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Zitara e il colonialismo interno

di Angelo D’Ambra

pubblicato sulla rivista officina667.net dicembre 2011 pp. 3-6


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21 Dicembre 2011

“Il mio separatismo altro non è Ho-Ciminsmo”

Nicola Zitara

Il separatismo di Zitara si definisce intorno agli anni ’70 del Novecento nell’ambito di una serrata critica da sinistra a socialisti, comunisti ed extraparlamentari. Zitara li accusa di rappresentare linee politiche padanocentriche non rispondenti ai concreti interessi dei ceti subalterni meridionali. La soluzione proposta per la questione meridionale non è dunque solo separatista, è anticolonialista e assieme classista, un’istanza rivoluzionaria che Zitara matura in rottura completa non solo con i partiti della sinistra, ma anche con l’intera tradizione marxista e rivoluzionaria italiana, proiezione delle istanze operaie di Torino, Genova e Milano. Vengono respinte le idee gramsciane di un blocco anticapitalista tra operai del Nord e contadini del Sud e, nell’ambito di una prospettiva separatista, di un alleanza tra borghesia “progressista” e proletariato meridionali (1). Zitara ci dice che la sinistra concorre assieme alle altre forze politiche a gestire la colonia Mezzogiorno, che gli operai del Nord rappresentano una “aristocrazia”, dei privilegiati i cui interessi non solo non coincidono, ma addirittura si contrappongono a quelli del proletariato meridionale, e che nella colonia ci sono due classi: una borghesia autoctona partecipe dello sfruttamento, e un proletariato che si divide in proletariato interno, (impiegati e operai pubblici o di grandi imprese private) che si accontenta di vivere in uno stato di relativa agiatezza e tende con naturalezza a conservarla (2), e proletariato esterno, (contadini, braccianti e fittavoli, disoccupati, manovalanza edile, studenti, precari, artigiani, lavoratori in nero…) che è il solo ceto ad avere tutto l’interesse a separarsi dal Nord. Dalla rivolta di Reggio Zitara trae l’insegnamento che quella meridionale è una vera e propria borghesia compradora come quella dei paesi latinoamericani, rappresenta la conservazione ed è stoltamente indirizzata a difendere apparenti privilegi senza amor patrio e con cecità, senza cioè rendersi conto che i suoi soldi non garantiscono ottime strade per le sue costose auto, né una buona sanità o una buona università sul proprio territorio (3).

Era il gennaio del 1971 quando sulle pagine di Quaderni Calabresi Nicola Zitara pubblicava l’articolo intitolato La lotta di classe nella colonia Mezzogiorno. In esso, per quel che ci risulta probabilmente per la prima volta, Zitara delineava con estrema lucidità, i contenuti di una teoria del cambiamento che si muoveva lungo le coordinate del marxismo critico e poneva come proprio orizzonte di prassi un Mezzogiorno assurto a terreno di scontro tra capitale e lavoro nella Penisola e nel Mediterraneo e non più gregario gramsciano di una rivoluzione operaista e nordista. Il fallimento del meridionalismo era ai suoi occhi lampante:“L’errore è altrove: nel voler calare dalle fabbriche di Torino o da un vertice governativo la risposta al problema meridionale. In questi luoghi non ci sarà la forza né la volontà di ottenerla. Essa deve essere data sul campo, dalle stesse forze meridionali” (4), scriveva Zitara e così per la prima volta nella sua storia, senza confusione, un Meridionalista guardava al Sud come unico e solo protagonista della sua stessa emancipazione e ne denunciava come ostacolo le dinamiche di sviluppo del capitalismo nordista, di cui tutte le forze sindacali e partitiche italiane erano e sono agenti. Come se non bastasse Zitara finiva col denunciare anche quei settori sociali meridionali che prosperano all’ombra del sottosviluppo del Mezzogiorno e che fino ad allora erano stati sempre esenti da critiche ed al centro di un opera elogiativa che partiva dall’esaltazione dei giacobini del 1799 (e dalla parallela condanna dei lazzaroni). Nell’articolo, che finirà nel volume Il Proletariato esterno, compariva dunque in modo compiuto il concetto di colonialismo interno e la visione della questione meridionale come lotta anticoloniale; Zitara diveniva così consapevole cronista di un sistema, quello italiano, in cui una area geografica limitata del Paese riduce il restante territorio a granaio periferico e ricettacolo di degrado culturale e corruttela politica.

Egli scriveva: “…si possono individuare le seguenti principali condizioni che fanno del Mezzogiorno un’area coloniale:

  1. Dipendenza da altre aree per la maggior parte dei beni di consumo e di investimento;

  2. Produzione agricola rivolta all’esportazione sotto la forma di materie prime;

  3. Drenaggio delle risorse ambite dalle aree sviluppate, nella fattispecie delle forze lavorative;

  4. Subordinazione culturale” (5).

La colonia interna insomma garantisce al Nord manodopera qualificata e a basso costo, derrate agricole a prezzi stracciati, smaltimento rapido e vantaggioso dei propri prodotti (e dei rifiuti industriali) e carne da macello per le proprie guerre imperialiste.

Le lotte in questo Mezzogiorno tendevano a non muoversi entro i margini imposti dello schema legale e rappresentativo: “Oggi, come cento anni addietro, - egli notava - le masse meridionali reagiscono all’oppressione non con la lotta democratica ma con la ribellione” (6), il sordo ribollimento- il ribellismo spontaneo diremmo noi -, evidenziatosi a Reggio, all’epoca in cui fu steso l’articolo, e a Scanzano, Chiaiano, Terzigno ai nostri giorni, è l’alternativa al silenzio e alla rassegnazione, ma anche a quelle spinte eversive che echeggiavano ieri nel “successo del movimento di Giannini, del laurismo e del MSI” (7) ed oggi in quello di De Magistris e Vendola. Il riformismo è senza sbocchi,“non riconduce mai il problema del Mezzogiorno nei suoi veri termini: quelli di una dominazione coloniale che può cessare solo battendo l’imperialismo da cui promana” (8) perché esso è espressione della dominazione coloniale stessa. In particolare il riformismo di sinistra “altro non è che un tentativo, in effetti maldestro, di subordinare il proletariato meridionale alla visione operaista dello stato industriale” (9). Zitara rilevava una frizione tra il proletariato del Nord e quello del Sud e accusò la linea riformista dei partiti della Sinistra di essere tacitamente espressione coerente degli interessi immediati della classe operaia torinese non collimanti invece con quelli del proletariato meridionale (10).

Sul Sud Zitara cita Nitti: “…ha funzionato come una colonia di consumo e ha permesso lo svolgersi della grande industria del Nord”(11) per chiarire che il legame unitario diviene asfittico, vampiresco: “l’esperienza della lotta per la terra insegna che il Mezzogiorno non può fare ciò che la classe operaia del Nord non vuole” (12). Ogni sforzo politico e sociale compiuto in buona fede per migliorare le sorti del Mezzogiorno diviene un’immane lavoro di Sisifo perchè “lo sviluppo del Settentrione cresce sul sottosviluppo del Mezzogiorno. Se l’industria padana cresce, l’agricoltura meridionale ne paga il sovrapprezzo. Se i salari salgono a Milano, la conseguente riorganizzazione produttiva fa aumentare la disoccupazione meridionale. E via di seguito” (13). Tutto ciò ha una dimensione internazionale data da quei processi di divisione mondiale del lavoro che assegnano ad ogni area differenti specializzazioni nelle attività produttive (ognuna delle quali genera esportazioni dei beni prodotti e importazioni dei beni non prodotti) e che portano ad una contrapposizione tra paesi esportatori di prodotti industriali e paesi esportatori di materie prime (14). La divisione del lavoro insomma “assegna le produzioni delle merci più redditizie (i prodotti dell’industria) a certe aree, ed impone la produzione delle risorse primarie, sempre più svalutate, ad altre. È probabile che il Mezzogiorno s’impegnerà anche per l’avvenire a produrre sempre più e sempre meglio vino, olio e agrumi, come il Brasile più caffè e l’Arabia Saudita più petrolio, ma che, non diversamente del caffè e del petrolio, le sue produzioni varranno sempre di meno nel quadro degli scambi mondiali” (15). In tale contesto la classe dirigente e quella partitica e sindacale amministrano la colonia, fanno da cintura di trasmissione delle direttive nordiste, impongono persino i contenuti delle lotte sociali.

“Veniamo così al punto nodale del colonialismo attuale… Sono le classi dirigenti interne che fanno da tramite allo sfruttamento straniero” (16), è la politica, di destra e di sinistra, a gestire l’oppressione nordista. Il Meridionalismo, nello specifico, rappresenta la forma ideologica in cui si sono configurate storicamente le istanze delle classi dirigenti del Sudper la contrattazione dei termini dello sfruttamento del proletariato meridionale. Ne consegue che “la lotta per il suo (del Mezzogiorno) riscatto deve essere condotta su due binari: il binario nazionale contro lo sfruttamento esterno e il binario sociale contro le classi mediatrici della soggezione” (17).

Al Sud “si scontrano una classe dirigente soggiogata ideologicamente al sistema italiano e più che mai da questo dipendente sul piano economico (stipendi, convenzioni mutualistiche, integrazione delle rendite) con una classe lavoratrice disgregata, nella quale il settore di punta è il sottoproletariato manuale e intellettuale” (18) ed è questo sottoproletariato (o proletariato esterno, l’esercito industriale di riserva, le migliaia di disoccupati meridionali), ad essere la vera leva del cambiamento da mobilitare su un programma che può solo essere separatista e rivoluzionario(19).

Quanto sin qui indicato da quel gennaio del 1971 diventa il cardine della prospettiva politica zitariana magistralmente sintetizzata nell’ultima opera del Sidernese: “Avendo l’Italia al suo interno almeno due formazioni sociali marcate da fortissime diversità, l’azione politica dei partiti di sinistra è stata condizionata dai settori più compatti ed avanzati della classe lavoratrice… Il tentativo di omologare gli interessi delle masse meridionali con quelli delle aristocrazie operaie ha avuto carattere puramente retorico, non avendo avuto la lotta per le terre altro serio seguito che l’emigrazione. Il contenuto primario e ineludibile di un’azione politica di sinistra, al Sud, è la liberazione, che costituisce il passaggio obbligato per sfrenare le forze della produzione, appagare il bisogno di occupazione e di reddito e conferire alle masse la consapevolezza del proprio peso politico” (20). Continua Zitara: “C’è anche da aggiungere che la costruzione di una coscienza politica a sinistra, nel Meridione non può partire dall’apologia del giacobinismo né accettare acriticamente la storia della borghesia italiana, e neppure il pensiero liberale e libertino… il Sud non ha altra strada… se non quella di costruire uno Stato democratico – ma non elettoralistico – che abbatta la cultura della rendita parassitaria” (21).

Con la scomparsa di Zitara, il Sud non ha perso solo un punto di riferimento, ha perso uno dei pochi suoi figli capace di analizzare in profondità il contesto sociale, economico e politico e di trarre delle direttive operative immediate, ha perso anzitutto l’unico suo intellettuale dotato di quell’acume necessario a formulare una dottrina compiuta dello sfruttamento meridionale. Parafrasando il giudizio di Sartre su Marx, non a torto è da ritenersi che ogni prospettiva politica del Sud la quale ignori Zitara e non si muova lungo le coordinate da lui tracciate rappresenti un fatidico passo indietro nella storia del meridionalismo. Ci auguriamo dunque che questi insegnamenti non cadano nel dimenticatoio perché l’indipendentismo non è solo voglia di libertà, ma progettualità sociale e politica antitetica ai paradigmi di sviluppo imposti dagli stati plurinazionali preda delle oligarchie.

___________

1 N. Zitara, In attesa dell’avvento, in Il proletariato esterno, Milano 1977, p. 60.

2 “…riceve un trattamento economico uniforme in qualunque parte dello Stato esso operi. In un paese economicamente e socialmente doppio, qual è l’Italia, l’uguale trattamento ha comportato che, con lo stesso stipendio, mentre a Milano si riusciva appena a campare,  al Sud si stava da signori. Non si tratta di una teoria, ma di un fatto” (N. Zitara, Il capitale storico, in Rivista elettronica Fora, 7 Agosto 2004)

3 “La Calabria  e il Meridione in genere non hanno bisogno di modernità al servizio di Milano,  ma di modernità idonee a  valorizzare, a rendere attivo e produttivo il potenziale umano, la forza lavoro (braccia e cervelli) di cui dispongono e che purtroppo rimangono inattive. Voltandola in termini di geopolitica, al Sud, la classe sociale, che gli economisti latino-americani  hanno definito  “borghesia compradora”, legata com’è agli interessi di Milano, rappresenta un nemico reale e possente. Trattasi di regola di imprenditori moderni che fanno da tramite tra le aree sviluppate e le aree sottosviluppate, tragicamente depresse dai  meccanismi del mercato capitalistico” (N. Zitara, La borghesia ‘compradora’, in Rivista elettronica Fora, 15 aprile 2005).

4 Nicola Zitara, La lotta di classe nella colonia Mezzogiorno, in Il proletariato esterno, Milano 1977, p. 92.

5 Ibidem, p. 98-9.

6 Ibidem, p. 90

7 Idem

8 Ibidem, p. 92

9 N. Zitara, Il Meridione nell’attuale situazione nazionale e internazionale, in Il proletariato esterno, Milano 1977, p. 169

10 La diffusione di un socialismo operaista ha isterilito, a suo dire, le forze contadine meridionali imponendo schemi di lotta inadeguati per il Sud agrario (scioperi economici, sindacati, parlamento); successivamente la diffusione del capitale industriale ha fatto sì che si superasse la questione agraria, nel frattempo “la classe lavoratrice settentrionale ha imposto una strada conforme (il gradualismo riformista) ai suoi interessi specifici anche ai lavoratori meridionali…” (N. Zitara, La lotta di…, p. 106). Quanto descritto rifletteva un cambiamento avvenuto su scala internazionale: “Il carattere nuovo dell’economia predatoria... risiede nella sua capacità maggiore che in passato di esportare i costi della crescita interna. Tali costi ricadono sulle economie periferiche: in misura maggiore su quelle poste fuori dal perimetro degli stati imperialisti, in misura minore sui sistemi e sulle strutture interne non modernizzate. Tutto questo può spiegare come la classe operaia interna all’imperialismo non rifiuti, in questa fase storica, il modello capitalistico di sviluppo, ma miri soltanto a impadronirsi della gestione del sistema” (N. Zitara, Il Meridione nell’attuale situazione…, p. 166).

11 F. S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Bari 1958, vol. 2, p. 461

12 N. Zitara, La lotta di…,, p. 114

13 N. Zitara, Postscritto 1972, in Il proletariato esterno, Milano 1977, p. 121. “…Si nega al Meridione il diritto di progettare e organizzare una politica antimperialista, la quale coerentemente dovrebbe mettere in discussione la validità del mercato unico, in un paese il cui sviluppo imperialistico è nato ed è tuttora fondato sul nesso depredatorio tra un Nord industrializzato e un sud che fa da una lato da fornitore di risorse umane e materiali, e dall’altro da colonia di consumo”(N. Zitara, Il Meridione nell’attuale situazione…, p. 171).

14 Le ragioni della lotta anticoloniale, in particolare di quella meridionale, non sono spirituali, ma economiche. A dimostrazione di ciò, ci permettiamo di enfatizzare quanto Zitara afferma in Sinteticamente le ragioni del separatismo(Rivista elettronica Fora, senza data): “Tra meridionali e tosco-padani non esistono diversità di razza, di lingua, di cultura. Malgrado le sporche ingiurie degli stronzobossisti, né i meridionali né i settentrionali hanno ripudiato il sentimento della comune appartenenza. Le ragioni del separatismo rivoluzionario non si rifanno, quindi, al concetto di nazionalità, ma sono squisitamente economiche”. Il tema è ribadito nel prologo di Parte il Movimento di liberazione del Sud Italia, (Rivista elettronica Fora, senza data): “L'indipendenza riguarda la funzione regolatrice dell'ente Stato nell'economia, nei rapporti sociali, nella vita privata, sul risparmio, sul destino degli individui e delle famiglie, sull'onore di ciascuno, nelle finalità che un paese libero si prefigge. Relativamente al nostro paese, principalmente la produzione, che sta alla base dell'occupazione. Una nazione unitaria per cultura, per religione, per principi morali, per lingua e territorio può dar luogo a più formazioni sociali, cioè a collettività che in un momento dato si pongono finalità pratiche diverse. E' il caso italiano, con un Centronord che gode della piena occupazione, che anzi importa manodopera extracomunitaria per coprire i vuoti demografici e che si prefigge un più alto grado di competitività internazionale, utilizzando a tal fine anche il risparmio e le altre risorse che le popolazioni meridionali possono offrire, e un Sud che non controlla le proprie risorse e che versa in un miserando vuoto produttivo e occupazionale”.

15 N. Zitara, La lotta di…, p. 106

16 Ibidem, p. 95-6

17 Idem

18 Ibidem, p. 114

19 Strumento politico di questo cambiamento è il partito, e qui Zitara si mostra leninista, nelle sue parole (“Anche se il Mezzogiorno è una polveriera, non credo che l’attuale possa considerarsi un momento rivoluzionario, primo perché il Nord domina il paese intero attraverso il blocco sindacal-capitalistico, e quindi riformistico-parlamentare, secondo perché il vuoto politico creato nel Mezzogiorno da tale blocco non è stato ancora colmato da forze organiche al proletariato meridionale e ai suoi problemi”()) traspare l’idea del Che Fare?, il mondo del lavoro meridionale da solo non va oltre l’economicismo, il rivendicazionismo spicciolo, la rivoluzione può esserci solo quando c’è un partito rivoluzionario ovvero l’espressione più alta e disciplinata della coscienza politica rivoluzionaria meridionale (poi però aggiunge “In questo quadro un tentativo di discorso con le forze politiche regionali va fatto, quantomeno per sgravio di coscienza, anche se la possibilità che sia inteso sono meno che tenui”. Siamo negli anni ’70 e già registriamo i prodromi della futura apertura all’MPA di Raffaele Lombardo). Sarà invece sempre respinta la soluzione militarista (vedi di N. Zitara, Il proletariato… e Parte il Movimento…).

20 Quella di Zitara è una cultura del cambiamento: “La separazione non avrebbe senso, ai fini della superamento della questione meridionale, cioè a fini dell'occupazione, se si desse spazio al capitalismo privato… Saranno gli stessi lavoratori, padroni di se stessi e del proprio prodotto, a competere in produttività fra loro, adeguando gli standard sussistenziali alla produttività media di ciascun habitat nazionale” (N. Zitara, Sinteticamente le ragioni del separatismo, in Rivista elettronica Fora, senza data )).

21 Sul tema dello Stato da costruire però Zitara non indica una linea continua. Si fa promotore di una temporanea fase monarchica amministrativa retta dall’ultimo discendente di Francesco II di Borbone Al di là del progetto di Stato, è evidente che la maggiore difficoltà che si incontra nel mettere insieme ipotesi di un futuro rivoluzionario riguarda il ruolo che in esso dovrebbero avere i meccanismi di mercato perché il mercato interrompe ogni nesso fra produzione e bisogni e riduce tutti i rapporti a rapporti di denaro. Quello che salta fuori è un disegno di superamento dei rapporti capitalistici con un organizzazione del lavoro legata alle forme dell’azienda cooperativa e del contratto di collaborazione. Lo Stato disegnato poggerebbe quindi su una struttura economica di impianto liberalsocialista, di imprese cooperative e autogestite (N. Zitara, Parte il Movimento di liberazione del Sud Italia, Rivista elettronica Fora, senza data).
















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