L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Il bergamotto: una magia svanita

di Nicola Zitara

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Siderno, 20 Novembre 2008

L'inchiesta parlamentare del 1881 sulle condizioni dell'agricoltura in Italia - o meglio degli agricoltori italiani,  padroni e contadini - è un trattato funereo che comprende una quindicina di volumi, uno per regione, più una relazione finale della maggioranza guidata dal senatore Stefano Jacini e una controrelazione della minoranza (a quel tempo Trieste e Trento erano austriache, la Valle d'Aosta era una provincia del Piemonte e Abruzzo e Molise costituivano un'unica regione statistica). L'Italia, da poco unita, è ancora timorosa per la sua fragilità all'interno e all'esterno. L'esercito e la flotta si sono rivelati antiquati e poco efficienti nella terza guerra cosiddetta d'indipendenza. Il Veneto è entrato da poco nel regno unificato, ma solo per merito della vittoria dei prussiani sugli austriaci. Il governo continua a spremere i produttori e a buttare risorse pubbliche in armamenti. A pagare sono ovviamente gli agricoltori. L'industria non esiste ancora, il commercio, più che dare, chiede risorse in valuta aurea per sostenere le importazioni di grano dalla Francia e per incettare prodotti dell'agricoltura nazionale da esportare in Francia e altrove.  I proprietari toscopadani preferiscono investire risorse nell'acquisto di cartelle del debito pubblico, che ottengono un rendimento superiore al 7 per cento, invece che in miglioramenti fondiari e agrari. I contadini piemontesi e lombardi emigrano in Francia a fare i muratori. Comincia anche il doloroso esodo su carrette del mare  verso l'Argentina e gli Stati Uniti. Il viaggio dura a volte un mese. Il ritorno in famiglia solo una speranza. A reggere il deficit della bilancia commerciale italiana sono le colture mediterranee. Il monopolio tecnico meridionale nella produzione olearia è consolidato da 150 anni. Di nuovo ci sono il vino, essenzialmente le produzioni siciliana e pugliese, e gli agrumi, di cui la Sicilia è il primo produttore mondiale.

Ma sarebbe sciocco immaginare un Sud quieto e felice. Lo scontro tra contadini e galantuomini si è concluso con l'intervento dell'esercito sabaudo contro la resistenza dei cosiddetti briganti. Il governo appoggia i grandi proprietari e favorisce il loro ingresso in parlamento, i grandi proprietari appoggiano il governo in parlamento. Lo scambio politico-elettorale non è, però, mirato  a favorire l'ammodernamento e le nuove produzioni,  ma  la grande proprietà baronale  e la granicoltura latifondistica, che per giunta è la più estesa e prevalente nel paesaggio agrario. Le colture nuove occupano frange limitate. Conseguentemente lo sconfortante rendiconto sullo stato delle cose nell'agricoltura italiana, al Sud va ben oltre la tragedia. Ascanio Branca, che redige la relazione per la Calabria e la Lucania, dice pane al pane e vino al vino. Le cose vanno piuttosto peggio che male. Ma stranamente alla relazione è allegata  un'appendice che racconta tutto il contrario della monografia. Questo contrario riguarda Reggio e dintorni. A distanza di cinquant'anni da quando ho avuto modo di leggere questa parte dell'Inchiesta non ricordo più l'autore della particolaraggiata appendice, né ho modo di controllare. Ne ricordo invece e con chiarezza il contenuto. Un ettaro a grano in Lombardia, dove si realizza la produttività più alta della Penisola, rende intorno alle 370 lire, un ettaro ad agrumi, nel contado reggino, rende tre o quattro volte tanto, 1.200 lire in media; un ettaro a bergamotto rende... quando la lessi la cifra credetti di aver letto male e rilessi... ben 12.000 lire all'anno.

 L'aera reggina dello Stretto è una terra felice, benedetta da Dio. Ovviamente ogni cosa ha una sua spiegazione. In generale, siamo di fronte a un monopolio tecnico. In parole povere la coltura degli agrumi è poco estesa nel mondo. Poche aree agricole - il contado di Palermo e di Catania, la Costa jonica messinese intorno a Taormina, la Penisola sorrentina producono arance e limoni e li esportano in tutto il mondo. Sin dall'età borbonica i vascelli a fuoco (a vapore) in partenza da Messina, Palermo, Napoli  fanno rotta per l'Inghilterra, l'America, la Russia  portando arance e limoni. Benché siano fra i più veloci dell'epoca, all'altra parte del mondo arriva soltanto un frutto su quattro. A quel tempo, coma racconta Tostoj, a Mosca una sola arancia costituiva una strenna natalizia per i bambini buoni.  Al ritorno dall'America portavano legame d'opera, specialmente cascami dei tagli boschivi per fabbricare cassette. Il monopolio tecnico reggino è ancora più forte. Solo qui, in non più di cinquanta chilometri di  costa - di terre affacciate direttamente sul mare - si produce il bergamotto.

Reggio è un luogo dove il padronato è ricco. A Messina c'è il portofranco e una sede del Banco delle Due Sicilie. Prima dell'unità, sia a Messina che a Reggio i mercanti-banchieri inglesi e francesi sono numerosi. A Messina il Banco incassa i mandati di pagamento che arrivano dal resto del mondo e sconta cambiali commerciali.  Reggio pretende anch'essa una sede, l'intendente reggino fa sapere al governo di Napoli che intorno alla città ci sono 83 moderne filande e che il Banco potrebbe raccogliere tra i tre e i cinque milioni di ducati di depositi dai proprietari del luogo  (circa un milione di sterline- oro).

Venticinque anni dopo, al tempo dell'Inchiesta Jacini, la seta è quasi scomparsa, ma gli agrumi prosperano. Ai relatori parlamentari Reggio appare un'isola felice nella miseria e arretratezza generale della Calabria, una terra privilegiata. Ma la cosa non può durare. Nell'Italia che conta (Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana) si pretende l'abbandono della politica liberista e l'adozione di forti misure protezionistiche, al fine di mettere mano a un sistema industriale. Le banche tedesche daranno una mano, le rimesse degli emigrati promettono un rafforzamento della lira. L'industria si può fare. Ma la Francia, che acquista il vino pugliese e siciliano, l'olio dell'intero Centrosud non ci sta. E' la guerra doganale con il Paese che nel 1859 ha fondato con il suo esercito e circa trentamila morti il Regno d'Italia, il paese che ha prestato e presta all'Italia più di due miliardi di franchi-oro. Il Sud, già barcollante sotto il peso del fiscalismo padanista, crolla. Le colture agrumarie si diffondono in tutto il Mediterraneo occidentale. Un notevole privilegio è andato perduto. Resiste soltanto il monopolio tecnico del bergamotto. Sull'economia del bergamotto ho letto recentemente un informato e dotto opuscolo Pasquale Amato, docente di Scienze politiche nell'ateneo messinese (Storia del Bergamotto di Reggio Calabria, Città del Sole - Edizioni, euro 5,00) di cui, se non fosse infarcito da qualche superfluo peana giacobinista e liberista, suggerirei con piacere la lettura. C'è la storia della coltura e la critica ai produttori locali che si sono accontentati di far soldi con la materia prima e trascurato invece di arrivare all'utilizzazione industriale dell'essenza. Ma nessuna industria può prosperare senza che sia assistita da una politica nazionale che la tuteli e la guidi.

I monopoli tecnici  sono indifferenti al liberismo e al protezionismo. Se ci sono, ci sono. Se non ci sono, non ci sono. Reggio agrumaria decadde per tutta l'epoca giolittiana e notabilare. Si riprese soltanto dopo la guerra civile spagnola del 1932 a seguire, che decimò le colture spagnole. Il trattato commerciale con la Germania  del tempo dette slancio alla ripresa. Reggio tornò a essere una delle città più ricche del Sud e ancora sulla soglia della Rivolta la provincia reggina aveva una quantità di depositi bancari pari a quelli della Calabria restante e un maggior numero di sportelli bancari (UCCIA, Calabria - Monografie regionali per la programmazione economica, Gioffré 1966).










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