicati al Parlamento; il bilancio annuale, infine, viene presentato al Ministero del tesoro con le relazioni del consiglio di amministrazione e del collegio dei revisori dei conti ed è comunicato al Consiglio dei ministri, in allegato al conto consuntivo dello Stato, per essere, poi, presentato al Parlamento.

Quindi, l'istituzione della Cassa non ha per nulla diminuito i controlli, mentre ha assicurato celerità e speditezza di azione.

Se con queste ragioni noi giustifichiamo l'istituzione di questo ente speciale, bisogna però che siamo coerenti quando si tratta di regolare i rapporti tra questo ente e le regioni.

In questo senso ho proposto degli emendamenti in seno alla Commissione, emendamenti che non sono stati accettati; li riproporrò quindi, alla Camera. Penso che su questo terreno posso serenamente affrontare il problema perché sono siciliano, cioè della regione che ha conseguito la più ampia autonomia. Qui non pongo un problema di regionalismo; pongo un problema di coerenza legislativa, ed accentuo l'esigenza di quella 'celerità e speditezza, di quella unicità di visione nella realizzazione dei problemi, che sono alla base di questa legge.

Abbiamo detto che bisogna rimuovere le remore ed assicurare unicità di indirizzo. Cosa dispone l'articolo 19, secondo il testo che è stato elaborato attraverso le trattative con i rappresentanti delle regioni? Abbiamo evitato Scilla, cioè la burocrazia statale (che non ha poi tutti i torti, perché spiega la sua azione in un ordinamento amministrativo antiquato e non rispondente alle esigenze dello Stato moderno, tanto che siamo in attesa di una riforma amministrativa), e siamo incappati in Cariddi: abbiamo evitato la burocrazia centrale per incappare nella burocrazia regionale, meno esperta, meno capace, nuova ed improvvisata, in buona parte prelevata senza concorsi dai piccoli ambienti locali.

19946

Secondo l'articolo 19 del progetto di legge si dovrà agire «di intesa» con le amministrazioni regionali. Arrivato a questo punto, dichiaro di preferire la tesi dell'onorevole Me lis il quale dice: affidiamo alle regioni l'esecuzione, purché vi sia unicità di indirizzo.

In guerra i comandi unici sono una condizione essenziale: e quando il comando non è unico si va incontro all'insuccesso. L'esigenza dell'unicità di volontà è fondamentale: l'abbiamo detto por giustificare la creazione dell'ente; l'abbiamo detto per giustificare la ratio legislativa della istituzione di questo nuovo ente, che dovrà trovare la sua classificazione in diritto pubblico.

Per l'articolo 19 occorre agire «d'intesa» tra la Cassa e le regioni.

Come si raggiungerà l'intesa? La regione siciliana ha diversi assessorati: all'agricoltura, ai lavori pubblici, all'igiene, ecc.. Se occorre l'intesa dobbiamo arrivare a questo risultato: che la Cassa deve accettare l'intervento della amministrazione regionale come una concorrente volontà deliberante. La «intesa» vuol dire appunto un concorso nella volontà deliberante.

Anche se nella più favorevole delle ipotesi si raggiungerà sempre l'intesa, qual è il curriculum amministrativo e burocratico che bisogna percorrere perché vi sia un'amministrazione regionale che possa riirsi competente a dare la sua manifestazione di volontà integrativa di quella della Cassa per la programmazione e per l'esecuzione delle opere? L'assessorato all'agricoltura non potrà deliberare da solo. Dovrà prima interpellare il comitato di bonifica regionale; dopo aver avuto dal comitato di bonifica regionale il parere, sia pure consultivo, dovrà per ragioni di coordinazione sentire l'assessorato ai lavori pubblici il quale a sua volta non potrà prendere deliberazioni se non previo parere tecnico del provveditorato alle opere pubbliche. È tutto uno snodarsi, e, nel contempo, un aggrovigliarsi di pratiche burocratiche, pareri e determinazioni, che finalmente arriveranno alla giunta regionale, la quale esprimerà la sua approvazione su un determinato numero di programmi, che poi dovranno concordare con i programmi predisposti dalla Cassa, la quale a sua volta deve coordinare il suo programma in funzione delle deliberazioni prese dal comitato dei ministri, come la legge prevede.

Dico queste cose da siciliano che intende difendere i fini e la sostanza dell'autonomia della propria regione,

e non della sua struttura formale con le relative ragioni di prestigio, di aspetto campanilistico, o di esclusivismo di cariche; perché a me preme, invece, che i lavori marcino con celerità, che i lavori vengano eseguiti e che ci sia una visione unitaria, e per quanto riguarda la regione basta che questa sia, come tutte le altre regioni, interpellata e sentita.

lo credo che il parere consultivo debba bastare, garantendo il funzionamento sollecito della Cassa per il Mezzogiorno, che altrimenti per la Sicilia (e così dovrei anche dire per la Sardegna) diventerà piuttosto complicata ogni realizzazione più di quanto non sarebbe stato lasciando l'esecuzione delle opere alla competenza dei singoli ministeri.

Si è detto però che tutto questo trova ostacolo nella Costituzione: non lo credo. Oggi io sento di compiere un atto di onestà e di coraggio, perché so perfettamente di non essere gradito, usando questo linguaggio, ai miei colleghi dell'assemblea siciliana, ma sento di interpretare le esigenze del popolo siciliano.

Occorre che questo atto di onestà e di coraggio sia compiuto da tutti noi, superando ogni opportunismo di ragioni politiche e nell'interesse delle regioni stesse. L'eccezione costituzionale che si pone, onorevoli colleghi, io non la trovo fondata. Si è detto che l'articolo 14 dello statuto siciliano, parte integrale della Costituzione, attribuisce la legislazione esclusiva alla regione sulle seguenti materie: agricoltura e foreste e lavori pubblici; ma aggiunge: «eccettuate le grandi opere di interesse prevalentemente nazionale».

Dunque, la competenza esclusiva della regione c'è per i lavori pubblici, ma ne fanno eccezione le opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale.

Che cosa stiamo facendo con la Cassa per il Mezzogiorno? Stiamo gridando ai quattro venti di compiere la più grande opera che si sia attuata dopo 80 anni di unità, stiamo dicendo di risolvere questi problemi come problemi nazionali, e noi meridionali siamo sensibili all'impostazione di un programma che affronta le nostre angustie e la nostra miseria, di un problema che riguarda tutta la nazione.

Dunque il problema è posto sul piano nazionale, e la Sardegna e la Sicilia, solidali con le altre regioni che si trovano nelle stesse condizioni e aspettano questa nuova politica di investimenti massicci, non possono che attendere di essere sollevate insieme, con organicità di programmi, dai comuni bisogni.

19947

C'è un impiego imponente di oltre 1000 miliardi, e sono in vista altri stanziamenti che dovranno essere impegnati nell'interesse di tutto il Mezzogiorno, per finalità di solidarietà nazionale; e dopo tutto questo non possiamo esitare nell'escludere che una azione così massiccia, che inquadra tutto un problema nazionale, possa essere considerata come una semplice assegnazione frazionata di lavori pubblici di competenza regionale, e dobbiamo apertamente riconoscere che va piuttosto inquadrata come esecuzione di grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale.

Una voce al centro. Il problema è nazionale, ma le opere possono essere regionali.

CARTIA. Se faremo ancora la politica dei lavori municipali; se immiseriremo il problema delle aree depresse nelle piccole competizioni e gelosie locali, fino a che non si sarà formata una classe dirigente regionale matura per la visione di problemi collettivi a largo respiro, noi ci perderemo in rissose rivalità per risolvere il problema del ponte tale o della stradetta tale nei suoi aspetti provinciali o comunali; e si perderà di vista la funzione organica della legge, che è quella di superare la depressione, in funzione di potenziare la produttività e il benessere collettivo, in connessione anche col problema della riforma agraria, che la nuova legge contempla, e della relativa trasformazione fondiaria. Quindi è una impresa di mole alla quale noi ci accingiamo con mezzi insufficienti oggi, con mezzi più ampi domani: abbiamo già detto che i mille miliardi non basteranno, abbiamo detto che sono un acconto sull'avvenire; e così noi lo consideriamo: un acconto che deve portare ad avviamento la soluzione del complesso e vasto problema. Non possiamo ridurre questo problema ad una visione strettamente locale. Resta una visione unitaria d'indirizzo e di azione, e non la dobbiamo dividere, perché se no sbricioliamo l'azione, la frantumiamo, la polverizziamo e, soprattutto, la ritardiamo.

I precedenti che nella relazione sono stati indicati decreti 5 maggio 1948, n. 121, e 29 dicembre 1948, n. 152 non fanno ostacolo alla soluzione di questo problema, perché se mai confermano l'interpretazione costituzionale dell'articolo 14 dello statuto siciliano, che io or ora ho esaminato, in quanto uno stanziamento di 20 miliardi da erogarsi in 4 mesi, 20 miliardi per tutto il Mezzogiorno,

possono sì rientrare nelle piccole opere pubbliche per cui la competenza può restare alle regioni e la spesa essere affidata alle regioni. Teniamo all'autonomia regionale? E allora diamo alla regione tutta la competenza. Io qui voglio appunto prospettare, per coerenza, che se noi abbiamo creato questo ente per tutto il Mezzogiorno al fine dell'unicità, di indirizzo e della celerità di azione, queste due finalità, che legittimano e giustificano questa innovazione legislativa in diritto pubblico, finiscono per essere rinnegate se più tardi noi questa celerità, di azione e questa unicità di indirizzo frantumiamo nel regionalismo.

Un altro punto va tenuto presente nell'esame del provvedimento: la politica creditizia. Sono fortunato di vedere in rappresentanza del Governo il ministro Petrilli, perché è proprio con lui che ho avuto in Commissione un disaccordo sul mio emendamento all'articolo 14 del progetto. Intendo riproporre la questione e intendo sottoporla ai colleghi in questa Assemblea: perché i fondi assegnati alla Cassa devono essere lasciati presso l'istituto di emissione e non affidati agli istituti bancari di diritto publieo a carattere regionale? Si tratta di erogazione effettiva? Mi si è risposto che si tratta di erogazione effettiva, non di registrazioni contabili sui registri della Banca d'Italia: sono denari contanti e sonanti. Allora si possono mettere in circolazione.

L'onorevole Corbino ha chiesto nel suo discorso e si è riservato di presentare emendamenti in proposito dei versamenti bimestrali. Io aderisco toto corde a questa richiesta. Senza dubbio tra stanziamenti e spese decorre un lasso di tempo: è questo, allora, che si vuol utilizzare nella erogazione della spesa da parte del Tesoro? E perché? Vi è un ente autonomo, che tra l'altro esercita il credito agrario nei suoi diversi aspetti di credito di esercizio, di credito di miglioramento, di credito fondiario, ed è ammesso ad esercitarlo non certamente attraverso la Banca d'Italia, ma attraverso le sezioni specializzate dei singoli istituti regionali: saranno il Banco di Napoli, il banco di Sicilia, il Banco di Sardegna.

Bisogna eliminare questa stravaganza, perché, ad un certo momento, noi vediamo che la Cassa riscuote degli interessi su una parte delle somme degli stanziamenti annui e non su un'altra parte. Così dispone l'articolo 13, se non erro, del progetto: «I pagamenti che affluiscono alla Cassa per interessi sui finanziamenti, ecc., sono destinali al credito agrario di miglioramento e di esercizio ed al credito fondiario nell'Italia meridionale».

19948

Dunque, noi abbiamo 20 miliardi provenienti dal fondolire che fruttano interessi, ed abbiamo 80 miliardi che restano giacenti. Se fossero dati agli istituti regionali, questi potrebbero renderli fruttiferi; ma ciò che più importa è che in margini prudenziali dovrebbero investirli nel credito di miglioramento agrario. In altri termini, il problema che io pongo è questo: vi sono, accanto al problema degli investimenti pubblici, dei problemi di investimenti privati.

Noi vogliamo, infatti, creare le premesse delle bonifiche, delle strade, di tutto quanto è necessario perché l'agricoltura meridionale sia potenziata, possa acquistare una maggiore produttività, e tutto questo si fa non soltanto con gli investimenti pubblici ma anche con gli investimenti privati, tant'è vero che nel progetto di riforma agraria in corso di' rielaborazione sono previsti anche investimenti privati sotto il triplice aspetto di investimenti coatti, senza di che noi non raggiungeremo utili risultali.

Rossi Doria, che è uno dei più illustri scrittori di cose agrarie, ha prospettato l'anno scorso nel convegno di Firenze che occorrono per lo meno 100 miliardi di investimenti privati a fianco di 300 miliardi di investimenti pubblici. E allora io domando: credete voi che nel Mezzogiorno vi sia questa possibilità di formazione di risparmio fresco che autorizzi a pensare che possano Ironeggiarsi le esigenze del credito di miglioramento agrario in relazione agli sviluppi e ai bisogni che una politica di investimenti pubblici determinerà per la concomitante azione dei privali?

Infatti la Cassa, secondo l'ultimo comma dell'articolo 13, ha la facoltà di attingere alla Banca d'Italia per esercitare il credito agrario. Dice l'articolo 13: «Nei primi cinque anni di funzionamento della Cassa, se l'afflusso dei pagamenti di cui al 1° comma non sia sufficiente per provvedere alle provvidenze contemplate nel comma medesimo, potranno utilizzarsi, salvo la ricostituzione in anni successivi, le altre disponibilità della Cassa».

Ciò vuol dire che la Cassa può chiedere fondi alla Banca d'Italia per potenziare il credito agrario e di miglioramento. Quindi non v'è inflazione creditizia ma v'è saggia amministrazione delle disponibilità effettive esistenti, che sono denaro vivo, non denaro inflazionato. Allora, perché impedire che questo sia più celermente disposto attraverso le sezioni specializzate degli istituti di credito

degli enti regionali, con maggiori elasticità e dinamicità, con quello che può essere anche l'apporto di una visione unitaria e concreta e specializzata nell'esercizio del credito fondiario e di miglioramento?

Ma anche fosse inflazione creditizia (e non lo è), io non dimenticherò e vi prego di ricordare il poderoso discorso di Einaudi, in sede di Costituente, il discorso della «linea Einaudi». Richiamo anche il suo articolo che più tardi scrisse in polemica sul Corriere della sera nel 1948, «Il sofisma», in cui ribadiva un insegnamento. Io non mi voglio smarrire in questa disamina; faccio tesoro di questo insegnamento. Cioè, laddove e quando i fattori produttivi sono pronti ed attendono di essere messi in moto, anche una iniezione artificiale di moneta circolante inflazionata, o di moneta inflazionata attraverso il credito, può fare sperare in risultati di feconda produttività e può essere un benefìcio.

Vorrei fare un esempio: vi è. proprio nella mia provincia, un comprensorio di bonifica sulle foci dell'Irminio, nel quale due anni fa, mentre ero sottosegretario all'agricoltura, fu captata una sorgente di acqua di 1.200 litri al secondo, sorgente che poi fu allestita con una. spesa di 20 milioni circa. Ebbene, due anni abbiamo atteso un finanziamento di 300 milioni circa affinché fossero fatti i canali di irrigazione: oltre 2.000 ettari di terra sarebbero stati già, e saranno quanto prima, messi a coltura di primaticci, in una plaga che ha maestranze agricole già preparate alla coltura dei primaticci di esportazione. Due anni si è atteso, e l'acqua è andata a mare e si è perduto un incremento di prodotti pregiati. Due anni per una politica economica che, se apprezzabile per la stabilità dèlia lira, ha troppa esitazione di agire nel campo produttivistico. Bisogna avere una più larga visione! E, quindi, affidando i fondi agli enti regionali di credito, non solo non si provocherebbe l'inflazione, ma si metterebbero in movimento quei fattori produttivi che esistono e che voi volete potenziare attraverso la Cassa per il Mezzogiorno.

Anche se aspetti inflazionistici vi fossero, sarebbero benèfici, in funzione di futura resa; ed è resa futura in un modo relativo, perché è relativamente breve il ciclo degli investimenti in molti miglioramenti agrari. Nel comprensorio citato, io penso che v'era nel giro di due anni la possibilità di produrre primaticci in quantità tale da potere, con le divise estere che avremmo importato, mercé la relativa esportazione dei prodotti, riparare rapidamente quelli che potevano essere gli effetti transeunti e contingenti di un fenomeno lievemente inflazionistico.

19949

Ragione per cui vi prego di meditare su questo punto e di fare ih modo che questi fondi siano affidati agli istituti bancari di diritto pubblico a carattere regionale, disciplinandone l'impiego, controllato della Cassa, in prestiti di credito agrario.

Io con ciò avrei finito se non avessi bisogno di accennare che questa esigenza di investimenti ha un aspetto moteplice: non è solo una richiesta di una politica generale economica, ma vuole essere una specifica richiesta in relazione alla legge. Vi prego di considerare che in connessione col progetto di riforma agraria sono previsti, per la formazione della piccola proprietà contadina, i benefici della legge del 24 febbraio 1948, n. 114, la quale prevedeva una spesa di 5 miliardi da servire, in ragione di 100 milioni all'anno a decorrere dal 194748, all'aumento dei fondi per concorrere agii interessi sui mutui a termine previsti delle leggi.5 luglio 1948, n. 1160, e successive. Dunque lo Stato concede contributi per gli interessi sui mutui, ma bisogna che vi sia prima chi questi mutui accorda, perché a nulla serve dare ai contadini le terre e agevolare il pagamento degli interessi sui mutui se non si trova chi conceda i mutui. Credete voi che vi siano disponibilità di risparmio tali da potervi attingere i privati, per collaborare ad una trasformazione su vasta scala quale è quella che sarà determinata dalla riforma agraria? A questo occorrerà provvedere nell'interesse del consolidamento della proprietà contadina che vogliamo creare, non foss'altro per dare realtà di esecuzione a disposizioni già acquisite in precedenti legislativi. Non incappiamo nello stesso inconveniente nel quale si cadde con la legge per l'industrializzazione del Mezzogiorno per cui furono previsti un contributo diretto dello Stato di 10 miliardi ed un contributo, sotto forma di concorso al pagamento di interessi sui mutui, da farsi dagli istituti bancari, per altri 10 miliardi. Gli istituti bancari risposero di non disporre di tale somma, e fu giocoforza ricorrere ai ripari con un altro provvedimento legislativo, che pose a carico dello Stato anche gli altri 10 miliardi.

Occorrerà dunque preoccuparsi di stabilire quali saranno le disponibilità che si porranno a disposizione dell'iniziativa privata ed in particolare dei contadini ai quali daremo la terra: costoro infatti avranno il diritto, oltre che il dovere, di spiegare tutte le loro iniziative e quindi di ricorrere ai mutui per consolidare, migliorare e potenziare la proprietà che viene loro assegnata.

Tutto questo perché, altrimenti, la legge resterebbe lettera morta, e noi avremmo stabilito le premesse per la riforma agraria senza arrivare ad efficaci risultati concreti.

Onorevoli colleghi, chiudendo il mio discorso, voglio ricordare la osservazione che l'onorevole Corbino faceva ieri l'altro a proposito del ritmo degli investimenti nella esecuzione dei progetti della Cassa. L'illustre collega ebbe a manifestare una preoccupazione e suggerì di operare gli investimenti secondo una curva parabolica, in modo da avere il massimo investimento al sesto anno: e questo in vista della crisi che si potrebbe verificare negli ultimi anni con una repentina cessazione di lavori. Io non solo non condivido questa preoccupazione, ma di essa voglio fare proprio il tema di chiusura del mio intervento. L'onorevole Corbino, quando accennava a questa ipotesi, o era ottimista (perché prevedeva che alla fine del decimo anno tutto il programma meridionale sarebbe stato esaurito e quindi non sarebbe restato altro da fare); ma in questo caso egli non dovrebbe avere motivo di preoccuparsi di una crisi finale, perché gli scopi della Cassa sarebbero stati raggiunti e avremmo avuto già quel sollievo del quale si parla in termini astratti, quando si parla della soluzione integrale del problema del Mezzogiorno; oppure l'onorevole Corbino ammette che alla fine dei dieci anni si sarà fatto uno sforzo, che avrà, sì, un valore storico, che ha un peso finanziario oggi, secondo le finanze dello Stato, che è manifestazione di lodevoli propositi, che è impostazione concreta di avviamento alla soluzione di un ponderoso problema, ma che tale sforzo possiamo convenire fin da ora alla fine dei dieci anni non avrà risolto nei suoi termini integrali il problema meridionale.

Noi meridionali dobbiamo osservare fin d'ora che, se non è possibile oggi impegnare finanziariamente lo Stato oltre un programma decennale, ciò non preclude che si debbano sviluppare in prosieguo ulteriori programmi.

E, quindi, l'istanza che formuliamo ora non è quella di intensificare gli investimenti secondo una curva parabolica, ma è quella che il problema del Mezzogiorno, che sarà indubbiamente avviato a concreta soluzione con questa legge, resterà purtroppo anche alla fine dei dieci anni, se non interverremo con ulteriori massicci investimenti e con un complesso di provvedimenti che ci auguriamo possano essere impostati attraverso le possibilità di bilancio.

19950

Quindi, alla fine dei dieci anni, specie i meridionali avranno questo dovere: di porre sempre in termini di postulazione costante e pressante l'esigenza accolta nel provvedimento che oggi noi impostiamo, perché, su questa prima pietra che noi posiamo, deve svilupparsi la costruzione dell'edificio completo. E siamo certi fin d'ora che, così come oggi, con piena cordialità e solidarietà di intenti, vediamo pulsare in unità di sentimenti il cuore del nord e del sud, sarà avverato l'augurio che, ancora e sempre, e fra dieci anni, possa la stessa istanza di realizzazione del programma meridionale trovarci concordi, con lo stesso spirito di solidarietà nazionale! (Applausi — Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roberti. Ne ha facoltà.

ROBERTI. Signor Presidente, l'ora tarda e l'aspetto stanco e direi quasi assonnato dell'Assemblea mi suggerirebbero di non parlare. È indubbiamente per un senso di dovere che si prende la parola in queste circostanze, specialmente per chi ha la ventura di essere stato qui inviato da popolazioni meridionali, le. quali hanno diritto di fare udire, tramite i loro rappresentanti, la loro voce in Parlamento.

E in effetti questa legge interessa enormemente lo popolazioni del Mezzogiorno. C'è per essa un vivo senso di attesa, che si spiega anche con la propaganda che l'ha preceduta, fatta di interviste, annunci, discorsi, conferenze e articoli sulla stampa; per cui effettivamente le popolazioni meridionali aspettano con una fiducia forse eccessiva, ma con una speranza mai sopita, che questa legge venga a lenire le loro sofferenze e a migliorare la loro situazione. Ed è una legge impegnativa per il Governo che la presenta, per il Parlamento che la delibera, per l'intero paese che dovrà attuarla. È impegnativa nello stesso titolo: «Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale».

Opere straordinarie e di pubblico interesse! Per cui la delusione che potrebbe seguire a una mancata applicazione di questa legge, o a una non rispondenza della legge stessa all'aspettativa che si è fatta sorgere nelle popolazioni meridionali, sarebbe veramente gravida di conseguenze nei confronti della secolare fiducia che le popolazioni hanno nel Governo del proprio paese, unita a una secolare fedeltà allo Stato cui esse appartengono.

Dietro questa aspettativa e, quindi, dietro questa possibile delusione, vi è una realtà sulla quale sono stati concordi tutti i rappresentanti che hanno parlato in questa Assemblea.

È l'unico punto su cui sono stati concordi; per il resto, profonde differenze di opinioni hanno caratterizzato questa discussione. Ma tutti sono stati concordi sull'esistenza di un profondo stato di depressione economica e sociale delle province meridionali nei confronti delle altre province.

La parola «depressione» non è piaciuta a taluno degli oratori intervenuti. Non è piaciuta all'estrema sinistra per l'origine anglosassone della parola stessa. Ma la realtà è che questa depressione esiste. E inutile negarlo attraverso la sconfessione del termine. Essa esiste per ragioni di ordine naturale, esiste, soprattutto e anche, pei' ragioni di ordine storico. Io penso che ci si può spiegare lo sfato d'animo delle popolazioni meridionali, e molte volte lo stato d'animo dei deputati meridionali, in questa Assemblea e in tutto le assise del paese, tenendo un po' presenti i precedenti storici che hanno causato con un rapporto di causa ed effetto l'attuale stato di depressione dell'Italia meridionale.

Non voglio indugiarmi in una analisi storica, ma mi limiterò a brevi notizie.

La crisi del mezzogiorno d'Italia è cominciata con l'unità d'Italia; direi qualche cosa di più: è stata l'offerta che il Mezzogiorno ha fatto sull'altare dell'unità del paese; prima, il Mezzogiorno era florido.

 SCOCA, Presidente della Commissione. Non esageriamo!

ROBERTI. Si! Il reame delle Due Sicilie, specie nell'ultimo periodo, aveva persino iniziato un tentativo coraggioso, sia pure rudimentale, di industrializzazione del mezzogiorno d'Italia. Le uniche nostre industrie, quelle che ancora esistono, rimontano a quel periodo: i cantieri di Castellammare, i cantieri Florio, le industrie seriche, ecc.. Dunque il primo tentativo fu iniziato nell'ultima fase del reame delle Due Sicilie. Da allora non sono stati fatti molti passi avanti. Fu nel 1861, con la legge, che Cavour non voleva, della estensione a tutto il territorio nazionale del regime amministrativo piemontese, con le prime tariffe doganali, che questo tentativo di industrializzazione, che si fondava necessariamente su una forma di protezionismo doganale, fu completamente sommerso di fronte all'abolizione della tariffa doganale interna; di fronte all'estensione del «piemontesismo» in tutto il territorio, fu sommersa la rudimentale industria meridionale.

E allora le popolazioni meridionali si riversarono nell'agricoltura.

19951

Ed anche qui, secondo colpo: nel 1876 la tariffa doganale determinò lo strozzamento di questa nascente economia meridionale e l'agricoltura meridionale fu soffocata. Il Mezzogiorno reagì con l'emigrazione, ed il lavoro meridionale andò per tutti i continenti, e le rimesse degli emigranti vennero in Italia e furono il pane per alimentare quelle popolazioni.

Sono fatti storici, sono processi storici dolorosi per quelle popolazioni, i quali lasciarono le loro tracce, non per la fedeltà allo Stato delle popolazioni meridionali, mai venuta meno, ma perché determinarono un senso costante di mortificazione nei confronti delle province più floride.

Cominciò allora il fatale binomio reddito industrie: il risparmio del Mezzogiorno pompato dagli istituti bancari, dalle grandi imprese assicuratrici, che cominciavano a svilupparsi in Italia e che mietevano il risparmio del Mezzogiorno e lo riversavano tutto nella industrializzazione del settentrione. Questo determinò, accentuò la situazione di squilibrio e pose un primo legame, tra le banche e le industrie, che fu fatale per la nostra economia, e che condusse poi al fallimento della Banca di sconto nel 1921.

Le industrie liguri furono potenziate da questo sistema creditizio, e con il fallimento della Banca di sconto fu ancora una volta colpita gran parte delle popolazioni meridionali.

Tutti questi ricordi bastano a determinare una necessità di riparazione storica nei confronti del Mezzogiorno.

Onorevoli colleghi, questo dicevo non per vaghezza di recriminazioni, né per accentuare dei solchi, ma anzi per colmarli, per spiegare quali siano i motivi della attesa delle popolazioni meridionali, che non sono motivi di attesa di riequilibrio soltanto di una situazione di natura geopolitica, come è stato accennato, ma sono motivi di riparazione nei confronti di palesi, cocenti, brucianti ingiustizie di ordine storico che il paese, nella sua unità, ha compiuto a vantaggio di una parte di esso e a danno dell'altra parte.

La stessa politica dei lavori pubblici è stato ricordato anche qui di cui tanto si parla per dimostrare quasi che attraverso questa politica il paese aveva cercato di riparare a questo voluto squilibrio economico e a questo interessato squilibrio sociale, la stessa politica dei lavori pubblici è stata esercitata, per molti decenni, a netto favore delle province settentrionali.

Non voglio ricordare dei fatti: basterà ricordare per tutti la costruzione dell'argine del Po, che assorbì annualmente tutto il bracciantato esuberante della valle padana; basterà ricordare le stesse percentuali delle opere di bonifica, ricordate dall'onorevole Cassiani con la sua calda ed eloquente parola, per attestare la verità di queste mie affermazioni.

Tutto ciò ha determinato che il naturale squilibrio economico del Mezzogiorno è andato sempre aumentando e ha provocato un abbassamento del tenore di vita, si è mutato in una specie di complesso di inferiorità economica e sociale del Mezzogiorno e delle popolazioni meridionali nei confronti di altre popolazioni italiane.

Questo squilibrio è dovuto, sì, a cause geopolitiche, ma è sicuro, fatale ed indubbio che la nazione italiana, che si estende dalle Alpi alle Madonie, ha però una circolazione (come un organismo a circolazione sanguigna) che si svolge a pieno regime dalle Alpi al Tevere e che per tutto il resto è anemizzata.

Ora, con questa legge cosa si vuol fare?

Si vuole impegnare l'economia del paese a favore di queste province meridionali con un programma di opere pubbliche, agricole, turistiche.

Ma, signori miei, la aspettativa è tale, la sete di queste opere, di questi lavori per il Mezzogiorno è tale, che sarebbe delittuoso non dico respingere un programma di questo genere, ma, forse, sarebbe delittuoso persino far mancare ad un provvedimento di questo genere l'incoraggiamento e la fiducia dei più ampi e disparati settori di questa Assemblea.

Quindi, noi non respingeremo questo disegno di legge, noi lo voteremo.

Ma, onorevoli colleghi, onorevoli signori del Governo, ritenete davvero, attraverso questo disegno di legge, che limita il suo campo di applicazione in una direzione esclusivamente agricola e di opere pubbliche, non dico di risolvere, ma di affrontare il problema del Mezzogiorno? Non pensate, invece, che con la destinazione di queste provvidenze straordinarie voi possiate accentuare lo stato di depressione cui prima accennavo?

Se non si può respingere la definizione di depressione delle province meridionali, si deve respingere la codificazione di questo stato di depressione. Stabilire per il Mezzogiorno un regime di economia esclusivamente agricola e turistica significa condannare fatalmente le province meridionali ad un tenore di vita necessariamente inferiore, significa rendere stabile questa posizione e tramandarla.

19952

Vi sono leggi economiche ferree: ne fa parte la legge economica del reddito decrescente in agricoltura. Non è possibile che la produzione agricola possa assorbire lo sviluppo demografico, il quale fatalmente prenderà il sopravvento sulle possibilità di produzione agricola.

È soltanto la produzione industriale che può svilupparsi indefmitivamente, determinando la possibilità di prodotti successivi e determinando maggiore e indefinito assorbimento di manodopera, portando quindi ad evitare l'abbassamento del tenore di vita, che si ha nei paesi esclusivamente agricoli.

Noi non possiamo non rimanere preoccupati di fronte alla dizione dell'articolo 1 di questo disegno di legge, il quale destina questa massa di 1000 miliardi e mobilita tutta l'economia del paese nella direzione agricola e nella direzione turistica per le province meridionali.

E la preoccupazione è notevole, perché vediamo, per esempio, che gran parte dei finanziamenti cui si fa cenno nel disegno di legge spesso sono, almeno per i primi anni, di provenienza dai fondi E. R. P.

Ora, noi sappiamo che i fondi E. R. P., per poter essere collocati, hanno bisogno di una approvazione, di un consenso preventivo sul programma da parte della missione E. G. A.. Orbene, delle due l'una: o, come io ritengo, come qualsiasi normale raziocinio fa ritenere, il Governo e gli organi responsabili del paese, prima di varare questo disegno di legge, hanno ottenuto, in linea di massima, l'assenso, l'approvazione della missione E. G. A. circa l'impiego di questi finanziamenti, oppure non l'hanno ottenuta. Nell'ipotesi che l'abbiano ottenuta, come io ritengo, il dubbio che sorge è legittimo: è forse allora nelle intenzioni stesse di coloro che debbono concedere l'assenso al finanziamento che l'economia del mezzogiorno d'Italia si organizzi e si diriga esclusivamente nel settore agricolo e in quello turistico, cioè che il Mezzogiorno rimanga zona di sfruttamento agricolo e turistico?

Se poi nessuna approvazione fosse venuta, allora bisognerebbe affacciare un altro dubbio circa la validità di stanziamenti che' potrebbero venir meno per il mancato assenso della missione E. G. A.. Voglio però escludere questa seconda ipotesi, escludere che questo disegno di legge, così importante, non sia stato elaborato di concerto con gli organi responsabili ai quali resta l'approvazione dei finanziamenti.

Ma si avrà un bel dire che questa legge non esclude le altre e che essa rende sempre possibile l'impiego di fondi a fini industriali nel Mezzogiorno. Onorevoli colleghi, ritenete davvero che, dopo questa legge, lanciata come è stata lanciata, con la macchina propagandistica messa in azione per accentuarne e per tramandarne negli anni l'importanza (si parla di mutamento radicale della nostra politica economica, di una terza fase che con questa legge si attua nella politica del nostro paese, si parla di evento storico), ritenete voi che quando questa somma astronomica di 1000 miliardi avrà avvolto come in una eco tutta la nazione, qualsiasi altra richiesta di opere, di spese e di fondi straordinari perché sempre straordinari dovrebbero essere i fondi destinati ad industrializzare una zona vasta come il mezzogiorno d'Italia possa trovare una minima possibilità di accoglimento? Sarebbe ingenuo pensarlo.

Per dieci anni siamo condannati in questa direzione. Al mezzogiorno d'Italia viene aperta una strada, e nessuno può assumersi la responsabilità dLnon concorrere a ciò perché ripeto por l'assetato anche il rivolo d'acqua è indispensabile, e sarebbe delittuoso distoglierglielo. Ma quando la strada sarà stata imboccata, soltanto per questa strada dovrà procedere l'economia del mezzogiorno d'Italia, almeno per dieci anni. Vi è un determinismo in economia.

Ma noi diciamo ancora: perché non si estende il campo di applicazione di questa legge? Vi è tutto il settore delle industrie connesse all'agricoltura e alla trasformazione dei prodotti, vi sono le industrie chimiche, manifatturiere, tessili, le industrie alimentari e conserviere che potrebbero essere sviluppate ed impiantate, a prescindere da quelle che sono le industrie metalmeccaniche le quali per nessuna ragione al mondo debbono essere impiantate e sviluppate esclusivamente in alcune province, quando nessuna di queste province dispone delle materie prime e delle miniere di ferro, di carbone e di tutti gli elementi necessari e sufficienti per giustificare l'impianto di una industria in una regione anziché in un'altra.

È codesta la vera critica di fondo che moviamo a questo progetto di legge. Si possono criticare aspetti giuridici (circa la struttura della Cassa, la sua figura di ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica, la possibilità di controlli, la sua efficienza e la programmazione), ma ciò è secondario.

19953

Voglio dare per scontato tutto ciò, ammettendo cioè che questo ente funzioni perfettamente e che gli ingranaggi scorrano come se fossero stati lubrificati al massimo. La critica di fondo è questa: dato anche che la Cassa risponda a tutte le finalità e che i programmi, i proventi, ecc., tutto insomma si svolga nei migliori dei modi, rimane la critica di fondo della condanna, che al Mezzogiorno si vuole con questa legge infliggere, di rimanere per lunghi anni economicamente arretrato, come zona di sfruttamento turistico e come zona di sfruttamento agricolo per la più ricca e vantaggiosa economia industriale delle altre province d'Italia.

FRANCESCHINI. Perché esclude l'iniziativa privata?

ROBERTI. Ma che cosa vuole che possa fare l'iniziativa privata, quando per un secolo tutta l'economia di questo paese è stata incanalata per le esigenze di una economia industriale di altre regioni?

ALDISIO, Ministro dei lavori pubblici. Specialmente nel recente ventennio!

ROBERTI. Proprio nel corso di questa discussione, da elementi certamente non sospetti e cioè da colleghi di estrema sinistra e di destra, è stato rilevato che nel recente ventennio, cui ella ha fatto cenno in questo momento, si è svolta nel Mezzogiorno una attività che non teme confronti con tutti gli altri periodi storici. La prego di consultare i processi verbali di ieri e di oggi, e troverà nei discorsi dell'onorevole Amendola e dell'onorevole De Martino, l'uno del partito comunista, l'altro del partito socialista italiano, appunto questo rilievo, ed essi non possono essere certamente sospettati di tenerezza verso quel periodo storico...

PECORARO. Noi non consentiamo con i discorsi dell'onorevole Amendola e dell'onorevole De Martino, che sono in polemica con noi!

ROBERTI. Vorrei poi fare rilevare all'onorevole ministro, che mi ha fatto l'interruzione, che non soltanto nel settore delle opere pubbliche...

ALDISIO, Ministro dei lavori pubblici. Ella parlava di industrie!

ROBERTI. La ringrazio di questa nuova interruzione! Dunque, non soltanto in quel settore, ma anche nel settore delle industrie, se vogliamo andare a vedere, l'unico periodo nel quale una industrializzazione del Mezzogiorno è stata attuata, sempre nei limiti che corrono tra potere economico e potere politico, è stato il ventennio a cui ella accennava.

Vuol dire a me, napoletano, della provincia di Napoli, che l'industria della Metalmeccanica non si sia iniziata in quel periodo? Vuole dire forse che la Navalmeccanica di Napoli, che gli stabilimenti di Castellammare, di Torre Annunziata non sono stati sviluppati in quel periodo? Lo saranno stati ai fini dell'industria bellica, ma se oggi decine di migliaia di lavoratori napoletani svolgono ancora attività negli stabilimenti e nelle ricordate officine metalmeccaniche, se non sono i paria della umanità proletaria italiana, è proprio perché sono state fatte quelle industrie, in quel periodo.

ALOISIO, Ministro dei lavori pubblici. Non in quel periodo. Mi pare che ella trascuri la storia.

ROBERTI. Non voglio dare una intonazione polemica al mio discorso vespertino, ma lo squilibrio fra nord e sud si è accentuato proprio nell'ultimo decennio. Ella, onorevole ministro, mi dirà che si tratta di cose al di fuori delle sue, delle mie, delle nostre possibilità. Ma è un fatto che la più grave disfunzione dell'industria del Mezzogiorno si è verificata in questo periodo. L'opera di ricostruzione è stata più lenta, per cui l'industria napoletana ha subito le più lunghe perdite di reddito, non ha potuto partecipare ai benefici dell'immediato dopoguerra; in conseguenza della carenza di energia nel 1944, nel 1945 e nel 1946, il Mezzogiorno ha subito perdite di reddito più che quadruple di quelle riscontrate nel nord.

Le perdite in materia di esportazione, soprattutto di prodotti ortofrutticoli...

MARTINO EDOARDO. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. Conseguenza del ventennio!

ROBERTI....sono aggravate dalla mancanza di facilitazioni nelle esportazioni, concesse invece ad alcuni settori economici dislocati prevalentemente nel settentrione.

L'ultimo avvenimento, la svalutazione della sterlina, ha colpito più gravemente le nostre industrie, e per questa situazione monetaria postbellica si è avuto nel sud un minor afflusso di capitale. E mi dice niente dei danni di guerra, la cui proporzione di risarcimento è assai inferiore nelle province meridionali rispetto a quelle settentrionali?

È questa situazione di disagio che ha determinato l'angoscia delle popolazioni meridionali e i tremendi episodi di morte per inedia ricordati dall'onorevole Amendola, e la carenza del consumo di determinati alimenti, come lo zucchero, ricordata dall'onorevole Consiglio.

19954

Tutto ciò ha esteso la portata del fenomeno, che è divenuto, oltreché economico, anche sociale.

Riportiamo l'esposizione al tono normale. Questa legge mobilita la economia nazionale per un congruo periodo di tempo. Si è detto e sostenuto da autorevoli cultori del diritto finanziario e del diritto pubblico m quest'aula che è persino arbitraria una ipoteca del reddito nazionale per dieci anni. Non voglio entrare in codesta questione. Ci troviamo comunque di fronte ad una legge che proprio per i suoi caratteri di eccezionalità, per i suoi caratteri di ampiezza, per come è presentata alla opinione pubblica, per come è dichiarato nella relazione governativa e per come è affermato nella relazione della Commissione, è una legge di natura straordinaria, di natura importante, che caratterizza e mobilita l'economia nazionale in modo da poter provvedere almeno in parte alle più pressanti esigenze delle province meridionali, ravvisando anche i motivi di carenza dell'economia delle province meridionali, ed i motivi di squilibrio sociale nelle popolazioni meridionali, nella mancanza di strade, di sviluppo agricolo, di impianti turistici.

La legge in esame mira a determinare migliori condizioni di vita e di lavoro. Io credo che sia impossibile sostenere che sia fondata quella resistenza di natura fisiologica, quella inevitabile vischiosità che oppongono determinati settori della finanza nazionale a distrarre miliardi soltanto per alcune province. Abbiamo sentito l'ottimo onorevole Lucifredi dire che le industrie settentrionali fanno la figura dei parenti poveri; ora, ci vuole un bel coraggio a sostenere questo nei confronti dell'Italia meridionale.

Certo anche le sinistre hanno contribuito alla legge anche se non è vero, come esse pretendono a voce e per iscritto, che siano state le sole a provocare questo provvedimento perché le agitazioni provocate dall'estrema sinistra sono state esse pure un sintomo di disagio profondo che ha forzato l'opinione pubblica a chiedere questo provvedimento.

Il guaio è ripeto che, per dieci anni, ci sentiremo ripetere lo stesso slogan: cosa volete voi ancora per il Mezzogiorno? Avete avuto gli stanziamenti straordinari, avete avuto i 1000 miliardi! Potreste stare tranquilli!

La legge va emendata, come non si può non convenire da chiunque sia pensoso della situazione drammatica in cui il mezzogiorno d'Italia vive, in cui vive il paese intero. Non è concepibile che mezzo organismo sia sanguigno e l'altro mezzo versi in stato di anemia.

FRANCESCHINI. Ella continua a partire dal presupposto che debba fare tutto lo Stato.

ROBERTI. Ma il settentrione è fatto di territori di natura irrigua; onorevole Franceschini, l'unico elemento positivo acquisito in questa discussione e in tutte le altre discussioni che si sono fatte relativamente a questa materia è precisamente che debba fare tutto lo Stato, poiché qui non si tratta di una situazione in cui tutto si sia svolto fisiologicamente e naturalmente. Io le ho citato dei precedenti storici da cui risulta non soltanto che la situazione geopolitica delle province meridionali è enormemente squilibrata nei confronti di quella delle province settentrionali ma anche che, pur attraverso le rimesse degli emigranti, attraverso tutto il sistema fiscale italiano, vi è stato un progressivo processo di impoverimento del Mezzogiorno, verificatosi a scaglioni, in favore delle province settentrionali. Questa è la realtà.

Ecco perché deve intervenire lo Stato: per quella istanza di giustizia sociale che tanto si proclama e che diventa parola vuota se non si creano le condizioni per la sua attuazione. 11 problema prescinde da ogni ideologia classista e si inserisce profondamente nel concetto di unità nazionale. Proprio perché noi siamo profondamente antiregionalisti, proprio perché siamo profondamente unitari, proprio perché abbiamo la sensazione, la sicurezza che il mezzogiorno d'Italia ha sempre avuto profondo questo senso di unità dello Stato, che ha salvato il paese in tante circostanze, proprio per questo noi del Mezzogiorno riteniamo che la legge avrebbe dovuto avere una diversa impostazione.

Ecco quindi le profonde riserve con le quali noi affrontiamo questo disegno di legge. Noi, ripeto, voteremo la legge perché, naturalmente, date le condizioni delle nostre province, anche il ristabilimento di un solo settore dell'economia, anche la sistemazione di un solo bacino montano, anche la costruzione di un solo acquedotto sono tale un vantaggio, tale una sorsata d'acqua nel deserto, che non si può non dico ostacolare, ma neppure sottrarsi a dare una spinta alla macchina che deve questa acqua andare a portare.

Ma noi conserviamo un profondo senso di diffidenza nelle reali intenzioni del Governo nei confronti della politica del Mezzogiorno,

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che è poi la politica nazionale, ed è con questo senso di diffidenza che noi seguiremo la elaborazione di questa legge e, nei limiti delle nostre possibilità, cercheremo di aumentarne la portata e l'efficienza. (Approvazioni alla estrema destra).

PRESIDENTE. Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

Annunzio di interrogazioni e di una interpellanza.

PRESIDENTE. Si dia lettura delle interrogazioni e della interpellanza pervenute alla Presidenza.

GIOLITTI, Segretario, legge:

«Il sottoscritto chiede di interrogare i Ministri di grazia e giustizia e dei lavori pubblici, per conoscere quando si costruirà in Melfi il Palazzo di Giustizia, progettato da tempo, indispensabile per un dignitoso espletamento delle funzioni della giustizia stessa, e quando si ricostruirà, in quella città, il carcere circondariale (abbattuto dal terremoto del luglio 1930) per togliere ad una vita di sofferenze e di dolore i detenuti, allogati in una vecchia ed antigienica caserma.

«Cerabona».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro degli affari esteri, per conoscere in quale modo sia giustificabile la perdurante esclusione della lingua italiana dalle lingue ufficiali dell'UNESCO e particolarmente dalla pubblicazione «Rivista Internazionale delle Arti» che apparirà prossimamente in inglese, francese, spagnolo e tedesco, ostentandosi la possibilità di parlare al mondo di arte, ignorando l'Italia.

«L'interrogante chiede se — perduto anche in questo settore il posto preminente che ci era indiscutibilmente dovuto — non sia da riesaminare la partecipazione ad un organismo internazionale nel quale la presenza dell'Italia si riduce al contributo spese che comporta.

«Dì Fausto».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del tesoro, per conoscere se risponda a verità la notizia, secondo la quale nel corso dell'istruttoria delle pratiche di pensione di guerra verrebbero richiesti diverse volte documenti già acquisiti agli atti, con grave pregiudizio degli interessati, i quali attendono da anni la definizione delle pratiche stesse.

«De Vita».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro della difesa, per sapere se intende prendere provvedimenti a favore di quegli ufficiali della disciolta Milizia artiglieria marittima (Milmart) che dopo avere frequentato i corsi della Scuola allievi ufficiali Milmart di Messina, dopo avere fatto la guerra come ufficiali e dopo essere stati liquidati con il trattamento economico dovuto ad ufficiali sono stati inviati in congedo come semplici soldati. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Almirante».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del lavoro e d'ella previdenza sociale, per sapere se non ritenga opportuno sollecitare l'I.N.A.I.L. a concedere un mutuo all'Istituto case popolari, che consenta a quest'ultimo la ripresa della costruzione di immobili di abitazione al Villaggio Breda (Torre Gaia, Roma), già sospesa per cause belliche, tenendo presente che le trattative al riguardo tra i due Istituti sono in corso da circa un anno. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Almirante».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere il motivo che lo ha indotto ad autorizzare l'Ufficio regionale del lavoro di Milano a violare gli articoli 13, 14, 15 e 18 della legge 29 aprile 1949, n. 264, ed il decreto ministeriale 1° ottobre 1942, tuttora in vigore, per quanto disposto dal penultimo comma dell'articolo 14 della suddetta legge 29 aprile 1949, n. 264.

«Infatti, l'A.G.I.P. (Azienda generale italiana petroli) ha potuto assumere maestranze non qualificate facendone diretta richiesta nominativa e l'Ufficio del lavoro ha provveduto a «regolarizzare» direttamente la faccenda, rilasciando arbitrariamente i prescritti nullaosta, che, a termini di legge,, dovrebbero essere staccati dagli Uffici di collocamento delle località in cui hanno sede i cantieri petroliferi.

«L'interrogante informa che un gruppo di lavoratori, 21 in totale, preventivamente scelti e segnalati da alcuni notabili della località, è stato cosi assunto dalla direzione del cantiere A.G.I.P. di Caviaga (Milano). Fatto, questo, che ha causato il giusto risentimento e malcontento dei disoccupati dei comuni di Cavenago d'Adda, Basiasco e Caviaga, ai quali è stato sottratto, con violazione di legge, un posto di lavoro cui potevano legittimamente aspirare.

19956

«L'interrogante, dopo quanto esposto, chiede di conoscere quale provvedimento l'onorevole Ministro intende adottare per revocare la sua disposizione e ripristinare il diritto dei lavoratori disoccupati dei comuni segnalati. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

.    «Invernizzi Gaetano».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro della difesa, per sapere quali provvedimenti siano stati presi o intenda prendere circa il trattamento economico da usare agli ufficiali in servizio permanente effettivo e' ai sottufficiali in carriera continuativa che cessano oggi da tale posizione, in seguito a concessione ritardata — da parte del Ministero del tesoro — di una pensione vitalizia od un assegno rinnovabile di guerra da ascriversi ad una delle otto categorie previste dalla tabella A annessa alla legge 19 febbraio 1942, n. 137, in conseguenza di ferite, lesioni od infermità riportate od aggravate per il servizio di guerra nella campagna in Africa Orientale 193536 e successivi cicli operativi.

«Se per analogia agli stessi debba essere applicato il trattamento previsto dal decreto legislativo 7 maggio 1948, n. 1472, per la guerra 194045. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Sailis».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro dei trasporti, per sapere quali provvedimenti abbia preso o intenda prendere per la realizzazione del progetto della «grande trasversale ferroviaria Rosarno-Cosenza», che riveste particolare importanza per tutte le popolazioni della Calabria. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Casalinuovo».

«li sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non ritenga opportuno disporre la costruzione di un blocco di case lavoratori nel comune di Zagarise (Catanzaro), dove numerose famiglie, per deficienza assoluta di alloggi, sono costrette ad abitare in miseri tuguri. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Casalinuovo».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, per conoscere se non ritenga opportuno

accogliere la richiesta avanzata dal comune di Locri (Reggio Calabria) di essere compreso anche nel riparto dei fondi del secondo anno del piano I.N.A.CASA.

«Tale richiesta è pienamente giustificata dal grave stato di disoccupazione; dalla deficienza di alloggi in conseguenza degli eventi bellici che hanno distrutto il 42 per cento dei vani di abitazione; dall'importanza del comune sede di uffici pubblici, istituti scolastici ed enti economici; dall'accrescimento della popolazione che in media aumenta di circa 600 anime ogni anno. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Casalinuovo»

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro dei lavori pubblici, per conoscere se e quando intenda accogliere le richieste di contributo avanzate, a norma della legge 3 agosto 1949, n. 589, dal comune di Filadelfia (Catanzaro), per l'esecuzione delle seguenti opero di urgente necessità:

a) edificio scolastico;

b) completamento fognatura c riparazione acquedotto;

c) ampliamento cimitero;

d) acquedotto, fognature e impianto luce elettrica frazione Montesoro;

e) riparazione mattatoio capoluogo. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Casalinuovo».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro di grazia e giustizia, per sapere se rispondano a verità certe voci secondo le quali, in seguito al progettato ulteriore aumento dei posti di consigliere di Corte di appello, verrebbe anche apportato un rilevante aumento al numero delle promozioni, quale era stato fissato nell'ultimo concorso (26 posti).

«Sembra, infatti, all'interrogante, che di fronte agli inconvenienti, anche gravi, che deriverebbero da un siffatto procedimento (c tali da creare situazioni di profonda ingiustizia in danno di valorosi magistrati i quali, per lodevoli ragioni di riserbo, si erano astenuti dal partecipare al concorso), ben più risponderebbe a giustizia e alla stessa dignità della magistratura se i posti che si rendessero disponibili in seguito all'aumento dell'organico venissero attribuiti ai concorsi e agli scrutini tuttora aperti o da indire. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Arata».

19957

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro dei trasporti, per conoscere come intenda finalmente sistemare la stazione ferroviaria di Vairano-Caianello, la quale, anche in dipendenza della prossima ripresa delle comunicazioni ferroviarie sulla linea Campobasso-Isernia-Vairano-Caianello, si presenta del tutto, inadeguata alla sua funzione e risente evidentemente della fretta con cui, in un primo tempo, la si volle ricostruire al solo scopo di dare allora un rifugio di fortuna ai funzionari ed ai viaggiatori di quell'importante nodo ferroviario, cui converge il traffico dall'Abruzzo, dal Molise, oltre che da Napoli e Roma. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Sammartino».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro dell'interno, per conoscere se, anche in aderenza al disposto della circolare numero 3339049 del 28 febbraio 1948 della Direzione generale di pubblica sicurezza, stia per essere istituito, in seno alla pubblica sicurezza, il gruppo B, conformemente alla legittima attesa di tanti impiegati di polizia, che da molti anni esplicano mansioni di concetto, nonché del personale d'ordine, ai quali è praticamente ed inspiegabilmente preclusa la carriera con grave disagio economico e morale di tutta una categoria così nobilmente benemerita. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Sammartino».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro delle finanze, per sapere perché ai dipendenti non viene pagata l'indennità di funzione concessa con legge 11 aprile 1950, n. 130, indennità che dipendenti di altri Ministeri hanno da tempo percepita. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Baldassari».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro del tesoro, per sapere perché ai dipendenti non viene pagata l'indennità di funzione concessa con legge 11 aprile 1950, n. 130, indennità che dipendenti di altri Ministeri hanno da tempo percepita. (L'interrogante chiede la risposta scritta).

«Baldassari».

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Ministro della difesa, per sapere se corrisponde al vero che si abbia intenzione di sopprimere la Sezione di Commissariato militare, che funziona in Catanzaro dal 1860.

«L'interrogante si permette di fare osservare che tale soppressione contrasterebbe con le promesse del Ministero della difesa di restituire alla Calabria un comando di divisione appena ne verrà aumentato il numero.

«Ma il provvedimento comporterebbe anche:

1°) il trasferimento del personale dipendente, che si aggira attorno a 40 impiegati ed operai, i quali solo provvisoriamente rimarrebbero qui presso altri uffici militari, ma in un prossimo domani sarebbero inevitabilmente trasferiti in altre sedi di Commissariato con loro gravissimo pregiudizio economico;

2°) un grave danno per la regione, che perderebbe un rilevante giro di affari.

«I contratti di forniture varie, infatti, che attualmente vengono stipulati da questa Sezione di Commissariato anche per conto di altri Commissariati, passerebbero alla Direzione di Napoli, ove i nostri fornitori difficilmente si recherebbero per concorrere alle gare, con conseguente evidente danno anche per lo Stato, perché le ditte accollatane dei vari appalti — che, a loro volta, debbono, poi, rivolgersi alle nostre ditte per legname, olio, vino, paglia, ecc. — non potranno certamente offrire le stesse condizioni delle ditte calabresi. E devesi, in proposito, tener presente che nel 1949 sono state richieste a questa Sezione di Commissariato forniture per centomila quintali di legna, quattromila quintali di olio: e sono stati, inoltre, stipulati contratti per forniture varie (vino, pane e carne fresca), tutte effettuate da ditte locali. (L'interrogante chiede la risposta scritta). (2992)    

«Silipo».

«I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conoscere se sia in preparazione e quando presumibilmente si intenda presentare al Parlamento, secondo quanto prevede l'articolo 95 della Costituzione, il progetto di legge sull'ordinamento del Governo, esplicitamente promesso all'atto della formazione del VI Gabinetto De Gasperi.

(383) «Preti, Fietta, Cornia, Castellarin, Cartia».

PRESIDENTE. Le interrogazioni testé lette saranno iscritte all'ordine del giorno e svolte al loro turno,, trasmettendosi ai ministri competenti quelle per le quali si chiede la risposta scritta.

19958

Così pure l'interpellanza sarà iscritta all'ordine del giorno, qualora il ministro interessato non vi si opponga nel termine regolamentare.

La sedata termina alle 23.55.

Ordine del giorno per le sedute di domani.

Alle ore 10:

1 — Seguito della discussione del disegno di legge:

Rettifica del decreto legislativo 3 maggio 1948, n. 949, contenente norme transitorie per i concorsi del personale sanitario degli ospedali. (228). — Relatori: Longhena e De Maria.

2 — Seguito della discussione dei disegni di legge:

Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). (Urgenza). (1170). — Relatori. Jervolino Angelo Raffaele, per la maggioranza, e Alicata, di minoranza;

Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. (Urgenza). (1171). — Relatori: Angelini, per la maggioranza, e Matteucci, di minoranza.

Alle ore 16:

1. — Approvazione degli articoli e approvazione finale del disegno di legge:

Riordinamento dei giudizi di Assise. (709). — Relatori: Riccio, per la maggioranza, e La Rocca, di minoranza.

2. — Seguilo della discussione dei disegni di legge:

Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). (Urgenza). (1170). — Relatori: Jervolino Angelo Raffaele, per la maggioranza, e Alicata, di minoranza;

Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. (Urgenza). (1171). — Relatori. Angelini, per la maggioranza, e Matteucci, di minoranza.

3. — Discussione del disegno di legge.

Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri. (37). — Relatore Federici Maria.

4 — Seguito della discussione della proposta di legge:

Fabriani ed altri: Efficacia delle norme del decreto legislativo luogotenenziale 20 marzo 1945, n. 212, sugli atti privati non registrati, di cui al regio decreto-legge 27 settembre 1941, n. 1015. (889). — Relatore Riccio.

5 — Discussione del disegno di legge:

Ratifica dell'Accordo in materia di emigrazione concluso a Buenos Ayres, tra l'Italia e l'Argentina, il 26 gennaio 1948. (Approvato dal Senato). (513). — Relatore Repossi.








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