Fonte:
https://ffiumara.wordpress.com/
La mia Calabria è una terra
spaccata dal sole
dove i fichi stillano miele
e la melagrana si sgretola
in aperto sorriso.
La mia Calabria è una terra
dove nei campi di fieno
si canta ancora per dimenticare…
ma se al desco festivo
l’occhio si posa sulla sedia vuota
il pane dell’amore
si condisce di pena.
Dolore antico solca gli oceani!
Rinnovo di stagioni e di ricordi
per la sposa lontana che sfiorisce
mentre nella penombra della sera
si fa tela di ragno il tascapane
sospeso al vecchio chiodo dell’oblio;
e il pane duro
mangiato sotto l’albero,
saporoso di olive appassite,
reca il profumo della lontananza.
La mia Calabria è ogni terra straniera
dove raminga approda la mia gente.
(premio “Ferraù” 1986; 2° premio “Giugno Locrese” 1989)
Anch’io ho fatto la guerra,
ma non ho appreso il mestiere d’eroe:
io non ho ucciso.
Perdonami, Patria,
se non ho potuto donarti
la mia parte di morti,
se non ho potuto issare ai tuoi piedi
trofei di teste mozzate
in cima a pertiche d’odio,
come il guerriero antico.
Perdonami ancora se il petto
è vuoto di croci o medaglie
che narrano imprese feroci…
Io, doppiamente sconfitto,
a te ritorno povero di tutto
come un figliolo prodigo d’amore.
Quel che mi resta è il cuore d’una volta,
questo cuore atterrito che si scioglie
sul dolore che s’apre da ogni carne.
(da La rima e la raspa, 2006)
6 agosto 2012 § Lascia un commento
All’alba
anche le luci della stazione
sono stanche e pervase
da un pallore d’angoscia.
Pochi i viaggiatori in attesa
ancora assonnati ed assorti:
ogni discorso tornerebbe a noia.
Si verifica senza voci
l’assalto al treno,
e ognuno va a sedersi
nel posto più isolato,
in un cerchio di solitudine.
All’orizzonte una nuvola rossa
precede il sole,
ma i paesi dormono ancora
a ritroso delle stazioni,
mentre il treno sbuffa veloce.
Tra una fermata e l’altra
il pensiero dipana la scia
della casa lontana,
e riascolta la rossa eco
del gallo
che stride nella notte.
Nel cuore delle mamme
io vidi l’aste confitte
di mille bandiere,
e in cimiteri di guerra,
aperti a veglie di luna,
lessi la loro storia.
Anelanti a false leggende
si spezzano cuori di vent’anni,
mistero di candele spente
nel tempio violato dei miti.
Ora sono fantasmi i simulacri
nella penombra,
le favole hanno occhi di pietra,
stupore di morta magia.
Il vento smorza l’urlo delle madri
contro muraglie opache di cielo.
E il mare – riflusso perenne
che scava rovine sepolte –
rigetta a nude scogliere
radici di pietà morta.
E l’uomo ancora non trema,
e ruba terra alle spighe
per seminarla di croci.
Oh frode antica!
Di carne viva sono i petti umani
fatti bersaglio,
e il sole bacia nei simboli
la forza che uccide.
Nella goccia d’acqua piovana
intesi tutto il fragore
del mare in tempesta,
e l’immensità del sole
vidi riflessa
in una bolla di sapone.
Nella tenera gola
dell’usignolo accecato
il mistero ascoltai
d’infinite armonie,
e nel cuore d’un uomo
tutto il dolore
e tutte le gioie del mondo.
Il filo d’erba intanto cresceva
e non faceva rumore,
le stelle valicavano abissi
ed erano ferme.
E il nostro corpo
e la nostra anima
(immagini senza volto
che sono e non sono)
alla rincorsa d’un filo
che il vento disperde
nel vuoto degli abissi.
Eppure
noi
siamo…
Dubbiose tartarughe a piede lento
sul sentiero dello spazio
e del tempo,
che Achille veloce scavalca
segnando i punti fermi
della storia.
Fonte: https://ffiumara.wordpress.com/ Nasce a Serrata (Rc) il 15 giugno 1915 dove trascorre un’infanzia disagiata, come, del resto, quasi tutti gli adolescenti costretti a vivere nei centri rurali della Calabria. Terminate le elementari e non potendo trasferirsi in città per frequentare la scuola media, viene avviato al mestiere del sarto. La sua vocazione intelletuale, però, lo porta a continuare a studiare da solo, a volte anche per corrispondenza, approfittando dell’opportunità concessa, quando viene chiamato per il servizio militare, nel 1936, per conseguire la licenza media inferiore. Nel 1940, dopo essersi pagato, con enormi sacrifici, professori in privato, presso l’Istituto Gullì di Reggio Calabria, conseguirà il diploma magistrale e si dedicherà all’insegnamento, col vivo desiderio di proseguire gli studi universitari che, però, non potrà esaudire per il richiamo sotto le armi, dove vi rimarrà fino alla fine della guerra. Solo dopo il conseguimento del diploma magistrale inizierà a tirar fuori dal cassetto i suoi versi e a pubblicare. Il suo primo scritto (una poesia tratta dell’inedito Fiori di siepe) vede la luce nel 1941 sul periodico studentesco di Palermo L’Amico della gioventù. [...] Contrario ad ogni forma di esibizionismo, profondamente riservato, sostenitore della tutela della sfera privata, riceverà numerosi premi. Per la poesia: Pagine (1960), Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1969), Verso il Duemila (1970), Casalinuovo (Medaglia d’oro del Presidente del Senato, 1970), Poeti a Sorrento (1982), Torre di Calafuria (Livorno, 1987), Giugno Locrese (1989), Ferraù (Galati Mamertino, 1986 e 1989). Per la saggistica: Premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1974), Nepetia (1978), Delle Regioni (Pisa, 1980), Eugenio Frate (1992), Santillo (1998). Quale direttore de La Procellaria, la maggior parte dei suoi articoli è presente su questa rivista, anche se la sua produzione annovera collaborazioni con La Gazzetta del Sud, il Corriere di Reggio, il Gazzettino dello Jonio, l’Osservatore politico letterario, il Bollettino Domus Mazziniana, per citarne alcuni. Francesco Fiumara è stato pubblicista, poeta, scrittore, storico, editore, prolifico letterato che ha pubblicato, ancora nel 2006, ultranovantenne, alcuni versi satirici, presenti nel volumetto La rima e la raspa. Muore a Torino nel 2007 lasciando un patrimonio letterario di pregevole valore che gli permetterà di varcare con Serrata nella storia e Serracapra, un paese del Sud anche la soglia della Biblioteca del British Museum di Londra, nella quale queste opere sono custodite. |
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