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Due Sicilie
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La via meridiana che dissolverebbe la Lega Nord

di Nicola Salerno


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11 Novembre 2011

Penso che ogni paese sviluppato anelerebbe ad avere sovranità sul meridione d’Italia. Se non altro per la sua imparagonabile posizione geografica, di ponte tra i paesi del mediterraneo in via di democratizzazione e di sviluppo e il mondo occidentale.

Fa eccezione solo La Lega Nord che ha fatto dell’anti-meridionalismo la sua stessa ragione di esistere. E così, facendo del pregiudizio e dei discutibili stereotipi anti-meridionali la sua stessa linfa, è costretta a non riconoscere nello sviluppo del Sud le grandi opportunità economiche che si aprirebbero anche per la cosiddetta Padania grazie al rapporto privilegiato che le industrie del nord avrebbero rispetto alla concorrenza internazionale.

Sta qui a mio modesto avviso l’empasse politico che negli ultimi venti anni ha precluso ogni possibilità di sviluppo delle regioni meridionali. Per carità niente di nuovo. Solo il ripetersi della solita litania: il sud Borbone, il sud brigante, il sud malavitoso, il sud parassita, etc.. Insomma la moderna via leghista con la quale si perpetua lo status di colonia al quale è stato relegato il Sud dall’ unità ad oggi.

In tutta onestà, da meridionale, mi chiedo, dopo aver appoggiato per anni un governo appeso al chiodo (anti meridionale) leghista, con i risultati fallimentari per il Sud che sono sotto gli occhi di tutti, come si possa nutrire speranza da certi esponenti politici. Se è vero che l’abito non fa il monaco, è assai improbabile che il solo indossare la veste (pseudo) meridionalista possa fornire al Grande Sud quello slancio e quelle capacità che per lustri non si sono palesate. E il dubbio che gli interessi non siano proprio quelli dei meridionali sembra essere legittimo considerando che mantengono, anzi mantenevano in vita un governo asfittico a trazione leghista. Come si può dare credito ad una tale azione politica visto che per la lega lo sviluppo del Sud significherebbe l’estinzione, l’eutanasia politica? E infatti basta il solo anelito di una politica nuova (e si spera efficace) per Napoli ad intensificare i continui, ingiustificati e rozzi attacchi di Tele/Radio Padania al neo sindaco della città partenopea. Invettive spesso prive di ogni fondamento e che sono solo il tentativo squallido di procacciarsi ossigeno che a quanto pare, stando ai sondaggi più recenti, sembra iniziare a scarseggiare.

Meraviglia come gli industriali e imprenditori del nord (non la finanza che ha ben altre mire) non si rendano conto di come lo spirito di autoconservazione della Lega Nord e purtroppo la diffusione del leghismo in genere (PD e PDL non ne sono immuni) sia, non la sola ovviamente, ma una delle principali cause interne della recessione verso la quale si stanno avviando.

Ed è veramente strano che non si rendano conto del fatto che gli stanziamenti a sostegno delle politiche di sviluppo per il Sud, se attuate con rettitudine (e qui sarebbe chiamata in causa anche una nuova e rinnovata classe dirigente meridionale), potrebbero essere, non delle mere spese e/o costi morti, ma al contrario buoni investimenti anche per il loro apparato industriale. Se lo facessero ne conseguirebbe un quadro politico completamente diverso. Si avrebbe una convergenza di obiettivi vincente da contrapporre alla municipalistica e perdente dualità (nord-sud) di interessi attualmente imposta dalla Lega di Bossi.

Ma una tale visione richiederebbe un atteggiamento di apertura, coraggio e intraprendenza che sembra proprio non albergare dalle parti della cosiddetta Padania. Dove invece sembra prevalere l’opposto: chiusura, remissione, municipalismo endemico. In una sola parola, paura.

I Borbone, già nel 1817, avevano concepito una legge sull’immigrazione volta a favorire le eccellenze anche non indigene: chi poteva dimostrare di possedere risorse e/o buone idee volte al miglioramento della qualità della vita del Regno, poteva richiederne la cittadinanza. Con più di due secoli di anticipo, un po’ come è avvenuto e continua ad avvenire negli USA (e in generale in tutto il mondo) dove le università e i centri di ricerca sono sempre alla caccia delle menti migliori, indipendentemente dalla nazionalità. Anche questo atteggiamento di apertura è stato alla base dei primati raggiunti dal Regno delle Due Sicilie e per venire ai tempi nostri, alla base della supremazia tecnologica raggiunta dagli Stati Uniti, almeno fino ad oggi. Vi risulta che gli americani (nel bene e nel male) per questo si siano allontanati dalla loro propria autodeterminazione?

Esattamente all’opposto del federalismo folcloristico di Calderoli (l’ennesima porcata anti-meridionale) che sostiene che bisogna privilegiare nelle graduatorie i residenti magari anche a prescindere dal merito. A sostegno di tale discutibile posizione pone anche un assai dubbio interesse municipale affermando che le risorse prodotte dal territorio devono essere riservate in primis ai residenti di quel territorio. Costituzione italiana a parte, viene da chiedersi: ma destinare le risorse al merito non onorerebbe di più il lavoro di chi ha prodotto quelle risorse? In altri termini. se l’insegnante (indipendentemente dalla provenienza) è obiettivamente più bravo del collega residente, si fa un favore o un torto al futuro dei figli (anche) padani? E in ogni caso, il problema di trovare meccanismi selettivi che diano maggior peso al merito vi sembra si possa risolvere innalzando medievali muraglie padane?

E noi meridionali, cosa possiamo (ancora) offrire al nostro presente e al futuro dei nostri figli? Come fare tesoro del nostro straordinario recente passato, delle nostre illuminate tradizioni e dei nostri costumi? Non rincorrendo nostalgiche e velleitarie ri-proposizioni di un mondo che fu. Ma nel senso di raccogliere la sfida dell’attualizzazione dello spirito, del metodo, dell’apertura (senza sottomissione) verso il mondo, e in genere della concezione della vita che ha portato i nostri avi, in poco più di un secolo prima del 1860, a brillare tra le civiltà più avanzate della terra.

Mi viene in mente il motto vichiano, verum ipsum factum. Ovvero, come sosteneva Vico alla fine del ‘700, si può veramente conoscere solo ciò di cui si è facitori. E noi meridionali abbiamo smarrito la nostra via perché non conosciamo la nostra storia. E non la conosciamo perché i facitori di quella storia non siamo stati noi e tutt’ora non lo siamo. Da 150 anni ci fanno danzare una danza che non è la nostra danza con una musica che non è la nostra musica. E così ci hanno reso goffi, sgraziati e privi di orgoglio.

Ecco allora l’urgenza di ri-fare nostro il motto vichiano e ri-cominciare a danzare la nostra danza al ritmo della nostra vera musica. Perché solo così (forse) riusciremo a contrapporre una più coraggiosa e aperta via meridiana alla vile, municipale e fallimentare via leghista…

Nicola Salerno








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