L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Il Canto del Sud

presentazione di “Giù al Sud” di Pino Aprile

di Antonia Capria Zitara

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1° Agosto 2012

Il libro di Pino Aprile “Giù al Sud” è un canto. Puoi sentirne le note in qualsiasi momento e se lo ascolti attentamente ti pare di aver creato tu lo spartito, il ritmo, la gioia e il dolore della musica. E’ anche un viaggio con le sue tappe. Seguo Pino con piacere e con dolore. Siamo a Bagnara, terra di Calabria. Lo scrittore dice: “Somiglia ad una stazione fenicia. Ci pare di sentirci liberi, uomini e donne, pescatori e bagnarote”.

Ricordo anch’io le bagnarote col “jppuni” fin sotto le caviglie  sui treni e sui traghetti per Messina affollati di noi studenti universitari, di pendolari e di professori squattrinati. Le bagnarote esercitavano “allegramente” il contrabbando del sale che nascondevano sotto i “jppuni” e i mutandoni dalle grandi tasche; lo facevano con una disinvoltura quasi teatrale.

Qui a Siderno portavano pesci freschissimi, palamati e triglie a poco prezzo fin quando qualcuno decise di scacciarle.

Mi fermo un attimo. Mio caro amico, la Puglia no, non la conosco affatto, ma il viaggio che faccio assieme a te me ne dà un assaggio. Ed ecco la tappa dove il lettore attento potrebbe fermarsi per conoscere meglio il Sud. Siamo a Caposele. Non si tratta solo del “furto dell’acqua”, ma è anche l’ingordigia, è il sopruso, è l’intrallazzo che vigono tra gli uomini di potere di allora e di oggi ed ecco perché a Caposele, citta della Puglia l’acqua spariva. Si diceva che i Pugliesi avessero rubato l’acqua alla cittadina. Soltanto l’ingegnere Rosalba riuscì a scoprire dopo aver indagato a lungo assieme ad altri colleghi che l’acqua c’era ed esisteva pure quanto esiste oggi, ripeto, l’intrallazzo. L’ingegner Rosalba fece scavare orridi, gravine e forare l’Appennino ed ecco l’acqua. L’acquedotto che uomini di potere avevano negato alla dolce Puglia.

Il viaggio con lo scrittore è lungo, lo so, ma cercherò di arrivare assieme a lui almeno ad Ariano Irpino. Pino Aprile si trovava lì a presentare il suo libro “Terroni”. Qui conosce Marcello. E’ uno dei ragazzi  “che ha il piglio da giovane leader naturale, organizzatore perfetto di cene in piazza per un popolo interessato più a mangiare insieme che a mangiare”.

Ogni anno Marcello e i suoi amici dicono è l’ultima volta, non la faremo più la festa. Forse sarà già stata l’ultima volta, la piazza non riderà più. I ragazzi di Ariano Irpino tornano dalle università fuori sede ogni estate. Michele, medico condotto, padre di Marcello dice chiaramente “poi ricomincia l’anno accademico e ripartono. Qui non hai altra possibilità: andartene per studiare e studiare per andartene. Noi restiamo ad aspettarli”. Così avviene in tutto il Sud. “I vinti fanno il pane per i vincitori” un’ultima nota della musica di “Giù al Sud” che è veramente amara.

Grazie per il “profumo delle idee” e per “il tempo degli ulivi”, capitoli del libro; grazie per avere chiarito il significato di “neoborbonico”; e grazie perché con i tuoi scritti contribuisci a diffondere una visione del Sud non scontata e fai conoscere ai meridionali la loro storia, le loro origini ormai quasi dimenticate, sepolte dal caffè Lavazza, come scrive il mio amico e compatriota Franco Zavaglia, delizioso monologo letto a Radio Gamma Gioiosa, un’emittente locale. Grazie perché tu non racconti solo la storia passata, ma ci aiuti a capire il presente e ci ridai dignità e speranza di tornare ad essere ancora un popolo come lo siamo stati per secoli prima dell’Unità d’Italia. E grazie per aver ricordato Nicola Zitara anch’egli e soprattutto lui che ha scosso in maniera profonda la coscienza dei meridionali con i suoi scritti e per aver riconosciuto anche il ruolo della famiglia di Nicola,  scrivendo di noi al tempo in cui era malato: “la moglie e le figlie lo custodiscono come un bene pubblico loro affidato dalla comunità”. Grazie.

Antonia Capria Zitara













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