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Il Garibaldino Nicola Santillo diventa brigante del re Francesco II

di Paolo Mesolella

giovedì 07 febbraio 2013


Nicola Santillo era un focoso brigante di Zuni, uno dei tre villaggi di Calvi, che organizzò la reazione nell'Agrocaleno, a fine marzo 1861, con una banda di trentacinque persone, perlopiù militari sbandati. Si era sparsa la voce del ritorno del re Francesco II nel Regno e lui con altri briganti si attivarono per assaltare la guardia nazionale. A Riardo, intanto, Alessandro Santagata Esposito si era assunto l'incarico di preparare la guerriglia e prometteva quattro carlini al giorno a chi lo seguiva. A lui si unì Nicola Santillo di Zuni che era diventato capo della controrivoluzione borbonica nel circondario di Pignataro.

Nicola Santillo nel 1860 aveva abbandonato moglie e figli per aggregarsi ai garibaldini della legione del Matese organizzata dal liberale Salvatore Pizzi ed aveva combattuto contro i borbonici in nome di Vittorio Emanuele, poi però, inspiegabilmente, passò nella reazione.

Probabilmente, spiega Angelo D'Ambra, in "Viva il re, abbasso la nazione"(2010), Nicola Santillo nel passare dai garibaldini al brigantaggio fu mosso dalla delusione verso le promesse fatte da Garibaldi ai contadini; promesse sbandierate ma mai mantenute. Nicola aveva lavorato nei campi e nella costruzione di strade ferrate facendo molti sacrifici, e probabilmente aveva capito che il nuovo ordine non era migliore del vecchio. Infatti al ritorno dell'impresa garibaldina, raccontò di "essere stato malvisto in paese", i caleni e le stesse autorità lo guardavano con diffidenza, pertanto la sua scelta potrebbe essere stata quella di riscattare la sua immagine davanti al popolo caleno rimasto ancora fedele ai Borboni.

L'8 aprile 1861, Nicola Santillo issò sulla montagna di Rocchetta una bandiera bianca, come quella napoletana e la fece sventolare per quattro giorni. In quello stesso punto, accorsero uomini da Zuni, Visciano, Petrulo, Rocchetta, Riardo e Pignataro per organizzarsi. Nicola Santillo, il capo, promise ai volontari addirittura 50 carlini al giorno e si pose sul capo una coppola dove aveva posto un cartone con scritto, a caratteri cubitali, "Viva Franceso II". Poi, quando tutto fu pronto, nella notte tra il 9 ed il 10 aprile, 35 uomini divisi in due manipoli, scarsamente armati, si mossero verso Riardo con l'intento di disarmare la Guardia Nazionale e sequestrarne le armi.

Lungo il cammino si aggregarono al gruppo di briganti, cinque soldati sbanndati: Alessandro di Nuzzo, Giuseppe Borrelli, Giulio e Francesco Marchesciano e Tommaso Bovienzo. Alle quattro di notte arrivarono a Riardo, presso il Posto di Guardia, ma nonostante gli spari, i briganti furono messi in fuga dalle armi dei soldati.

Al mattino numerosi testimoni fecero i nomi dei briganti che furono individuati ed arrestati "per cospirazione, perché volevano abbattere il nuovo governo nonché per l'attacco fatto contro la forza pubblica Guardia Nazionale mentre svolgeva un pubblico servizio, per un mancato omicidio a colpi di arma da fuoco nella persona del sergente Rocco Piscitelli di Riardo ed asportazione di armi vietate" (Archivio di Stato di Caserta, Fascio processi politici e di brigantaggio). Queste infatti furono le accuse per i 35 briganti arrestati, provenienti perlopiù da Riardo e da Calvi, ma anche da Pietravairano e Rocchetta di Pignataro.

Quindici briganti, in particolare, erano caleni: Don Nicola Santillo, Giovanni Cangano e Casto Sanniti di Zuni, Francesco Izzo, Bruno Verolla, Pietro Iana, Luigi e Giovanni Izzo, Salvatore e Silvestro Marrapese, Antonio Izzo di Petrulo, Michele Torrese e Pietro Prata di Visciano, Luigi D'Antico di Rocchetta e Lorenzo Bovino di Rocchetta di Pignataro.

Tutti e trentacinque erano accusati di organizzazione di banda armata, di disarmo di militari e di voler sostituire l'autorità costituita con Francesco II. A Nicola Santillo, insieme a Santagata Esposito e Costantino Di Nuccio, furono imputate le maggiori responsabilità. "Il Santillo, in particolare, era capo operaio nella Regia Ferrovia, e come riferisce Angelo D'Ambra, nella sua interessante ricerca, fu accusato di aver tentato più volte di arruolare uomini per il brigandaggio e vi era riuscito perché diceva ai suoi di poter contare sul denaro di Gaetano e Giuseppe Punzo e del figlio di D. Ambrogio Diana di Teano appaltatori della ferrovia per lo Stato Pontificio".

Iniziarono così le indagini sui cantieri della ferrovia, ma tutti negarono le accuse. La dichiarazione di D. Ambrogio Diana, in particolare, ci fornisce un interessante particolare sull'accoglienza riservata dai teanesi ai garibaldini e a Garibaldi. Scrive D'Ambra:"Diana ammise di essere fedelissimo a Vittorio Emanuele, tanto che quando i garibaldini entrarono a Teano, lui fu il solo che uscì di casa a festeggiare e a salutarli, mentre i cittadini erano rintanati nelle loro abitazioni. Addirittura Diana dichiarò di aver malmenato un tale Alessandro Greco che osò suonare le campane a stormo per sommuovere la popolazione contro le camicie rosse.

Le indagini si allargarono e 64 furono gli imputati di cui 38 condannati alla reclusione ed il restante rimesso alla libertà provvisoria. Santillo, consegnatosi il 10 novembre 1862, dovette passare il resto dei suoi anni nel carcere di Santa Maria Capua Vetere".








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