L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Il cane - Il banco di Santa Pupa - La riproduzione
di Nicola Zitara

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Siderno, 9 Ottobre 2003

Il cane

Tranne che da ragazzo, non avevo mai avuto un cane. Poi, tre o quattro anni fa una parente che cambiava casa, non potendola tenere con sé nella nuova abitazione, affidò alla mia famiglia la sua vecchia cagna. A un certo punto mi fu chiesto di farla camminare un po'. Così presi a tirarmela dietro nelle mie lente passeggiate. La cagna non aveva più le bizze di un cane - o non tutte. Inoltre il suo passo si ritmava sul mio. E siccome, passeggiando, sono uso a fantasticare, la sua compagnia, più che intralciare i pensieri, li favoriva. Comunque, il possesso di un cane mi conferiva anche i doveri del padrone. Dovevo uscire, onde far passeggiare il cane. Per di più, passeggiare è consigliato dai medici a chi ha fastidi prostatici.

Il caldo dell'estate scorsa ha portato a morte la cagna; una collie dal folto pelo, una razza canina (mi hanno spiegato) selezionatasi nelle fredde montagne della Scozia. Volendo incoraggiarmi a camminare, una mia figliola mi ha procurato un altro cane: un cucciolo di circa quattro mesi, abbandonato sulla spiaggia e accudito da una persona che già accudisce parecchi altri cani.

Ieri sera (4 ottobre 03) siamo usciti assieme per la prima volta. E' stata una dura esperienza. Il povero cucciolo mal sopportava il guinzaglio. Tentava di correre avanti, cercava di correre indietro, s'impennava per sottrarsi al collare, annusava e puntava tutto quel che c'era da annusare, s'impauriva appena qualcuno gli passava vicino. L'unica cosa che non lo allertava era il lungo, ininterrotto fluire del traffico automobilistico. Improvvisamente mi son ricordato della condizione canina al tempo della mia giovinezza. C'era ancora Mussolini al potere, il re aveva la piuma sul cappello e la regina una collana di perle intorno al collo. In paese, solo il Corso era asfaltato. Chi aveva sete, beveva alle fontanelle pubbliche. La notte, il lucore dei lampioni era così tenue che le lampadine, alte nel cielo, sembravano delle lucciole solo un po' più grandi. Il bar da Bertoldo faceva i primi coni gelati, lire 0,50 cadauno. L'altoparlante del Cinema, ex Paris, poi Impero, prima dell'unica proiezione giornaliera, ore 20,30, spandeva per lungo raggio le note del Marinariello e del Pescatore do mare 'e Posillipo.

A quel tempo, i cani non avevano orario, e soprattutto non avevano guinzagli. Di solito giravano solitari e mesti per le vie, in cerca di cibo. Eccezionalmente correvano a gruppi in giochi d'amore. Qualche volta s'accoppiavano anche, e senza pudore, pubblicamente come i ragazzi d'oggi. E non mancava il caso che una coppia canina corresse ancora accoppiata ai genitali, inseguita dalle sassate di un ragazzaccio.

Erano tempi brutti. Anche gli uomini, le donne e i ragazzini avevano fame, ma invece di vagare a frotte nella canea, giravano soletti e stendevano la mano a un tozzo di pane. La Fiat e la Pirelli conquistavano l'Impero, Milano cresceva con i soldi di tutti, Mussolini, appollaiato sull'alto podio, accanto al Senatore, riceveva scroscianti applausi a Mirafiori. In paese, soltanto il cane del Farmacista aveva il guinzaglio, gli altri vagavano affamati, ma liberi, per le vie sterrate. Credo che, se il mio nuovo cane conoscesse la storia, preferirebbe i tempi andati.

Il banco di Santa Pupa

L'Italia è un grande paese! Anzi un lungo paese! Un paese più lungo che largo! Specialmente in materia di mani!

Stamani mi è capitato di passare davanti al Banco di Napoli, agenzia locale. Sulle vetrine ho letto per la prima volta il nome della nuova ditta: Banco di Napoli/San Paolo. Una presa per quel che, con un eufemismo, si chiamano fondelli. San Paolo & C. sarebbe stato meno ipocrita.

Non ho mai amato il banco napoletano. Non l'ho amato politicamente, e non lo ho amato al tempo in cui facevo l'imprenditore. Non l'ho amato neppure quando, mutato mestiere, vi entravo soltanto per un prestito familiare. Qualche volta ho anche immaginato che in termini di interessi pagati dalla mia famiglia all'istituto, a partire dal mio bisnonno fino a me, il banco ci deve aver ricavato tanto da costruire una delle sue sedi più imponenti.

Abbiamo pagato, noi meridionali: quelli residenti e quelli che nei secoli scorsi fuggirono in Argentina e negli Stati Uniti, perché la patria loro li aveva portati alla fame più nera. Anzi l'abbiamo fatto di sana pianta, il banco, con il nostro lavoro, sacrificando una quota del nostro pane quotidiano. Qualche volta, del tutto, vendendoci la casa avita. La banca mangia anche di notte, e guai a non essere puntuali.

Il banco non ci ha mai restituito gratitudine e amore, non ci ha mai consentito di utilizzare veramente i nostri risparmi. Ha giocato su due tavoli, come ogni istituzione suditaliana. Ha preso qui ed ha investito nelle sedi sparse da Roma in su. In effetti, non ha mai giovato all'economia meridionale. Anzi ha distrutto la vasta rete di banche popolari e di casse di risparmio create nell'Ottocento dalla buona volontà e dall'amore del natio loco dei paesani.

Un ragazzo cresce in casa tua, accanto a te. Tu sai per certo che non è tuo figlio, ma un figlio putativo. Il ragazzo mangia il tuo pane, vive sotto il tuo tetto, riceve le tue carezze, gioca con i giocattoli che tu gli hai regalato. Poi il ragazzo muore, e tu lo piangi come fosse tuo figlio. Sebbene non sia tuo figlio, ma il frutto di un inganno. La prova del disonore.

La riproduzione

Anche una persona che non sia mai andata in campagna sa che il grano bisogna seminarlo. Ma forse non sa che, per seminare, bisogna conservare e utilizzare una parte del grano mietuto l'anno precedente. Che lo si conservi in Australia, o lo si conservi in Calabria, la premessa è necessaria. Ora la banca è come la semente.

Possiamo dividere l'economia in due capitoli: primo capitolo, la produzione, secondo capitolo, la riproduzione. Proprio come l'umanità: una generazione insemina la generazione successiva. Solo così la vita va avanti. Dalla vita degli uomini e delle cose prodotte e riprodotte viene la società e la storia.

Anche l'industria è come un campo. Ha ciclicamente le sue sementi e le sue messi.

Un carpentiere, prima di vendere e incassare il valore del tornio che ha costruito, deve avere i soldi per magiare e per comprare un tronco. Ciò è lo stesso che avere la semente. Il trasportatore che va a scavare un carico d'argilla deve magiare anche prima di venderla. Anche le sue bestie debbono poterlo fare. Deve inoltre aver pagato sia gli animali che il carro. Economicamente, ciò è la stessa cosa che dire semente. Il vasaio, prima di fabbricare un vaso deve avere comprato il tornio e l'argilla occorrente. Ciò è semente. Se uno dei tre, o tutt'e tre non hanno il danaro necessario chiedono un prestito. Se una terza persona ha risparmiato del danaro, e se essi riscuotono fiducia, abbiamo che un terzo anticipa la "semente" necessaria.

Nella sua forma elementare la banca adempie a questo compito vitale per la riproduzione. Consente di impiegare il risparmio nella riproduzione, e nell'allargare la riproduzione, in modo che nell'anno si abbia una produzione di beni maggiore dell'anno precedente. Certo, oggi il movimento si sviluppa in dimensioni così grandi che la sua esistenza e le sue regole sfuggono all'osservazione di chi non è uno specialista in materia. Direi di più. Raramente gli stessi banchieri e bancari sanno di assolvere un ruolo vitale per la formazione sociale nel cui ambito operano e lavorano. La responsabilità di tanta lacuna dipende dall'individualismo liberale. Ma il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe fuori strada.

Oggi, di vasai, di carrettieri e di carpentieri ce n'è rimasti pochi, o nessuno. Le cose si svolgono in grande. L'economia di villaggio, qui, è finita 250 anni fa, in altri luoghi da un maggior numero di secoli. Oggi, il mercato è nazionale, continentale, globale. In tutto il mondo i vasi sono prodotti da poche grandi industrie, direi soltanto un centinaio in tutto, e acquistati da milioni, decine di milioni, centinaia di milioni di consumatori. Anche il credito ha una dimensione nazionale e globale. Solo gli strozzini lo effettuano a livello di paese. Le banche invece lo raccolgono pubblicamente, su larga base, di regola su basi nazionali. Gli impieghi bancari sono vitali per la riproduzione. Per tal motivo il credito è un fatto squisitamente politico, e nient'affatto privato, come pretende la filosofia liberale. Una qualunque formazione sociale può divenire arida per mancanza di semente. E questo capita in Suditalia sin dalla conquista piemontese, centoquarant'anni fa.

Se il risparmio meridionale ha la funzione di salvare la Fiat o di consentire ai signori De Benedetti o Tronchetti Provera di comprare Telecom dallo Stato, ma non finanzia chi produce qui una qualunque cosa (anche a costo di rimetterci, come sta avvenendo a Milano e a Torino) il Suditalia non ci ricava che danno. Il risparmiatore meridionale che porta il suo risparmio a una banca milanese può credere di saper badare ai propri affari, invece danneggia sé stesso e i suoi figli, perché la riproduzione qui non viene alimentata. E ciò comporta che lui stesso cada progressivamente in miseria, che cadano in miseria i suoi discendenti, che cada in miseria l'intera collettività. Storicamente, al Sud, i veri ricchi, quelli che hanno tanto da fondare grandi industrie, sono totalmente scomparsi. E' un fatto documentale: da quando i soldati di Cavour hanno messo piede nella nostra terra, sono altri a nutrirsi con la nostra semente.

Nicola Zitara

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