L'unità d'Italia è una beffa, che comincia con una bugia.
Due Sicilie
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Il marxismo e la questione meridionale (I) di Demetrio de Stefano - La Procellaria n. 1, 1959

Il leninismo e la questione meridionale (II) di Demetrio de Stefano - La Procellaria n. 2, 1959


IL LENINISMO E LA QUESTIONE MERIDIONALE (II)

di Demetrio De Stefano


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È definizione generalmente accettata dai comunisti che il leninismo è il marxismo nelle condizioni del capitalismo, del quale costituisce, anzi l’ulteriore sviluppo (29). Dinanzi alle conseguenze gravi che son derivate al Mezzogiorno della sua annessione al Piemonte, ed ai giudizi espressi da Marx e da Engels sui protagonisti e sugli avvenimenti del 186061 i primi strumento della monarchia piemontese, i secondi provocati da essa (30) quale linea politica imponeva il marxismo leninismo al Partito Comunista Italiano per la soluzione della questione meridionale? Poiché è evidente che la causa dell’interrotto sviluppo dell'Italia meridionale è derivata dall'unità, dopo cui il Mezzogiorno ha presentato le più importanti caratteristiche di una questione nazionale aperta 1) per la divisione reale che esiste tra Nord e Sud, principalmente sotto l'aspetto economico (31); 2) perché tanto Napoli quanto la Sicilia non desideravano l'annessione al Piemonte, ma questa venne loro imposta; 3) per l’innegabile fallimento del principio unitario, come dimostra la stessa concessione di uno Statuto speciale alla Sicilia (32): 4) perché l'Italia meridionale era costituita in Stato indipendente da circa 8 secoli (33) ed era separata dalle regioni settentrionali ad incominciare dalla fine del VI secolo; 5) per il perpetuarsi dei contrasti tra Nord e Sud, tra gli ultimi la polemica «antisudista» svolta principalmente a Genova e a Torino dove il Movimento Autonomista Regionale Piemontese ha chiesto di aggravare la legge fascista sull'urbanesimo (34): 6) perché i poteri dello Stato si inframettono anche nell'attività delle Regioni a Statuto speciale (35); ecc.; per queste ed altre ragioni storiche, economiche e politiche, la concezione leninista della questione nazionale fa obbligo al proletariato della nazione che opprime, cioè delle regioni settentrionali, di riconoscere alla nazione oppressa, vale a dire al Mezzogiorno e alle Isole, il diritto di autodecisione; e ciò anche perché «la paura del separatismo in Italia è vecchia quanto l'unificazione nazionale» (36).

Che nel Mezzogiorno si ponga una questione nazionale insoluta è fuori dubbio. Di tutte le caratteristiche proprie della nazione, analizzate da Stalin nella sua opera «Il Marxismo e la Questione Nazionale», quali la comunità di lingua, di territorio, di vita economica e di struttura psichica, una sola veramente esiste in Italia, quella della comunità di lingua (37). Essa, d'altra parte, non contraddistingue sempre la nazione, poiché la Danimarca e la Norvegia, pur avendo una lingua comune, modificata soltanto dalle particolarità locali, vivono come Stati separati; lo stesso è del Belgio, dove lingue ufficiali sono il francese e il fiammingo, ciononostante lo Stato belga è separato tanto dalla Francia quanto dall'Olanda: ecc...A sua volta il territorio italiano, avente più caratteristiche di contiguità che di comunità, si distingue per condizioni naturali diverse; la stessa forma della penisola, protesa da Sud del 37° parallelo a Nord del 47°, da Ovest del 7° meridiano ad Est del 18°, impedisce che si stabiliscano normali rapporti economici tra Nord e Sud, il primo più prossimo ai paesi dell'Europa centrale, con i quali esercita reciproche influenze, il secondo più affine ai paesi del Mediterraneo orientale, con i quali mantenne in passato rapporti economici, politici e culturali positivi. Ma dove la divisione si manifesta nettamente, inconciliabilmente tra le varie zone d'Italia è nel campo economico, in cui il Mezzogiorno presenta «punte bassissime di livello quasi africano», prodotte da una struttura economica in tutto simile a quella dei paesi arretrati, mentre le regioni settentrionali si adeguano «ai più moderni sistemi di concentrazione della potenza economica» (38): pertanto «i marxisti non possono perdere d' occhio i potenti fattori economici che producono la tendenza alla formazione di Stati nazionali» (39), ossia «il desiderio di mantenere la separazione» (40) statale o di ripristinarla. In quanto alla struttura psichica, che si esprime nella comunità della cultura, Benedetto Croce ha affermato che «se nella storia d'Italia Firenze rappresentò l' arte e la poesia, Napoli rappresentò invece il pensiero e la filosofia» (41). Discende da tutto ciò la necessità che le regioni meridionali si organizzino secondo le loro particolarità nazionali e i loro interessi.

Uno splendido esempio di applicazione del diritto di autodecisione venne dato dall'Unione Sovietica nel 1917, allorché riconobbe alla Finlandia il diritto di separarsi (42); quasi identica soluzione ebbe la questione della Polonia, la cui indipendenza fu proclamata dal governo russo succeduto alla detronizzazione dello zar nel 1917; un altro brillante esempio abbiamo nella separazione della Norvegia dalla Svezia, avvenuta nel l'agosto del 1905 (43); più recente, infine, è la separazione definitiva dell'Irlanda del Sud dalla Gran Bretagna, che si è avuta 1936 dopo grandi lotte. Una presa di posizione molto significativa sulla questione nazionale troviamo nella Costituzione jugoslava del 31 dicembre 1946, in cui all'articolo I è detto che la R. F. P. J. è «una comunità di popoli uguali nei diritti, i quali, in virtù del diritto dei popoli di disporre di loro stessi, ivi compreso il diritto di secessione, hanno espresso la loro volontà di vivere assieme in uno Stato federativo» (44); in Jugoslavia, infatti, accanto alla Serbia avanzata, si trovano la Bosnia-Erzegovina, la Macedonia e il Montenegro arretrati (45). Similmente, la Costituzione cecoslovacca del 9 giugno 1948, all'articolo 8 afferma l'esistenza di due nazioni sorelle, la ceca e la slovacca, e dichiara che nella Slovacchia, nazione arretrata che si contrappone alla Boemia e alla Moravia avanzate, «i poteri dello Stato e il loro esercizio sono affidati agli organi nazionali slovacchi, che rappresentano il carattere proprio della nazione slovacca» (46). Su basi federali è anche organizzata la Repubblica Democratica Germanica, la cui Costituzione del 7 ottobre 1949, all'articolo I stabilisce che «la Repubblica decide su tutte le questioni essenziali per l'esistenza e lo sviluppo del popolo tedesco nel suo complesso; tutte le altre questioni sono sottoposte alla decisione indipendente dei «Lander»» (47), i quali hanno una propria Costituzione e una Dieta che li rappresenta.

Spiegando il pensiero di Marx sulla questione nazionale, è significativo il fatto che Lenin abbia citato due brani del «Carteggio» che sono di critica a Mazzini e a Garibaldi (48): a proposito del primo Marx dichiarò che «si sarà costretti a lottare contro il nazionalismo di Mazzini» il quale, al pari di Cavour, aveva voluto l'annessione immediata e incondizionata (49); in quanto al secondo, Marx definì utile e spiegabile come polemica contro lo sciovinismo, la tattica dei proudhouniani di aggredire Garibaldi, da loro accomunato a Bismark. Queste citazioni ci convincono che Lenin, come già Marx, dissentiva dal modo come era stata attuata l'unità d'Italia e per gli effetti che aveva avuto sul Mezzogiorno. Altre citazioni fece Lenin del modo come Marx concepiva la questione nazionale: a proposito dell'Irlanda, a cui molti scrittori paragonano l'Italia meridionale, Marx sostenne la necessità dell'autonomia e dell'indipendenza dall'Inghilterra; per il movimento nazionale polacco del 186374 Marx manifestò la più profonda e ardente simpatia; Marx apprezzò inoltre il movimento di indipendenza ceco, ed Engels la lotta dei contadini svizzeri contro l'Austria del 1281, dopo cui nacque la Confederazione Svizzera. A sua volta Lenin sostenne il diritto di autodecisione della Polonia contro Rosa Luxemburg e i suoi seguaci; si dichiarò contro l'oppressione del nazionalismo russo sulle nazioni periferiche, quali i finlandesi, gli svedesi, i polacchi, gli ucraini, i rumeni, i lettoni, ecc.; manifestò la propria soddisfazione per il modo come la classe operaia svedese si comportò nei riguardi della separazione della Norvegia: poiché «quest'esempio prova di fatto l' obbligo per tutti gli operai coscienti di fare una propaganda e una preparazione sistematica perché i conflitti che la separazione di nazioni può far nascete si risolvano unicamente come lo furono nel 1905 tra la Norvegia e la Svezia, e non «alla russa»» (50), dato che «il rifiuto di difendere il diritto all'autodecisione equivale al peggiore opportunismo» (51).

Dopo la caduta del fascismo e la sconfitta militare, le quali hanno rivelato alcune tendenze costituzionali dello Stato unitario italiano, quali il separatismo e la crisi istituzionale, da più parti si era chiesta la federazione. In un suo libro del 1945, Augusto Monti scriveva: «Federalismo «Unità» di Gaetano Salvemini, «Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti, «Critica Politica» di Oliviero Zuccarini federalismo, il nostro cavallo di battaglia. » (52). Nel suo «Rapporto al V Congresso Nazionale del P. C. I. », il primo tenuto dopo la fine della guerra, Palmiro Togliatti e non lui soltanto (53) rispondeva a questa e ad altre voci: «Non siamo federalisti; siamo contro il federalismo; riteniamo che l'Italia deve essere politicamente organizzata come Stato unitario, con il necessario grado di centralizzazione. Questo non vuol dire che ignoriamo le regioni...Il nostro regionalismo però, e lo diciamo chiaramente, ha dei limiti.,. Un'Italia federalistica sarebbe un paese nel quale risorgerebbero e finirebbero per trionfare tutti gli egoismi e i particolarismi locali...Per questo siamo antifederalisti, convinti, nell'assumere questa posizione, di continuare le migliori tradizioni del movimento socialista italiano in quanto è stato sempre movimento unitario. » (54). Ponendosi contro un' Italia federalistica, in nome degli egoismi e dei particolarismi locali, Togliatti difendeva l'egoismo della borghesia settentrionale e il particolarismo e l'opportunismo storici del proletario del Nord. Egli non ignorava che così facendo indossava l'abito di un Kokosckin qualunque, quale ci venne descritto da Lenin allorché parlò della posizione dei liberali russi sulla questione dell'autodecisione politica delle nazioni: «Il signor Kokosckin ci assicura che il riconoscimento del diritto di separazione aumenta il pericolo di una disgregazione dello Stato. Questo è il punto di vista dello sbirro Mvmrezov colla sua divisa: trascinare e non lasciare andare. Dal punto di vista della democrazia in generale è proprio il contrario che è vero: il riconoscimento del diritto di separazione diminuisce il pericolo di una disgregazione dello Sfato. Il signor Kokosckin ragiona esattamente alla maniera dei nazionalisti» (55). Ma Togliatti non metteva nel cassetto soltanto Lenin, bensì anche Gramsci, cioè la relazione da questi tenuta al III Congresso nazionale del P. C. I.. Disse allora Gramsci: «I rapporti che intercorrono tra il capitalismo italiano e i contadini meridionali non consistono solamente nei normali rapporti storici tra città e campagna, quali sono stati creati dal capitalismo in tutti i paesi del mondo; nel quadro della società nazionale questi rapporti sono aggravati e radicalizzati dal fatto che economicamente e politicamente tutta la zona meridionale e delle isole funziona come un' immensa campagna di fronte all'Italia del Nord che funziona come un' immensa città. Una tale situazione determina nell'Italia meridionale il formarsi e la svilupparsi di determinati aspetti di una questione nazionale, se pure immediatamente essi non assumono una forma esplicita di tale questione nel suo complesso, ma solo una vivacissima lotta a carattere regionalistico e di profonde correnti verso il decentramento e le autonomie locali» (56). L'ammissione gramsciana dell’esistenza di una questione nazionale nel Mezzogiorno, anche se limitata solo ad alcuni aspetti che non furono da lui precisati imponeva l'obbligo a Togliatti ed alla classe operaia settentrionale non solo di non opporsi al federalismo, ma di sostenere il diritto all'autodecisione delle popolazioni meridionali, anche se fossero dovute prevalere le correnti separatiste espresse soprattutto da una parte della borghesia siciliana, ricordando l'ammonimento di Lenin che «in ogni nazionalismo borghese delle nazioni oppresse vi è un contenuto democratico generale diretto contro l'oppressione e questo contenuto noi lo sosteniamo in modo assoluto» (57); e che «in quanto la borghesia della nazione oppressa lotta contro quella della nazione che opprime, noi siamo sempre, in tutti i casi, più risolutamente di ogni altro, in favore di questa lotta, perché siamo i nemici più implacabili, più coerenti dell'oppressione» (58).

Data la normale formazione storica dell'Italia e le sue particolari condizioni economiche, che si esprimono nel diverso grado di sviluppo sopravvenuto tra Nord e Sud diversità che non può essere cancellata dallo Stato unitario, da cui è stata creata, Togliatti si sarebbe dovuto dichiarare contro il federalismo solo se questo non avesse sufficientemente esclusa l'egemonia politica, economica e culturale che esercitano le regioni settentrionali sull'Italia meridionale e sulle Isole. Per contro il P. C. I., allorché si trattò di discutere all'Assemblea Costituente il genere e la misura dell'autonomia da attribuire alle Regioni, assunse una posizione pressoché identica a quella delle correnti più conservatrici del liberalismo italiano (59), di gran lunga più arretrata rispetto a quella del P. R. I. (60). Uniformandosi ai principi del marxismo-leninismo, i costituenti comunisti avrebbero dovuto sostenere i diritti di tutte le regioni meridionali ad una particolare autonomia dovendo essere riparate degli stessi torti, in quanto uguale era la loro situazione storica concreta e anzitutto economica e denunciare come inconcludente l'autonomia prevista dalla Costituzione Repubblicana per le Regioni a Statuto ordinario. Ponendosi contro il federalismo, Togliatti ha espresso le preoccupazioni degli ambienti sciovinisti dell'Italia settentrionale; egli ha negato così il diritto all'autodecisione, dato che «il diritto di separazione cui è inevitabile ricorrere allorché l'oppressione nazionale non può essere diversamente rovesciata «presuppone appunto la soluzione del problema non per mezzo del parlamento centrale, ma soltanto per mezzo del Parlamento della regione che si vuol separare» (61). Egli ha creato cosi le condizioni per una divisione dei lavoratori italiani, in quanto «il minimo appoggio dato dal proletario di una qualsiasi nazione ai privilegi della sua borghesia nazionale susciterà inevitabilmente la sfiducia del proletariato dell'altra nazione, indebolirà la solidarietà internazionale di classe degli operai, li dividerà con un gran diletto della borghesia. Negare il diritto all'autodecisione o alla separazione, significa inevitabilmente, in pratica, sostenere i privilegi della nazione dominante» (62).

Per concludere. Poiché la questione meridionale ha le caratteristiche di una questione nazionale, il marxismo-leninismo fa obbligo alla classe operaia settentrionale di sostenere il diritto di autodecisione delle popolazioni meridionali, che si sentono oppresse e sfruttate. Ciò vuol dire che queste popolazioni possono organizzarsi secondo il loro desiderio (63), e cioè: sulla base dell'autonomia, in maniera da attribuire alle Regioni meridionali la legislazione assoluta su tutte le materie di interesse regionale; o trasformando lo Stato unitario italiano in uno Stato federale, vale a dire assicurando i    poteri statali e il loro esercizio agli organi nazionali del Mezzogiorno; oppure mediante la separazione statale, cioè formando uno Stato nazionale indipendente delle regioni meridionali e della Sicilia, anche se alla separazione dovesse seguire la riunificazione. ma su nuove Basi. «Le masse della popolazione scrisse giustamente Lenin, istruite dall'esperienza quotidiana, conoscono benissimo l'importanza dei legami geografici ed economici, i vantaggi di un gran mercato e di un grande Stato, e si decideranno a separarsi esclusivamente nel caso che l' oppressione nazionale e gli attriti nazionali rendessero la vita comune assolutamente insopportabile, frenassero i rapporti economici di ogni specie. E in tal caso gli interessi dello sviluppo capitalistico e della libertà della lotta di classe saranno precisamente dalla parte di coloro che si separano» (64). Se, invece, il P. C. I. volesse persistere nell'opportunismo e rifiutarsi di applicare i principi, allora al proletariato meridionale s' impone, nell'interesse dello sviluppo del Mezzogiorno, il compito di costituire un movimento politico autonomo e di sollecitare, contempo, la propria borghesia a fare altrettanto. Tentativi autonomistici non sono nuovi nel mezzogiorno: già nei primi anni di questo secolo il «partito socialista...in Sicilia subì precisamente una crisi autonomistica e una scissione, a capo della quale erano uomini come De Felice e altri» (65); nel 1903 De Viti De Marco affermi a Lecce che «o la questione meridionale sarà risoluta da un partito meridionale o nessuno dei vecchi partiti politici la risolverà mai» (66); ecc...Fuori delle vie nazionali la questione meridionale non può essere risolta; d' altra parte il riconoscimento del diritto di autodecisione coincide con gli interessi settentrionali: del proletariato, in quanto porta ad evitare divisioni che potrebbero determinare un protrarsi del dominio borghese in Italia; della borghesia, qualora questa non voglia rendere inevitabile una frattura che potrebbe richiamare su quelle regioni rinnovate brame di dominio da parte delle nazioni che lungamente l'oppressero. Chiediamo, pertanto, alla classe operaia settentrionale di riconoscere il diritto di autodecisione alle popolazioni meridionali.

Demetrio De Stefano


 NOTE: 29) Stalin, «Questioni del Leninismo», Edizioni Rinascita, pag. 1030) A. Gramsci, «La Questione Meridionale», Edizioni Rinascita, dove alla pagg. 43 e 46 afferma la dipendenza di Garibaldi da Cavour e dal re; 31) Sul distacco economico tra Nord e Sud abbiamo scritto nei numeri di novembre 1956 e luglio '57 di «La Procellaria» 32) Santi Correnti, «Storia di Sicilia», pagg. 1912- 07, Catania 1956; 33) B. Croce, «Storia del Regno di Napoli», Bari 1958; 34) Inchiesta de «Il Messaggero» su «I Meridionali in Alta Italia», del 1321 ottobre 1957; di ciò si sono occupati anche altri giornali 35) Intervista dell'on. Silvio Milazzo, presidente della Regione Siciliana, pubblicata l'11 novembre 1958 da «L'Unità»; 36) Guido Dorso, «L'Occasione Storica», pag. 17, Einaudi 37) A pag. 316 del II volume de «Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano», sotto lo scritto «La Questione Meridionale e la Riforma Tributaria», G. Fortunato affermò che la comunanza di lingua in Italia «non è di antica data», poiché «prima che il toscano prevalesse, gli abitanti di tutta la valle del Po tennero il provenzale e il francese come loro lingue letterarie», A pag. 43 de «L'Arma di Laureana di Borrello», G. B. Marzano scrisse che «il greco idioma nella Calabria è stato quasi continuamente e senza interruzioni parlato dai tempi della Magna Grecia sino al secolo XVI»; 38) «La Relazione di Pietro Nenni al XXXIII Congresso del P. S. I. », «Avanti! del 3 novembre 1958; vedere inoltre: Vittorio Marrama, «Saggio sullo Sviluppo Economico dei Paesi Arretrati», Einaudi 1958, pag. 372; A. Gramsci, «L'Ordine Nuovo», pag. 317, Einaudi 1954; 39) Lenin, «Sul Diritto delle Nazioni all'Autodecisione», in «Opere Scelte», vol. I, pag. 542, Mosca; 40) K. C. Wheare, «Del Governo Federale», pag. 69-95, Milano 1949; 41) B. Croce, cit., Introduzione, pag. 442) Sui precedenti di ciò vedere: Lenin, Opere», vol V, pagg. 282-86, Editori Riuniti 1958; 43) A. C. Drolsum, «La Norvegia Stato Sovrano», in «Costituzioni Esotiche, Biblioteca di Scienze Politiche e Amministrative», Torino 1912, pagg. 589928; 44) B. Mirkine Guetzèvich, «Jugoslavia», in «Costituzioni Europee», Milano 1955, pag. 445; 45) G. Chiaramonte, «Le Regioni Arretrate in Jugoslavia», in «Cronache Meridionali», dicembre 1956. C. Bobrowski, «Il Socialismo in Jugoslavia»,. Feltrinelli 46) B. M. Guetzèvich, «Cecoslovacchia», cit., pag. 225. Sulla Cecoslovacchia vedere: G. Mariano, «Lo Sviluppo delle Regioni Arretrate in Cecoslovacchia», in «Cronache Meridionali», luglio-agosto 1955 47) B. M. Guetzèvich, «Germania», cit., pag, 316 48) Lenin, «Sul Diritto...», cit., pag. 569: 49) G. Mazzini, «Dell'Unità Italiana», Edizione Nazionale degli Scritti, Imola 1907, voi. Ili, pagg. '261 e 302; questi scritti sono del 1833 e del '61; 50) Lenin, «Sul Diritto...», cit., pag. 562; 51) Idem, pag. 581. Vedere altresì: Lenin, «Risoluzione della Conferenza sulla Questione Nazionale», in «Opere Scelte», voi. II, pag. 42; Lenin, «Primo Abbozzo di Tesi sulla Questione Nazionale e Coloniale», in «L'Internazionale Comunista», Edizioni Rinascita, pagg. 231-37; 52) A. Monti, «La Realtà del Partito d'Azione», Torino, pag. 50; 53) R. Grieco, «Federalismo e Unità d'Italia», «La Regione nella Nuora Organizzazione Statale Italiana», rispettivamente in «Rinascita» di marzo e di luglio 1946; 54) P. Togliatti, «Rinnovare l'Italia», Società Editrice «L'Unità», Roma 1946, pagg. 54-60; 55) Lenin, «Sul Diritto...», cit., pag. 557; 56) «La Relazione di Antonio Gramsci sul III Congresso (Lione) del P. C. I. », in «Rinascita», ottobre 1956, pag. 523; 57) Lenin, «Sul Diritto...», cit., pag. 551; 58) Idem, pag. 550; 59) Vedere l'ordine del giorno presentato dagli onn. Grieco e Laconi all'Assemblea Costituente, in R. Grieco, «Introduzione alla Riforma Agraria», pag 86, Einaudi 1919 60) M. Monaco, «La Regione», pagg. 70-75; L. Sturzo, «La Regione nella Nazione», pagg. 26-28; O. Zuccarini «Un Impegno Costituzionale», pagg. 118-122; 61) Lenin, «Sul Diritto...», pag. 579; 62) Idem, pag. 560; 63) Stalin, «Il Marxismo e la Questione Nazionale», Mosca 1949, pag. 20; 64) Lenin, «Sul Diritto...», pag. 559; 65) R. Grieco, «Delle Autonomie Regionali e del Decentramento Amministrativo Democratico», in «Introduzione.. », cit., pag 89; 66) A. De Viti De Marco, «Un Trentennio di Lotte Politiche», Collezione Meridionale Editrice, pag. 9.


Ringraziamo Angelo D'Ambra per averci inviato questi due interessantissimi articoli di Demetrio De Stefano pubblicati nel 1959 sulla rivista calabrese La Procellaria.

Mino Errico – 5 Settembre 2012

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Il leninismo e la questione meridionale (II) di Demetrio de Stefano - La Procellaria 1959








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