L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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La narrazione del mezzogiorno

Zenone di Elea


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Giugno 2012

Bartolomeo Grasso? Chi era costui? Fino a qualche tempo fa, quando sentivamo il cognome Grasso, il primo, inevitabile, automatico accostamento era con la lotta alla mafia.

Eppure da anni abbiamo più di una presunzione. Presumiamo di essere spiriti liberi, di avere una cultura storica superiore alla media, di avere un punto di vista identitario.

Poi un bel giorno, casualmente, come accade spesso, spulciando dei testi sulle bonifiche in Italia, ci imbattiamo nel nome di Bartolomeo Grasso. Di Afan De Rivera ne avevamo sentito parlare oltre trenta anni fa, ne incontrammo la citazione in un lungo articolo su una rivista specializzata. L'estensore del pezzo, un geologo (di cui abbiamo perso memoria), lamentava la tenuta del territorio italico e rimpiangeva l'amministrazione borbonica, un modello – quello del Corpo di Ponti e Strade e delle Acque e Foreste – che se adottato all'indomani della unificazione avrebbe risparmiato al bel paese molte frane e inondazioni.

Invece Bartolomeo Grasso ci era del tutto ignoto. Non vi diciamo chi era, leggetevi il suo profilo dai documenti ufficiali borbonici che pubblichiamo nel sito. Sì, proprio da quelli borbonici.

***

Questa sorta di aneddoto personale che vi abbiamo raccontato ci ha fatto riflettere e ci ha fatto concludere che noi, i cosiddetti pionieri dell'identitarismo, siamo tanti piccoli “davide” e stiamo combattendo contro un gigante, un mostro, un moloch che si chiama “narrazione del mezzogiorno”.

Non si tratta del moloch della menzogna.

No, sarebbe molto più semplice e lineare argomentare e battersi contro le menzogne. Si tratta di qualcosa di più subdolo, melmoso, inestricabile, che è entrato nelle nostre coscienze e ci impedisce di essere degli uomini veramente liberi.

Noi “meridionali” viaggiamo sempre con una riservina mentale, fatta di tanti “noi, però”, “noi, tanto”, “noi, ormai”, “a che serve”. E chi più ne ha più ne metta.

In questi giorni abbiamo scorso le pagine del dibattito parlamentare sulla «Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale» e ci è parso davvero di piombare in una sorta di tempo cristallizzato. Tanti interventi fotocopia di parlamentari di opposta ideologia, repubblicana, missina, democristiana, comunista, in cui spadroneggiano lamentazione e luoghi comuni. Chi pensa che la repubblica sia altra cosa rispetto al risorgimento e al fascismo dovrebbe leggersi qualche pagina. Forse certe granitiche certezze in cui si crogiolano alcuni nostri amici vacillerebbero.

Ve ne sottoponiamo un assaggio:

ANTONIO ROMANO [democristiano] Onorevole Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, sarò brevissimo anche perché trattasi di una questione ormai a tutti nota e c'è ben poco da aggiungere a quanto si è detto. Il Mezzogiorno è un malato cronico, grandi clinici sono passati al capezzale di questo malato e tra questi clinici abbiamo qui tra noi un illustre uomo politico, che onora questa Assemblea, il quale dedicò parte della sua giovinezza allo studio di questo problema e fu in materia uno dei pionieri, impostando la questione meridionali nel suo aureo libro «Nord e Sud».

[...] Voi ben sapete che, una volta chiuso il ciclo del Risorgimento, a quel periodo che allora piacque definirsi periodo di poesia, seguì il periodo che si disse di prosa.

[…] In tutte le svolte storiche, ogni qual volta si è fatto appello al sentimento dell'unità nazionale e si è parlato al cuore di quelle regioni, alla loro anima, quelle regioni hanno risposto a tutti gli appelli. Per carità di patria, le regioni del Sud, il Mezzogiorno, la Sicilia e la Sardegna, dimenticando ogni promessa mancata hanno continuato a trascinare il triste peso della loro miseria, della loro triste esistenza, nella quale però è maturata una coscienza nuova.

[…] Nel 1922 un programma di redenzione del Mezzogiorno, programma elaborato subito dopo la prima guerra mondiale, fu votato da una commossa maggioranza, che rasentava l'unanimità, come espressione di riconoscenza alle popolazioni del Mezzogiorno, per la nobile parte che aveva preso ai sacrifici comuni per la vittoria e la redenzione del territorio nazionale liberato dallo straniero. Con quella legge, mai abrogata, il Parlamento italiano votò un decreto di bonifica di 4 milioni di ettari per il solo Mezzogiorno e di 3 milioni e seicentomila ettari per il Settentrione. Ebbene, l'esecuzione maggiore si ebbe nel Settentrione, dove furono bonificati, dal 1922 al 1940, due milioni di ettari, mentre nel Mezzogiorno fu iniziata solo la bonifica di più di un milione di ettari, bonifica non condotta a termine.

[…] Altro indice di depressione è lo analfabetismo: al 4 per cento degli analfabeti in Piemonte, corrispondono il 46 per cento in Puglia e il 52 per cento in Lucania. La causa principale di questo deserto spirituale è la miseria; il presupposto della bonifica umana nel Mezzogiorno e l'elevazione economica.

[…] Si è detto ancora: non sarebbe più opportuno creare un ministero per il Mezzogiorno? L'idea potrebbe anche sembrare simpatica, ma bisogna considerare che la creazione di un simile ministero significherebbe quasi intaccare il sentimento unitario, che invece deve essere gelosamente difeso e custodito.

[…] Noi abbiamo mille chilometri di ferrovia in meno rispetto al Nord; dal punto di vista portuale abbiamo tra il Tirreno, lo Ionio e l'Adriatico, solo due o tre porti relativamente efficienti mentre tutti gli altri porti difettano di magazzini, di depositi di rifornimento, di frigoriferi, di grue, per cui molti piroscafi naviganti nel Mediterraneo sono costretti a dirottare verso Genova.

[…] Calce, cemento, mattoni, mano d'opera. Ora, molte di queste cose si trovano sul posto e perciò circa due terzi di quello che si spende rimarrà nel Mezzogiorno. Un terzo, specialmente per quanto riguarda l'acquisto delle macchine, andrà al Nord. Ma anche buona parte dei primi due terzi prenderà ugualmente la via dal settentrione perché, una volta migliorata la condizione economica delle regioni meridionali, queste costituiranno un maggior mercato di consumo; ì meridionali, elevando il loro tenore di vita, acquisteranno un maggior numero di tessuti, di scarpe, più manufatti, più oggetti di lusso.

Del migliorato tenore di vita del Mezzogiorno si avvantaggeranno gli industriali del Nord.

[…] Ma si è detto: voi assumete impegni per il futuro; sapete se i governi futuri manterranno l'impegno di oggi? Ebbene, noi rispondiamo che questa legge va considerata come una parola d'onore per tutti i governi che seguiranno, qualunque possa esserne il colore politico. Questo impegno è un atto di riconoscenza verso le popolazioni del Mezzogiorno, è un giuramento di fronte al Paese che vede nell'eguaglianza economica l'unità sacra della Nazione.

[…]

PRESIDENTE. Pongo allora in votazione la proposta di chiusura della discussione generale, presentata dai senatori Giardina, Magli, Fusco, Genco, Boggiano Pico, Magri Elia e Italia. Chi l'approva è pregato di alzarsi.

(È approvata).

A norma dell'articolo 70 del Regolamento spetta la parola di diritto a un senatore per ogni gruppo parlamentare.

Su indicazione dei rispettivi gruppi, la discussione generale si limita allora a questi oratori: Raja, per il gruppo repubblicano, Zotta, per il gruppo democristiano, Li Causi, per il gruppo comunista, Lussu, per il gruppo socialista, Franza, per il gruppo misto e Vìenditti per il gruppo liberale. Raccomando agli oratori la maggiore brevità possibile.

Ha facoltà di parlare il senatorie Raja.

[…]

RAJA. [repubblicano] Bisogna ricordare questo: le sofferenze delle classi lavoratrici italiane, tutte le volte che un atto poteva costituire una rivolta contro il trattamento che lo Stato dava alle regioni del Mezzogiorno, furono sempre — debbano riconoscerlo anche se la nota è dolorosa — ritenuti attenuanti all'ordine sociale e furono presi provvedimenti — proposti anche da uomini della nostra terra — e applicati sistemi di polizia.

[…] Ed allora io insisto sull'emendamento soppressivo che ho proposto, e vi insisto perché non posso né voglio partecipare ad un atto che può offendere il sentimento della popolazione siciliana e che può sgretolare, o essere l'inizio di uno sgretolìo, dello Statuto speciale della Regione. Vorrà la Giunta siciliana, vorrà il Parlamento siciliano fare quel che crede, ma fino a quando io sarò qua a rappresentare la Sicilia, intendo fissare in una maniera inequivocabile che non mi troverete mai né partecipe né complice di attentati allo Statuto speciale della Regione siciliana.

[…] Dovete dare oggi perché oggi le opere che si fanno nel Mezzogiorno d'Italia servono principalmente, non solo a sollevare le nostre condizioni, a dare lavoro alle industrie del Nord, perché quando si dice che per la costruzione di queste opere sarà necessario circa il 40 per cento del totale, cioè 400 miliardi, che servono per attrezzature, che servono per utensili e per altre cose, per creare queste opere, questi 400 miliardi non è che saranno dati alle regioni del Mezzogiorno ma continueranno ad affluire alle zone industriali del Nord, con nostro sommo piacere, perché proprio noi dicevamo, come abbiamo sempre detto, che se volete veramente risolvere anche il problema industriale del Nord ed avere un mercato, avete bisogno di sollevare le condizioni economiche delle masse lavoratrici e del popolo del Mezzogiorno, perché esse solamente possono consumare quello che voi producete.

[…] Mi auguro che, correggendo questa che per me è un'ingiustizia, si possa alfine veramente auspicare, in omaggio alla unità nazionale (che noi siciliani per primi abbiamo sempre voluto ed imposto al di sopra dì qualunque interesse, anche nei momenti in cui pareva che la frattura fosse insanabile) che questa legge significhi l'inizio di una armonia fra tutte le Regioni, l'inizio di una riparazione, la conclusione del sentimento dell'unità nazionale, da tutti invocata e voluta. (Applausi e congratulazioni).

[…]

ZOTTA. [democristiano] Onorevole Presidente, onorevoli signori del Governo, onorevoli colleghi, in altri tempi sarebbe stata questa una bella occasione per una dissertazione nutrita ed elegante sulla «Questione (lettera maiuscola!) del Mezzogiorno». Mi sorprende come non sia sorta ancora una cattedra universitaria con corsi regolari sull'argomento, come ne esiste una sulle «Antichità Pompeiane», un'altra sulla «Papirologia». Nonostante il seducente miraggio, io prometto da galantuomo che non parlerò sulla «Questione del Mezzogiorno». Io sono ossessionato dall'incubo della retorica. I miei accenni avranno soltanto carattere polemico; per riportare sul terreno della realtà la discussione.

Ho avuto l'onore di essere stato designato dal Gruppo democristiano per la conclusione del dibattito.

[…] Chi ha detto che con questa legge si risolve il problema del Mezzogiorno? Noi non intendiamo menare questo vanto. Mostreremmo, tra l'altro, scarsa intelligenza. Non si può mutare radicalmente, nello spazio di un decennio, la essenza, strutturale d'un popolo, che deriva da profonde ragioni storiche, geografiche, demografiche ed economiche.

[…] Da noi la borghesia è costituita dall'impiegato e dal professionista, che sono proletari non meno dei contadini, se è vero che è proletario colui che possiede soltanto prole e braccia. Si deve appunto a codesto proletariato borghese il maggior impulso nelle guerre del Risorgimento. Egli si chiamò allora liberale. Compì una rivoluzione in ritardo: fece nel secolo scorso quello che altrove era stato compiuto dopo il Mille dalla innova classe del tempo, la borghesia. Fu il liberale meridionale, codesto intellettuale eternamente proletario, che dette origine alle successive fasi del Risorgimento del 1799, del 1820 e del 1848.

Si capisce: proprio perché da noi più lontane erano le distanze sociali e quindi più vivo il contrasto, questa rivoluzione in ritardo, che nel resto d'Italia era avvenuta già con l'avvento dei Comuni, ebbe particolare sviluppo. I liberali dei Risorgimento, notate, onorevoli colleghi della sinistra, in materia di progressivismo, vi darebbero delle lezioni, se pensate a quella che era la situazione politica del tempo.

LI CAUSI. [comunista] Avete mandato contro costoro le bande del Cardinale Ruffo.

ZOTTA. [democristiano] Onorevole Li Causi, il Vescovo della mia città, Monsignor Serao, era liberale e morì sulla forca.

La nostra borghesia dunque è formata da proletari. Noi siamo la borghesia: noi magistrati, noi funzionari, noi professionisti. Da parte dell'onorevole Grieco vi è stato qui in Aula un accenno, dirò, poco reverente sulla Magistratura meridionale (l'ho letto sui giornali, sul resoconto sommario non l'ho trovato e avrei piacere che sia un malinteso). Egli diceva che i magistrati sposano le figlie dei latifondisti e perciò sono favorevoli alla causa dì costoro. Sono un magistrato anch'io e non ho sposato la figlia di un latifondista, ma di un professionista integerrimo, il quale, oggi, benché ottuagenario, ha bisogno di lavorare ancora per vivere.

[…] Dunque da noi non vi è che questa alternativa: o lavorare la terra o mirare all'impiego Ma poiché la terra è insufficiente e i ruoli della burocrazia sono saturi, il problema più grave oggi è quello della sovrapopolazione.

Qui è la ragione fondamentale della miseria del Mezzogiorno. E i mezzi per combatterla stanno in una politica che tenda al massimo sviluppo della emigrazione. Voi invece siete contro l'emigrazione.

[…] Non ci si può illudere certo, come fauno alcuni, che si possa per tale via giungere alla floridezza della Magna Grecia. Sono mutate le condizioni storiche. Il Mediterraneo non è più l'epicentro del mondo sconosciuto né il bacino principale del traffico tra i popoli. Il centro di gravità, si è spostato verso il Nord.

[…] Bella la legge speciale sulla Basilicata, nella sua cavalleresca, umanitaria concezione: al suo ispiratore, al lombardo Zanardelli, che fece apposta, in condizioni malferme di salute, un viaggio nelle nostre desolate contrade a dorso di un mulo, fu eretto a Potenza in segno di gratitudine un monumento. Mancò un piano tecnico economico e per questa, oltre che per altre ragioni, non vi furono i debiti stanziamenti. Della legge per noi non è rimasto che il monumento.

[…]

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Li Causi. Ne ha facoltà.

LI CAUSI. [comunista] Non credo che abbia in questa Assemblea peccato dì prolissità mai e quindi neanche questa volta, quando da tutte le partì si preme perché questa discussione non abbia quell'ampio sviluppo che sarebbe necessario che avesse, indipendentemente dalla nostra volontà, tanto più che è spiacevole che si stronchi questa discussione, cioè che non assuma dinanzi al Paese, anche in questo ramo del Parlamento, lo sviluppo che dovrebbe avere. L'importanza del provvedimento che ci sta dinanzi non solo è stata sottolineata da tutti coloro che sono intervenuti, ma ha suscitato nel Paese e in particolare nel Mezzogiorno una vivissima aspettazione, che sarebbe da parte nostra assurdo sminuire; ma proprio perché da questa enorme importanza e perché impegna per un decennio il Governo, questo Governo, in una situazione come questa, impegna tutti i partiti. Questo provvedimento si inserisce, onorevole Zotta, nelle lotte che si sono svolte nel Mezzogiorno dopo che quelle masse di contadini, cui lei accennava, hanno mostrato che non vogliono più sopportare la situazione in cui si trovano, dopo che le regioni meridionali, che erano considerate il peso morto della Nazione, hanno fatto irruzione nella vita politica del Paese.

[…] Don Sturzo in periodi non sospetti, nel 1923 — molta acqua è passata da allora ad oggi e non credo di mancargli di rispetto se dico che crea qualche guaio al Mezzogiorno con i suoi interventi irresponsabili — Don Sturzo, in un discorso pronunciato a Napoli, quando il fascismo era all'inizio, e riprodotto in questi giorni sulla «Antologia sulla questione meridionale», prospettandosi il problema del Mezzogiorno nella sua essenza, da uomo che con vera passione ha amato la Sicilia, dice vai: «Il Mezzogiorno fu considerato esclusivamente agricolo, di una agricoltura arretrata, di poco rendimento, meno le zone Vesuviane ed Etnea o della Conca d'Oro e le litoranee adriatica e tirrena.

«Agricoltura del latifondo, abbandonata dal proprietario; agricoltura di rapina del gabellotto e del subaffittuario, agricoltura afflitta dal brigantaggio di campagna, dalla mafia., dall'abigeato, dalla malaria e dallo sboscamento. Chi avrebbe affidato i capitali ad un tale Mezzogiorno senza istruzione e senza, volontà, i cui mezzi finanziari non potevano rispondere al ritmo rigoglioso ed orgoglioso dell'economia moderna? Intervenga lo Stato e faccia quel che può; faccia strade, ponti, faccia scuole e acquedotti, porti un po' di civiltà e poi il mondo finanziario accorrerà in aiuto del Mezzogiorno». Conclude Don Sturzo: «Questo è stato il grande errore di impostazione della questione meridionale... Il Mezzogiorno non può essere guardato come una colonia economica o come campo di sfruttamento politico o come regione povera e frustra alla quale lo Stato fa la concessone di particolare benevolenza. No! Il suo travaglio economico e morale è il travaglio dell'intera Nazione!».

[…] vi è sembrato niente che sei anni fa era in pericolo l'unità del Paese? E credete che questa sia stata opera del barone A o del duca C, ai quali sia venuta nel cervello questa questione? Perché hanno trovato adesioni? C'era una base, c'era una esigenza. Tutto ciò è stato scongiurato perché le forze sane, unitarie, sono intervenute e si sono impegnate; s'è versato del sangue e la Sicilia è stata ridata al Paese.

Amen e così sia, verrebbe da dire dopo tante parole vuote, di cui vi abbiamo dato soltanto un piccolo campionario preso da varie colorazioni politiche.


***

Già il titolo di questo nostro intervento è sbagliato, se non vogliamo rimanere prigionieri appunto della “narrazione del mezzogiorno”. Infatti il termine “mezzogiorno” appartiene ad una narrazione che fa delle Provincie Napolitane un luogo arretrato, feudale, abitato da un popolo impermeabile al vivere civile.

I capostipiti di tale narrazione furono gli esuli napoletani a Torino, coccolati e foraggiati con impieghi e compensi dall'astuto Cavour, diventati poi – nel novello parlamento italiano – i più fidi cagnolini del potere sabaudo, e gli emuli del Gladstone, quello del "This is the negation of God erected into a system of Government.".

Passata la euforia garibaldina, la narrazione antinapolitana riprese vigore come arma di propaganda antiborbonica (=antinapolitana) durante la guerra di resistenza che divampò nelle nostre terre. Nei loro reportage giornalisti nostrani, padani e stranieri dipingevano i nostri resistenti come briganti e tagliagole o, nel migliore dei casi, come vittime del malgoverno borbonico. Il Generale Crocco veniva rappresentato come un serpente, se vi può bastare l'esempio.

Tutto questo perché nonostante le amene battute sull'esercito di Franceschiello che circolano ancora oggi, l'unico stato preunitario ad opporsi manu militari alla unificazione italiana fu quello napolitano. Prima con l'esercito regolare, poi con sbandati e contadini, in una sporca guerra durata un decennio. La memoria di tutto ciò andava cancellato, non solo dai libri di storia ma dalla mente stessa delle persone, soprattutto da quella dei napolitani.

Se volete meglio comprendere come si è evoluta la narrazione del mezzogiorno, dovete leggervi le lettere del Villari, prima quelle del 1861, poi quelle del 1875.

Ma se io vi dicessi che tutti sono contenti, io v'ingannerei. Il disordine amministrativo ha portato un ristagno ed una confusione grandissima negli affari. Coll’accentramento, che progredisce ogni giorno, questi affari dipendono sempre più da Torino; ed il governo centrale, per se stesso non molto rapido e ordinato, non può operare con prontezza ed energia, a cagione degli estesi poteri del Cialdini, che non è uomo da tollerare impacci alla sua volontà.

Villari - Lettere Meridionali 1861

Negli scorsi mesi raccolsi alcune notizie intorno allo stato delle classi più povere, specialmente nelle province meridionali. Se a te non pare inutile affatto, ti pregherei di concedermi che le pubblichi nel tuo giornale, tanto pregiato in Italia. Debbo però dire, innanzi tutto, che nel raccogliere queste notizie io ho avuto lo scopo di provare che la camorra, il brigantaggio, la mafia sono la conseguenza logica, naturale, necessaria di un certo stato sociale, senza modificare il quale è inutile sperare di poter distruggere quei mali.

Villari - Lettere Meridionali 1875

Nelle lettere del 1875 la metamorfosi della narrazione è completa, in esse tutto è sovrastato dai due temi cardine della questione meridionale che giungeranno immutati e immutabili fino ai giorni nostri: arretratezza e criminalità.

Oggi il culmine della narrazione del mezzogiorno è condensata nel napoletano che dice di essere nativo di Bologna: qui la narrazione si confonde con la estraniazione da se stessi, ci si nega per non sentirsi negati. Vuol dire che come popolo siamo stati cancellati al punto di aver subito una specie di mutazione antropologica: essere bolognesi riempie di orgoglio mentre essere napoletani obbliga a nascondersi.

Ebbene, noi vogliamo, dobbiamo, possiamo ritornare ad essere napolitani.

Provate a fare questo esercizio anti-narrazionedelmezzogiorno: ogni volta che vi capita di leggere – su un quotidiano o su un settimanale – un articolo sulle provincie napolitane o di guardare un servizio televisivo, pensate non a quale titolo avreste messo voi (che sarebbe soggettivo e fuorviante per questa nostra piccola esercitazione lessicale) ma quale sarebbe stato il titolo più congruente con quei contenuti, con quella notizia, con quell'argomentazione.

Fate la stessa esercitazione con i sottopancia televisivi, spesso molto più infidi degli stessi titoloni, e con le scritte in sovrimpressione che scorrono durante i telegiornali, rai o mediaset che siano poco conta, tanto sono identici nella sostanza dal nostro punto di vista.

Forse facendo questo giochino entrerete anche voi nella bettola dell'illuminazione, come accadde a Garibaldi a Taganrog. Lui si ritrovò mazziniano, voi se vi impegnate e se siete fortunati vi ritroverete napolitani.








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