L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
  Eleaml


Camera dei Deputati - Seduta n. 503 antimeridiana 23 giugno 1950
Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico
interesse nell’Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) (1170)

Giugno 2012



Camera dei Deputati - Seduta del  17 Marzo 1950 - De Gasperi

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Camera dei Deputati - Seduta n. 499 pomeridiana 20 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 501 pomeridiana 21 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 502 antimeridiana 22 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 503 antimeridiana 23 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 504 pomeridiana 23 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 505 antimeridiana 24 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 507 pomeridiana 27 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 508 antimeridiana 28 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 509 pomeridiana 28 giugno 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 513 pomeridiana 04 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 514 antimeridiana 05 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 523 antimeridiana 12 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 524 pomeridiana 12 luglio 1950

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Camera dei Deputati - Seduta n. 525 antimeridiana 13 luglio 1950

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Senato - seduta n. 483 - venerdì 21 luglio 1950

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Senato - seduta n. 491 pomeridiana - giovedì 27 luglio 1950

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Senato - seduta n. 493 pomeridiana - venerdì 28 luglio 1950

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Senato - seduta n. 494 antimeridiana - sabato 29 luglio 1950

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Senato - seduta n. 495 pomeridiana - sabato 29 luglio 1950

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SEDUTA ANTIMERIDIANA

DI VENERDÌ 23 GIUGNO 1950

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TARGETTI

Congedo.....................................................................................................................19959

Disegni di legge (Deferimento a Commissioni

in sede legislativa) ....................................................................................................19959

Disegni di legge (Seguito della discussione):

Ratifica del decreto legislativo 3 maggio 1948. n. 949, contenente norme transitorie per i concorsi del personale sanitario degli ospedali. (228)......................................................19960

Presidente...................................................................................................................19960

Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). (1170). Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. (1171)..............................................................................19961

Presidente....................................................................................................................19961

Russo Perez...................................................................................................................19961

Miceli...........................................................................................................................19962

Palazzolo......................................................................................................................19971

Laconi..........................................................................................................................19973

Proposte di legge:

(Annunzio)...................................................................................................................19960

(Annunzio di ritiro).....................................................................................................19960

(Deferimento a Commissione in sede legislativa).....................................................19960

La seduta comincia alle 10.

SULLO, Segretario, legge il processo verbale della seduta antimeridiana del 21 giugno 1950.

(E' approvato).

Congedo.

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il deputato Zerbi.

(E' concesso).

Deferimento di disegni di legge

 a Commissioni in sede legislativa.

PRESIDENTE. Sciogliendo la riserva fatta nelle precedenti sedute, ritengo che i seguenti disegni di legge possano essere deferiti all'esame e all'approvazione delle competenti Commissioni permanenti, in sede legislativa:

«Norme modificative e integrative del decreto legislativo 19 marzo 1948, n. 249, e della legge 26 gennaio 1949, n. 20, circa provvidenze a favore dei cittadini italiani che abbiano fatto parte di formazioni antifranchiste» (1369);

«Trattamento economico degli allievi delle Accademie militari per l'Esercito, per la Marina e per l'Aeronautica» (1370);

«Costruzione di alloggi per ufficiali e sottufficiali dell'Esercito,. della Marina, dell'Aeronautica e della Guardia di finanza» {Ap provato dalla IV Commissione permanente del Senato) (1371);

«Norme transitorie per la retrodatazione della nomina a posti di direttore e di insegnante negli istituti di istruzione artistica nei confronti di coloro la cui assunzione in ruolo fu ritardata perché celibi» (Approvato dalla VI Commissione permanente del Senato) (1372);

«Stanziamento di un miliardo per l'anticipazione da parte dello Stato delle rette di spedalità dovute dai comuni agli ospedali amministrati da istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» (Approvato dalla I Commissione permanente del Senato) (1373);

«Modificazioni dell'articolo 12 del testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, approvato col regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016» (.Approvato dalla Vili Commissione permanente del Senato) (1374).

Se non vi sono obiezioni, così rimarrà stabilito.

(Così rimane stabilito).

19960

Annunzio di proposte di legge.

PRESIDENTE. È stata presentata alla Presidenza una proposta di legge d'iniziativa del deputato Leone:

«Modificazioni al Codice penale ed al Codice di procedura penale in tema di ingiù ria e diffamazione» (1386).

Avendo il proponente dichiarato di rinunciare allo svolgimento, la proposta sarà stampata, distribuita e trasmessa alla Commissione competente.

Altra proposta di legge è stata presentata dai deputati Semeraro Gabriele, De Meo, Ambrico, Vocino, D'Ambrosio, Rocco, De Maria, Caccuri, Negrari, Sedati, Sammartino, Codacci Pisanelli, Bernardinetti, Parente, Ba varo, Raimondi e Pagliuca:

«Disposizioni per un più sicuro e stabile impiego della mano d'opera agricola disoccupata» (1385).

A norma dell'articolo 133 del regolamento, poiché essa importa onere finanziario, ne sarà fissata in seguito la data di svolgimento.

Annunzio di ritiro di una proposta di legge.

PRESIDENTE. Il deputato Zerbi ha dichiarato di ritirare la proposta di legge di sua iniziativa:

«Posizione militare dei giovani delle classi 1923, 1924 e 1925» (971).

La proposta è stata, pertanto, cancellata dall'ordine del giorno.

Deferimento di una proposta di legge

a Commissione in sede legislativa.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Vili Commissione permanente ha chiesto che la proposta di legge dei deputati Cappugi e Pierantozzi: «Provvedimenti a favore degli avventizi delle ferrovie dello Stato licenziati per motivi politici» (1096), già deferita all'esame della Commissione in sede referente, sia assegnata alla Commissione stessa in sede legislativa.

Se non vi sono obiezioni, così rimarrà stabilito.

(Così rimane stabilito).

Seguito della discussione del disegno di legge:

Ratifica del decreto legislativo 3 maggio 1948, n. 949, contenente norme transitorie per i concorsi del personale sanitario degli ospedali. (228).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Ratifica del decreto legislativo 3 maggio 1948, n. 949, contenente norme transitorie per i concorsi del personale sanitario degli ospedali.

Come gli onorevoli colleghi sanno, la Camera non approvò la proposta della Commissione di sopprimere l'articolo 10 del testo del Governo. Tuttavia gli emendamenti sostitutivi proposti sono stati successivamente respinti. Comunico inoltre che il relatore Longhena ha dichiarato di ritirare il nuovo testo dell'articolo 10, presentato nell'ultima seduta a nome della Commissione.

Pongo pertanto in votazione l'articolo 10 nel testo ministeriale:

«I titoli di carriera sono da valutare nel seguente ordine di preferenza:

a) servizio di primario, con nomina conseguita in base a pubblico concorso per esami o per titoli ed esami presso ospedali, da valutarsi in base alla durata del servizio medesimo ed alla categoria dell'ospedale, 23 per cento;

b) idoneità conseguita in un concorso a primario o maturità conseguita in seguito a pubblico concorso per una cattedra universitaria corrispondente alla branca per cui è bandito il concorso, 17 per cento;

c) incarico del servizio di primario per posti retribuiti previsto nel ruolo e incarico universitario, 14 per cento.

d) servizio di aiuto effettivo presso lo ospedale che bandisce il concorso, 10 per cento;

e) servizio di aiuto effettivo presso altri ospedali o cliniche od istituti, 9 per cento;

f) incarico del servizio di aiuto in posti di ruolo presso ospedali, cliniche od istituii universitari, 8 per cento;

g) servizio di assistente effettivo presso l'ospedale che bandisce il concorso, 7 per cento.

19961

h) servizio di assistente effettivo presso ospedali, cliniche od istituti universitari, 6 per cento;

i) incarico del servizio di assistente ai posti di ruolo presso ospedali, cliniche od istituti universitari, 4 per cento;

l) altri eventuali servizi od incarichi di carattere sanitario presso pubbliche amministrazioni, 2 per cento;

«Ai fini della valutazione come titolo di carriera del servizio militare prestato in qualità di ufficiale medico addetto ad ospedali, infermerie o reparti durante la guerra 194045, anche per il periodo di prigionia o di internamento potrà essere attribuita nella punteggiatura di cui al precedente comma una valutazione non superiore ài 10 per cento, temilo conto degli incarichi ricoperti e del servizio effettivamente prestato specie per quanto riguarda l'assistenza ospedaliera». (Non è approvato).

Passiamo all'articolo 17, ultimo del disegno di legge che resta eia esaminare. Se ne dia lettura.

SULLO, Segretario, legge:

«La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

PRESIDENTE. Lo pongo in votazione. (È approvato).

Il disegno di legge sarà poi votato a scrutinio segreto.

Chiedo che la Presidenza sia autorizzata a procedere al coordinamento del disegno di legge. Se non vi sono obiezioni, rimarrà così stabilito.

(Così rimane stabilito).

La seduta é sospesa per mezz'ora.

(La seduta, sospesa alle 10.15, è ripresa alle 10.45)

Seguito della discussione dei disegni di legge:

Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) (1170). Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale. (1171).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge: «Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno); Esecuzione di opere straordinarie e di pubblico interesse nell'Italia settentrionale e centrale.

È iscritto a parlare l'onorevole Russo Perez. Ne ha facoltà.

RUSSO PEREZ. Onorevoli colleghi, la mia non sarà che una brevissima dichiarazione di voto anticipata perché, per ragioni che è inutile qui spiegare, è probabile che non mi troverò presente al momento della votazione.

Nel giudicare uomini e cose l'assumere un atteggiamento perpetuamente critico non è simpatico, e finisce col togliere valore alle critiche quando le stesse sono fondate; è poi assurdo un atteggiamento critico quando si tratta di cose buone, da lodare e non da criticare.

Evidentemente, come ha detto anche l'onorevole Roberti, delle mende nel progetto di legge ve ne sono. Io, per esempio, ne ho scoperta una, e forse la ho scoperta appunto perché sono un siciliano. Noi nel meridione abbiamo dei magnifici istituti bancari: Banco di Napoli, Banco di Sicilia.

Questi due istituti che sarebbero formidabilmente attrezzati per la bisogna, sono stati estraniati dal meccanismo di questo progetto di legge, mentre non sarebbe stato strano, per esempio, che per l'attuazione di questo progetto, invece di creare questa specie di organismo nuovo, si fosse pensato a un consorzio di banche meridionali.

Ma, dopo queste critiche, devo anche fare l'elogio ché, in fondo, stavolta il Governo italiano, per la prima volta, viene largamente, se non sufficientemente, incontro ai bisogni del Mezzogiorno.

Ieri sono rimasto molto stupito quando ho inteso un collega normalmente equilibrato e misurato, un ragionatore come l'onorevole De Martino Francesco, sostenere che questo progetto di legge sia da respingere, perché non risolve il problema; secondo lui, non lo risolve neanche parzialmente; e arriva a dire che l'attuazione di questa legge non farà che aggravare le condizioni di servaggio delle popolazioni del Mezzogiorno.

Nella mia mente sorgeva un paragone: a un poveretto, il quale chiede l'elemosina, si dà una magnifica scodella di pasta e fagiuoli e un pezzo di pane fresco; e poi si sostiene che il problema della sua fame non è stato risolto, perché non gli è stata data una bistecca ai ferri. (Interruzioni all'estrema sinistra). Qui vi è la risposta implicita a questo brusio venuto da sinistra.

AMENDOLA GIORGIO. Sono parole chiare: non è un brusio.

19962

RUSSO PEREZ. Poiché io il cervello all'ammasso non l'ho mai versato, durante il mio sessantennio, che comprende il ventennio, non ostante quel che si dica di me, per questa ragione darò voto favorevole al Governo e al progetto di legge.

Però, desidero richiamare il Governo al suo impegno di considerare queste come opere straordinarie e che, quindi, nei prossimi anni non avvenga, per avventura, una diminuzione della mole delle opere ordinarie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Miceli. Ne ha facoltà.

MICELI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, trattando del disegno di legge 1170 sottoposto al nostro esame, noi non possiamo dimenticare le caratteristiche economico-sociali del territorio nel quale questa legge dovrebbe essere chiamata a operare. I colleghi presenti non abbiano timore: la mia premessa non significa esposizione, da parte mia, delle arretratissime condizioni eli vita del Mezzogiorno, non ripeterò ai colleghi il numero dei paesi senza acquedotti, senza fognature, senza scuole, senza cimiteri: è cosa acquisita ormai al Parlamento ed all'opinione pubblica nazionale. E non ripeterò nemmeno quelle cifre cara fieristiche che rivelano la paurosa depressione economica del Mezzogiorno: le cifre della popolazione attiva rispetto alla totale, le percentuali di reddito, i consumi per abitante: la rivelazione delle condizioni del Mezzogiorno è stata fatta ed è ogni giorno fatta all'Italia dalla eroica lotta delle popolazioni del Mezzogiorno, le quali, per le condizioni di vita alle quali sono costrette, sono quotidianamente messe al bivio della scelta: sfidare la morte e la galera per sostenere le più elementari rivendicazioni oppure rinunziare ad ogni prospettiva di rinascita rassegnandosi alle più arretrate ed insostenibili condizioni di vita paragonabili solo a quelle dei popoli coloniali.

La rivelazione delle condizioni del Mezzogiorno è stata posta all'attenzione della nazione con tragica evidenza: dai caduti di Melissa, di Torremaggiore, di Montescaglioso, di Lentella, i quali sono gli eroi ed i martiri della rinascita del Mezzogiorno.

Non ripeterò a voi dicevo l'esame delle condizioni del Mezzogiorno, ma mi soffermerò semplicemente su una constatazione da tutti accettata: sulla caratteristica fondamentale della economia meridionale. È innegabile che l'economia del Mezzogiorno è stata, ed è tutt'oggi, una economia basata esclusivamente sull'agricoltura.

Se osservate le cifre della popolazione attiva troverete che per il 59 per cento nei Mezzogiorno e per il 52,6 per cento nelle isole è addetta direttamente all'agricoltura. Attorno a questa popolazione, praticamente, si svolge poi tutta l'attività economica del Mezzogiorno.

E se voi esaminate i redditi dell’Italia meridionale, mettendoli a confronto Ira di loro, vedrete che la parte preponderante del reddito del Mezzogiorno è dovuta all'agricoltura. Su questo fatto è inutile cercare di persuadere la maggioranza e il paese: il Mezzogiorno regione agricola è uno slogan oramai tradizionale.

In merito occorrerebbe porre dei punti fermi. Che il Mezzogiorno sia una regione ad economia prevalentemente agricola, è innegabile; che l'economia delle regioni meridionali sia stata finora quasi esclusivamente agricola, è pure innegabile; ma da questo non si deve dedurre che i problemi del Mezzogiorno sono esclusivamente agricoli e che l'Italia meridionale debba essere condannata perché io la ritengo una condanna ad essere anche in futuro una regione esclusivamente agricola.

Questa opinione e prospettiva sono, forse incoscientemente, nella maggioranza. Ritengo che la maggioranza non guardi di buon occhio alla industrializzazione del Mezzogiorno. La maggioranza ha interesse che il Mezzogiorno continui ad essere quella riserva di buon senso contadino perché pensa che, come per il passato, tale riserva di buon senso possa significare suffragi elettorali facilmente manovrabili, contingenti sicuri agli arruolamenti della «celere», burocrati a buon mercato per le amministrazioni dello Stato, soldati pronti a morire nelle guerre che in definitiva hanno solidificato e peggiorato le tristi condizioni del Mezzogiorno.

Mantenere il Mezzogiorno in una economia esclusivamente agricola, corrisponde a un interesse politico dei gruppi dirigenti tradizionali del nostro paese.

SCOCA, Presidente della Commissione. Spero, onorevole Miceli, che non vorrà farci il torto di attribuirci coscientemente o incoscientemente questo proposito.

MICELI. Me ne dispiace, ma la vostra politica verso il Mezzogiorno avvalora la mia affermazione.

SCOCA, Presidente della Commissione. Bisogna cominciare col fare qualcosa.

19963

MICELI. Anche esaminando la legge sulla «Cassa» troviamo che le cifre fondamentali sono quelle destinate alla bonifica ed alle trasformazioni agrarie, cifre che ammontano ai tre quarti degli interi stanziamenti. Discuteremo poi su queste cifre che indicano l'indirizzo del Governo: ora dobbiamo constatare subito che niente nella legge che ci proponete sta ad indicare per lo meno un indirizzo verso la industrializzazione del Mezzogiorno.

Noi sosteniamo che tutti coloro i quali vogliono il progresso del Mezzogiorno e che lottano affinché questa situazione cambi, lottano anche per modificare l'economia del Mezzogiorno, lottano per l'industrializzazione del meridione.

Riconosciamo che l'industrializzazione è legata alla constatazione obiettiva della fisionomia economica del Mezzogiorno e delle sue possibilità agricole. Non bisogna spendere molte parole per dimostrare come uno sviluppo dell'industria del Mezzogiorno sia legato al progresso e allo sviluppo dell'agricoltura. Ad esempio, se consideriamo i sottoconsumi nel Mezzogiorno, constatiamo che la possibilità di un loro considerevole aumento rispetto alle altre regioni d'Italia giustificherebbe il sorgere di determinate industrie nel Mezzogiorno.

Se esaminiamo il problema dell'assorbimento dei prodotti necessari alla agricoltura, concluderemo che anche in questo campo l'industrializzazione è collegata con il progresso dell'agricoltura. Quindi, noi lottiamo per un potenziamento e uno sviluppo dell'agricoltura nel Mezzogiorno non come fine a se stessa, ma come condizione necessaria affinché si arrivi anche a uno sviluppo industriale adeguato e appropriato nelle regioni meridionali.

Il problema della trasformazione dei prodotti del Mezzogiorno è noto. I nostri prodotti è un vecchio slogan vengono trasformati altrove. Nel Mezzogiorno abbiamo, ad esempio, la zona tipica dei grani duri e non abbiamo dei pastifici adeguati come moderna attrezzatura e potenzialità alla produzione delle paste alimentari. È interesse degli industriali del nord mantenere le industrie lontane dal Mezzogiorno: ma è interesse anche degli agrari del sud. Oltre che concorrenza ad imprese industriali alle quali gli agrari del sud partecipano direttamente con i loro capitali, l'industrializzazione del Mezzogiorno vuol dire possibilità di assorbimento della manodopera in settori diversi da quello agricolo, vuol dire perciò diminuita concorrenza fra i lavoratori, miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro.

Tutto ciò significherebbe decurtazione naturale della proprietà assenteista che si basa sulla condizione di disoccupazione e di miseria dei lavoratori, significherebbe tracollo del monopolio feudale degli agrari. È perciò interesse delle categorie agrarie di scongiurare ogni tentativo di industrializzazione, mantenendo le caratteristiche quasi esclusivamente agricole nella economia del Mezzogiorno. Noi sosteniamo invece la necessità di uno sviluppo industriale nel Mezzogiorno affermando che tale lotta deve essere accompagnata da una lotta per lo sviluppo agricolo. Noi ci preoccupiamo dello sviluppo agricolo del Mezzogiorno non per condannare il Mezzogiorno ad una economia agricola, ma per creare le condizioni per uno sviluppo industriale del Mezzogiorno. Se le condizioni agricole del Mezzogiorno fino ad oggi sono state arretrate, questo è dovuto esclusivamente alle condizioni obiettive, alla situazione climatica, alla natura dei terreni? Evidentemente questi fàttori hanno un peso, non si possono ignorare, ma non sono quelli che giustificano lo stato di arretratezza delle condizioni dell'agricoltura meridionale.

E non ho qui bisogno di ricorrere ad altre citazioni, perché ne basta una, recente, quella del senatore Medici, il quale sostiene: «Nell'Italia meridionale si può fare oggi presso a poco quello che è possibile fare in certe zone del settentrione». Contro questa posizione di certezza nel progresso dell'agricoltura nel Mezzogiorno, noi abbiamo la tradizionale posizione arretrata di pessimismo agricolo, posizione che forse era giustificata in Giustino Fortunato, perché in quei tempi la tecnica agraria non dava delle prospettive allo sviluppo del Mezzogiorno. Ma questa posizione non è assolutamente giustificata negli attuali tecnici governativi, come per esempio il Rossi Doria, il quale ripropone in un suo intervento dell'ottobre del 1946 nel convegno per le trasformazioni fondiarie di Napoli le pregiudiziali di pessimismo sullo sviluppo agricolo del Mezzogiorno che erano proprie della vecchia scuola.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Che furono corrette dall'onorevole Sereni.

MICELI. Furono corrette nella seduta del 27 ottobre 1946 a Napoli, ma rimasero immutate sin ad oggi nella posizione del Rossi Doria e dànno l'impronta, in questo momento, alla politica agraria del Governo nei confronti del Mezzogiorno.

Per una trasformazione e per un miglioramento agricolo nel Mezzogiorno vi sono difficoltà, ma vi sono anche le possibilità di superarle specie nel momento attuale.

19964

L'arretratezza del Mezzogiorno deriva in modo preponderante dalla situazione politico-sociale mantenuta dalla vecchia classe dirigente che è la responsabile principale di questa situazione. Le difficoltà di rinnovamento sono innegabili, ma su queste difficoltà si è innestata la volontà di conservazione agricola della vecchia classe dirigente meridionale. Noi abbiamo certezza che il progresso del Mezzogiorno è possibile. La legge che noi esaminiamo dovrebbe intervenire per modificare le condizioni di questa che viene definita area depressa con lo scopo di renderne possibile il progresso. Noi dimostreremo che, secondo la volontà del Governo e della maggioranza, tali condizioni rimarranno praticamente invariate ed in ogni caso le variazioni non determineranno alcun progresso. Infatti, a che cosa mirano gli interventi proposti dal disegno di legge in esame? Mirano ad elargire alcune somme, che possono essere considerate deficienti o possono essere considerate abbondanti, a seconda di colui che le considera; ma che in ogni caso non intervengono ad eliminare le cause dell'arretratezza meridionale. Noi ci proponiamo di dimostrare appunto che questo non è, come diceva l'onorevole Bernieri, per modificare la situazione di depressione economica in determinate zone occorre intervenire dall'esterno perché le forze interne hanno assunto posizioni di mutuo equilibrio tali da rendere impossibile ogni ripresa. Perciò l'intervento dello Stato nelle così dette «aree depresse» non solo è consigliabile ma è doveroso. In che senso deve dirigersi tale intervento? Lo Stato può illudersi di operare nelle aree depresse un flusso perenne che serva a ristabilire degli equilibri, a modificare delle situazioni, ad essere il perpetuo risanatore della depressione economica? Io credo che nessuno Stato può proporsi tale programma, non foss'altro per l'impossibilità finanziaria di tradurlo in atto.

Quindi, se lo Stato vuole effettivamente trasformare e migliorare le condizioni di un'area depressa attraverso un suo intervento limitato nel tempo e (anche se massiccio) nell'entità, deve proporsi il fine che questo suo intervento sia capace di operare una trasformazione nelle forze interne, che sono le protagoniste dell'economia in quelle zone depresse, trasformazione che conduca al perenne assetto dell'economia in senso progressivo.

E per questo noi considereremo valido quell'intervento dello Stato il quale mira a questo fine, ed è ad esso diretto ed adeguato;

mentre dovremo considerare intervento inefficiente e di carattere demagogico ogni intervento che si traduca in un generico aiuto momentaneo (qualunque ne sia la sua entità), aiuto apportato senza preoccuparsi delle conseguenze che determinerà, degli spostamenti che produrrà nei mutui rapporti tra le forze economiche della zona, delle forze che valorizzerà e di quelle che deprimerà.

Prima di poter concludere, se l'intervento governativo nel Mezzogiorno avrà la possibilità di modificarne effettivamente e positivamente le condizioni, se cioè questo intervento sarà operante attraverso questa legge, dobbiamo esaminare gli effetti che esso è destinato a produrre sulle forze economiche e sociali del Mezzogiorno.

Molti colleghi hanno sostenuto che, se si trattasse semplicemente di finanziamenti, il Mezzogiorno, in fondo, non dovrebbe ringranziare gran che il Governo attuale per il finanziamento proposto, perché, tenuto conto dei molteplici elementi di riferimento, valore della moneta, rapporti di popolazione ecc., gli interventi del passato si possono ritenere anche più massicci dell'attuale. Dal 1870 al 1922 nel Mezzogiorno, per il settore della bonifica, è stato investito il 43 per cento degli investimenti su scala nazionale. Quindi non si può dire nemmeno che lo Stato non sia intervenuto prima di adesso per il Mezzogiorno: si tratta di vedere con quali finalità e con quali effetti. È una questione che si pone sempre quando si tratta di indagare sulla utilità di un intervento ad un dato fine. Io non nego che ogni intervento abbia una certa influenza, ma bisognerà vedere in quale senso avrà questa influenza.

Non si tratta quindi di giudicare l'intervento in rapporto alla sua entità e nemmeno, se vogliamo, in rapporto alla sua qualità considerata dal punto di vista tecnico. Anche per il passato abbondano le leggi speciali: sono, in rapporto all'indirizzo tecnico, specifiche e lungimiranti. Né come volume né come indirizzo tecnico voi proponete qualche cosa'  di nuovo e di diverso da quello che è stato fatto in passato. Se nel passato non si è raggiunto alcun effetto, o peggio se gli interventi statali hanno in generale aggravato le condizioni del Mezzogiorno, dobbiamo arguire che seguendo le stesse vie non' potremo che raggiungere gli stessi risultati. Noi saremo certamente favorevoli a quegli interventi che tendono a modificare la situazione politica e sociale del Mezzogiorno. In questa «area depressa» le forze interne da sole non riescono a modificare la situazione: occorre un appropriato intervento dal di fuori che mobilizzi le forze nuove più attive e che accantoni quelle passive e conservatrici del Mezzogiorno.

19965

L'intervento da voi proposto raggiunge questo scopo? È quello che poniamo in discussione. Prima di tutto le forze più attive dell'Italia meridionale quali sono? Voi sapete che esse non si possono cercare nella grande industria, perché una grande industria non esiste nel Mezzogiorno. Non si possono cercare, queste forze, nella grande proprietà fondiaria: a parole per lo meno, siamo tutti unanimi nel condannare la proprietà assenteista, con la tacita ammissione che questa proprietà assenteista sia accentrata nel Mezzogiorno. Riconosciamo perciò esplicitamente che la grande proprietà è uno dei fattori di regresso del Mezzogiorno.

Quella dei grandi proprietari terrieri non è certamente una categoria che possa essere mobilitata per il rinnovamento dell'Italia meridionale.

Le categorie che hanno dimostrato di essere le più attive, quelle su cui bisogna puntare per il rinnovamento dell'Italia meridionale, quelle alle quali bisogna indirizzare gli interventi per farle prevalere nell'Italia meridionale sono le categorie dei lavoratori, sono le categorie dei tecnici, degli intellettuali del Mezzogiorno.

GIANNINI GUGLIELMO. A mezzo dei miliardi.

MICELI. Anche a mezzo dei miliardi, ma soprattutto a mezzo di un ndirizzo negli investimenti di questi miliardi e degli altri che rappresentano il reddito del Mezzogiorno. Se questi miliardi li diamo a coloro che riconosciamo essere stati sino adesso la causa dell'arretratezza del Mezzogiorno non potremo avere speranza di migliorare le condizioni e di rinnovare l'economia meridionale; se invece nell'assegnare questi miliardi teniamo presenti, in prima linea, gli interessi di quelle categorie che hanno dimostrato la volontà e la capacità di operare per la rinascita del Mezzogiorno, noi impiegheremo utilmente i nostri miliardi.

PIGNATELLI. Parole, parole.

MICELI. Non parole, onorevole interruttore, ma mutamento di indirizzo alla destinazione dei fondi per il Mezzogiorno. E questo si dovrà tradurre, in fatti, anche se poco accetti alle categorie previlegiate che ella rappresenta. Noi diciamo che le categorie alle quali si può affidare sicuramente il compito del rinnovamento dell'Italia meridionale sono i lavoratori e gli intellettuali. La categoria degli intellettuali del Mezzogiorno è una classe che ha un peso notevole non solo nell'economia meridionale ma in tutta la vita nazionale.

Ad essa, insieme a quella dei lavoratori deve essere affidata la rinascita del Mezzogiorno. Noi con questa legge dobbiamo intervenire per potenziare queste categorie e per accantonare le altre. Passo dalle parole ai fatti, secondo l'invito dell'onorevole Pignatelli e dell'onorevole relatore per constatare che la gran parte degli investimenti per il Mezzogiorno secondo la legge in esame dovrà essere impiegata in lavori di bonifica e di trasformazione fondiaria. A me sembra, se non erro, che circa i tre quarti della somma destinata al Mezzogiorno dovrà essere investita a questo titolo. Orbene, la bonifica nel Mezzogiorno ha una tradizione e tale tradizione ha mostrato che essa non è capace, da sola, di modificare in senso progressivo la struttura economica. Secondo gli intendimenti del Governo e secondo le dichiarazioni ufficiali al Senato del ministro Segni, a che cosa dovrebbe tendere tale politica di larghi investimenti nel Mezzogiorno ed, in generale, nel paese? Il ragionamento governativo è semplice e lineare: se voi esaminate gli investimenti in agricoltura concluderete che essi non sono molto appetiti perché rendono poco; si trovano ad ogni passo altri impieghi di capitale che danno maggiori utili. Il problema della nostra agricoltura è un problema di investimenti: la nostra agricoltura produrrà di più, avrà costi di produzione minori e quindi possibilità di smercio maggiori se noi opereremo degli investimenti in agricoltura. Lo Stato deve operare questi investimenti e non solo li deve operare per provocare direttamente una trasformazione dell'agricoltura, ma li deve operare per allettare, rendendoli più redditizi, gli (investimenti dei privati nell'agricoltura.

Se, ad esempio, un proprietario di terre sa che un ettaro del suo terreno rende soltanto 5.000 lire, non è condotto ad investirvi del denaro, mentre, se egli sa che quell'ettaro di terreno renderà 50.000 lire, egli sarà presumibilmente indotto ad investirvi le proprie disponibilità.

Un effetto diretto ed un effetto anche indiretto, cioè quello di convogliare i capitali sull'agricoltura, debbono avere gli investimenti dello Stato in agricoltura provocando un elevamento di reddito dei terreni.

Ma questa politica già è stata fatta: nel ventennio fascista si sono investiti dei miliardi nelle opere di bonifica. È avvenuta inconseguenza questa mobilitazione del capitale privato nell'agricoltura specie nel Mezzogiorno? Cito un solo dato che toglie ogni possibilità di discussione.

19966

Su 4.554.000 ettari che potrebbero essere soggetti a bonifica nell'Italia meridionale, si sono iniziate bonifiche in 2.172.615 e si sono ultimate bonifiche su circa un milione di ettari. Ebbene, quanti di questi ettari già più redditizi hanno beneficiato dell'investimento del capitale privato, di quel capitale privato così caro all'attenzione del ministro Segni? Soltanto 369.000 di questi ettari ne hanno beneficiato! Infatti solo su questa superficie i proprietari hanno eseguito opere di trasformazione.

Vedete dunque come anche il presupposto produttivistico della bonifica sia praticamente fallito. E perché dovrebbe riuscire oggi? Le ragioni di questo mancato investimento sono chiare e sono state dichiarate esplicitamente non da fonte nostra, ma da tecnici e da politici della vostra parte. Voi sapete che il senatore Medici ha detto a palazzo Madama che agli agrari del Mezzogiorno sono cari i silenzi dei bufali e delle pecore ed ha soggiunto che sono loro cari non già per motivi sentimentali, ma perché questi silenzi sono il presupposto di un'agricoltura che rende di più alla proprietà.

E se da questa immagine più o meno virgiliana e pittoresca scendiamo a dati più tecnici, possiamo vedere lo studio apparso a questo riguardo sul bollettino della società studi per il Mezzogiorno: «I proprietari ricavano dalle terre, con l'ordinamento estensivo in atto e con l'affitto frazionato ai contadini, un reddito più elevato di quello che ricaverebbero con la trasformazione agraria».

E ciò perché il reddito fondiario nell'Italia meridionale è elevatissimo", in quanto si basa su condizioni di vita, di salario, di lavoro, di contralti che sono al di sotto alla media normale. Quando, quindi, il proprietario è posto al bivio della scelta fra una economia agricola estensiva, assenteista, fondata quasi esclusivamente sul fattore lavoro e nella quale il valore del lavoro è basso, ed una economia nella quale si richiede, oltre ad un investimento di capitale, una valorizzazione del lavoro perché la valorizzazione e lo sviluppo della agricoltura sono specializzazioni e quindi migliore remunerazione del lavoro agricolo, il proprietario che sa fare i suoi conti conclude che la prima forma è quella a lui più conveniente.

Se noi vogliamo anche metterci sullo stesso piano del ministro Segni, se cioè vogliamo invogliare i proprietari a fare degli investimenti in agricoltura, noi dobbiamo appesantire il piatto della bilancia che si riferisce alla remunerazione del lavoro agricolo.

Se noi nell'Italia meridionale possiamo raggiungere uno degli obiettivi assolutamente non elevati ma comunque raggiunti su scala nazionale, cioè che i salariati e i braccianti agricoli vengano pagati a 1000 lire al giorno o a 800 lire al giorno in media, se possiamo raggiungere il traguardo che nei contratti di affittanza, di mezzadria si ottengano per il colono le quote conquistate nel resto d'Italia, allora la rendita fondiaria del proprietario ottenuta con i vecchi metodi non sarà più quella iniziale perché su di essa peserà il lavoro in misura maggiore; e allora il proprietario, il quale ha interesse a conservare la sua rendita, cercherà automaticamente delle altre forme e, tra queste altre forme, troverà la forma dell'investimento facilitalo dalla bonifica.

Quindi, non per opporci alla bonifica ma per renderla valida, per non farle fare la stessa fine che hanno fatto le bonifiche dei, decenni passati, noi dovremmo intervenire per operare in questo senso. Il Governo e la maggioranza diranno che la Cassa por il Mezzogiorno in tutto questo non c'entra.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. No, c'entra.

MICELI. Ho piacere che c'entri ma avrei piacere che ci entrasse utilmente. È questione di riforma di patti sindacali: siamo d'accordo. Ma la Cassa per il Mezzogiorno si inserisce (ed ecco qui la questione politica) in una situazione politica tale che non tende a valorizzare il Mezzogiorno dal punto di vista che noi diciamo, cioè della valorizzazione dei lavoratori, ma tende a deprimere il Mezzogiorno in queso senso.

Abbiamo visto, per esempio, (non per entrare nel merito della questione) che vi era un determinato progetto di stralcio per la riforma fondiaria nel Mezzogiorno. Noi siamo dissenzienti e dimostreremo i motivi perché siamo dissenzienti da questo progetto; ma che cosa ha fatto il Governo, il partito di maggioranza alla vigilia della promulgazione del disegno di legge della Cassa per il Mezzogiorno? Ha cercato di migliorare questo progetto (che, secondo noi, è già insufficiente) nell'interesse dei lavoratori, cioè ha cercato di far pendere la bilancia da quella parte per facilitare gli investimenti della proprietà? No, ha fatto il contrario. E nessuno di voi, credo, potrà negarlo,esaminando il testo del disegno di legge n. 1173 presentato dal ministro Segni alla Camera. Dalla prima revisione proposta dal consiglio dei 79 della democrazia cristiana alla più recente se non ultima revisione proposta, si vede che voi proponete di fare dei passi indietro nella via della valorizzazione del lavoro in agricoltura.

19967

Non accenno a questi punti che sono a voi tutti noti. I risultanti odierni sono già un compromesso tra la situazione iniziale e la soluzione De Martino. Voi capite che quando si fa un compromesso bisogna cedere qualche cosa ad una parte, cioè alla parte De Martino, ai proprietari.

Quindi, alla vigilia di promulgare un provvedimento che dovrebbe venire incontro al Mezzogiorno effettivamente, nell'intento di valorizzare, di sistemare, di attivare., di mobilitare il lavoro agricolo nel Mezzogiorno e di rendere con ciò possibile ed efficace anche la politica di bonifica per gli investimenti della proprietà, noi neutralizziamo gli effetti eventuali di questa Cassa del Mezzogiorno e delle bonifiche relative, rafforzando le posizioni di quella classe del Mezzogiorno che ha dato delle prove di essere una delle cause dell'arretratezza attuale del Mezzogiorno ed il maggior ostacolo alla sua rinascita.

GUI. Se fosse rimasto in Commissione, non l'avrebbe detto.

MICELI. Lo ripeterò in Commissione e alla Camera e cercherò di documentarlo, in sede di discussione della legge stralcio.

C'è poi un'altra questione che riguarda l'agricoltura nel Mezzogiorno: la questione dei contratti agrari. Vi ho già detto che una delle forme di depressione della manodopera del sud è quella delle cattive condizioni dei lavoratori dovute ai bassi salari, ai contratti agrari jugulatori e feudali. Citerò qualche esempio. Il Rossi Doria dice, tra l'altro, che «bisognerebbe coraggiosamente operare la modifica dei contratti agrari che sono qui (nel Mezzogiorno) tra i più duri d'Italia, tra quelli per i quali anche i più conservatori ritengono opportuna una regolamentazione a favore dei coltivatori». Orbene, onorevoli colleghi, che cosa si è fatto per modificare questa situazione e, quindi, per rendere operante la Cassa per il Mezzogiorno per quelle categorie alle quali intendiamo affidare la rinascita del Mezzogiorno stesso? Assolutamente niente e ve ne darò subito la dimostrazione. Per la mezzadria classica c'è un lodo De Gasperi, trasformato in legge, il quale stabilisce che il 4 per cento della produzione debba essere investito nei miglioramenti agrari. Ebbene, questo lodo vale per l'Italia settentrionale e centrale dove vige la mezzadria classica, ma niente di simile vi è per la mezzadria impropria e per la colonia che interessano il Mezzogiorno.

Forse che le campagne dell'Italia meridionale hanno meno bisogno dell'investimento del 4 per cento di quelle dell'Italia centrale e meridionale? Penso che nessuno voglia sostenere questo. Quando poi noi abbiamo insistito affinché si prendessero dei provvedimenti (che noi abbiamo concretamente proposto in sede di discussione della legge riguardante la proroga dei contratti agrari) che rendessero possibile ai contadini del Mezzogiorno una migliore suddivisione dei prodotti, questi ci sono stati bocciati dalla maggioranza. Orbene, a conti fatti, nel Mezzogiorno si perdono annualmente diversi miliardi per i mancati investimenti di questo tipo in agricoltura. Perché dunque voi, che vi preoccupate di compiere degli investimenti utili nel Mezzogiorno, negate ai contadini di quelle regioni questi diritti che già hanno conquistato i mezzadri del nord e che sono non tanto una conquista sindacale quanto una norma di giustizia che, oltre tutto, aumenta e migliora la produzione?

Ma c'è qualche cosa di più: nel Mezzogiorno si possono ammirare qua e là delle oasi di buona cultura. Vi sono nel napoletano, in alcune zone delle Puglie e della Calabria. Tali esempi di buona cultura sono dovuti solamente alla piccola ed alla media proprietà coltivatrice. Ebbene, che cosa avete fatto e che cosa fate voi per i piccoli e per i medi proprietari coltivatori del Mezzogiorno? Voi non avete fatto altro che deprimerli in ogni modo. Voi vi accingete a presentare alla Camera una legge che regolamenti l'enfiteusi, cioè che aggravi i canoni enfiteutici a danno delle possibilità di formazione, a mezzo del riscatto, delle piccole e medie proprietà contadine. In altre parole voi avete fatto per il Mezzogiorno (anche se non ve ne siete accorti) una politica differenziata, sì, ma in senso negativo. Voi non solo non avete messo i contadini del sud allo stesso livello di quelli del nord (e dovevano essere messi al disopra per riparare ai torti del passato), ma li costringete a rimanere in una condizione di vergognosa inferiorità.

Un'ultima osservazione: voi proponete ora una riforma per il Mezzogiorno, ma la vostra è una riforma che aggrava le condizioni delle categorie produttrici, cioè dei piccoli e dei medi coltivatori. Infatti quando voi proponete per il Mezzogiorno lo scorporo per reddito anziché per superficie, chi scorporate? Scorporate, per esempio, il proprietario di 30 ettari di agrumeto nella Conca d'oro di Palermo, perché gli ettari di agrumeto hanno un reddito elevato e quindi sono soggetti ad uno scorporo sensibile.

19968

Al contrario salvaguardate il proprietario assenteista di 2.500 ettari nudi, in quanto voi lasciate a lui ben 1700 ettari di terreno.

Quindi, se una riforma differenziata doveva esserci, doveva esserci nel senso che nel Mezzogiorno fosse valorizzata (e quindi esentata da ogni possibilità di incisione) quella piccola e media proprietà coltivatrice che ha dimostrato coi fatti di essere uno dei fattori importanti del progresso dell'agricoltura. E voi premiate invece la grande proprietà assenteista!

Un'ultima osservazione a proposito di interventi in questo senso nel Mezzogiorno. Voi vi proponete di accantonare per questa sessione estiva la legge sui contratti agrari e avete preferito a questa legge la legge sull'enfiteusi. La legge sui contratti agrari, che poteva in un certo senso, con le dovute modifiche, rappresentare un passo avanti perii Mezzogiorno, l'avete accantonata, mentre avete sostituito a questa legge quella sull'enfiteusi, la quale aggrava le condizioni degli enfìteuti del Mezzogiorno precludendo ad essi la possibilità di diventare proprietari!

E allora, se la vostra concreta politica è questa, come potete voi presumere che sia valida la finalità della «Cassa per il Mezzogiorno»? Come potete presumere che essa valga a modificare la situazione nel Mezzogiorno? Voi potrete sostenere che darete dei miliardi al Mezzogiorno. Non discuto se li darete e quando e quanti, ma era necessario creare una Cassa e creare dei programmi per questo? La logica e l'esperienza vi avrebbero dovuto guidare. Se fatto nuovo ci poteva essere che giustificasse la presentazione di nuovi programmi di investimenti, questo fatto nuovo doveva essere l'indirizzo di questi investimenti, indirizzo che la vostra politica concreta annulla, e che conferma anzi essere diretto ad aiutare quelle categorie che sono la causa dell'arretratezza del Mezzogiorno.

E se poi vogliamo esaminare in concreto la vostra politica di bonifica e di trasformazione nel Mezzogiorno, vi devo dire che, a prescindere dalle finalità e direzioni, essa è inadeguata e caotica, lo non vedo i rappresentanti del Ministero dell'agricoltura, ma devo riferire questo fatto inaudito, che non è un episodio, ma che rivela una situazione ed un metodo. Prima di discutere della bonifica del Mezzogiorno in sede di discussione sulla Cassa io ho tentato di avere dei dati sullo stato della bonifica nel Mezzogiorno.

Credevo (e mi sono illuso) che la fonte più opportuna alla quale attingere e dalla quale ottenere dati certi fosse la direzione generale delle bonifiche presso il Ministero dell'agricoltura. Ho pregato quindi il direttore generale dottor Maisto di fornirmi i dati che mi potessero mettere in condizione di discutere i problemi senza ricorrere a notizie di seconda mano che avrebbero potuto essere contestate dal Governo.

A prescindere dalla risposta pregiudiziale che per ottenere tali dati era necessario il permesso del ministro, (e non vedo dove e come il controllo parlamentare si possa esercitare quando non si possono nemmeno ottenere i dati che si riferiscono alla discussione d'un provvedimento di legge), il direttore dottor Maisto mi ha confessato candidamente che non esistono rilevamenti in proposito e che, se il ministro avesse dato il permesso, sarebbe occorso un lavoro di sette giorni per ricavare i dati sulla consistenza attuale delle bonifiche nel Mezzogiorno.

Questo non è un aneddoto, bensì un fatto realmente avvenuto e di cui ho citato uomini, nomi e circostanze.

È una questione di indirizzo! Ci si propone di intervenire nel Mezzogiorno, stabilisce che questi investimenti devono essere fatti m direzione della bonifica, e in base a che cosa? In base ad una rivelazione divina? No, tutto questo doveva essere frutto di uno studio delle condizioni del Mezzogiorno.

Il dottor Maisto ha confessato che questi dati non esistevano presso la direzione generale delle bonifiche: è logico pensare che l'indirizzo e la destinazione delle somme proposte dalla legge in esame siano frutto di improvvisazione.

Se noi ci riferiamo poi concretamente alla situazione delle bonifiche nell'Italia meridionale, noi vediamo che l'indirizzo del Governo attuale è l'indirizzo americano. Cioè si distinguono le bonifiche in comprensori di acceleramento, di concentramento A e C, e si abbandona tutto il resto. A quale risultato porta ciò? Porta a questo risultato, che, sull'intera zona da bonificare, i comprensori di acceleramento e di concentramento abbracciano solo una piccola frazione della superficie bonificabile. Tutto questo potrebbe stimarsi derivare da una considerazione quantitativa; ma si tratta di ben altro: l'indirizzo da dare alle bonifiche rivela il vero carattere di conservazione della Cassa per il Mezzogiorno.

Voi volete fare delle bonifiche nelle zone di acceleramento e di concentramento. Guardate la distribuzione della proprietà fondiaria in queste zone.

19969

Voi volete continuare nella bonifica (che si è chiamata integrale per modo di dire, perché non lo è stata nemmeno nel senso estensivo) a favore della grande proprietà. Voi direte: ma vi è la legge n. 1744: i proprietari, se non faranno le opere di trasformazione, successive alla bonifica, saranno espropriati. Prima di tutto vi sono stati proprietari che non le hanno fatte. Solo un terzo degli ettari ultimati come bonifica è stato trasformato; i due terzi dovevano essere espropriati, perché questa disposizione esisteva già nella legge n. 215 sin dal 1933. io ho invitato spesso, inutilmente, il Governo ad indicarmi un solo proprietario espropriato di un solo ettaro di terreno per non aver compiuto i lavori di trasformazione impostigli da tutta la legislazione vigente. Tale esempio non esiste. Vi sarà nel futuro? Dobbiamo aspettare il futuro, ma dall'esperienza del passato abbiamo la certezza che, per questa via, non si arriva all'espropriazione terriera. Si arriva, invece, a un miglioramento del reddito della proprietà, che non deriva da investimenti del proprietario ma esclusivamente da un intervento dello Stato,. anche perché questi lavori lo dice la legge perpetuando l'errore del passato sono affidati ai consorzi dei proprietari. I grossi proprietari hanno interesse a inserire nei loro progetti, oltre alle grandi opere a carico dello Stato, o per il 92 per cento a carico dello Stato, anche parte delle opere che sarebbero" a loro carico, e ciò possono agevolmente fare perché la progettazione e l'esecuzione di questi lavori sono demandate ai consorzi, dominati in ultima analisi dai proprietari stessi. Voi intervenite perpetuando questa 'situazione.

Se voi aveste effettivamente intenzione di provocare una riforma fondiaria e, soprattutto, se aveste intenzione di valorizzare la piccola proprietà, avreste dovuto intervenire con provvedimenti di bonifica nei comprensori che racchiudono interessi di piccoli e medi proprietari,, comprensori che sono diversi da quelli di acceleramento e di concentrazione e avreste dovuto nei comprensori di acceleramento e di concentrazione far andare la bonifica di pari passo con la riforma fondiaria, cioè avreste dovuto preoccuparvi in questi ultimi comprensori della comparsa in scena dei nuovi protagonisti, i nuovi piccoli proprietari, nati dalle spoglie del latifondo. Voi avete invertito le cose e avete così intralciato di più la riforma fondiaria: perché con le bonifiche eseguite coi vostri criteri aumentate la potenza economica della grande proprietà, che voi dite di essere alla vigilia,

non dico di voler liquidare, ma di decurtare, rendendone così più problematica anche la più tenue amputazione. Le cifre che si presume di stanziare sono anche esse inadeguate rispetto ai bisogni oggettivi. Io non ho potuto avere, come ho detto, dati ministeriali, ma ho rilevalo, da diverse pubblicazioni, i dati relativi alla situazione delle bonifiche, ed ho rilevato che per i comprensori ufficiali eli bonifica, 2.373.000 ettari, occorrerebbe spendere 763 miliardi e mezzo. Voi non intervenite con questa cifra, ma con una cifra molto minore. Questo per quanto riguarda le sole opere di bonifica. La cifra preventivata per le trasformazioni agrarie, che accompagnano le bonifiche, è cifra del tutto insufficiente. Tali trasformazioni agrarie aggravano la posizione della piccola e della media proprietà.

Infatti tali trasformazioni operate nelle zone di acceleramento e concentramento, se venissero fatte potenzierebbero la grande proprietà terriera diminuendone i costi di produzione: così operando la pìccola proprietà, che non viene affatto toccata da queste trasformazioni perché ubicata di solito in altri comprensori, e che perciò continuerebbe a produrre a costi elevati, si troverebbe di fronte alla concorrenza di prodotti più abbondanti ed a più basso prezzo, subendo forse in tal modo il finale tracollo.

Onorevoli colleghi, io, riferendomi al settore agricolo, ho voluto esaminare le funzioni della Cassa per il Mezzogiorno che voi ci proponete, ed ho cercato di dimostrare che gli interventi previsti, a prescindere dalla loro entità e dall'indirizzo tecnico, non hanno il potere di modificare la situazione del Mezzogiorno e quindi di aiutarlo a risorgere. Il compito della Cassa dovrebbe infatti essere questo: aiutare le classi lavoratrici ed intellettuali del Mezzogiorno, uniche capaci di prendere in mano e di condurre a termine il rinnovamento meridionale, a diventare le artefici di tale rinnovamento. Tali classi solo a costo di gravi sacrifizi, e dopo un lungo periodo di lotta, con le sole loro forze riusciranno a° modificare lo stato di arretratezza esistente: "stendiamo la mano a queste classi, se riconosciamo che sono queste classi le depositarie dell'avvenire del Mezzogiorno. Voi, invece, con il vostro disegno di legge, ignorate tali forze dell'avvenire e rafforzate le forze retrive del passato, prima di tutte la grande proprietà terriera.

Dalla legge si desume che Se una funzione nell'agricoltura ha la Cassa per il Mezzogiorno, questa è una funzione ben strana, e sapete quale è? La funzione di gendarme della nuova piccola proprietà.

19970

Se voi leggete l'articolo 5, all'ultimo capoverso, rileverete che «le somme comunque introitate dalla Cassa per capitali o per pagamento di interessi, compreso l'importo delle quote di riscatto delle proprietà assegnate in dipendenza della riforma fondiaria, saranno utilizzate per impieghi rientranti nei programmi della Cassa medesima». Quindi lo Stato ha demandato alla Cassa per il Mezzogiorno l'ingrato compito di essere il gendarme dei contadini ai quali verrà assegnata la terra, terra che dovranno pagare annualmente in rate che in altra sede abbiamo dimostrato essere sproporzionate alle possibilità dei contadini poveri immessi nel possesso.

È 'molto significativo il compito che voi riservate alla Cassa nei confronti dei contadini. Ma la funzione essenziale, la funzione politica, come hanno detto altri, è solamente funzione demagogica: la Cassa, come la riforma fondiaria, nelle intenzioni del Governo, dovrà essere un mezzo di ricatto e di propaganda elettorale del Governo nel Mezzogiorno.

Forse voi potrete accusarmi di voler prevedere e sarebbe molto facile! le vostre intenzioni; io dico che non vi è bisogno di aspettare la promulgazione della legge per veder rivelato questo scopo della Cassa.

Ho sottocchio una lettera di un deputato democristiano, di cui vi dirò per ultimo il nome, che è stata inviata ai sindaci di tutti i comuni di una regione; voi giudicherete alla fine se la Cassa perii Mezzogiorno ha iniziato ad avere questa funzione prima di nascere, cioè una funzione demagogica, politica, di ricatto:

«Al sindaco ed al segretario della sezione della democrazia cristiana. Vi comunico che in seguito al mio vivo interessamento i lavori dell'acquedotto di cotesto comune sono stati compresi nel programma decennale delle opere da eseguire con la istituenda Cassa per il Mezzogiorno, e ciò per l'importo di tot milioni». (Noi non sapevamo che esistesse già un programma; lo sapeva semplicemente questo deputato della democrazia cristiana). (Commenti).

Consentitemi qui un commento. Quindi, esiste un programma. Un deputato democristiano conosce questo programma ed ha chiavi tali che gli consentono di introdurre comuni bisognosi in questa prenotazione.

La lettera continua: «Mi corre l'obbligo, però, di avvertirvi che tale inclusione (cerca di mettere le mani avanti il preveggente nostro deputato!) nel programma decennale non va interpretata,

allo stato delle cose, come sicuro finanziamento dell'opera (Commenti all'estrema sinistra) in quanto tutto è condizionato alla somma che residuerà dalla costruzione dei grandi acquedotti...» (ignorava questo collega che i grandi acquedotti erano prima gli unici previsti dalla Cassa e che adesso sono stati messi alla stregua dei piccoli acquedotti. Egli ragionava solo in base al disegno di legge presentato dal Governo, non su quello della Commissione!) «...ed anche subordinatamente alla approvazione della legge della Cassa per il Mezzogiorno, attualmente all'esame dell'apposita Commissione presso la Camera dei deputati. Non mancherò, comunque, di seguire la cosa fino al definitivo esito favorevole, anche sotto il profilo della inclusione nei programmi ordinari, in base alla legge Tupini 3 agosto 1949 n. 589, poiché non è concepibile che vi possano essere ancora nel nostro paese numerosi comuni, dove manchi perfino l'acqua potabile. Comunque, ad ogni buon fine, qualora codesto comune ritenga che la somma per la quale è stato inclusa nel programma decennale sia insufficiente, prego di telegrafarmi (Vivi commenti all’estrema sinistra) la somma che si intende richiedere, perché farò in tempo (bisognava fare in tempo, per tutto questo!) a comunicarla al Ministero per la debita rettifica. Con i più cordiali saluti. Firmato: Salvatore Foderaro».

Voi forse potete in altre occasioni accusarci di fare il processo alle vostre intenzioni, ma non ci potete proibire di venire in possesso di lettere di qualcuno dei vostri deputati, che confermano che l'indirizzo dato alla Cassa per il Mezzogiorno è un indirizzo di questo tipo.

Le popolazioni ed i lavoratori del Mezzogiorno, che hanno valutato le finalità di questa legge, decisamente la respingono e non per condannare il Mezzogiorno alla arretratezza ed alla miseria, come ieri qualcuno affermava. L'onorevole Lucifredi ha detto: «Volete respingere questa legge, per continuare a non far niente per il Mezzogiorno». Non è questa la posizione dei lavoratori e delle popolazioni del Mezzogiorno. La loro posizione essi l'hanno espressa concretamente nei loro imponenti e democratici convegni, nelle «assise della rinascita». In queste grandi manifestazioni del popolo meridionale, non solo sono state fatte presenti le necessità del Mezzogiorno, ma si è in concreto indicata la via da seguire, la via nuova, che deve condurre alle bonifiche, alle trasformazioni, alla creazione ed allo sviluppo dell'industria, alle esportazioni, alla istruzione popolare.

19971

Le popolazioni ed i lavoratori del Mezzogiorno respingono questa legge, perché essa rappresenta una condanna alla arretratezza ed alla miseria, la respingono senza esitazioni o rimpianti perché hanno la certezza che la vita ed il progresso delle regioni meridionali marciano sotto la stessa bandiera delle grandi lotte dei contadini e dei lavoratori del mezzogiorno d'Italia. (Applausi all'estrema sinistra — Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palazzolo. Ne ha facoltà.

PALAZZOLO. Onorevoli colleghi, il mio discorso sarà proporzionato al numero dei presenti (Commenti), e quindi non metterò a dura prova la vostra pazienza.

Critiche a questa legge ne sono state fatte tante: talune giuste tal altre ingiuste, ed ancora se ne potrebbero fare. Dichiaro però che ne farò poche in quanto penso ché al momento della realizzazione bisogna cercare di semplificare, avendo io l'impressione che il Governo sia veramente deciso ad iniziare la risoluzione di questo secolare problema che ha fatto consumare vasche d'inchiostro e che ha esercitato l'eloquenza eli tutti i migliori uomini del Parlamento italiano.

Il merito di questa legge è di tutti e di nessuno. Potrei anzi direche è dei tempi che come la classica pera sono maturi ed esigono che le popolazioni del Mezzogiorno siano portate ad un sistema di vita più civile e meno bestiale di quello finora vissuto.

Onde non sono affatto d'accordo' con l'onorevole Amendola quando dice che questa legge è frutto delle pressioni delle «assise popolari» del partito comunista culminate a Salerno. E non posso essere d'accordo con lui perché da novant'anni il Mezzogiorno è tutta una corte d'assise e non c'era dunque bisogno delle «assise popolari» del partito comunista perché si arrivasse all'odierna legge. È l'intero Mezzogiorno che ha sempre reclamato e reclama la soluzione del suo tragico problema. (Commenti all'estrema sinistra). Nessuno quindi si illuda di arrogarsi dei diritti e dei meriti perché rischierebbe di fare la fine dei generali di Alessandro Magno i quali, alla morte del loro grande condottiero, dicevano di avere fatto tutto loro: qualcuno giunse persino a dire di essere stato lui a sciogliere il nodo gordiano. Credevano di passare alla storia e di coprirsi di gloria, e si coprirono di ridicolo.

Lasciamone dunque il merito all'intero popolo del Mezzogiorno, senza distinzione di ceti...

MICELI. Siamo d'accordo.

PALAZZOLO...senza distinzione di classi o di fedi religiose e politiche!

Si è detto anche qualcosa di grave. Si è affermato, ad esempio, che questa è una legge colonialistica. Voi sapete che io non sono un difensore del Governo, ma un suo oppositore, un leale oppositore, e come lale riconosco che in questa legge non vi è nulla di colonialistico. Il colonialismo lo sapete meglio di me è sinonimo di sfruttamento, e qui non si sfrutta nessuno, qui si dà; lungi dallo sfruttare le popolazioni del Mezzogiorno, con questa legge si vuol dare loro quello che hanno diritto di avere, anzi meno di quanto loro spetta. E questo non è colonialismo.

Vi dirò anche che non ho affatto gradito la frase dell'onorevole Amendola che mi dispiace abbia abbandonato l'aula secondo la quale questa legge sarebbe fatta per le «rapaci camarille meridionali legate agli interessi monopolistici del nord». Francamente una cosa del genere non la si può affermare senza porsi contro la storia. Tutti gli uomini migliori del Mezzogiorno, dall'unità d'Italia ad oggi, hanno sempre combattuto i plutocrati del settentrione accusandoli di essere la causa dei nostri mali. Ed io, ultimo di quegli uomini, in ordine di' tempo e di merito, insisto nel dire che proprio i plutocrati del nord hanno ostacolato la rinascita delle nostre regioni. Non è pertanto concepibile che oggi gli uomini del Mezzogiorno vadano a servire quelle plutocrazie tradendo le loro nobili popolazioni che soffrono da novant'anni.

Ad ogni modo da queste accuse, per quanto infondate, è bene guardarsi, e perciò dico che m questa Cassa si debbono mettere dei tecnici e dei galantuomini: non ci debbono stare né deputati né senatori. (Vivi commenti — Proteste).

PRESIDENTE. Onorevole Palazzolo, la sua espressione non è sta La troppo felice.

PALAZZOLO. Signor Presidente, volevo dire soltanto che la politica non ci deve entrare; che gli amministratori della Cassa devono essere dei tecnici e dei galantuomini provati; e devono anche essere, come suole dire Carlo Scarfoglio, dei «meridionali meridionalisti». Non intendevo offendere nessuno, altrimenti avrei offeso anche me stesso, ma volevo soltanto affermare il principio che la politica deve restare estranea all'amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno.

19972

PRESIDENTE. Ora siamo d'accordo. Se l'avesse detto subito in questo modo, sarebbe stato assai meglio!

PALAZZOLO. Pare invece desiderabile ed opportuno costituire una Commissione mista di controllo formata da rappresentanti dei due rami del Parlamento, ma i controllori non debbono avere né prebende né indennità. Io credo che l'idea fondamentale di questa legge e contro la quale si sono accanite le critiche di tanti, tra cui il mio valoroso e illustre amico Corbino è quella di aver dato alla Cassa personalità giuridica per svincolarla dalle pastoie, dalle remore e dagli intralci della burocrazia. Io non sono affatto Giustino Fortunato, ma semplicemente uno sfortunato cittadino del Mezzogiorno; tuttavia credo di conoscere un po' anch'io la diagnosi del nostro problema e questa conoscenza mi consente di attribuire gran parte della colpa della mancata risoluzione dei problemi del Mezzogiorno alla burocrazia dello Stato.

Dopo l'avvento della sinistra al potere, e specialmente con i governi liberali di Crispi, Giolitti, Di Rudinì, ecc., furono fatti dei tentativi, sia pure non radicali, per risolvere il problema meridionale, ma la burocrazia, con i suoi dubbi, con le sue remore, con il suo antiquato regolamento che risaliva al 1865, fini tutte le volle per far naufragare ogni cosa, e ciò perché i governi decidevano e passavano, mentre la burocrazia restava e riusciva facilmente ad accantonare il progresso del Mezzogiorno. Vi citerò per tutti un caso recente: nel 1946 il Governo stanziò 8 miliardi per lavori pubblici a favore della Sicilia; ebbene, nonostante siano trascorsi 5 anni, questi 8 miliardi non sono stati ancora spesi tutti, o perché molti progetti non sono stati approntati o perché, se approntati, non sono stati poi approvati....

ARTALE. Non è esatto.

PALAZZOLO. È esattissimo.

ARTALE. Si stanno svolgendo.

PALAZZOLO. Ma se dopo cinque anni si stanno svolgendo vuol dire che è vero quanto io dicevo. Difatti sono state cominciate tante opere, ma non ne è stata terminata nessuna, perché i progetti dovevano essere eseguiti a lotti, e a furia di lotti e di lungaggini burocratiche le popolazioni della Sicilia sono ancora senz'acqua, senza scuole, senza fognature!

AMENDOLA GIORGIO. In questo caso, allora, vi è la responsabilità politica del ministro! (Proteste al centro e a destra).

PALAZZOLO. Il mio amico Corbino con una espressione molto incisiva ci ha detto: se voi darete la personalità giuridica alla Cassa finirete per creare l'urto, il dissidio costante fra le direzioni generali della Cassa e le direzioni generali dei ministeri, cosi come vi è un urto continuo fra il mondo occidentale e quello orientale. Senonché, mentre il mondo diviso fra occidente ed oriente continua a camminare, sia pure faticosamente, se noi affideremo la Cassa alla burocrazia dello stato, di essa potremmo farne una cosa sola: adoperarla, come tante altro casse, per i funerali del Mezzogiorno!

Permettetemi ora alcune osservazioni. La prima è che 13 amministratori della Cassa, onorevole Jervolino, sono troppi. Ne basta uno per ogni regione: uno per la Sicilia, uno per la Sardegna, un altro per la Campania, ecc. ecc., cioè 7 in tutto. Un presidente ci vuole, un vicepresidente è quasi di troppo, ma possiamo anche metterlo; degli altri 4 amministratori possiamo fare senz'altro a meno, perché 4 membri della Cassa in dieci anni costerebbero qualcosa come un centinaio di milioni. Ed a quel collega che poco fa mi ha interrotto dovrò ancora dire che con quei 100 milioni si potrebbe per esempio ultimare l'acquedotto di Terrasini, e si potrebbero fare le fognature nella frazione di Trappeto che avrebbero dovuto rientrare nei famosi 8 miliardi, evitando così oltretutto lo sconcio di vedere la mattina tante povere donne che vanno in giro con certi arnesi che si fabbricano a Caltagirone!

Bisogna rispettare anche la geografia. Io sapevo che l'Italia meridionale arrivava al Volturno o al Garigliano; vedo nella legge in discussione che è arrivata a Cittaducale. Ma di questo passo fra emendamenti qui ed emendamenti al Senato, quando la legge andrà alla firma del Presidente della Repubblica l'Italia meridionale sarà arrivata a Bologna!

GIANNINI GUGLIELMO, lo vorrei che arrivasse a Milano!

PALAZZOLO. Farebbe un bell'affare! (Si ride). Dove invece il mio amico Corbino ha ragione è quando dice che mille miliardi sono pochi. E sono veramente pochi, onorevole ministro Campilli, perché la mole delle opere è immensa. Per risolvere il problema i mille miliardi proposti dal Governo dovrebbero diventare i 1.500 miliardi dell'onorevole Corbino. È il meno che potete fare perché, fra l'altro, vi è una voce che avete trascurato: la manutenzione delle opere, che è una cosa strettamente necessaria, senza di che alla fine del decimo anno le opere eseguite nel primo anno saranno già andate in rovina, come del resto è sempre avvenuto nell'Italia meridionale.

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JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Ma la Cassa non finirà al decimo anno. Poi, nell'articolo 4, è prevista la manutenzione delle strade.

PALAZZOLO.'Ma non di tutte le opere. E infatti noi abbiamo visto che nell'Italia meridionale tutti quei lavori pubblici che fecero i governi liberali non esistono più ed oggi bisogna rifarli constatando amaramente che si sono sprecati tanti miliardi.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Chi può escludere che i nostri successori possano assegnare altri 1.000 miliardi?

PALAZZOLO. Nel 1946 io sono riuscito ad ottenere che si costruisse una strada congiungente il mio paese natio con il resto del mondo, una strada che è costata 12 milioni. Ebbene, questa strada è in rovina perché il mio paese possiede un territorio di 500 ettari eli sabbia e quindi non ha i mezzi per la sua manutenzione. La regione siciliana, che sembra tanto ricca, non è stata in grado di spendere un milione e mezzo per riparare quella strada, cosicché fra un anno essa sarà andata in malora, cioè saranno andati un malora quei 12 milioni del 1946 che oggi rappresentano qualcosa come 50 milioni.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Questo rientra nei compiti ordinari dei ministeri.

PALAZZOLO. Ma che ministeri! Se ci fate mettere le mani ai ministeri, non se ne fa più niente: si va a finire come finì col campanile di Oronzo Marginati.

Una voce al centro. Sono opere straordinarie quelle della Cassa.

PALAZZOLO. Ordinarie o straordinarie, voi farete un lavoro inutile se trascurerete la manutenzione delle opere.

Prima di concluderà voglio dire che il Presidente del Consiglio, che è il più settentrionale dei presidenti del Consiglio, se attuerà questa legge' con i criteri che ho esposto, renderà anche un grande servizio politico e morale alla nazione, perché finirà di cementare l'unione tra i settentrionali e i meridionali; a condizione però che rimandi a don Sturzo con raccomandata a doppia ricevuta di ritorno quel certo progetto sull'ordinamento regionale; altrimenti nel 1952 (e lei onorevole Campilli, che è un tecnico, lo sa meglio di me) lo Stato non potrà più far fronte alla spesa cui si è impegnato se frattanto avrà dato l'autonomia finanziaria a tutte le regioni italiane.

Comunque, convinto che questa è la volta buona per il Mezzogiorno, concludo proponendo che sulla linea che va da Latina a Teramo, che segna il confine tra l'Italia centrale e meridionale, siano scritte le parole 'di un grande poeta, anche lui meridionale: «Qui si rinasce e si fa l'Italia nuova». (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laconi. Ne ha facoltà.

LACONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, già numerosi oratori che sono intervenuti prima di me in questa discussione hanno ricordato le indiscrezioni di stampa e le dichiarazioni ufficiali di Governo, che hanno preannunciato questo disegno di legge.

Io tralascerò le indiscrezioni della stampa; tuttavia non vi è dubbio che dalle dichiarazioni ufficiali del Presidente del Consiglio nel suo discorso del 31 gennaio traeva legittimo fondamento la convinzione che ci saremmo trovati dinanzi ad un programma organico di lavori. La suggestione delie parole dell'onorevole De Gasperi fece sì che sulla stampa e nei discorsi ufficiali si parlasse sempre di un programma, di un piano; essa anzi fu talmente forte che l'eco ne perdura perfino nelle due relazioni: la relazione governativa ci parla infatti di un «programma speciale per il rinnovamento del Mezzogiorno»; la relazione della Commissione ci parla di «un provvedimento eccezionale che realizza una istanza di giustizia sociale invano postulata; per anni mollissimi, dalle popolazioni del Mezzogiorno».

Su questa base, partendo da queste indiscrezioni e da queste dichiarazioni ufficiali, davvero vi è da stupirsi a scorrere il presente disegno di legge, il cui contenuto è esattamente indicato ma anche esaurito dal titolo: «Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale».

Tutti ci aspetteremmo di trovare un programma, una linea di intervento, l'enunciazione di una politica; e troviamo la laboriosa configurazione di un ente e un faticoso stralcio di somme dal bilancio.

Onorevoli colleghi, chiariamoci le idee: poco fa l'onorevole Miceli ha citato una curiosa lettera dell'onorevole Foderaro. Qualcuno ha obbiettato che una rondine non fa primavera. Ieri l'altro scorrevo un giornalino calabrese di contenuto apologetico in cui si trovavano citate parole pressoché simili di un altro dei vostri colleghi, l'onorevole Seme raro. Ora se l'onorevole Semeraro o l'onorevole Foderaro o qualunque degli altri colleghi della maggioranza annuncia uno stanziamento per il paese natio, io credo che si possa fare a meno

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di chiedergli quale programma, quale indirizzo intende perseguire, oltre l'intento umanissimo di essere rieletto deputato; tanto più che sulla fontanella di quel paese o sulle strade vicinali di quell'altro non c'è altra letteratura se non quella costituita eia giornaletti di questo tipo, frequenti nella provincia.

Ma quando un Governo italiano annuncia di voler affrontare la questione meridionale le cose stanno diversamente. L'onorevole Jervolino benevolmente nella sua relazione ci ha ricordato che esiste una «larga e ben nota» letteratura sul problema meridionale. Ha aggiunto: noi non abbiamo fatto in tempo a mettercela; mettetecela voi, ché, tanto, la conoscete. Il fatto è che questa vasta letteratura esiste ed esiste altro: sulla questione meridionale si è riversato un secolo di studi e di pensiero, da Giustino Fortunato a De Viti De Marco, a Salandra,. a Nitti, a Dorso, a Gramsci, a Sturzo. La questione meridionale ha dato vita a movimenti politici, a partiti ha determinato esperienze legislative, che sono state ricordate da altri colleghi.

Non si tratta di aggiungere un complemento di dottrina e di richiami storici. Si tratta, dinanzi ad un problema così ricco e vivo, di vedere quale indirizzo, quale programma si intende perseguire per risolverlo. Stabilito il fine, configurata l'azione da svolgere, dico che la questione dello strumento più adatto debba essere la Cassa o qualsiasi altro strumento ne discende consequenzialmente. Ed anche la questione dei mezzi finanziari occorrenti e anche quella delle fonti da cui si potrebbero trarre questi mezzi finanziari mi pare che diventi secondaria. La questione centrale è quella dell'indirizzo, del programma. Ci sono stati e ci sono tanti studi, tante idee, tanti movimenti politici, tante esperienze legislative: è giusto che oggi ad un Governo che dice di voler affrontare la questione del Mezzogiorno si domandi: Quale tesi sostieni? A quale criterio rispondi? Quale di queste correnti di pensiero adotti?

COPPI ALESSANDRO. Fate ancora della filosofia, invece di considerare i fatti.

LACONI. Egregio collega, interrompa per favore dopo pranzo, quando ci sarà più tempo a disposizione.

Configurata questa azione, dicevo, il problema dei mezzi, degli strumenti ne discende naturalmente e legittima è la richiesta che si rivolge al Governo che si pronunci

sulla questione più controversa e dibattuta, che riveli quale indirizzo ha scelto e quale programma persegue. Qui invece non c'è indirizzo, non c'è programma, e, perfino nella definizione della questione meridionale, come giustamente ha rilevato ieri l'altro l'onorevole Amendola, voi, voi, dico, democristiani, che appartenete ad una corrente politica, ed ideologica, che ha pure un patrimonio di cultura, che ha dato degli studiosi del problema meridionale, come lo Sturzo, voi, per definire il problema meridionale, accattate dalla letteratura angloamericana la formuletta delle zone depresse.

Giustamente l'onorevole Amendola ha  respinto questa formula che tende ad interpretare il problema meridionale secondo il cliché fornito dall'indirizzo colonialistico ed imperialistico della letteratura angloamericana.

Voi, invece, accettata frettolosamente la definizione di aree depresse, discendete immediatamente a definire lo strumento di cui intendete servirvi. Di qui nasce il titolo e qui si precisa la reale natura del vostro disegno, che non è un piano, né un programma,. né un indirizzo politico, ma costituisce invece una pura e semplice modificazione della struttura dello Stato e in particolare dell'apparato di Governo seguita da uno stralcio di bilancio.

Ora, ridotta così la questione, è evidente che l'indirizzo, il fine che il Governo persegue sembra avvicinarsi di molto à quello dell'onorevole Semeraro e dell'onorevole Foderaro, anche se diverse sono le dimensioni e le forme in cui viene realizzata l'operazione. Ma il caso di questo disegno di legge, se è inquadrato nel complesso dell'iniziativa legislativa del Governo acquista un significato più preciso e si configura in una luce più chiara. Io ho avuto occasione in questi giorni di scorrere i non so se mille o mille e cinquecento disegni. di legge che sono stati presentati dal Governo al Parlamento, ed ho notato un fatto singolare, che cioè la stragrande maggioranza di questi disegni di legge che costituiscono l'iniziativa politica e legislativa del Governo non rappresentano se non adattamenti, modifiche, ritocchi dell'apparato dello Stato. Si enunciano grandi fini, si preannunciano grandi propositi, ma poi ci si riduce ad un mutamento di organico, alla creazione di un ente o addirittura semplicemente al cambiamento di un commissario.

Fatto caratteristico ed anormale. Normalmente la legislazione di uno Stato dovrebbe essere indirizzata a risolvere i grandi problemi economici e sociali del paese.

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Normalmente il Parlamento dovrebbe essere investito, come suo precipuo compito, di quello di tracciare le grandi linee di sviluppo della vita del paese, della sua vita sociale, della sua vita economica, e non già del compito di modificare continuamente lo strumento esecutivo.

Si dirà che questi continui ritocchi dell'apparato di governo discendono dalla necessità di modernizzarlo, di adeguarlo alle nuove esigenze; ma or son due anni, proprio per questo, noi abbiamo trascorso qui un anno e mezzo come Assemblea Costituente ed abbiamo fatto la Costituzione. Io non avrei nulla da dire se questo continuo rimaneggiamento dell'apparato dello Stato procedesse nell'indirizzo tracciato dalla Costituzione: ma invece nessuno degli istituti che discendono dalla Costituzione, come a tutti è noto, è stato creato, dal Consiglio del lavoro alla Corte costituzionale, alle regioni.

Nessuno di questi grandi istituti contemplati dalla Costituzione è stato creato, nessuna di queste riforne è stata affrontata. Niente altro quindi che questa serie di modifiche, di ritocchi, di rimaneggiamenti, i quali non si risolvono in definitiva se non in un allargamento di influenza e di potere' del Governo e del suo apparato o in una remissione di facoltà e di poteri che esclude il Parlamento via via dall'uno o dall'altro settore elei problemi vivi del paese.

A considerare il quadro delle iniziative legislative del Governo e del partito che sostiene questo Governo, si ha la sensazione che il partito di maggioranza, anche dopo messa da parte la Costituzione, si muova male perfino nei limiti del vecchio stato liberale nel sistema della divisione di poteri, del mutuo controllo. Questo sistema gli risulta come un abito troppo stretto, lo impaccia e lo induce a crearsi una struttura più larga attraverso queste piccole modificazioni dell'apparato dello Stato; una struttura più elastica, meno legata da controlli politici ed anche da controlli amministrativi e puramente contabili, in cui si possa muovere con maggiore facilità, più a suo agio direi più copertamente, senza timore di indiscrezioni e,magari, di scandali.

Un esempio classico di questo indirizzo della iniziativa legislativa del Governo è il disegno di legge oggetto del nostro esame. Anche qui il fine dal quale si parte è il «risollevamento del Mezzogiorno»: dice la relazione ministeriale; «la realizzazione delle istanze sociali postulate per anni moltissimi dalle popolazioni del Mezzogiorno»: dice la relazione della Commissione.

In realtà si finisce per limitarsi alla creazione di un ente ed attribuirgli l'amministrazione di determinate somme, cioè si finisce con l'apportare una nuova codificazione strutturale all'apparato di Governo.

Taluno si è chiesto (e l'onorevole Corbino per primo): perché si crea questo nuovo ente? Io direi, soprattutto, che la domanda da farsi è questa: in quale forma, in quali limiti gli si attribuisce autonomia amministrativa, cioè quale fisionomia acquista questo nuovo ente? Badate, nessuno si stupisce dalla nostra parte, e credo anche da altre parti, nel sentire parlare di enti e di enti autonomi nel Mezzogiorno e nelle isole. È stato rilevato che nel Mezzogiorno, in base alla Costituzione dovrebbero esistere ben sette enti autonomi nuovi: le regioni. E per giunta proprio a questi enti autonomi nuovi la Costituzione fa riferimento nell'unico suo cenno al problema meridionale e delle isole, che ha luogo all'articolo 119.

Ora, però è evidente che si potrebbero fare due obiezioni. La prima è questa: che le regioni sono un ente di laboriosa costituzione, ed oggi ancora non esistono nemmeno le leggi che dovrebbero dargli vita, almeno per il Mezzogiorno continentale. La seconda obiezione è questa: che un ente unico, che agisca con unità di indirizzo, costituisce uno strumento più maneggevole, e quindi ha una capacità di più largo e più diretto intervento.

Io voglio sgombrare dal campo la prima di queste obiezioni che è un poco ridicola. Insomma, può essere laboriosa fin che si vuole, la costituzione delle regioni, ma sarebbe stata molto meno laboriosa se già da sei mesi o da un anno fossero state costituite. Costituitele!

D'altra parte, questa obiezione non vale per le isole nelle quali le regioni sono già costituite e funzionanti.

Quanto alla seconda di queste obiezioni, anche questa può essere discutìbile. Ma chi vieta eventualmente che queste sette regioni una volta costituite, diano vita ad un consorzio, per esempio, che può essere un ente unico e può essere un unico strumento organizzativo? Nulla lo vieta. Comunque la obbiezione per le isole non vale. Perché la necessità di avere un ente unico, maneggevole che possa svolgere una politica organica, si comprende per il Mezzogiorno continentale che ha una continuità geografica, ma per le isole non esiste affatto: non esiste per la Sicilia e tanto meno per la Sardegna perché qualunque programma debba essere attuato in Sardegna,

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sarà un programma a sé, non fosse altro perché vi sono quelle leghe di mare che dividono l'isola dal continente. L'unico legame sarà quello della ripartizione contabile dei fondi.

Invece, quando fu sollevata la questione in Commissione il Governo escluse del tutto l'eventualità di rimettere alla regione Sarda la gestione delle somme stanziate. Quale dunque la ragione vera che ha suggerito la creazione di un nuovo ente? La ragione vera, io credo che la si scopra se si considera la natura reale della autonomia che questo ente viene ad acquistare.

Si è parlato tanto dell'autonomia di questo ente. In fondo qual è il limite, il carattere di questa autonomia?

Io credo che si definiscano i caratteri della autonomia di un ente se si stabiliscono e si chiariscono i rapporti di esso con quegli organi o quelle strutture dalle quali dovrebbe essere autonomo.

Ora se andiamo ad esaminare i rapporti fra la Cassa per il Mezzogiorno ed il Governo è certo per lo meno che questa autonomia ha una fisionomia tutta speciale. Infatti all'articolo 1° si stabilisce che «la Cassa prepara, coordina e finanzia programmi di opere» secondo le direttive e in base ad un piano generale «fissato da un apposito comitato di ministri». Dunque, almeno per i piani generali e per le direttive non esiste nessuna autonomia. All'articolo 3, poi, si precisa che «i programmi delle opere da eseguirsi dalla Cassa in ogni esercizio finanziario». sono sottoposti alla «approvazione del comitato dei ministri» con la stessa procedura sono apportate le integrazioni e modificazioni che si rendono necessarie ai programmi già approvati. Nello stesso articolo 3 è stabilito più oltre che «tutti i progetti di massima» devono avere il «previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici» sia pure attraverso una delegazione dello stesso Consiglio che, come è noto, è presieduto da un ministro. All'articolo 4 si stabilisce che «l'erogazione dei contributi, dei sussidi e dei concorsi dipendenti dagli oneri di cui al comma 1°... può essere effettuata dalla Cassa». al tasso che annualmente sarà determinato dal consiglio di amministrazione e «approvato dal ministro per il tesoro». Nel successivo articolo 6 si stabilisce che per assumere partecipazioni in altri enti o costituirne dei nuovi è necessaria la preventiva «autorizzazione del Consiglio dei ministri». Nell'articolo 7 si stabilisce che «per le opere che non siano eseguite con le modalità di cui al primo comma la Cassa procede agli appalti...

avvalendosi anche dei competenti uffici del genio civile» che dipende da un ministero. All'articolo 11 si stabilisce la necessaria consultazione preventiva del «Comitato interministeriale per il credito e risparmio» per emettere obbligazioni alle condizioni determinate dal consiglio di amministrazione della Cassa, condizioni che, peraltro, debbono essere approvate con «decreto del ministro del tesoro». Inoltre nello stesso articolo è detto che «con decreto del ministro del tesoro», previa deliberazione del consiglio dei ministri, può. essere accordata la garanzia dello Stato per il pagamento del capitale e degli interessi delle obbligazioni da emettere o dei prestiti da contrarre.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza.' Ella, onorevole Laconi, mi sta facilitando la risposta all'onorevole Corbino: ella sta trattando proprio tutti gli argomenti che avrei dovuto sottoporre all'onorevole Corbino. Desidero ringraziarla pubblicamente.

LACONI. Mi lasci giungere alla conclusione; vedremo poi se ella potrà ancora ringraziarmi.

All'articolo 15 si stabilisce che il consiglio di amministrazione è nominato con decreto del Presidente della Repubblica su «proposta del Presidente del Consiglio dei ministri» e sentito il Consiglio dei ministri, mentre i due vicepresidenti e gli 8 membri, scelti fra persone particolarmente esperte, sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri. Cosi pure la maggioranza del collegio dei revisori dei conti è nominata dal «ministro del tesoro» Al successivo articolo 17 si stabilisce che «le tabelle organiche del personale della Cassa, stabilite dal consiglio di amministrazione, sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il ministro del tesoro». All'articolo 18 è detto che il «Presidente del Consiglio» può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario governativo. Nell'articolo 22 è detto che anche il regolamento della Cassa è approvato «dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio», di concerto con vari ministri.

Dunque, onorevoli colleghi, almeno nei confronti del Governo, non penso si possa parlare di autonomia. Io sono contento di essere d'accordo in questo con il relatore: certo è che di autonomia dal Governo non si può assolutamente parlare. Infatti in che cosa consiste l'automa di questa Cassa se essa non può fare un gesto, non può compiere un atto che non debba essere sanzionato od approvato dal Consiglio dei ministri o dal Presidente del Consiglio o da un ministro?

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JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Voi non ci avete aiutati in questo. Ci avete (ostacolati in ogni modo.

LACONI. Il segreto della autonomia di questo ente, tuttavia, esiste ed io credo che lo si possa ravvisare in un articoletto della Costituzione, nell'articolo 100 che dice testualmente: «La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti 'a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito».

L'autonomia della Cassa consiste innanzi tutto in questo: nel fatto che, rispetto al Governo, la Cassa non ha alcuna autonomia, ma nei confronti della Corte dei conti è autonoma, veramente autonoma, tanto che la partecipazione del massimo istituto di controllo previsto dalla nostra Costituzione è ridotta ad un presidente onorario del collegio dei revisori dei conti, che si trova in minoranza nel consiglio stesso! Quella Corte dei conti cioè che ai sensi della Costituzione dovrebbe avere tale autorità da avere assicurata per legge l'indipendenza propria e dei propri componenti nei confronti del Governo, quella Corte dei conti che dovrebbe riferire direttamente al Parlamento, viene qui invece rappresentata attraverso un presidente onorario in minoranza!

D'altra parte, essendo la Corte come istituto esclusa totalmente dal controllo della Cassa, come è possibile che la Corte adempia al suo diritto e al suo dovere di riferire direttamente al Parlamento sulla gestione della' Cassa? Non sembra credibile che l'unico componente designato dalla Corte possa rappresentare fino a tal segno l'istituto dacui proviene da avere personalmente titolo e diritto di riferire al Parlamento! Non sembra possibile, e me lo conferma il fatto che l'onorevole Jervolino a questo punto tace, mentre era così vivace due minuti fa....

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Trovo che vi sono una esagerazione in termini e una giusta osservazione al riguardo.

LACONI. Questo è dunque il segreto dell'autonomia della Cassa. Cioè, il Parlamento, per conoscere l'andamento della Cassa, deve obbligatoriamente ed esclusivamente affidarsi a due elementi:

1°) alle comunicazioni della Cassa, approvate previamente

dal Comitato dei ministri, sui programmi delle opere da eseguirsi in ogni esercizio finanziario, di cui all'articolo 3 del testo della Commissione; 2°) al bilancio consuntivo della Cassa, che gli verrà presentato ad ogni fine esercizio, senza. neanche la relazione del consiglio d'amministrazione e del collegio dei revisori dei conti...

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Non serve a niente!

LACONI....che non serve a niente, dice l'onorevole Jervolino.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Ella lo sa meglio di me.

LACONI. So che non serve a niente perché il collegio dei revisori dei conti è uno strumento del Governo, che controlla un organo del Governo!

E si noti: 1°) i programmi devono essere soltanto comunicati al Parlamento, ma è sufficiente l'approvazione del comitato dei ministri per renderli esecutivi; 2°) il bilancio consuntivo verrà presentato dal Governo senza nessun altro elemento di controllo.

Da tutto ciò appare perfettamente in che cosa consiste l'autonomia reale, della Cassa: consiste nella eliminazione di ogni ingerenza da parte del massimo istituto per il controllo di legittimità che è la Corte dei conti e da parte del massimo istituto per il controllo politico di merito che è il Parlamento!

Una voce al centro. Ma il comitato dei ministri a chi risponde?

LACONI. L'obiezione è priva di significato perché io sto parlando di una responsabilità specifica e di un controllo specifico, non della responsabilità generale che il Governo ha di tutta la sua politica! Quando il Governo non presenta documenti sulla gestione della Cassa, il Parlamento non ha elementi per criticare l'opera del Governo! Quando io membro del Parlamento ho diritto, a sensi della Costituzione, di avere la relazione della Corte dei conti chiedo la relazione diretta della Corte dei conti perché non mi fido del Governo! Voglio, come elemento di controllo, la relazione di un organo tecnico costituzionale, non mi accontento della vostra relazione di Governo e di potere svolgere un semplice controllo politico generico! Voglio i documenti, gli atti! Siete voi che non volete invece che la Costituzione venga realizzata e che questi controlli vi siano!

Per quel che concerne il Governo, esso ha dunque nella Cassa uno strumento a sua completa disposizione, che non gode di alcuna autonomia, sia pure nel minimo suo atto.

19978

 L'unica autonomia, la più reale autonomia, la Cassa l'ha nei confronti della Corte dei conti e del Parlamento, gli organi cioè che dovrebbero controllare e la Cassa e il Governo, e dal punto di vista tecnico e dal punto di vista politico.

Tutto ciò si connette, non dico alla lettera, ma allo spiritò della Costituzione, alle larghe direttive che la Costituzione ha stabilito per la riforma dello Stato?

Lo spirito che informa la Costituzione in tema di riforme di struttura dello Stato consiste soprattutto nella estensione e nel rafforzamento dei controlli tecnici e politici sull'apparato esecutivo dello Stato. Questa estensione di controlli è perseguita in primo luogo con l'autonomia e l'indipendenza degli organi giurisdizionali e di controllo e con la loro autonomia dal Governo e con lo stabilimento di relazioni dirette con il Parlamento; in secondo luogo con l'estensione delle attribuzioni del Parlamento e con l'introduzione di una serie di istanze democratiche intermedie (regioni, province, comuni) nell'apparato esecutivo dello Stato. Attraverso queste istanze, attraverso gli enti autonomi cui si dà vita, una sfera considerevole di attribuzioni e di competenze è sottratta agli organi centrali. Questo è lo spirito della Costituzione. L'articolo 5 dice: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».

Ora è difficile immaginare qualche cosa di più contrario a questo indirizzo, costituzionale di quanto sia questo ente, che si definisce Cassa per il Mezzogiorno, e sembra fatto apposta per svuotare le autonomie locali.

Questo ente non è autonomo dal Governo, ma dagli organismi di controllo; è autonomo dal Parlamento ed è autonomo dagli enti locali, ed è anzi preoccupante per le autonomie locali. È un corpo nuovo, una diramazione, un braccio dell'esecutivo che si sottrae al controllo politico del Parlamento, si svincola dal controllo tecnico della Corte dei conti, invade la sfera delle autonomie locali e amministra a suo criterio il denaro dello Stato, ed esegue programmi su direttive, incontrollate, del Governo. Ecco cos'è la Cassa per il Mezzogiorno. Forse nelle cinque regioni del Mezzogiorno continentale ove l'ente regione

non è ancora costituito, e ove non si è ancora configurato visibilmente il nuovo ordinamento costituzionale, non risulterà in modo ancora evidente l'invadenza che questo nuovo strumento esercita nei confronti delle autonomie locali; ma in Sicilia e in Sardegna, ove l'ente è costituito e si è già realizzato l'ordinamento autonomo, il contrasto è tale che si sono svegliate perfino le sopite, dormienti giunte regionali. In Sicilia e in Sardegna, l'urto avviene infatti non sulla base dell'articolo 119 della Costituzione, ma su qualcosa di più preciso, sulla base di clausole degli statuti speciali che sono il fondamento giuridico di questi enti costituiti. Infatti, se l'articolo 119 della Costituzione dice che per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato assegna per legge a singole regioni contributi speciali, lo statuto siciliano, all'articolo 38; prescrive che lo Stato verserà annualmente alla regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell'esecuzione di lavori pubblici. E stabilisce come questa somma deve essere determinata. E lo statuto sardo stabilisce, aH'f.rticolo 8, che i contributi dello Stato per opere pubbliche e trasformazioni fondiarie fanno parte integrante delle entrate della regione.

Ora, come è possibile l'equivoco a questo punto? L'equivoco si poteva forse mantenere ignorando questi articoli della Costituzione e degli statuti, lasciando impregiudicate le questioni cui si riferiscono, e considerando l'intervento della Cassa come un intervento a sé stante come un qualche cosa di diverso. Si poteva, in astratto; concretamente non era possibile. Non era possibile perché, almeno per la Sicilia, la questione dei contributi straordinari di cui all'articolo 8 dello statuto è aperta. Se il Governo però avesse voluto almeno inchinarsi di fronte alla lettera della Costituzione di cui non capisce o non condivide lo spirito, avrebbe dovuto almeno escludere dalla Cassa la Sicilia, la Sardegna, ed introdurre una riserva per le altre regioni, quando dovessero essere costituite. Questo era il minimo che si potesse chiedere al Governo,

Ma il Governo non ha avuto neanche questo scrupolo formale ed ha osato, in spregio allo spirito ed alla lettera della Costituzione, fare riferimento a tutti e tre gli articoli. La Commissione è stata più moderata, si è accorta dell'assurdo, ha soppresso il riferimento all'articolo 119 della Costituzione. Ma il Governo, come ho detto, ha fatto riferimento a tutti e tre gli articoli: a quello della Costituzione

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ed ai due degli statuti speciali, ed imputa ai fini della determinazione dei contributi di cui all'articolo 8 dello statuto sardo e 38 dello statuto siciliano, le opere che la Cassa, e non la regione, verranno ad attuare nelle rispettive circoscrizioni.

A tanto giunge il cieco centralismo di un governo che pure è'espressione di quel partito che pareva volere, due anni fa' , spartire l'Italia in tanti staterelli, di quel partito che ad un determinato momento era sulla strada del federalismo, di quel partito che ricalcava le tradizioni non dico di clon Sturzo, ma che faceva proprie persino le tradizioni del Gioberti e del pensiero neoguelfo dell'ottocento; a tanto giunge oggi il cieco centralismo di questo partito.

In Commissione si determinò, a questo punto una storia curiosa (sì, curiosa, me lo consenta l'unico rappresentante autorevole della Commissione che ha avuto il coraggio di rimanere a sentirmi), perché ad un certo momento la Commissione decise di rivolgere un invito ai rappresentanti delle regioni, e li chiamò a sé. Questi rappresentanti vennero: erano dei membri delle giunte regionali della Sardegna e della Sicilia, rappresentanti autorevoli e qualificati. In quel momento accadde che, quasi per facilitare il compito di questi rappresentanti, uno dei nostri colleghi, l'onorevole De Martino, sostenne la incostituzionalità del riferimento agli statuti speciali che compariva nell'articolo del disegno di legge.

A questo punto furono chiuse le porte, i rappresentanti della Commissione furono estromessi, si svolsero delle segrete trattative; sì, segrete non fosse altro perché la Commissione ne era esclusa, onorevole Campilli...

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Quando le sedute avvengono fra dieci persone, non sono mai segrete.

LACONI....perché, generalmente, tra dieci persone vi è qualche indiscreto ed infatti noi sappiamo, su per giù, quali decisioni furono prese.

CAMPILLI, Ministro senza portafoglio. Le decisioni furono comunicate alla Commissione.

LACONI. Ma la Commissione che aveva chiamato questi rappresentanti, fu estromessa dalle trattative. Il Governo trattò con questi rappresentanti, e quando a un certo punto, ricordandoci che questi rappresentanti erano stati chiamati da noi, li chiamammo

perché finalmente venissero a renderci conto di quei colloqui, non li vedemmo più. Erano partiti. Qualcuno aveva detto che era meglio che andassero via, e venne invece l'autorevole rappresentante dèi Governo a portarci ciò che era stato combinato, l'accordo mediocre, il compromesso deteriore che era stato raggiunto fra questi rappresentanti nelle regioni, del partito eli governo, ed il Governo stesso.

Mediocre combinazione, mediocre accordo perché, in sostanza, quale è la formula che la Commissione ci propone? La formula è questa: le direttive ed il piano generale continuano ad essere fìssati dal Comitato dei ministri, i programmi particolari delle regioni vengono compilati dalle regioni di intesa con la Cassa, la progettazione viene fatta dalla Cassa di intesa con le regioni, la esecuzione viene fatta dalla Cassa di intesa con le regioni. In sostanza uno sì, uno no, molto bene non si comprende cosa spetti, cosa non spetti alla regione. Ma il punto sostanziale è un altro. I danari chi li tiene? I danari li tiene la Cassa. Ed allora, in pratica, a che cosa serve questa concessione alle regioni di elaborare piani particolari? È ovvio che saranno le regioni, e non solo le regioni, ma anche le province e i comuni e i consorzi e gli uffici locali ad elaborare i piani e sottoporli alla Cassa in ogni caso e senza bisogno di particolari disposizioni.

Grande concessione, grande riconoscimento quello di elaborare il piano! Questo è il minimo è la fatica.

La sostanza è quella di approvare questi piani, di eseguirli, di avere i denari, di stabilire il finanziamento, di avere l'autonomia nell'amministrare questi denari. Questo è il più, non già il fare programmi, che dovranno essere soggetti a tante approvazioni.

Qualcuno dirà: «Poco conta chi tiene i denari, l'importante è che siano spesi, che questi finanziamenti ci siano, che il danaro corra nella regione, che le opere siano fatte».

Questo è l'argomento principe che tutti gli oratori della democrazia cristiana hanno portato dinanzi all'opposizione.

Tutte le volte che abbiamo fatto obiezioni ed abbiamo sollevato eccezioni, c'è stata sempre una risposta: «Via! Questi sono dettagli, non sofisticate; l'importante è che i denari ci siano, che questi miliardi corrano nelle vostre regioni, che le opere si facciano, chiunque le faccia». Ma qui, signori miei, torniamo a quella letteratura, a quella vasta ed ampia e nota letteratura, alla quale si riferiva l'onorevole Jervolino.

19980

Se il problema del Mezzogiorno fosse stato soltanto un problema di danaro, c'era bisogno che si disturbasse tanta gente e che questa vasta ed ampia e nota letteratura sommasse volumi e volumi e che si spendesse tanta somma di pensiero per studiare questa questione? È possibile che non vi venga il dubbio che non è soltanto questione di denaro, che c'è qualcos'altro e che, quando vi accampiamo queste obiezioni, ci riferiamo a qualcosa di più profondo che non può essere risolto attraverso u n giuoco di miliardi?

Io non affronterò la questione meridionale nel suo complesso; è stato fatto già da altri colleghi. Mi riferirò a quella parte distaccata dal mezzogiorno d'Italia, che è la mia terra, la Sardegna.

Per noi sardi l'autonomia non può essere concepita come un aggeggio che viene messo su e poi lasciato da parte; e nulla cambia! Non è possibile che la questione venga concepita in modo così semplicistico, che da qualunque fonte i denari siano spesi, tutto accada al medesimo modo.

Se vi è qualcosa che caratterizza il movimento sardista e lo distingue da quello meridionalista, questo qualcosa consiste nel fatto che il movimento sardista è nato come movimento di critica contro lo Stato centralizzatore, è nato portando una rivendicazione autonomistica. Vi era in questo il peso di, ragioni storiche.

La Sardegna ha goduto nel periodo spagnolo di larga autonomia; la «Reale Udienza» che era il massimo istituto giurisdizionale e gli «Stamenti» che erano il parlamento dell'isola furono formalmente conservati fino al 1847 perfino dalla a casa Savoia, perfino dal Piemonte. Nel 1847 un movimento generoso di intellettuali, di popolo, segretamente promosso o favorito dalla stessa casa Savoia, al grido di «unione e riforme», sollevò Cagliari e la zona meridionale dell'isola e portò all'unificazione economica, oltre che politica e giuridica, della Sardegna col continente italiano, o almeno con quella parte che in quel momento costituiva l'Italia.

Sono state scritte su quegli eventi pagine indimenticabili. Il Siotto-Pintor rileva come tutte le classi in quel momento furono d'accordo: l'aristocrazia locale, la quale pensava, attraverso l'unificazione totale col Piemonte, di poter essere adeguata alla aristocrazia piemontese e di goderne i privilegi; la borghesia, la quale contava, con l'abolizione delle barriere doganali, di espandersi e di partecipare alla vita del paese;

il popolo, la plebe, che comprendeva che il moto generale della società tornava anche a suo vantaggio, perché dall'introduzione degli ordinamenti liberali si sarebbe avvantaggiata anche la situazione economica e sociale delle classi soggette.

Fu un istante di annebbiamento generale, errammo tutti, dirà a conclusione di quelle pagine il Siotto-Pintor. Dovevamo non rinunciare alle riforme democratiche; dovevamo chiedere le riforme democratiche conservando l'autonomia.

Da allora, da queste pagine, direi, parte il movimento sardista, sia pure ante litteram, prima di aver acquistato il suo nome. Comprendiamo quali lati positivi abbia rappresentato per l'isola l'unificazione completa. Però, dice lo storico, fummo ben ingenui a volerci misurare noi, così piccoli, con genti che erano già elevate e progredite più di noi sul cammino della civiltà; fummo ingenui a voler far questo senza cautelarci, senza mantenere quell'autonomia legislativa, quelle funzioni e quei poteri particolari che, soli, avrebbero potuto permetterci di riguadagnare il tempo perduto, di affrettare il nostro cammino, di portarci allo stesso livello delle altre regioni d'Italia.

Da questo momento il movimento sardista che nasce ha avuto sempre questo carattere di una critica allo Stato centralizzato. E, quando nel primo dopoguerra si è organizzato un movimento politico sardista, esso ha avuto come punti programmatici fondamentali la critica allo Stato centralizzato e la rivendicazione di un ordinamento autonomistico.

Onorevoli colleghi, voglio sgomberare il campo da un equivoco che può essere emerso dalle mie parole e che pare affiori dall'atteggiamento dei colleghi che mi ascoltano. Nel movimento sardista non vi è stato mai un carattere nazionalistico. La rivendicazione autonomistica in Sardegna non è uscita mai dal quadro della unità politica del paese, ché ci sentivamo troppo legati per lingua, costume e civiltà al popolo italiano; tuttavia, nel quadro degli istituti e degli organi che esprimono questa unità politica, tutto il movimento sardista fin dal suo nascere rappresentò l'istanza di ottenere uno statuto ed un ordinamento particolare per la Sardegna.

Certo il pensiero di Gramsci ha profondamente scavato in questa rivendicazione autonomistica che sembrava perdersi talvolta nell'astrazione; l'ha avvicinata alle rivendicazioni meridionali e alle rivendicazioni di tutte le classi oppresse d'Italia,

19981

ha indagato sulle origini sociali e sul vario movimento delle classi e dei ceti, ha indicato le condizioni e le alleanze necessarie per la sua affermazione. Ma questa analisi non ha svuotato, direi anzi che ha concretato la rivendicazione autonomista.

Perché, in fondo, cosa è l'autonomia? Che senso ha per un popolo che vi aspira da cento anni, che senso ha questa rivendicazione autonomista per tanti pensatori e politici, per tanti uomini di governo e studiosi che hanno ispirato a questo movimento la loro azione concreta? Ha certo il senso di rivendicazione di una legislazione particolare, non vi è dubbio. Questo è il primo aspetto, ma non è soltanto questo il senso dell'autonomia, perché altrimenti tutto potrebbe risolversi attraverso una legislazione particolare attuata dallo Stato. La rivendicazione autonomistica ha un secondo aspetto, che consiste nell'intervento di masse e dì gruppi sociali finora esclusi e che diventano protagonisti della loro vita, che studiano ed elaborano essi i loro ordinamenti, secondo interessi particolarmente configurati, peculiari di quei gruppi sociali, di quel popolo che rappresentano.

Voi svuotate l'autonomia, riducete il governo regionale ad un vostro passacarte e credete con qualche miliardo di risolvere il problema. Non capite che il problema è più vasto e profondo? Vittorio Emanuele I, Carlo Felice e Carlo Alberto erano politici più avveduti e profondi di voi: incominciarono con la riforma agraria, nel 1820, quando si accorsero che l'aristocrazia non costituiva in Sardegna base sufficiente di governo, quando si accorsero che i vecchi nuclei della nobiltà spagnola preferivano Madrid a Torino e lasciavano abbandonati i loro feudi e le loro campagne.

Quando i Savoia compresero questo, ebbero l'audacia di abolire il feudalesimo e operarono in modo veramente rivoluzionario, attraverso la legislazione che va dal 1820 al 1838, cioè fino alle leggi sull'abolizione totale del feudalesimo, che risalgono al 1837-1838.

Vero è, che questo loro calcolo si dimostrò sbagliato e non riuscirono ad ottenere un risultato concreto e a dar vita ad una classe di borghesia imprenditrice capace di risvegliare la vita economica dell'isola e di promuoverne il progresso. Anche la nuova classe di proprietari di terra presentava i difetti organici della vecchia aristocrazia, preferiva Torino e gli incarichi pubblici e le professioni liberali alla conduzione delle sue terre.

Ma allora i governi piemontesi tentarono un altro esperimento, poiché non si illusero che si trattasse soltanto di una questione dì denaro e promossero il movimento di unificazione, al quale ho accennato, per attirare nell'isola l'intervento del capitale e dell'iniziativa forestiera.

Fu un errore, fu forse un inganno questa apertura illimitata della Sardegna all'intervento del capitale forestiero, perché ha consentito l'accaparramento di tutte le nostre risorse e la costituzione nell'isola di monopoli forestieri "sulle materie prime e sulla vita economica. Però, fu una riforma rivoluzionaria anch'essa, dato che operava sul terreno delle strutture sociali, che metteva in movimento delle classi e dei gruppi nuovi. Questa vostra Cassa, su quale terreno si muove? Quali forze sociali mette in movimento? Quali forze stimola e quali raggruppamenti suscita?

Questo è il problema! Questa vostra Cassa paragonata alla politica di Vittorio Emanuele I, a quella di Carlo Alberto, di Carlo Felice, alla politica di. Vittorio Emanuele II, di Cavour, ha l'aria di un ridicolo espediente contabile. I loro tentativi non riuscirono a raggiungere il loro obiettivo, talvolta furono infelici e dannosi, ma muovevano strati profondi e non passavano soltanto alla superficie ignorando il problema! Errori, dicevo, ma errori che hanno avuto un senso nella storia dell'isola e del nostro paese, e dai quali occorre muovere se vogliamo mettere in moto forze nuove, e creare fatti nuovi profondamente rivoluzionari che riescano ad apportare benefici alla nostra terra!

Voi tutto questo non ve lo chiedete e cercate di innovare disordinatamente senza conoscere il passato, senza neanche studiare il problema, senza aver neanche sfogliato quella «vasta e molto nota» letteratura che esiste in proposito, e volete risolvere il problema con un po' di miliardi, semplicemente... (Interruzione del deputato Jervolino). Quando vi si parla di miliardi, voi entrate in uno stato euforico come se vi uscissero di tasca, o vi' dovessero venire in tasca. Ora siccome non escono dalla vostra tasca, ma da quella dei contribuenti italiani, e siccome spero che non verranno nelle vostre tasche, da dove viene questa vostra euforia? (Interruzioni al centro e a destra).

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Noi operiamo per il bene della collettività, non siamo utilitaristi.

19982

LACONI. Voi non vi ponete problemi, per questo siete così euforici. Per quale ragione in Sardegna, dopo che fu creata la proprietà perfetta, dopo che fu abolito il feudo, dopo che furono date le terre attraverso una serie di interventi da parte dello Stato, perché non si è creata una borghesia imprenditrice, capace di rinnovare l'isola? Perché non partite da questa domanda? Voi oggi tentate di tenere su questa classe con le stecche dei vostri consorzi obbligatori e vi accingete alle opere di bonifica; voi oggi chiedete contributi a dei comuni stremati e non comprendete che è come voler cavare il sangue dalle pietre. Voi puntate su due strumenti, he sono destinati a fallirvi in mano: sullo strumento costituito da una classe di proprietari di terre organicamente e per suo interesse assenteistica, e su comuni che rappresentano collettività povere e stremate, incapaci di darvi qualsiasi aiuto.

Io non vi ripeterò qui le critiche lucidissime che ha fatto poco fa l'onorevole Miceli. Io vorrei che ciascuno di voi riflettesse sulle cose che egli vi ha detto. La proprietà assenteistica non è tale per ragioni di sentimento: il proprietario che non coltiva le proprie terre, che le lascia abbandonate, i proprietari di un milione e 300 mila ettari di terre (più della metà della Sardegna) che danno le terre a pascolo e non vi apportano miglioramenti, non sono né dei folli né degli uomini che vogliono lasciare queste terre incolte per sciocca crudeltà, ma sono uomini che ragionano con la loro testa e con i loro interessi, e che hanno in questo ordinamento sociale ed economico interesse a mantenere i canoni di affitto esosi che fanno pagare ai pastori, in concorrenza con i contadini affamati. Essi non scambiano questo loro concreto vantaggio con le vostre aleatorie riforme e con le vostre aleatorie trasformazioni terriere. Oggi il fondamento delle contraddizioni economiche in Sardegna consiste nel fatto che la forma socialmente più arretrata di conduzione è quella economicamente più redditizia.

Questa è la contraddizione dalla quale dovete uscire, e fino a quando voi non supererete organicamente questa contraddizione, voi avrete tutti nemici. Avrete ostile il proprietario di terre assenteista, che non ha alcun interesse ad anticipare capitali e correre il rischio di fare investimenti, quando in un anno attraverso un contratto stipulato con l'uno o l'altro gruppo di pastori guadagna infinitamente

di più da quel terreno; avrete ostile lo stesso pastore al quale non presentate una prospettiva nell'avvenire. Anche lui avrete nemico, perché la bonifica gli toglie le terre: quando voi al pastore non presentate il quadro di una riforma agraria generale che lo porti a fissarsi sulla terra, che gli permetta, attraverso lo sviluppo di una nuova azienda, di trovare un nuovo campo di attività, quando non prospettate un avvenire a queste classi sociali, le avrete nemiche, e giustamente nemiche. E avrete nemici i braccianti, i contadini della cooperativa, alla quale sottrarrete le terre che è riuscita a conquistarsi con una dura lotta sociale. Voi avrete nemici tutti gli strati della economia rurale.

E su quali forze contate di poter fare affidamento per realizzare la trasformazione fondiaria?

Più avveduti e profondi politici furono Vittorio Emanuele I, Vittorio Emanuele II, Carlo Felice, che cominciarono dalla riforma agraria, che cominciarono col modificare i rapporti sociali. Conoscevano forse non sufficientemente il terreno su cui si muovevano, ma compresero che il primo problema da cui occorreva partire era quello. Meno avveduti politici siete voi, che gettate questi programmi in terre, in regioni che sono ricche di tradizioni, di organizzazioni civili complesse, di rapporti sociali talvolta contraddittori, di assurdi economici, di tutto un groviglio che deve essere dipanato prima di mettere in moto un tale concorso di forze il quale avvii veramente ad un avvenire di progresso.

Occorre ben altro, onorevoli colleghi, che non ciò che voi ci proponete. Voi dite: un programma, un piano, una politica. Ma voi non avete fatto altro che un piccolo= strumento, e non solo togliete alla Camera lo studio di una questione così vasta e complessa e degli indirizzi politici che devono essere perseguiti, ma vi rinunciate anche voi come Governo e lo rimettete a pochi «competenti» che dovrebbero essere essi ad andare a spulciare tutta quella vasta letteratura ad esaminare le condizioni, lo stato di disgregazione sociale in cui. ci si muove, per rendere operante lo sforzo dello Stato. E dovrebbero essere soltanto questi pochi luminari, dovrebbero essere questi sette savi a risolvere con la sola esperienza propria il problema meridionale?

Occorre ben altro: occorrono stanziamenti,, sì, e occorrono ppere pubbliche, ma queste devono essere inquadrate in un piano, in un indirizzo politico nuovo, e questa politica nuova non può essere realizzata se non da raggruppamenti sociali che siano profondamente e veramente interessati alla rinascita del Mezzogiorno, delle isole, della Sardegna.

19983

Occorrono quindi due cose: un programma, e il rispetto delle strutture autonomistiche. L'articolo 8 dello statuto siciliano vi ricorda che deve essere elaborato un piano economico per la Sicilia; e l'articolo 13 dello statuto sardo vi ricorda che deve essere elaborato un piano per la rinascita economica e sociale della Sardegna. Certo vi è il problema. dei bacini montani, delle bonifiche, delle irrigazioni, della trasformazione agraria, degli acquedotti, delle fognature, degli impianti di valorizzazione dei prodotti agricoli; ed anche queste sono tutte cose importanti, tutte cose essenziali, ma non sono il fine della! rinascita. "Quale è il fine? In Sardegna il fine se si vuol redimere questa terra è la creazione dell'azienda agraria moderna, su una superfìcie adeguatamente estesa e continua, con un'equa consistenza economica, con una struttura sociale progredita. 1 E l'obiettivo della riforma agraria in Sardegna, oltre la creazione di queste aziende agricole progredite tali dà trasformare l'agricoltura, deve essere anche la creazione di nuovi centri di produzione e di vita nella Nurra, nella piana di Chilivani, nel basso Sulcis, nelle due Baronie, nel Sarrabus, dove non esiste un centro di vita, dove non vi è né lavoro né produzione. In questo grande sforzo è necessario impegnare tutta la popolazione creando nuovi campi di lavoro e di vita nell'isola. Ora la bonifica, l'irrigazione, le strade, le sistemazioni montane, gli acquedotti, sono dei mezzi necessari; ma non raggiungeranno mai lo scopo se non accompagnati da una profonda riforma di struttura. Perché la nostra Cassa non viene a realizzare i suoi piani su una terra dì nessuno, su un deserto. Sì, su un deserto, ma su un deserto su cui grava la più assurda, la più ingiusta distribuzione della proprietà fondiaria che l'Italia conosca, dove il regime fondiario è in contraddizione patente con lo sviluppò economico ed agrario, ed è causa permanente di arretratezza.

Io ho ricordato in altra occasione due casi che voglio citare anche qui perché voi me li risolviate: sono due casi limite, se volete, ma due casi che sono anche indici di una situazione. A Urzulei, paese del nuorese, due proprietari, il comune e un privato, posseggono il 97,6 per cento della proprietà fondiaria, rispettivamente 11.017 e 1.474 ettari; mentre il rimanente 2,4 per cento, cioè 311 ettari è spartito tra 387 piccoli proprietari. L'onorevole Jervolino sembra dire che è impossibile...

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. No, facevo un'altra osservazione: volevo sapere quanto possiede il comune e quanto il privato.

LACONI. Gliel'ho detto: il comune possiede 11.017 ettari e il privato 1.474.

JERVOLINO ANGELO RAFFAELE, Relatore per la maggioranza. Io questo volevo sapere, non dicevo che è impossibile.

MAXIA. Ma l'onorevole Laconi sa che quelle terre comunali sono sfruttate da tutti i «comunisti» (comunisti, intendo, in quanto sono abitatori di quel comune).

LACONI. Ella in questo caso chiama comunisti, cou felice coincidenza di vocabolo, quel gruppo di grandi armentari che sfruttano quel terreno e che alla qualifica di comunista indubbiamente inorridirebbero e, se conoscessero la storia, anche a quella di comunardi.

Questa è la situazione di un comune. Un altro caso che mi è capitato sott'occhio è quello di un proprietario di Uras, il quale possiede, esattamente 25,52 ettari di terra; e questi 25,52 ettari di terra li ha divisi in 105 appezzamenti di terreno, di cui 20 contigui e 85 discosti l'uno dall'altro.

Sono due casi, onorevoli colleghi, che non hanno colpito soltanto la mia curiosità, ma anche quella del senatore Medici, estensore della introduzione a quello studio sulla distribuzione della proprietà privata in Italia e in particolare in Sardegna che è una delle opere più pregevoli e più chiarificatrici che siano state scritte sull'argomento. Due casi limite, però due casi indice.

Ora vi chiedo: ditemi un po' che senso ha la vostra bonifica a Uras, che senso ha la vostra bonifica a Urzulei, se non è accompagnata da una riforma agraria che modifichi questa situazione? Voi credete che il comune che è dominato dai 3 o 5 grossi armentari del paese, o il proprietario privato che riesce attraverso la concorrenza estrema dei pastori della zona a strappare dei canoni esosi dall'affitto dei propri terreni, abbiano un qualunque interesse a impegnare dei capitali, ad affrontare i rischi della trasformazione fondiaria, a puntare sopra lo sviluppo futuro delle loro terre, quando oggi da queste terre attraverso il sistema di conduzione arretrata che ivi è seguito riescono ad ottenere il massimo profitto possibile? E voi credete che il proprietario di Uras, che possiede 25 ettari di terra spartiti in 115 appezzamenti,

19984

possa mai creare una azienda agraria e promuovere lo sviluppo agrario se non attraverso una trasformazione profonda di struttura che gli consenta di unificare le sue terre o almeno di consorziarsi coi propri vicini e di dar vita ad una unica entità culturale?

E badate che questi due casi non sono due casi eccezionali, sono due casi classici, indici della situazione generale di una regione come la Sardegna, dove si va dagli esempi di maggiore accentramento terriero ai casi della più minuta parcellazione e polverizzazione della proprietà.

Voi mi direte: ma c'è la riforma agraria. Innanzitutto la riforma agraria ancora non c'è, perché, come osservava oggi il collega Miceli, questa riforma agraria è attualmente in contestazione nelle vostre riservate conversazioni di gruppo. È in contestazione: comunque prendiamola per buona questa riforma agraria dell'onorevole Segni e vediamo. In Sardegna c'è 1.300.000 di ettari di terra a pascolo. Quindi un intervento che dovesse proporsi la rinascita agricola della Sardegna dovrebbe agire su circa la metà dell'estensione dell'isola. Ebbene, sapete voi su quale estensione agisce la riforma agraria dell'onorevole Segni? Su 14.000 ettari!

Una riforma agraria che si fonda su una suddivisione della proprietà fatta su classi di reddito imj unibile è infatti una riforma fatta su misuri dei proprietari assenteisti e si può dire anzi che tanto più si è assenteisti, tanto meglio in questa riforma ci si trova a proprio agio.

Io ho portato in altre occasioni il caso del collepiano dell'agro sassarese, dove è prevista la trasformazione sulla base di aziende agropastorali, a cultura asciutta, con sviluppo del l'arboricultura, soprattutto dell'ulivo e della vite. Orbene, nel collepiano dell'agro sassarese vi sono 14.431 ditte agrarie che posseggono 39.333 ettari di terra e ve ne sono 156 con circa 22.000 ettari di terra. I piccoli proprietari, quei 14.000 piccoli proprietari che posseggono in tutto 39.000 ettari di terra hanno in media un imponibile medio di --- 137 lire per ettaro, mentre i grandi proprietari che posseggono 20.000 ettari in 156 hanno un imponibile di sole 66 lire per ettaro.

Situazione evidentemente assurda. È evidente quindi che dovremmo ridistribuire tutta questa proprietà su una base di riforma profonda e dovremmo punire questi grandi proprietari che hanno un imponibile medio tanto inferiore a quello dei piccoli proprietari. Ebbene, sapete voi quali mutamenti opera in queste zone la riforma dell'onorevole Segni?

La riforma dell'onorevole Segni agisce sopra una unica proprietà privata, una proprietà che credo sia di 900 ettari di terra circa e sottrae a questa proprietà qualche centinaio di ettari. Sapete perché colpisce questa proprietà? Perché essa, tra tutte le grandi proprietà dell'agro sassarese, è l'unica che raggiunga un imponibile medio di lire 113 ad ettaro. Cioè, mentre le altre grandi proprietà hanno un imponibile medio di 66 lire ad ettaro e restano immuni dalla riforma Segni, questa grande proprietà.viene colpita perché raggiunge le 113 lire ad ettaro, perché ha un imponibile doppio delle altre proprietà, e questo le consente di raggiungere quell'imponibile complessivo di 30 mila lire che dà luogo alla entrata in azione della riforma!

La riforma dell'onorevole Segni, onorevoli colleghi, non può quindi essere invocata per dare un contenuto programmatico a questa legge, per dare un indirizzo sociale, profondo, che favorisca almeno il ripopolamento dell'isola e la creazione delle aziende agrarie. Per lo sviluppo produttivo e la trasformazione sociale, questa riforma non serve a niente. Io direi che per la Sardegna, questa riforma potremmo metterla in un canto, rinunziarvi e regalare all'onorevole Segni la sua riforma agraria con i suoi 14 mila ettari di terra! Noi comprendiamo che nel concepirla egli ha pensato alla sua isola, è partito dalla sua esperienza ed ha pensato a salvaguardare le classi sociali che egli vede come fondamento del suo partito e dell'attuale struttura dello Stato italiano e dell'attuale posizione dei gruppi dirigenti; ma non ha pensato agli interessi generali dell'isola e all'interesse della rinascita della sua terra.

A Urzulei, a Uras, nell'agro sassarese, in tutta la Sardegna, nelle contradizioni economiche e sociale determinate dall'attuale distribuzione della proprietà terriera, l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno è un non senso. Le bonifiche, le trasformazioni fondiarie, i denari spesi per le strade o per l'irrigazione non hanno alcuna portata e alcun valore: lasciano le cose esattamente come prima. Troveranno contro di sé tutti gli strati della popolazione che verranno minacciati coattivamente da questa trasformazione di cose alle quali non sono interessati; troveranno contro di sé lo stato attuale dell'economia dell'isola, l'attuale ordinamento produttivo, la struttura sociale, che sono in netta contradizione con una riforma che non scava, non approfondisce, non tocca i problemi sociali ed economici che sono a base della nostra situazione.

19985

Poi vi è il resto, vi è il problema dell'acqua che non. è stato sfiorato dalle argomentazioni che ho portato fino a questo momento circa la bonifica e l'irrigazione delle nostre terre.

Chi oggi ha occasione di sorvolare la superficie della Sardegna ha la sensazione di trovarsi di fronte ad una terra bruciata. Chi percorre le sue montagne e le sue vallate ha l'impressione di trovarsi in un deserto. Chiunque si dice ad un tratto: in questa terra così arida, dove vi è un clima quasi africano, per forza vi è questo stato di abbandono, vi è questa miseria! Ebbene, nei bacini della Sardegna viene incamerato il trenta per cento dell'acqua incamerata in tutta Italia. Intendete: un,terzo dell'acqua incamerata in tutta l'Italia viene raccolta in Sardegna!

Questa è la situazione. Noi abbiamo in Sardegna i più grandi bacini di raccolta dell'acqua che esistono in tutto il nostro paese. Andate però a vedere come sono utilizzati questi bacini, e avrete delle singolari sorprese. Voi direte che questi bacini servono a produrre elettricità. Producono proporzionalmente un quinto dell'energia elettrica che producono i bacini del continente. Si tratta infatti di bacini immensi ma che non danno luogo a salti molto considerevoli e che sono stati costruiti eminentemente per le bonifiche. Ebbene, andate a vedere quale utilizzazione hanno per la irrigazione, per le bonifiche e vedrete che il bacino del Tirso irriga 8000 ettari di terra mentre quello del Coghinas ne irriga 1200. Come accade questo assurdo? ciascuno si chiede. Lo Stato a sue spese ha incamerato in Sardegna tanta acqua che basterebbe per irrigarla tutta, si può dire, ma quest'acqua viene utilizzata miseramente per scopi idroelettrici, mentre non ha nessuna utilizzazione per i fini che ne hanno determinato l'incameramento.

MAXIA. Ciò non è esatto, onorevole Laconi: i bacini furono costruiti soltanto per la produzione di energia elettrica. Questa è la verità.

LACONI. Questa è la tesi degli avvocati della Società elettrica sarda. So bene che questa società ha sempre avuto i propri avvocati ed i propri procuratori. Ma su questo argomento c'è una letteratura molto vasta, in pro ed in contro. Esiste per esempio una opera pregevole del Pili sui rapporti fra la società ed i proprietari dei comprensori di destra e di sinistra del Tirso. La invito a leggere questa opera, onorevole Maxia, e vedrà che in essa si dimostra che lo Stato ha dato il suo contributo (contributo salito via via a cifre ragguardevoli e fino all'80 per cento della spesa totale)

perché ha concepito questo bacino non come un bacino idroelettrico, ma soprattutto come un bacino irriguo, regolatore delle acque della zona. Invece oggi questi bacini non servono agli interessi dell'agricoltura, tanto è vero che il ministro Segni ha dovuto fare nella valle del Tirso immensi lavori di arginatura di quelle acque. Egli ha così occupato i margini di una terra produttiva al massimo grado ed ha speso fior di miliardi per quest'opera di arginatura per non toccare la società sarda di elettricità che, dopo essersi fatta costruire a spese dello Stato il bacino del Tirso, oggi lo gestisce soltanto per i suoi fini, per produrre energia elettrica, trascurando del tutto l'interesse della zona.

Ecco qui un altro problema strutturale, ecco il monopolio dei detentori delle acque, di questo mostruoso gruppo elettrico che è potente, che ha le sue ramificazioni in ogni settore dell'apparato dello Stato, che ha i suoi uomini dappertutto, che riesce a modificare il parere dei politici e persino il parere dei tecnici, come ha fatto al congresso di Milano, dove è riuscito a modificare a suo vantaggio un ordine del giorno polemico dei tecnici e degli ingegneri dell'isola con una disinvoltura veramente incredibile. Ha uomini dappertutto, ha i suoi rappresentanti in ogni sede sempre pronti a servirla. Ecco uno dei casi più ripugnanti di monopolio, combattuto da tutte le parti, dannoso in tutti i settori, nel settore dell'agricoltura come in quello dell'industria, riconosciuto tale da ogni strato della popolazione, ma che pure perdura, perché voi, signori del Governo e della maggioranza, non avete il coraggio di affrontare le questioni di fondo, di affrontare le riforme di struttura. Non avete il coraggio né di rendervi conto che i proprietari assenteisti non vi daranno nessun appoggio nella trasformazione delle zone abbandonate e deserte della Sardegna, ma lasceranno queste povere terre sempre in uno stato di abbandono, né avete il coraggio di riconoscere che questi monopoli, che sacrificano la vita della intera regione, devono essere radicalmente distrutti.

Senza le riforme, di struttura, senza affrontare il problema della terra, il problema delle acque, senza sciogliere questo groviglio di contradizioni, senza rimuovere queste cause determinanti l'arretratezza della nostra isola, non vi può essere rinascita per la Sardegna. Le vostre bonifiche, le vostre irrigazioni non' sono gettate su una terra di nessuno, ma sono gettate sopra una terra dove esiste un groviglio che deve essere disciolto se si vuole che possano sorgere delle forze nuove interessate a promuovere realmente la rinascita della Sardegna.

19986

Soltanto forze nuove possono contribuire a questa rinascita. È per. questo che i punti sostanziali di critica che noi non vi rivolgiamo come deputati dell'opposizione ma come rappresentanti d'una parte del Mezzogiorno, sono critiche mosse dalla mancanza di un piano organico e dal mancato rispetto dell'autonomia, che impediscono sia di affrontare nelle sue cause il problema della rinascita del Mezzogiorno, sia di suscitare l'intervento di quelle uniche forze che sono interessate alla rinascita del Mezzogiorno e della Sardegna! Voi volete conservare in vita le vecchie forze, voi volete puntare ancora una volta sulla proprietà assenteista, sui detentori dei monopoli che gravano sulla nostra isola! Per questo noi vi diciamo che una legge di questo genere non. distrugge le condizioni della nostra arretratezza, ma le ribadisce; per questo noi vi diciamo che i denari che voi gettate non verranno spesi per redimere la Sardegna, ma andranno ai grossi proprietari di terre assenteisti, ai detentori delle acque e delle altre nostre risorse naturali, ai grandi gruppi industriali che monopolizzano le ricchezze della nostra isola! A costoro andranno questi denari!

Noi,rappresentanti del popolo sardo, dei piccoli contadini, degli operai,.degli impiegati, degli intellettuali, non possiamo ringraziarvi, non possiamo entrare in stato di euforia per questi denari, perché sappiamo che questi denari seguiranno rivoli molto complicati e strade molto complesse e che andranno a rafforzare quei ceti, quelle classi, quei gruppi che costituiscono l'ostacolo più profondo al rinnovamento e alla rinascita del nostro paese!

Sulla linea di una rinascita organica della nostra terra e sulla linea della integrale applicazione dell'articolo 13 dello statuto regionale, come nel Mezzogiorno è sorto un movimento popolare che l'onorevole Amendola ha citato, così in Sardegna è sorto un movimento il quale ha dato luogo a movimenti di opinione pubblica, a discussioni, a dibattiti, a convegni culminati a Cagliari in un grande congresso in cui tutti i problemi di bonifica, di irrigazione, di opere pubbliche, di strade, di acquedotti, sono stati studiati; ma studiati nella luce di una riforma profonda che innovi le condizioni sociali ed economiche del nostro paese, che rimuova le cause strutturali che ne ostacolano la ripresa e la rinascita.

Da questo movimento è sorta l'iniziativa per l'applicazione dell'articolo 13 dello statuto, per lo studio di un piano organico di. rinascita della Sardegna.

Su questo argomento ho presentato una mozione che verrà discussa nella prima decade di luglio per assicurazione del Governo. Non voglio anticipare quello che dirò in quella sede. In questa sede  mi limito a dire che questa legge per la Cassa per il Mezzogiorno potrebbe giovare ad una attuazione seria, integrale, del piano di rinascita e ad una azione politica profonda che rimuova le condizioni di arretratezza della Sardegna e collabori alla sua rinascita.

Ma occorre per questo che vengano apportate due modifiche precise alla legge in esame: per quanto riguarda la Sardegna, occorre che la nostra regione venga stralciata da questa legge e che le somme spettanti alla Sardegna vengano attribuite all'amministrazione regionale, e occorre che queste somme vengano investite non per arbitrio dell'uno o dell'altro ente burocratico, ma secondo un preciso piano di rinascita che contempli la riforma agraria e industriale, lo sviluppo della bonifica e il ripopolamento, che contempli cioè tutti gli aspetti della riorganizzazione e del risollevamento di una terra oppressa ed abbandonata da secoli!

In questa linea saremmo disposti a guardare favorevolmente la vostra iniziativa, ma comprendo che, perché si possa giungere ad una linea quale noi proponiamo, occorrerebbe che voi faceste un segno di croce su questo disegno di legge e che di esso lasciaste solamente quel qualche cosa di minimo e di concreto che significa uno stanziamento di denaro, che lo rinquadraste poi in una visione politica e strutturale completamente diversa, e che deste i fondi ad amministrare non ad un organismo burocratico svincolato da tutti i controlli tecnici e politici, che lo deste ad amministrare alle popolazioni stesse, attraverso quegli organismi che esse si sono creati costituendo le regioni, e alle forze sociali più progressive che queste regioni esprimono, forze che sono profondamente interessate alla rinascita delle rispettive regioni. E occorrerebbe, in secondo luogo, che questo danaro venisse investito non in base a questo mandato in bianco che oggi voi date a questo nuovo organismo, ma in base a un piano economico pubblicamente discusso, a un piano di riforme profonde della struttura sociale ed economica.

Con queste due, piccole o grandi modificazioni che siano, il vostro disegno di legge sarebbe accettabile.

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 Ma il disegno di legge così modificato sarebbe l'atto d'ingresso, non direi in una iniziativa nuova, ma in un indirizzo nuovo, in una nuova politica: in una politica, cioè, che non contasse di risolvere attraverso i metodi paternalistici che vi sono soliti i problemi della nostra terra, ma tentasse di suscitare le forze nuove, progressive, avanzate, interessate alla soluzione reale di questi problemi e avesse il coraggio di gettare uno sguardo generale sul nostro paese, di affrontarne i problemi in modo unitario, di proporsi, da regione a regione, per tutta Italia, un programma rispondente non agli interessi particolari di gruppi privilegiati, ma agli interessi di tutto il popolo italiano, che è unitariamente interessato alla pace, alla libertà, al benessere e al progresso comune delle popolazioni. (Vivissimi applausi all'estrema sinistra — Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta pomeridiana.

La seduta termina alle 13,35.

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO DEI RESOCONTI

Dott. Alberto Giuganino

TIPOGRAFIA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI






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