L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Intervista alla Famiglia Zitara sul separatismo

di Mino Errico

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3 Marzo 2013

L’idea di intervistare la Famiglia Zitara ci è venuta leggendo un post su facebook di Grazia, una delle figlie di Nicola. Il post, reperibile nel gruppo ideato da Angelo D’Ambra “Giornate di studio su Nicola Zitara”, recita: “Sì, ricordo bene la 'vicenda Lombardo'. Successivamente papà cambiò idea, non visse molto perché abbia avuto clamore. Comunque Lombardo all'epoca si presentava come una novità, una possibilità (finita nel vuoto) che non vedo nell'attuale panorama politico italiano. ”

Ricordiamo che l'iniziativa di rivolgersi a Lombardo con una lettera, che poi mi chiese di rendere pubblica, fece stracciare le vesti a chi oggi si presenta portatore di alleanze con forze nazionali con le quali Nicola non si sarebbe mai alleato. Come chi vi scrive anche lui si era illuso che l'MPA fosse la pietra che avrebbe agitato le acque stagnanti della condizione meridionale, terra sottomessa da 150 anni agli interessi toscopadani.

Rivolgiamo ad Antonia, moglie di Nicola, e alle sue figlie Lidia e Grazia tre semplici domande. La prima è questa:

Potreste spiegare, ai Lettori di e ai naviganti che capitano sul sito che la ospita, Nicola cosa si proponeva con quella lettera a Lombardo e perché in seguito cambiò idea? Chi comincia?

GRAZIA – Il repentino successo avuto dal Movimento per le Autonomie, colpì molto mio padre e lo portò a pensare che in Sicilia la spinta verso l’indipendenza avesse raggiunto un forza esplosiva, tale da non poter essere più ignorata dalla politica italiana. Lombardo si era posto come elemento coagulante e portavoce di queste istanze che per la loro portata apparivano come un fenomeno unico nel panorama politico di quel periodo. Il fermento che aveva scosso la Sicilia si era trasmesso anche all’opinione pubblica del Sud continentale e papà sperava in un generale risveglio delle coscienze meridionali finalizzato alla tanto agognata indipendenza del Sud. In quel momento sembrava che tutto questo potesse avvenire muovendosi sulla scia delle rivendicazioni autonomiste siciliane. In quest’ottica era imprescindibile avere l’MPA come interlocutore.

La “famigerata” lettera del 4 agosto 2009 fu un tentativo che papà fece per attuare un dialogo con Lombardo. Sentendosi forte del prestigio di Grande Vecchio del meridionalismo, voleva attrarre il leader, e soprattutto la base, dell’MPA verso la propria posizione separatista.

Si può dire che tendesse una mano a Lombardo, ma per attirarlo verso di sé e non il contrario, come alcuni suoi sedicenti discepoli trovarono comodo pensare non conoscendo bene il personaggio Nicola Zitara. A comprova di quanto detto cito una breve frase di quella lettera: […] Se Lei ha in mente di aderire ad un'idea (o forse meglio ha una preoccupazione) simile alla mia potremo stabilire un contatto epistolare […].

Un significativo “contatto” tra i due non avvenne mai, probabilmente perché Lombardo aveva compreso da subito l’intenzione di papà (come altri che si vantavano di chiamarlo “maestro” non fecero).

Il prolungato silenzio di Lombardo fu altresì una lampante dichiarazione di disinteresse nei confronti di mio padre e del suo pensiero. Così, più che “cambiare idea” (devo correggermi), papà comprese il reale disegno politico (tutto italiano) del leader MPA e naturalmente perse la speranza che il Movimento per le Autonomie divenisse il fulcro di un reale cambiamento per il Sud. Intanto la malattia lo divorava e forse non ebbe la forza e il tempo di scrivere in proposito.

Come visse Nicola le critiche che piovvero da taluni “meridionalisti” che si scandalizzarono di questa sua iniziativa? Chi risponde?

LIDIA – Una sola lettera lo colpì e a quella mi pregò di dare immediata risposta. Per il resto non se ne occupò, considerandole meri sfoghi – umanamente comprensibilissimi – politicamente insignificanti. Papà aveva perfettamente compreso che il “metterci la faccia” sarebbe potuto essere un rischio e lo corse. Forse su di lui gravava troppo la posizione politica all’epoca emarginata e stigmatizzata, di sicuro sentiva che non gli rimaneva molto e giocò il tutto per tutto. Mi disse una volta: “Chi non ha coraggio non vada alla guerra”.

Dal vostro osservatorio, inteso in senso geografico e anche in senso affettivo di moglie e figlie del teorico del separatismo meridionale, cosa vedete all'orizzonte per quelle che una volta erano chiamate le Provincie Napolitane? Capisco che è una domanda impegnativa...

ANTONIA – Il risultato delle recenti elezioni è stato completamente italiano. L’IMU ed Equitalia hanno unificato l’Italia più di Garibaldi. D’altronde sembra che per la maggior parte di noi essere giunti ad una rivisitazione storica del Risorgimento sia un punto di arrivo e non di partenza per risollevarsi, liberandoci dell’Italia. Siamo diventati monotoni, polverosi e puzziamo ormai di naftalina. Nessuno riesce a proporre qualcosa che vada oltre le eterne conferenze e convegni a cui partecipano sempre le stesse persone. Rimaniamo impantanati nella celebrazione del passato dimentichi di un presente drammatico e disperato. Non ci poniamo all’attenzione dei giovani, anzi quasi li ignoriamo, forse perché nel profondo siamo ancora legati all’Italia, che continua a maltrattarci e ad aborrirci. Siamo anche noi, come la sinistra di Bersani, “forse morti come quelli di Lost”. Dal mio osservatorio sento solo lamenti e percepisco un’indifferenza glaciale a livello politico, umano e morale.

LIDIA – Il nostro osservatorio è molto decentrato e siamo tagliate fuori da ogni dinamica politica. Quello che io personalmente vedo è una totale mancanza di conoscenza dei fatti dell’unificazione d’Italia e di come si svolsero. Vedo persone che anche alla luce di questi fatti non ci credono, o li credono invenzioni create ad hoc per sobillare una fetta di popolazione scontenta. Altri ancora chiudono l’argomento scuotendo la testa e dicendo “Mi pari ca ‘sti Borboni ti dezzeru a’ testa”, ignorando il fatto che una restaurazione monarchica è solo un’ipotesi nel separatismo di matrice zitariana.

Vedo molti giovani, convinti che l’Europa sia la grande madre a cui appellarci per ogni dubbio e per ogni malessere politico o finanziario, senza capire che col suo giogo ci tiene la testa sott’acqua. Capisco queste istanze: si desidera vedere il mondo, non solo l’Europa, unito, compatto, indirizzato verso una comune ricerca di miglioramento. Ma solo quando le differenze tra popoli sono accettate, c’è una reale unità.

La mia previsione è nettamente pessimistica: così come sono le cose non si arriverà ad una separazione del Sud se non per cause violente ed esterne. E non sarà subito.

Il lavoro che si deve fare è tutto nelle scuole: i professori universitari, invece di “aver paura di esporsi” devono essere i veri promotori di un “raddrizzamento” della coscienza storica, in seguito i professori dei licei e delle medie. Ai nostri ragazzi va insegnata la storia così come si è svolta.

Per chi ha quarant’anni e oltre è forse troppo tardi.

Ricordo quando parlavo con mio padre di queste cose, e io, sopraffatta dall’incredulità, chiedevo: “Ma, papà, e una come me, che dovrebbe fare?”.

La sua risposta la ricordo sempre: “Vai al supermercato e rovescia per terra tutte le confezioni di pasta Barilla”.








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