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Due Sicilie
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Il petrolio, il mare e l’opzione scozzese

di Angelo D'Ambra

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Giugno 2012

Nel 1974 il Partito nazionale scozzese (SNP) ha iniziato la sua propaganda indipendentista sostenendo che la Scozia possiede fino al 90% delle riserve di greggio del Mare del Nord. Gli scozzesi calcolano che con l’indipendenza il loro paese da colonia interna britannica diverrebbe il sesto paese più ricco dell’Ocse, mentre il Regno Unito scivolerebbe alla quindicesima posizione. Oggi l’SNP guida la Scozia verso il referendum per l’indipendenza e qualora l’obbiettivo dovesse essere colto gli scozzesi direbbero addio alla disoccupazione, all’emigrazione ed allo sfruttamento incontrollato della loro terra per giunta senza ricavi.

Il petrolio italiano è estratto per il 70% in Lucania (regione più povera d’Italia e col più alto tasso di disoccupazione) e per la restante parte in Sicilia, senza alcun vantaggio per gli abitanti di queste regioni. Qui non c’è un SNP, qui ci sono Vendola, De Magistris, Lombardo e Miccichè. Il Mediterraneo è assalito dalle compagnie perché le royalties sono tenute bassissime dal governo (il 4% contro il 37% della media mondiale) e non si pagano imposte per i primi 300.000 barili di petrolio all’anno; queste stesse compagnie ora vorrebbero trivellare i Campi Flegrei per sfruttare una quantità di energia geotermica pari 10-15 GW, l'equivalente di 15 centrali nucleari.

Tutto ciò sarà ulteriormente aggravato dal decreto per lo sviluppo che ancora una volta fa pagare alle Due Sicilie lo sviluppo dell’Italia. Si pensi che in materia di trivellazioni petrolifere addirittura si era inizialmente ventilata la possibilità di abbattere il limite della distanza di 12 miglia come richiesto dalle compagnie e come prospettato dall’ex Ministro all’Ambiente Prestigiacomo in un decreto del 26 agosto 2010. La stesura definitiva del documento licenziato dal Governo il 15 giugno scorso ha poi chiarito che per le trivellazioni off shore il limite resta (o meglio torna) di 12 miglia, ma si assiste ad una sanatoria de facto per le trivellazioni concesse a partire dal 2010: le compagnie che hanno permessi in vigore dal 2010 potranno trivellare alla distanza minima di 5 miglia senza problemi. Il rischio anzitutto riguarda Pantelleria, le Egadi e le Pelagie, ma anche le Tremiti (tra il basso Adriatico, lo Jonio ed il Tirreno meridionale c’è il più alto numero di pozzi off-shore, quattro piattaforme solo in Sicilia e tre in Abruzzo). Lo stesso limite delle 12 miglia in realtà permette trivellazioni nel pieno del golfo di Taranto (in Puglia la Shell ha il via libera per la ricerca in un’area di 1300 kmq nel Mar Grande di Taranto e Petroceltic in un’area di 730 kmq nel tratto antistante la costa abruzzese).

Squattrinati e annichiliti dalle nostre spiagge guarderemo il nostro mare morire sotto i colpi di Eni, Audax, Northern Petroleum (il nome è tutto un programma, il petrolio però lo mettiamo noi) o magari venduto al Sultano dell’Omar, già frequentatore delle case di Vendola ed Emiliano oppure impugneremo anche noi l’ “opzione scozzese”?












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