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Due Sicilie
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Riceviamo da Angelo D'Ambra e pubblichiamo.

Zenone di Elea – 27 Settembre 2012


Capitalismo e colonialismo interno

 da Andre Gunder Frank - Sul sottosviluppo capitalista, 1970, pp 86-95


Il manifestarsi del capitalismo nel suo aspetto imperialista colonialista non avviene solo tra paesi diversi, ma anche all’interno di un solo paese. Lo schema internazionale di sviluppo-sottosviluppo è riprodotto a livello nazionale fra regioni e settori economici. (La discussione delle differenze fra i modelli internazionali e nazionali può essere rimandata a dopo, quando avremo osservato le più importanti somiglianze, o meglio, l’unità fra loro). È naturalmente un luogo comune che esistano regioni e settori relativamente più sviluppati o piu sottosviluppati all’interno di ogni paese, così come fra i paesi. La “distanza” fra sviluppo e sottosviluppo è spesso maggiore nazionalmente che internazionalmente. Inoltre, generalmente più un paese è sottosviluppato nel complesso, maggiore è la differenza interna sviluppo-sottosviluppo. La differenza di reddito pro capite fra lo stato più ricco del Brasile, il Guanabara, e il suo più povero, Piaiù, è di 10 a 1, cioè più dello stacco fra Stati Uniti e Brasile. In un paese ancor più sottosviluppato, la differenza è ancora maggiore. Ancor più accentuata è la differenza fra un settore economico “progredito”, come il petrolio o perfino l’agricoltura “commerciale moderna” ed altri settori come l’agricoltura arretrata di sussistenza. Queste differenze esistono nei paesi sviluppati, come fra Nord e Sud negli Stati Uniti o, tra Inghilterra e Scozia in Gran Bretagna, come in quelli sottosviluppati.

Lo sviluppo e il sottosviluppo regionale e settoriale non possono essere adeguatamente capiti se non in relazione fra loro e, naturalmente, in relazione allo sviluppo capitalista a livello globale.

Il giudizio tradizionale circa lo sviluppo e il sottosviluppo a livello nazionale, secondo cui lo sviluppo regionale è stato raggiunto in modo indipendente e/o attraverso la diffusione dalla metropoli, mentre il sottosviluppo regionale è ritenuto “iniziale” e “tradizionale”, è un giudizio altrettanto inadeguato quanto l’approccio che il giudizio convenzionle fa del livello internazionale. Proprio come il sottosviluppo nazionale, il sottosviluppo regionale si è sviluppato contemporaneamente, ed è il risultato dello sviluppo regionale e metropolitano. Lo sviluppo regionale e settoriale, a sua volta, è stato ottenuto a livello nazionale a costo del sottosviluppo regionale, e probabilmente con un’intensità superiore di quella richiesta dallo sviluppo metropolitano. In altre parole, certamente fin dall’introduzione del capitalismo la storia dello sviluppo e del sottosviluppo fra paesi è stata quella del colonialismo, come storia di rapporti fra la metropoli e la periferia. Seguendo Pablo Gonzàlez Casanova (1963) e C. Wright Mills prima di lui, possiamo chiamare ciò “colonialismo interno”. Come siamo stati in grado di identificare una metropoli e periferia globali, possiamo nello stesso modo identificare metropoli e periferia a livello nazionale. Più importante ancora è il fatto che gli elementi essenziali della relazione metropoli-periferia e delle sue conseguenze, particolarmente per il sottosviluppo, sono gli stessi.

Invece di tentare di catalogare od analizzare il colonialismo interno come si è presentato in così tante parti del mondo, sarebbe meglio fare solo poche brevi osservazioni su ciò che contrasta col convenzionale approccio allo sviluppo e al sottosviluppo, sulla base dei concetti di decollo e di diffusione, osservazioni che possono servire come base per un successivo esame della relazione fra colonialismo e imperialismo internazionale e interno.

Un tipico caso di colonialismo interno di un paese sviluppato è la relazione fra il nord e il sud degli Stati Uniti. Nel numero del settembre 1963 del Scientific American su “Tecnologia e sviluppo economico”, Arthur Goldschmidt descrive il sud degli Stati Uniti come un’area tipicamente sottosviluppata fino a poco fa. (Riferendosi per il momento al sud di prima della II guerra mondiale). Non solo il sud ha un reddito relativamente inferiore, ma è un produttore ed esportatore di materie prime agricole, fortemente dipendente da un unico tipo di cultura.

Nel 1937 lo storico sudista Walter Prescott Webb nel suo Restiamo divisi descrisse il sud, nota Goldschmidt, come soggetto al “controllo economico imperiale del nord”, che prese la forma di autorizzazioni restrittive, prezzi e tariffe di carico discriminanti investimenti di fondi dell’Assicurazione del sud nell’industria del nord, etc. Goldschmidt parafrasa approvando anche la formulazione teorica di Gunmar Myrdal, secondo cui un processo cumulativo di causalità circolare rende il ricco più ricco ed il povero più povero. Egli chiama il sud una regione “quasi coloniale”. Si potrebbe pensare che egli continui la sua analisi più o meno nei termini delineati in questo saggio. Ma non lo fa. Al contrario, egli rimane abbastanza all’interno del giudizio tradizionale. Dice che la crescita del settentrione e degli Stati Uniti in genere “non si curò del sud” – cioè significa che il nord se ne andò per la sua strada e lasciò il sud dietro di sé come si trovava, come Asa Briggs nel suo saggio introduttivo alla stessa edizione, dichiara esplicitamente che avvenne a livello mondiale. E Goldschmidt sostiene che negli anni recenti il sud è sfuggito al circolo vizioso prospettato da Myrdal, e che il problema del sottosviluppo è stato risolto con la diffusione dal nord, sia pure attraverso l’intervento del governo federale. Questa tesi comunque non è sostenuta dall’evidenza.

Goldschmidt non ci dice che il sud fu creato come regione sottosviluppata fin dal principio. Cominciò come colonia inglese, più tardi diventò insieme una colonia inglese e del nord. L’industria tessile del nord fu costituita con il cotone e gli schiavi del sud. La continua promulgazione di tariffe doganali non fu che una continua battaglia per una tariffa che servisse a sviluppare il nord e sottosviluppare il sud. La guerra civile fu in questo senso una tipica guerra coloniale e fu la vittoria in questa guerra che permise definitivamente l’espansione e lo sviluppo continentale ed industriale del nord. Contemporaneamente, il sud divenne sempre più dipendente e sottosviluppato. Il carpetbagger[1] fu il simbolo e l’esecutore del suo sottosviluppo.

Grazie in parte alla sua partecipazione ad uno stato “democratico”, nel senso inteso da Strachey, il sud e stato capace, come afferma Goldschmidt, di ottenere una parte sempre maggiore dell’investimento americano in qualità di regione. Ma i dati stessi di Goldschmidt smentiscono la sua tesi che ciò abbia risolto il problema del sottosviluppo. “Le misure che ottennero i cambiamenti piu spettacolari” nel produrre il supposto recente sviluppo economico, egli dice “furono quelle che si rivolsero alla radice del problema dell’agricoltura meridionale: la riforma terriera (nel senso lato usato dall’ONU)” (p. 229). Questa è la riforma terriera che è universalmente raccomandata come palliativo per i problemi economici di sviluppo dovunque nel mondo da coloro che, come Goldschmidt, ritengono solo che i rapporti che operano fisicamente in una regione sono risolevanti ai fini del sottosviluppo. Egli ci dice che “le piccole fattorie antieconomiche stanno scomparendo”, che il numero delle fattorie è stato ridotto alla metà, la loro produzione media raddoppiata, e che il numero dei proprietari e diminuito sensibilmente. Non ci dice però che ciò inevitabilmente significa che la concentrazione effettiva della terra nel Sud è molto aumentata (tendenza presente altrove, negli Stati Uniti e nel mondo capitalista in genere) e che i lavoratori agricoli sono stati espulsi a forza dalla terra. Che accadde ai proprietari e ai piccoli possidenti?

Certamente non divennero medi e grandi proprietati terrieri, dal momento che il loro aumento si ridusse a metà o più. Essi sono l’esodo rurale. Essi, o coloro che li sostituirono nella fase migratoria successiva, costituiscono i circa 5 milioni e mezzo di emigranti meridionali, che tra il 1940 e il 1960 si sono spostati a nord e a ovest. Con i loro figli, nati dopo l’emigrazione, oggi ammontano a 10 milioni di “bianchi poveri” e negri meridionali residenti nei bassifondi delle città settentrionali. Il problema del sottosviluppo e dello sfruttamento nazionale sotto il capitalismo americano non è quindi stato risolto, come sostiene Goldschmidt. È stato solo spostato regionalmente e settorialmente. La borghesia meridionale sta partecipando al capitalismo americano in un modo diverso da prima. Il sottosviluppo strutturale, che ha colpito i negri fin dall’inizio, non è stato risolto, altrimenti non avrebbero “marciato su Washington”. Neppure le marce su Washington risolveranno questo problema di sottosviluppo di colonialismo interno. Poiché Washington non può risolverlo. È troppo unito a New York.

Nei paesi sottosviluppati, il colonialismo interno e il conseguente sottosviluppo è ancor più severo. Come il colonialismo-imperialismo in generale e come il colonialismo interno nella metropoli il colonialismo interno che noi ora conosciamo nel mondo sottosviluppato è prodotto del capitalismo. È il capitalismo stesso. È un altro nome del processo attraverso cui l’entroterra nord-est del Brasile divenne la periferia sottosviluppata che produceva e forniva bestiame, della costa del nord-est, che a sua volta era una metropoli regionale o nazionale che produceva zucchero, essa stessa tuttavia periferia colonizzata della metropoli europea. È il processo e il rapporto attraverso cui l’odierna metropoli meridionale del Brasile si sviluppò e si sviluppa ancora, a spese della zona del nord-est, e del resto del paese. Per apprezzare il contributo del paese periferico allo sviluppo della metropoli di San Paolo, si deve tener conto dell’estrazione che il Sud ha dal suo entroterra di depositi bancari, di valuta estera guadagnata dalla periferia mediante esportazioni di prodotti primari, di lavoro specializzato e qualificato, per mezzo di termini di scambio sfavorevoli a causa dell’inflazione, del monopolio commerciale, del controllo politico, e via di seguito. Tutti questi elementi devono essere valutati negli stessi termini di surplus di discontinuità, ecc. che furono già prima delineati in relazione al contributo della periferia alla metropoli mondiale (questo fu fatto in parte dall’autore nella parte che tratta del colonialismo interno, in Frank, 1969). Nei paesi con sviluppo regionale e settoriale ancora meno autonomo e autosufficiente la domanda è ancora più perentoria: Da dove giunge la ricchezza di Lima, di Salisbury o di Beirut? Dove è prodotta e da chi? Come è ottenuta e concentrata nella capitale e naturalmente all’estero? E quali sono le conseguenze per la periferia? Il sottosviluppo. Quanti dicono che San Paolo è la locomotiva che fa muovere 21 vagoni (stati), non aggiungono che sono i vagoni carichi di carbone a fornire il loro combustibile al motore.

Se lo sfruttamento coloniale internazionale metropolitano produce più sottosviluppo nella periferia che sviluppo nella metropoli, allora avviene ancora di più che il rapporto tra le varie metropoli nazionali e le loro rispettive periferie regionali produce e mantiene il sottosviluppo in queste ultime. La visione concezionale dice che il sottosviluppo nella periferia provinciale deve essere attribuito all’inefficienza e all’improduttività economica generata e conservata nella provincia, alle istituzioni sociali e culturali resistenti al cambiamento, mentre i fattori politici ammettono di non avere alcun appoggio da parte dei proprietari terrieri, che detengono un potere politico “feudale”. Se non fosse per questi fattori, e per il fatto che l’apparato amministrativo privato e pubblico della metropoli nazionale è relativamente troppo sottosviluppato per permettere una sufficiente diffusione dalla metropoli alla periferia, quest’ultima si svilupperebbe velocemente. Ma la visione convenzionale non solo esclude il colonialismo economico interno già citato, ma anche il fatto elementare che l’effettivo potere-politico nei paesi sottosviluppati non è esteso alla periferia, ma è concentrato al centro, dove è diviso dalla borghesia locale e dalla metropoli capitalista mondiale e dai suoi rappresentanti locali. Non è l’inadeguatezza della loro capacità amministrativa, ma è l’inadeguatezza degli interessi generati dal capitalismo allo sviluppo della periferia, che ordinariamente causa, mantiene e promuove il sottosviluppo nella periferia. È vero, anche nella periferia ci sono forze che hanno interesse a mantenerla sottosviluppata, e gli interessi ed il potere metropolitano mantengono una effettiva alleanza con loro.

Ma questa alleanza esiste – e persiste – essenzialmente perché, e finché, rappresenta l’interesse delle forze metropolitane preponderanti. Sono i “nazionali” e gli stranieri, soprattutto, e non la massa del popolo della periferia, ad essere responsabili del sottosviluppo.

Questa è una questione su cui ritorneremo.

L’esistenza del colonialismo sia nazionale interno che internazionale pone l’importante problema del loro rapporto. Guardando i paesi sottosviluppati odierni, bisogna primariamente osservare che il più delle volte è stato il colonialismo internazionale a determinare che cosa è “nazionale”, cioè che cosa e chi includono ed escludono le frontiere degli stati nazionali del mondo sottosviluppato. Sebbene molte di queste determinazioni siano state fatte in passato, e spero su basi che non potrebbero essere rilevanti oggi, non è insolito per i paesi sottosviluppati e per i loro confini essere rimaneggiati se oggi questo è nell’interesse della metropoli.

La creazione della Malesia, destinata primariamente a servire gli interessi della metropoli inglese e americana, e secondariamente quelli dei gruppi borghesi dell’area che costituisce la loro clientela, è un caso particolarmente evidente di ciò.

Ciò è particolarmente e direttamente rivolto contro movimenti popolari, progressisti e libertari della regione, che potrebbero danneggiare questi interessi della metropoli e della borghesia “nazionale” locale. Altre volte, non è l’unione ad essere utile, ma piuttosto la separazione, come successe tra Senegal e Mali, per richiesta della Francia. Oppure i confini sono cambiati o minacciati su istigazione della metropoli come nelle guerre paraguayane dello scorso e di questo secolo, e in molte altre. Oppure semplicemente si scava un nuovo stato nel territorio di uno o più stati o popoli, come quando la metropoli imperialista creò Israele e lo pose, per così dire, sotto la protezione delle Nazioni Unite. Oppure parti di stati sono occupate da un potere metropolitano e trasformate letteralmente in fantocci, come la Corea, Formosa e il Viet-Nam. Inoltre gli stati multinazionali e subnazionali, “balcanizzati” ed “africanizzati” ereditati dalla metropoli colonialista, quasi sempre con inadeguate risorse di cui avvantaggiarsi, stanno contribuendo al sottosviluppo – raramente allo sviluppo – per tutta l’Asia, l’Africa e l’America Latina. Naturalmente queste macchinazioni colonialiste metropolitane furono spesso e sono tuttora portate avanti con l’appoggio del gruppo “nazionale” locale che ne riceve una parte come ricompensa per l’accordo. Ma questo genere di accordo attraverso la corruzione o la piena ricompensa, lungi dall’essere favorevoli allo sviluppo di questi paesi, rende solo la struttura del loro sottosviluppo ancor più certa.

Sono allora le relazioni vincolate e sovraimposte del colonialismo internazionale, nazionale (interno), provinciale, settoriale, ecc. ad essere importantissime per capire lo sviluppo, ma soprattutto per capire il sottosviluppo. Potremmo ugualmente bene dire che è il capitalismo internazionale, nazionale, provinciale ecc. ad essere posto in discussione. Poiché è unico e medesimo.

Nel processo di sviluppo e di espansione mercantilistica e capitalista, la metropoli arrivò a stabilire i suoi avamposti commerciali in tutta la periferia. Questo processo o piuttosto i suoi risultati furono resi popolari con la tesi della “società dualistica” proposta da Boeke (1942, 1953) e da altri, secondo cui questi posti fanno parte dell’economia metropolitana sul suolo periferico. Dobbiamo ammettere che questa parte della tesi è sostanzialmente corretta, e non importa se si riferisce ad avamposti creati dalla metropoli dal nulla o se ha a che fare con parte dell’economia e della società periferica già esistente, incorporata attraverso l’espansione del capitalismo nel sistema capitalista mondiale. Ma questa tesi va oltre e sostiene che questi avamposti metropolitani sono socialmente, economicamente, politicamente isolati dal loro rispettivo entroterra periferico e che questi entroterra sono isolati ed indipendenti dagli avamposti, da qui il riferimento ad una società dualistica.

È questa parte della tesi a non essere sostenuta dall’evidenza. Invece, come la maggior parte della discussione precedente dimostra questi avamposti periferici della metropoli mondiale, sono già essi stessi centri metropolitani rispetto al loro entroterra periferico. Ma oltre ad avere con la propria periferia lo stesso rapporto essenziale che ha la metropoli capitalista mondiale con la sua periferia, questi centri metropolitani regionali, o nazionali, hanno in più la funzione di mediatori tra la metropoli mondiale e la periferia dimostra, questi avamposti periferici della metropoli mondiale, sono periferica. Ciò significa che il colonialismo, imperialismo internazionale è legato alla periferia nazionale attraverso la metropoli nazionale  come con una catena, e che l’imperialismo internazionale è sovraimposto ai vari colonialismi interni. Se possiamo e vogliamo identificare ancora un altro elemento di questa catena, è quello costituito dagli elementi di controllo provinciali sulla produzione e specialmente sul commercio, che sono collegati a costituire un altro anello della catena.

Ognuno, dalla metropoli capitalista mondiale alla periferia provinciale, è un vero cliente dell’altro che vende il prodotto del proprio sfruttamento colonialista di alcuni che stanno oltre lui, ad altri che sono nel centro rispetto a lui.

Nel processo, dovremmo aggiungere egli vende se stesso. È importante ricordare che per quanto arcaici, feudali o altrimenti strani, i legami periferici possono sembrare, essi sono anelli di una catena capitalista e tutti sono rinchiusi in ultima analisi nel sistema capitalista imperialista mondiale.

Qualunque possano essere state “inizialmente”, le loro funzioni economiche, sociali, politiche, culturali nella loro società “tradizionale”, la funzione determinante dei centri periferici mondiali, ma metropolitani rispetto alla nazione, dal momento del loro inserimento nel sistema capitalista mondiale, è diventata quella di mediare tra la metropoli e la periferia. È attraverso loro che la metropoli si estese fin nei più remoti angoli del globo. È a questo processo e a questa funzione che essi devono la loro prosperità e il loro sviluppo, se esiste; ed è a questo stesso processo ed alla loro funzione di cooperazione in esso con la metropoli, sia pure come partner minori, che il resto del mondo, che ammonta alla gran maggioranza della popolazione, deve il suo sottosviluppo. I sintomi “sviluppati” della struttura e del processo capitalista sono tutti troppo visibili come l’ultramoderna costruzione nel centro degli affari dell’isola di Lagos, e le super strade a forma di trifoglio a Caracas e le metropoli ad aria condizionata del Medio Oriente, mentre i popoli della Nigeria, del Venezuela e gli arabi sono sempre meno in grado di tirarsi fuori dal sottosviluppo senza rompere con la struttura che lo produce. Si potrebbe obiettare che ci sono eccezioni o correzioni, a questo quadro; che gli edifici nel Lagos sono costruiti da compagnie straniere; che l’industria brasiliana del caffè era finanziata nazionalmente; che l’industria brasiliana e messicana lavorano per il mercato nazionale; ma ciò non cambia in modo significativo l’essenziale; lo aggrava solamente. Le risorse con cui le ditte straniere costruiscono in Nigeria provengono in ultima analisi dai nigeriani, altrimenti le ditte straniere non avrebbero nessun interesse a investire là. Il fatto che l’espansione del caffè brasiliano sia stata finanziata dai brasiliani, ma abbia finito per essere controllata e per fruttare i più grandi benefici alla metropoli capitalista mondiale, è solo un’ulteriore prova e motivo della cooperazione delle metropoli nazionali, per quanto fossero ancora costrette, a causa della metropoli mondiale, nel sottosviluppo del loro stessp paese. L’industria “nazionale” e lo sfruttamento agricolo e commerciale, nazionale ed “autonomo” della propria periferia da parte della metropoli interna, potrebbe sembrare una eccezione a questo rapporto a catena tra colonialismo internazionale ed interno. Ma, come ho detto prima l’industria “nazionale” di fatto non è indipendente e, come dirò poi le “borghesie nazionali” anch’esse non sono né indipendenti né autonome. Questa è la differenza tra colonialismo nazionale o interno e colonialismo o imperialismo mondiale o internazionale. L’uno è a sua volta colonizzato dall’altro e l’altro non lo è.

[1] carpetbagger indica nello slang statunitense l’uomo d’affari del nord che dopo la guerra civile venne al sud per far soldi approfittando delle sue condizioni disperate. Ndt







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