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Inserito
il - 05 Luglio 2005 : 17:34:31
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L'opera somma di questo artista è "Humana
Fragilitas"
del 1657, oggi conservata a Cambridge (Fitzwilliams museum) .
Opportuno
farne una descrizione formale, considerato che non appartiene
all'"Olimpo" creato dai florentiocentrici -non pervenuta,
cioè , alla
conoscenza pubblica-.
Si tratta di un grande olio su tela;
rappresenta una donna seduta con un bimbo tra le braccia che viene
aiutato a scrivere su un cartiglio il proprio nome da uno scheletro
alato che sbuca dalla tenebra fitta del fondo.
La donna, a figura
intera, rappresenta la natura, madre dell'uomo personificato nel
bambino; l'uomo, dunque, sottoscrive il proprio contratto con la morte
fin dal momento della nascita.
Anche
le incisioni di questo artista sono testimonianza di una ricerca che
precorre i tempi.I suoi soggetti, più avanti, saranno
ripresi da una
delle personalità più eminenti dello spirito
romantico italiano, ovvero, Giovanni Battista Piranesi, il quale
riprenderà certamente i soggetti di
mura antiche, presenti nelle collezioni romane, sia pure con interesse
prettamente architettonico.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 06 Luglio 2005 : 16:15:31
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Con la progressiva laicizzazione degli stati (la
perdita dell'ingerenza
politica, sugli stati, della chiesa) nel '700 la committenza
è
prevalentemente pubblica.
In questo contesto si concentra la realizzazione delle
grandi opere a carattere sociale.
A Napoli la più rilevante fu senz'altro
"L'Albergo de'Poveri" di Ferdinando Fuga.
Va
detto, innanzitutto, che dietro l'intento di un monarca illuminato come
Carlo III, di costruire una struttura che assolve la funzione di dare
rifugio ai poveri senza dimora della città , c'è
la permeazione di quella
grande rivoluzione di pensiero che è
l'illuminismo.Illuminismo... luce
cercata nella tenebra nel '600, tenebra che nel contesto napoletano
ebbe, come detto, organicità di ricerca e metodo.
Ecco quindi Napoli luogo ancora promotore di ricerca,
partecipe di questa evoluzione, non immobile beneficiaria.
Luogo, inoltre, in cui si elabora una teoretica propria,
attraverso il più volte
mensionato GianBattista Vico e con Giannone, che tracciò una
"Storia
Civile del Regno di Napoli" , seguito nel genere dal Montesquieu, dal
Ghibbon e da Muratori.
Napoli, si diceva, vicina alle teorie di
Voltaire, esprime un programma architettonico-artistico di
avanguardia, attraverso una visione politica sì legata ad un
approccio
ancora deistico del mondo, ma con illuminata fede nel progresso,
espressa in dispotismo colto e illuminato.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 06 Luglio 2005 : 17:09:06
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Carlo III è attento, da uomo colto,
all'evoluzione del pensiero, lo
conferma il grande impulso che ne ricevono le scule "professionali",
che altrove pure esistono ma sono di valore nettamente inferiore, sia
per numero che per importanza.
Nel contesto cittadino c'è la
presenza di quattro conservatori -lo stesso termine "Conservatorio"
è
di conio napoletano-gestiti da ordini religiosi, ma abbondantemente
finaziati dallo stato.
Essi formano all'arte della musica e sono aperti ai
giovani senza possibilità economiche.
La
formazione dei conservatori napoletani è di così
alto livello, che darà
luogo ad una corrente artistica di orientamento per l'Europa intera.
Il
genere "napoletano", chiamato "Opera Buffa", diede luogo ad una grande
riforma dell'estetica musicale che sconvolose i parametri del gusto di
un'intera epoca.
Il primo stato che accolse questo nuovo genere fu
la Francia - in Francia sorse addirittura una querelle, tra i
classicisti e i sostenitori del nuovo genere-.
Va tenuto presente il
fatto che l'Opera buffa trovò sostenitori locali che si
opposero allo
stesso teatro francese, poichè riconobbero nel genere
napoletano una
aderenza alle esigenze del tempo.
Autori come Pergolesi, Cimarosa, Paisiello furono
musicisti in voga e "dettarono legge" per oltre mezzo
secolo, cioè , fino all'avvento di Rossini (che pure venne a
Napoli per
avere la consacrazione artistica) .
SalvatorRosa
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Inserito
il - 07 Luglio 2005 : 14:46:01
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Poichè , però , non si vuol perdere
di vista l'oggetto dell'analisi, che
riguada l'organicità del fenomeno, non ci volgiamo
all'individuazione
di un evento in quanto tale ma alla sua interazione nel contesto
dell'intero apparato artistico, e del pensiero filosofico da cui muove
(e promuove) .
Diciamo quindi che, in seno a questo pensare, su cui
brillantemente si struttura la politica lo stato napoletano, si fonda
un orientamento che più volte richiama la
necessità di formazione
pubblica.
Questa necessità trova, nella pratica, come
si è visto, svariati canali d'azione.
Tornando
a quella mirabile opera architettonica da cui siamo partiti, essa,
sarà
sede di altre scuole professionali quali: intaglio, ferro
battuto, decorazione...
L'Albergo de'Poveri è dunque concepito
sull'onda del citato umanitarismo Voltairiano.
-Nel resto d'Italia non ci sembra abbia avuto pari,
tralaltro, si
tratta della più grande struttura d'Europa nel suo genere-.
In
questa, e in altre sedi, si determina la nascita di un nuovo modo di
concepire il fare creativo, ovvero, quello delle arti applicate.
In
merito a questa forma d'arte, si può dire che questo fu uno
dei primi
tentativi, congiuntamente all'Inghilterra, di industrializzazione delle
cosiddette arti minori.
Altri opifici di prestigio dislocati nel
territorio prossimo alla città , furono la "Reale fabbrica di
Capoldimote"delle porcellane e quella degli arazzi di SanLeucio
-fondata nel contesto di un territorio che fu quasi uno stato
sperimentale dotato di statuto, ispirato alla "Città del
Sole" di
T.Campanella-.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 08 Luglio 2005 : 12:56:21
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Reazione a tale procedere fu il pensiero e l'estetica
romantica.
Nell'ambito
del territorio peninsulare solo Napoli esprime un autentico percorso
romantico, in tutto simile a quello inglese e francese,
poichè solo
Napoli -intesa come stato- ebbe un vero illuminismo (e neoclassicismo)
organico, nonchè una relazione paritaria con il resto
d'Europa.
Ciò è
vero nella misura in cui l'intese il grande poeta marchigiano, grande
figura romantica, Giacomo Leopardi, che trovò in Napoli il
contesto
appropriato al suo pensiero.
La reazione estetica della prima metà
dell'ottocento, al
razionalismo illuminista, fu un ritorno al sentimentale e al passato.
Il
romanticismo fu, dal punto di vista esetetico, ritorno a quel passato
che l'illuminismo aveva sbeffeggiato (il medioevo medioevo e
tuttoquanto lo evocasse) .
Dal punto di vista filosofico, la necessità
di ripristinare una metafisica ormai esclusa dalla filosofia
razionalistica.
Ecco
ancora una grande intuizione: con Vico abbiamo una ricchissima ed
organica anticipazione del pensiero romantico -La scienza Nuova-in cui
si elabora quel concetto di "svolgimento", fondamento della filosofia
idealistica culminante nel pensiero Hegeliano.
Hegel ebbe poi a guardare con disprezzo
< < Il singolare spettacolo di un popolo civile senza
metafisica> > .
Il
pensiero di Vico precorre la lezione hegeliana nella intuizione della
negatività dello < < Spirito della
praticità > > che sarà quello
della società borghese;
l'attenzione assoluta al bisogno immediato
di arricchimento, cioè , quella modalità della
classe allora nascente, o
da poco nata, dove si leggittima quel fare in cui
< < ognuno
arraffa ciò che può > > .
E l'arte, da tempo bloccata nell'ideale
Winckelmaniano, centrato sull'ellenismo, sull'imitazione di un ideale
naturale superiore, viene sconvolto dal pensiero di un reale vero
determinato dal pensiero (dell'uomo) , non naturale.
L'arte, quindi, diviene una mediazione dello spirito e
viene muovendo verso il colore e il paesaggio.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 09 Luglio 2005 : 16:06:25
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La reazione romantica napoletana fu orientata verso
quel genere detto
"pittoresco", pur avendo, come visto, dei precedenti che avrebbero
lasciato supporre un orientamento "filo fichteiano", cioè ,
uno stile
alla Friderich, per intenderci.
Gli artisti aderenti a questo nuovo
genere si propongono quale antitesi alla riduzione a mera "competenza
professionale" delle arti.
Innumerevoli sono gli autori di genere
"pittoresco", ci limitiamo adesso a citarne i principali per mantenere
il carattere stotiografico -piuttosto che storico- del saggio.
Ricordiamo, quindi, Giacino Gigante e Antonio Pitloo; le
loro evocazioni
paesaggistiche non sono solo riproduzione del reale così
come lo si
percepisce, esse sono, piuttosto, rappresentazione di un'idea della
cosa
percepita secondo modalità dello spirito; in questo, quindi,
ancora
idealistiche.
-La componente "sensibile" dell'opera d'arte ha
un'esistenza non in quanto riproduzione del "vero sensibile",
bensì , come "sentire dello spirito"-.
Questi
autori non si rapportano al paesaggio solo come semplice apprensione di
cose viste (esteriori) ; qui il sensibile è presente allo
spirito
dell'artista in modo diverso, lo spirito non si ferma alla semplice
riproduzione delle cose.
L'approccio "teoretico" di Gigante, per
esempio, intende acquisire il dato percepito nella sua
UNIVERSALITA', cerca di rappresentare una legge interna delle cose, non
un loro aspetto paticolare.
Questi autori daranno luogo ad un movimento, detto poi, "Scuola di
Posillipo";
a loro merito và , tra le varie, una distanza abissale dalla
retorica che attanaglia le produzioni peninsulari coeve.
Distante
cioè dalla necessità documentaristica del
realismo vedutista (che si
avvale della camera ottica) ; distante pure da produzioni ancora legate
ai dettami ecclesiali (avversi alla laicizzazione del pensiero) ;
distante, infine, da necessità immanenti, di militanza
politica, che
rimandano a desideri altri dall'arte (che svalutano, nella loro
considerazione di fatti particolari, il senso dell'arte) .
In
generale, potremmo dire, ciò che viene inquadrato come
"Romantico
Italiano", altro non è che un incedere retorico, indigesto,
che nessun
contributo porta agli sviluppi ottocenteschi; contributo che,
sicuramente, portano i "posillipini", alla stregua -e forse
più - di
Constable per le scuole di Barbizon e FontaineBleu.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 10 Luglio 2005 : 12:28:15
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E' autoctono qui l'allargamento della pennellata,
scevra da ogni
leziosità , cioè , fa scuola quale fenomeno
assolutamente originale.
Si
pensi, di contro, alla teatralità di Hayez e consimili, che
emulano la
parte deteriore del romanticismo internazionale, attraverso la
citazione dell'evento medioevale, in linea con quegli atteggiamenti
volti a celebrare la presunta e presuntuosa pretesa
superiorità di un
popolo sull'altro. In Inghilterra, questa modalità tematica
si
manifestò negli autori minori del preraffaellismo, evocativo
di gesta
Celte e, in Germania, nei Walhalla nibelungici e altre vanterie simili,
sfruttabili poi, facilmente, dalla politica nazionalsocialista...
Questi
autori, questi emuli, hanno ancora una volta, quale stantì o
riferimento, il "bello" rinascimentale, mancando evidentemente di
riferimento
culturale prossimo cui far riferimento, riferimento di cui sempre
necessita l'agire creativo.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 10 Luglio 2005 : 14:59:37
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...un po troppi "riferimenti".
SalvatorRosa
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Inserito
il - 10 Luglio 2005 : 15:31:29
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La pittura di Giacinto Gigante è , quindi,
una fine percezione del
paesaggio e si è detto pure che è pittura, la
sua, atta ad evocare
suggestioni, piuttosto che descrivere.
Si tratta di un'azione spesso rapida, raccolta sovente
da
impressioni sul momento, non tanto mnemonica (cioè , da
studio) .
Questo
atteggiamento che, solitamente, si vuole applicato per la prima volta
dagli impressionisti ancor oggi, cecamente, si legge e s'ode solo in
riferimento a questi; chiarendo, comunque, che questa pittura non ha
certamente gli intenti dell'impressionismo -fondati su questioni di
ottica-.
Ribadiamo che la pittura evocativa dei posillipini ha un
approccio prossimo a Constable, con la differenza che in quest'ultimo
prevale ancora una certa propensione descrittiva, mentre nei nostri
l'immagine prende forma in pochi tratti.
Tale
fu il successo di questo genere che vi fu grande richiesta di paesaggio
"alla napoletana"e intorno ad esso nacque una produzione più
a buon
mercato che determinò quel prodotto che, ancor oggi, si
suole chiamare
souvenir.
Per questo secondo tipo di produzione vennero adoperate le
tecniche, più veloci ed economiche, della guaches e
dell'acquerello, ottenendo il caratteristico effetto di brillantezza.
Il genere
"souvenir" non ha certamente il valore dell'opera di primi, ma
è
interessante come fenomeno commerciale che invase i mercati di
tutt'Europa, ed ebbe tra gli autori di maggior rilievo Saverio Della
Gatta.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 11 Luglio 2005 : 14:52:53
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Questa propensione al paesaggio naturale pur intrisa di
sentimentalismo, porta ad un rapido cambiamento dei pincipi stessi del
"fare creativo".E'un atteggiamento, questo, che porterà , in
breve, alla
concezione impressionistica (anche se questa sarà ,
teoricamente, antitetica a quella romantica) .
Tra i movimenti già citati, l'attenzione
è rivolta soprattutto alla scuola di FontaineBleu che,
più
di altre, seppe strutturare l'opera secondo certi principi di sintesi
che apparterranno poi a tutta la pittura contemporanea.
La sintesi è
necessaria, come s'è detto, alla evocazione, sia essa
emozionale che
meramente visiva, come vorranno gli impressionisti.
Gli esiti
napoletani della lezione della Scuola di Posillipo furono
significativi, in particolare, negli sviluppi dati dai fratelli
Giuseppe
e Filippo Palizzi, che portarono ancor oltre quella
esperienza, liberandola da certe rigidità ancora presenti e
realizzando
"l'attimo" raccolto dal vivo, attraverso un uso molto innovativo del
colore.
Quest'uso della materia cromatica già rende
l'idea di un lavoro concepito senza l'ausilio di un disegno rigoroso.
Questa
esperienza napoletana, autenticamente moderna, si trovò in
sintonia con
la scuola di FontaineBleu, al punto che Giuseppe Palizzi vi
aderì , trasferendosi in Francia.
Filippo, invece, attratto dalle atmosfere
più tipicamente mediterranee, portò la personale
ricerca pittorica alle
massime possibilità rappresentative, attraverso uno studio
sulla
luce, sulla rifrazione ottica, nelle sue varie forme, asseconda del
corpo
che ne veniva colpito.
E'un assunto, questo, dal quale partiranno i pittori della Scuola di
Resina e gli impressionisti stessi.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 12 Luglio 2005 : 18:50:31
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Pur non essendo mossi da intenzioni "scientifiche", i
Palizzi diedero
gli strumenti per la svolta; infondo non erano ancora mossi dall'urgenza
di ricontestualizzare l'arte.
L'arte aveva anora ragione d'essere
nella sua accezione antica in un'epoca che si affacciava appena al
grande sviluppo delle tecnologie e, nello specifico, della fotografia
-che inzialmente parve poter soppiantare la pittura-.
Intenti
estetici simili a quelli dei fratelli Palizzi, in Italia si avranno
solo
nell'800 romano, ma con risultati sicuramente meno brillanti; mentre
l'esperienza artistica del resto della penisola si attardava su
evocazioni di realismo millettiano (da noi detto verismo) , che
manifesta
ancora, retoricamente, intenti pedagogici con assai scarsa attenzione
al
problema meramente pittorico quale esperienza individuale della
realtà .
Giusta l'attenzione alla realtà , nella quale
entra necessariamente
l'osservazione del sociale, ma il medium dell'arte non può
prescindere
dagli sviluppi della filosofia nel senso ora di una
problematicità più
strettamente legata alla concezione estetica e al senso che l'arte
andava acquisendo nel secolo decimonono.
Percorrendo quei sentieri, i veristi finirono per
ridurre a una necessità temporale e locale l'onesto intento
pedagogico.
Unici, dunque, nel panorama italiano dell'800, e per
questo lodevoli i Palizzi.
Essi
fecero passare attraverso questa intenzione, che è
esperienza
individuale e moderna (poichè compiuta, come s'è
fatto cenno, dal
vero) anche il tema sociale:
contadini, bambini assorti nei loro giochi; senza mai stancare con stili
rifatti e mutuati da esperienze altrui.
La
conferma ci viene dal fatto che, ancora una volta, è la
scuola
napoletana, nelle figure dei due abbruzzesi, a potersi confrontare con
l'Europa; è Palizzi che lavora fianco a fianco con Theodore
Rosseau e
Diaz de la Pena, non altri, che non avrebbero potuto nè
riconoscersi nè
essere accettati.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 13 Luglio 2005 : 16:46:32
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Dalla seonda metà dell'800, in
età già postunitaria, comincia il
lento, inesorabile, oscuramento della coscienza della cultura
neapolitana.
C'è , per
la verità , ancora grande fermento ma ci sarà una
censura, funzionale al
nuovo ordinamento, di tutto quanto metta in disussione il sistema
piemontese e gli artisti meridionali, spesso costretti ad emigrare
all'estero, troveranno clima favorevole in Francia.
In questo paese saranno ben accolti ed esprimeranno
ancora la propria cultura sempre al passo con le grandi avanguardie
europee.
Dall'avvento
piemontese in poi, l'arte del sud sarà sempre sottoposta a
quanto
avviene altrove -pur esprimendo, la nostra, una posizione evidentemente
più evoluta-, attraverso l'operazione di smantellamento
delle esperienze
storiche, liquidandole in poche, sciatte, righe come prodotto minore
apriori.
Da allora in poi la nostra arte sarà , per la
storia, sempre seconda all'esperienza centro-settentrionale.
La
coscienza, invece, intesa come consapevolezza teoretica, di tutto
quanto
riguarda il percorso filosofico-artistico del sud, mantenne la sua
lucida complessità e trovò , nel suo dipanarsi,
forma catartica in
un'opera che chiaramente ne esprime origine e percorso:"L'estetica come
scienza dell'espressione linguistica generale" di Benedetto Croce, del
1902.
In essa è la sintesi di una concezione del
pensiero estetico
quale forma espressiva autonoma rispetto ad altre discipline.
SalvatorRosa
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Inserito
il - 14 Luglio 2005 : 15:00:06
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Gli artisti della seconda metà del
dicinnovesimo sec. comprendono la
direzione autentica di un linguaggio ormai scevro da implicazioni altre.
La
rappresentazione passa, soggettivamente, attravrso gli occhi del
pittore
e, l'analisi, libera da messaggi pedantemente pedagogici, si fonde col
modo stesso di percepire.
L'approccio fotografico con la scena, la
cristallizzazione dell'istante è , si può dire,
caratteristica pregnante
di un modo proprio di far arte, modo che si avvicina al metodo
impressionista, poichè è ancora profondo il
legame con il mondo
culturale francese.
Quando, finalmente, qualcuno in Italia (i
macchiaioli toscani) si pone il problema del linguaggio visivo come
esperienza che deve trovare ragioni e soluzioni interne all'opera
stessa, i napoletani con i francesi già si pongono il
problema della
"ragione" scientifica, atta a giustificare l'esistenza stessa del
quadro
raffigurativo.
Come gli impressionisti o, piuttosto, insieme agli
impressionisti, i nostri artisti avevano compreso la svolta dell'arte
di
fronte all'affermarsi della tecnica fotografica -che sembrava non dar
più ragione d'essere ad un manufatto quale è il
quadro-.
I
macchiaioli, in pratica, si pongono, nell'ultimo quarto dell'ottocento,
il
problema che gli abruzzesi Palizzi avevano già affrontato
qualche
decennio prima.
Le nuove generazioni "napoletane", i fondatori della
scuola di Resina, avranno cura di dare alle realizzazioni un taglio
fotografico, cioè , un fissaggio delle immagini a "effetto
istantanea" con
assenza di disegno.
Essi creeranno un'avanguardia tanto vivace e
innovativa che i toscani, e gli impressionisti stessi, avranno la cura
di inerpellare e invitare i "resinari".
SalvatorRosa
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Inserito
il - 17 Luglio 2005 : 12:52:11
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Gli artisti più rappresentativi di questa
scuola sono Rossano, De Gregorio e De Nittis.
Soffermiamo
qui la nostra attenzione sull' ultimo citato; Giuseppe De Nittis da
Barletta, artista che seppe cogliere, in una sintesi formidabile, tutte
le peculiarità del nuovo approccio visivo.
La sua immagine prende
forma per giustapposizione cromatica, con una capacità
sorprendente (anche rispetto ai francesi) , di rendere i giochi
atmosferici e la
rarefazione della forma nella particolare circostanza presa in
considerazione.
Una sua opera vinse, a Parigi, l'importante premio del
"Salon des refuses" (celebre istituzione che consacrava gli artisti al
successo) , l'opera in questione è "La strada da Brindisi a
Barletta".
I
cromatismi sono sottili e necessitano una padronanza della materia da
vero fuoriclasse; l'immagine è , all'impatto, quasi un
monocromo a cui
l'occhio deve abituarsi prima di percepire le tonalità .
Dopo la fase
di "adattamento" dell'occhio, come per incanto, si schiude allo
spettatore il fascino, prima invisibile, del dettaglio.
L'opera evoca
il bagliore accecante che colpisce il passante sull'assolata strada
pugliese e il lento abituarsi della vista che
coglie, progrssivamente, ciò che inizialmente la luce
accecante non
permette di vedere.
L'estrema semplificazione della inquadratura, che
è in prospettiva centrale e ai limiti dell'astrazione,
lascia intendere
che De Nittis era già proteso verso problematiche formali
riprese
poi, più lucidamente, da Cezà nne; stiamo parlando
della scansione per
forme semplici, principio su cui si fonderà tutto il
novecento.
L'opera
di De Nittis, infatti, altro non è che rappresentazione di
tre triangoli
a cui è sovrapposto un rettangolo...ma che triangoli!
SalvatorRosa
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Inserito
il - 17 Luglio 2005 : 14:08:02
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La pemanenza di De Nittis a Parigi fu luogo, non solo,
di personale
successo e di ricerca individuale, ma anche di incntro, con coloro che
si misurarono pittoricamente in analoga ricerca.
Si era ancora agli albori del prestigioso sodalizio, al
quale, il pittore "napoletano" aderisce per naturale
affinità .
Assieme al mitico gruppo, dunque, De Nittis espone nella
famosa mostra del 1874, nello studio del fotografo Nadar.
Questo, ancora, è episodio sì
citato che passa quasi come un trascurabile dettaglio.
La
sensazione che i napoletani indugino sull'effetto ( che in musica si
chiamerebbe eufonico) è caratteristica dipendente da una
naturale
condizione geografica.
L'effetto non è tale, esso è ,
piuttosto,
ciò che l'artista percepisce otticamente, nei luoghi dove
agisce.
Certamente la produzione napoletana non avrebbe potuto
contenere l'amalgama cromatico delle nebbie parigine.
De Nittis, in tal senso, fuga ogni dubbio proprio quando
riprende le atmosfere francesi e si avvicina al timbro di Monet e
Sisley.
SalvatorRosa
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