Eleaml


Atlantide - appunti di viaggio (Zenone di Elea)

Sacco - la festa


Sacco

Nel castello di Sacco, uno dei più grandi dell’Italia meridionale, Antonello Sanseverino principe di Salerno e di Diano, condusse la sua bellissima sposa Costanza, figlia di Federico da Montefeltro di Urbino e qui ordì la famosa Sacco contro il re di Napoli Ferdinando d’Aragona, conclusasi, per sua fortuna, nel 1487 con un provvidenziale accordo fra le parti.



Sacco Sacco
Sacco - l'apparata Sacco - Madonna degli Angeli
Sacco Sacco
Sacco - Sottosanti Sacco - scorcio della piazza
Sacco Sacco
Sacco - la Chiesa Sacco - il Campanile



Fonte:
Marzo 2003 II Saggio Mensile di cultura

Paesi del Parco del Cilento e Vallo di Diano: Sacco

di Franco La Tempa

Se hai voglia di arrampicarti su per strade curve e ricurve fino ad arrivare nel cuore del Cilento, puoi avere la gradita sorpresa di giungere ad un piccolo paese alle pendici del monne Motola; Sacco, dove la natura e ancora incontaminata e dove ancora resistono abitudini e modi di una civiltà contadina oramai trascorsa.

A valle dell'abitalo dopo una breve e comoda passeggiata si ammira nei pressi del fiume Sammaro dove costeggiandone la riva si giunge alle sorgenti situate in una splendida grotta e tra canyon suggestivi che ne disegnano il percorso (il paesaggio fluviale tra ontani, tife, ninfee e fitti canneti, conserva ancora intatta la flora e la fauna tipica e non e difficile incontrare la lontra). 

Ed e per questo che nella bella stagione e facile incontrare per questi sentieri visitatori di varia nazionalità che, armati di bastone e di scarpe da trecking e ... di tanta buona volontà, si inerpicano tra sentieri scoscesi e fitte boscaglie alla ricerca della natura salvata grazie all'oblio del tempo e del progresso. 

Nel centro abitato, la piccola ed accogliente piazza principale del paese e sovrastata da una monumentale facciata in pietra della chiesa madre, risalente alla seconda meta del XVII sec.

All'interno, in una struttura a tre navate, e possibile ammirare opere pittoriche e sculture lignee di ottima fattura ed un altare marmoreo dell'inizio '800. 11 centro abitato e un insieme suggestivo di vie che danno tutte sul corso principale che tra rampe, a volte aspre, si articolano in croci e crocicchi, tra archi e sottopassi.

Antichi portali in pietra ne testimoniano  lo splendore di un passato oramai remoto. Il tempo sembra essersi fermato ed e facile rifugiare il pensiero tra queste mura e  tra questa gente semplice ed accogliente. 

Per le viuzze qualche asino "tirato" da un  anziano vecchietto, ancora aiuta nelle fatiche dei campi. Solo le "sfide perpetue",  al bar di "Peppe" a di "Pietro", a briscola,  a tressette e (soprattutto) a scopone, rincorrono e scandiscono il tempo, 

L'emigrazione ha molto provato questo  piccolo nucleo tanto che oggi conta appena 730 abitanti, con molti anziani, pochissimi bambini e pochi giovani.  Comunità attive e ben integrate di sacchesi  sono presenti in molte città d'ltalia, nei paesi europei, nell'America del sud (Brasile, Argentina, Venezuela ...) e negli Stati Uniti.

Soprattutto a New York vi e una numerosa comunità organizzata in un club "Gioventù di Sacco", molto attiva, prospera ed integrata.  Molto forte e radicato e il senso di appartenenza di queste comunità con il nucleo originario e dalla prossima estate, l'Associazione Culturale LAUS, ha pensato bene di programmare e realizzare un progetto e la prima "festa dell'accoglienza".

Nel periodo estivo, inoltre, si organizzano la festa di Sant'Antonio (dopo la meta di giugno), la festa di San Sebastiano (la prima domenica dopo il 20 settembre) e soprattutto la suggestiva festa patronale della Madonna degli Angeli (2 agosto) che rappresenta l'occasione del ritorno e del1'incontro per i tantissimi sacchesi sparsi nel mondo. 

Nonostante l'esigua popolazione, "resiste" un buon artigianato locale soprattutto per quanto riguarda la lavorazione del ferro battuto.  Non si può fare a meno, dopo aver preso un ottimo caffé, di fare una visita ad un vero artista del legno, il centenario Francesco Coccaro, che annovera tra i suoi lavori bellissime sculture lignee c bassorilievi ispirati ad episodi biblici ed alla Divina Commedia...

Sono presenti nella Chiesa Madre molte sue opere (edicole, ed un altare in legno). Tra i prodotti tipici, e sicuramente genuini, vi sono degli ottimi salami, una carne di mucca podolica di assoluta qualità (prodotta dai pochi allevatori rimasti) e ... dulcis in fundo una bottiglia di vino.

L'olivo merita una menzione a parte, perchè da sempre rappresenta il simbolo di questa terra che, otre a disegnarne e colorarne i contorni, e stato un vero mezzo di sussistenza e di benessere.

Ancora oggi, nonostante 1'abbandono quasi totale dell'agricoltura, si produce una buona quantità di olio extravergine, di qualita superiore grazie alla varietà di piante autoctone, ad una coltivazione assolutamente biologica e ad un'ottimale microclima.

A questo punto la nostra visita virtuale sembra essere conclusa, non ci resta che prendere l'auto che abbiamo lasciato all'inizio del paese e dirigerci all'uscita: ma da che parte andiamo? 

Visto che siamo venuti dalla piana del Scle dirigiamoci verso il Val     lo di Diano. Saliamo su, per una strada che costeggia la montagna e percorre dall'alto tutto 1'abitato.  Non si può fare a meno di ammirare ancora una volta dall'alto questo paesaggio. Sotto di noi i tetti delle case addossati gli uni agli altri, dominati dal campanile e dalla maestosa chiesa con la copertura croce latina. 

Ci soffermiamo un attimo sulla valle del Sammaro illuminata dai riflessi argentei del sole al tramonto: lo sguardo si perde all'orizzonte, fino ad incontrare l’azzurro mare di Paestum ed uno scorcio della costiera amalfitana.

Continuiamo il tragitto ed arriviamo alla "Sella del Corticato" (1000 m. alt. circa), la neve copre i bordi della strada, ma per fortuna la strada e libera e si può continuare in tranquillità.

Ma ecco... si riesce ora a scorgere una parte del Vallo di Diano, e li appollaiato su una collina si distingue Teggiano; non ci resta che prendere la discesa e fra pochi chilometri siamo sull'autostrada.     

Fonte:
Mensile di cultura  Agosto 2003  II Saggio

SACCO  PAESE IN FESTA: LA MADONNA DEGLI ANGELI

di Franco La Tempa

Come per incanto, in agosto, i paesi dell'alto Cilento si ravvivano per il rientro dei molti emigrati.  Le viuzze melanconiche e tristi d'inverno adesso si vivacizzano grazie alle grida ed ai giochi festosi dei bambini che increduli girano e giocano in liberta in lungo ed in largo per le vie del paese. In questo periodo si susseguono le principali feste patronali del luogo: la Madonna degli Angeli a Sacco (il 2 agosto). San Barbato a Valle dell'Angelo, San Salvatore a Villa Littorio, San Rocco a Roscigno, Santa Filomena a Piaggine...


La festa della Madonna degli Angeli a Sacco, rappresenta il momento di incontro di tutte le comunità di cittadini sacchesi residenti fuori dal territorio del nostro comune. Infatti, ogni anno vi e sempre il ritorno più o meno numeroso di cittadini di origine sacchese provenienti da varie parli d'Italia, d'Europa e delle Americhe.


La festa, come un rito che si rinnova ogni anno, circonda il paese di una magica atmosfera e tutto sembra essere come "prima", senza che il tempo sia trascorso. Le marcette intonate dalla banda musicale per i vicoli a "graticola" del paese e, con fatica, lungo le aspre salite.


Le luminarie che abbelliscono il corso principale.  Il concerto bandistico sul palco allestito nel  la piccola, ma suggestiva piazza principale del paese, sovrastata dalla monumentale facciata in pietra della chiesa madre.


Tutto questo fa rincorrere a "ritroso" il tempo, e quello che e uguale dappertutto, per noi assume un significato particolare dal sapore antico. 


Tutto sembra come allora: le bancarelle degli "andritari" o quelle dei giocattoli; i fuochi d'artificio che, dopo il concerto, chiudono i festeggiamenti; la processione per i vicoli principali del paese.


Tutto questo da tempo immemorabile: infatti la venerazione della Madonna degli Angeli a Sacco si perde nel tempo.  Un  Angioli era gia elencato nelle visite pastorali del '500, ma una tradizione popolare vuole che le fosse intitolata una cappella se di francescani, di cui, peraltro, non si e avuto mai una conferma documentale.


Ma il culto verso la Vergine degli Angeli di Sacco scavalca prepotente i confini locali durante la devastante peste del 1656. allora la popolazione di Sacco fu decimata e dei circa 900 abitanti ne sopravvissero solo 250, Ma accadde qualcosa di straordinario: le morti iniziate nella meta di giugno del 1656, improvvisamente cessarono il 2 agosto,  giorno dedicato alla Vergine.


Contemporanea  della Madonna il bubbone della peste. Sparsa la notizia, dai paesi viciniori ed anche da più lontano molti si recavano presso 1'altare di Santa Maria degli Angioli per ungersi con l’olio della "lampa" ritenuto miracoloso. 


Un certo Bottiglieri, un ricco possidente di Salerno, ottenuto la grazia per se e per la sua famiglia fa dono alla cappella della Madonna di una masseria di 545 pecore.


Si racconta anche di un pellegrino che veniva a chiedere la grazia per la guarigione dei suoi mali dalla lontana Basilicata e, non polendo raggiungere la cappella per unger l’acqua da una fontana.


Dopo un sonno pro  fondo L’uomo si sveglio guarito e raggiunse il paese intonando le lodi alla santissima Vergine degli Angeli.    


Ancora la tradizione ricorda che agli inizi dell'800, quando i francesi invasero il Regno di Napoli, un distaccamento di soldati giunse anche a Sacco e, alcuni di loro, spavaldi entrarono in chiesa con le cavalcature. 


I cavalli non toccarono le invitanti "gregne"  poste sotto 1'altare della Vergine, portate dai  fedeli quale ringraziamento per le abbondanti  messi. Questi cavalli, anzi, si imbizzarrirono  ed uscirono fuori dalla chiesa.  Un fatto curioso rappresentano poi le due statue della Vergine presenti in chiesa.


Una nell'edicola dell'altare, ed un'altra in un'edicola di legno. Questo perchè secondo la tradizione orale, ogni qualvolta si cercava di portare in processione la prima sta  tua della Madonna, questa diventava sempre più pesante cd appena fuori dalla chiesa il cielo improvvisamente si inscuriva e, tra tuoni e fulmini, si originava "una tremenda tempesta". 


Anche l’espressione delle due statue e di  versa: austera la prima, dolce e rassicurante la seconda. 


Il culto della nostra Madonna degli Angeli  e sempre molto sentito da tutti i sacchesi.  Infatti la nostra numerosa comunità di New York ha fatto eseguire una copia della statua della Vergine che viene festeggiata la  prima domenica di Agosto.  Ecco, si apre l’imponente portone principale della Chiesa Madre.


La statua viene portata a mano fino al centro della piazza. Molti le si stringono intorno. altri spingono e strattonano nella speranza di poterla portare in spalla o solo di toccarla o baciarla.


Qualcuno si commuove ed accenna qual  che lacrima al ricordo forse di un passato lontano.


Tutti si volgono verso di essa quando la  Allora la processione prende a scorrere lenta per le viuzze del paese, con le donne che portano le "cente", tra le preghiere o il chiacchiericcio di chi si incontra dopo tanto tempo. 


Anche quest'anno la Madonna ha compiuto il prodigio di riunire tanti sacchesi sotto il suo manto e noi gliene siamo grati: sempre. 




Fonte:
"Storia di Sacco" del Dott. Donato Macchiarulo

LE ORIGINI

[...]

Le origini dell’attuale abitato di Sacco sono remote, affonda­no le radici sul borgo abbandonato di Sacco Vecchio.

Francesco Sacco nel Dizionario Geografico-istorico-fisico del regno di Napoli del 1796 scrive al tomo 3° pag. 229 “Questa terra (l’attuale abitato di Sacco) si vuole essere stata edificata circa l’ottavo secolo dagli abitanti della distrutta terra di Castel Vecchio (l’abitato di Sacco Vecchio), ove era un castello fatto da’ Duchi di Benevento. ed in cui fu relegata Saccia moglie di uno de’ Duchi di Benevento.


 Distrutto quello castello, gli abitanti di Castel Vecchio edificarono la presente terra, e la vollero chiamare Saccia in memoria di Saccia rilegata nel Castello della Terra di Castel Vecchio “.


Sacco, secondo questa notizia, è stato fondato nel 700 (8° secolo) dagli abitanti di Sacco Vecchio, che pare avesse un nome diverso all’epoca.

L’attuale abitato di Sacco rappresenta la continuità sia storica che culturale dell’antico borgo.

La notizia dell’abate Francesco Sacco può essere presa sul serio, in considerazione del fatto che chi scrive è stato molto attendibile per quanto riguarda le notizie riferite sulla Certosa di Padula. Si vuole dire che era persona affidabile. E se andiamo ad esaminare alcuni elementi si può dare sostegno a questo riferimento bibliografico almeno in relazione all’epoca della fondazione e cercando di essere più critici sul nome Saccia e su tutta la vicenda che la riguarda, ma di questo parleremo quando ci interesseremo del borgo antico.

Gli elementi da considerare sono la pianta del paese e il campanile; si ricorda a questo punto che i cocci a Sacco Vecchio si arrestano improvvisamente nel Basso Medioevo, a conforto che il centro fu abbandonato o distrutto nel 700 d. C..

[...]

 

2 - IL CAMPANILE

Il        campanile della chiesa di Sacco è dell’8°, 9° secolo. In origine era sprovvisto dello stadio cilindrico e conico. Costru­zione che per stile e altezza è da attribuire al periodo riferito. Gli stadi poligonali, di sapore longobardo’, costituiscono l’ossatura di tutta la struttura. Simile ai torrioni rivieraschi del periodo svevo ma più snello, con un gradiente di rientro che vede gli ultimi stadi proporzionatamente ridotti in grandezza, in modo da offrire all’insieme l’aspetto di un pinnacolo armonico e nello stesso tempo dinamico, quasi come se tutta la struttura fosse dotata di movimento. Non c’è dubbio gli stadi cilindrico e conico, anche se arrivati dopo 9 secoli, hanno completato architettonicamente la costruzione, trasformandola definitivamente in campanile, proiettandolo col suo aspetto sobrio verso l’alto in un atteggiamento sacrale, meditativo.


Infatti più che un campanile era una torre dalla quale si dominava tutta la vallata. Questa costruzione imponente sorgeva al lato della vecchia chiesa, demolita nel 18° secolo per far posto alla chiesa àttuale, in questa circostanza furono aggiunti i due ultimi stadi (cilindrico e conico) anche per la contingenza che la nuova chiesa era più alta del campanile­torrione.

Alcune croci votive scolpite su due pietre angolari ci aiutano a datare il periodo della costruzione: la più antica di esse è per forma e stile del 9° 10° secolo circa e acquista in tal modo un valore notevole nella datazione.

[...]

 

3- L’Abitato

L’assetto che si va a descrivere è quello che il borgo ha avuto dalla sua fondazione fino al 1880 con poche modifiche, se non quelle dell’accrescimento intra moenia. Al nucleo originario del paese si accedeva attraverso quattro porte: la porta di S. Lucia, la porta di via Lavinaio, la porta di via Saracina, la porta di largo S. Antuono. Di queste è ancora presente la porta del Lavinaio, ottimamente conservata. La porta della Saracina sorgeva sul tufo ove ancora sono visibili la muratura e le pietre che in essa iniziavano a formare l’arco (alcune di esse sono state divelte dall’opera recente di demolizione da parte del proprietario), con la frana del 1908 si ebbe la distruzione dell’impianto architettonico della porta di via Saracina; questo ingresso sorgeva nelle vicinanze del vecchio castello.

La porta del Lavinaio era inserita nella struttura imponente di quello che la tradizione vuole essere stato il convento, probabilmente soppresso nel 1652. Le altre due porte sorgevano nei pressi di due cappelle, di S. Lucia e di S. Antonio al Chiaio (trasferita poi in località S. Giovanni dall’oblata di S. Antonio Rosata Anzanelli)2.

Questo assetto del paese è stato conservato fino al 1880, epoca in cui fu realizzata la strada, che congiungeva Sacco in località Epitaffio con la strada provinciale Sala Consilina-Vallo della Lucania.

Principalmente lungo questo asse stradale dal Pizzo del paese e lungo via S. Lucia e via S. Antonio si è espanso l’abitato negli ultimi 100 anni (escludendo l’espansione lungo la strada variante), senza seguire la classica struttura a graticola, che dava funzionalità ad un mondo che si serviva degli animali per la sopravvivenza. Nella parte recente del paese si nota la grossola­nità dell’urbanistica attuale: la funzione è l’accesso alla strada rotabile, e non la congiunzione pedonale tra più rioni vicini, lo stesso discorso vale per la ultima espansione lungo le strade provinciali. Per questo mancano le vie a graticola, basta osservare che il corso dal Pizzo del paese, via S. Antonio e via S. Lucia, che rappresentano l’espansione recente lungo assi stradali, sono congiunti da vie trasversali unicamente in due punti molto distanti tra loro.

Il borgo medioevale era arroccato in una sorta di costruzione globale quadrangolare. Tutto il complesso è da vedere come la classica Città-Castello, le cui strade e vicoli altro non sono che i cortili di una unica immensa e ampia fortificazione.

La parte che guarda a mezzogiorno è costituita da una ininterrotta linea di costruzioni che termina a Castroiano, dove presumibilmente era allocata la guarnigione dei 40 soldati citata nei registri angioini nel 1268. Seguiva la porta di S. Lucia, da questo punto fino a S. Antuono era presente un muro di cinta, ne è traccia nella tradizione. Un’altra fila ininterrotta di costruzioni si dipartiva dalla porta di S. Antuono fino al castello passando per l’Olmo.

sorgeva nella zona Il Castello del rione Olmo tra la via Saracina e la Crocevia. La tradizione vuole che una torre, sicuramente di stile angioino, è stata presente fino al 18° secolo nel punto in cui sorge la parte terminale della casa dell’arciprete Salomone.

Alcune strutture architettoniche del vecchio Castello sono presenti nei pressi di due abitazioni di via Verdi insieme alle prigioni allocate probabilmente nei locali scuri dell’attuale palazzo Dente. Con la costruzione del palazzo ducale dei duchi Villani nel 1700 si cominciò a smobilitare il vecchio Castello, posseduto nel 1268 dal feudatario Nicola da Sacco.

Il centro abitato era composto dai rioni dei quali ancora sì conserva il nome: l’Olmo, Sottosanti, Lavinaio, Piazzetta del Noceto, Castroiano, Pizzo del paese (ovvero fine del paese), l’Annunziata, il Chiaio, S. Antuono, Preta di canale, la Piazza. Molti spazi erano liberi da costruzioni, queste sono nate nel corso dei secoli seconda la tecnica dell’acrescimento intra moenia.

Il paese era attraversato da un rivolo che si caricava di acqua solo in occasione di piogge abbondanti, esso partiva dal Chiaio e scendendo per l’Annunziata e l’arco di don Paolino Monaco passava per il Lavinaio per terminare nel vallone di Castauriello.

Soltanto le abitazioni gentilizie, che sorgono lungo questo rivolo hanno la cisterna dell’acqua, segno che in profondità il corso d’acqua superficiale si accompagna ad una falda freatica, collegata direttamente al detrito di falda pedemontano.


[...]

 

6- Abitanti

Grazie ad una estrapolazione su una cedola onciaria e ad altre notizie riprese da vari autori si è riuscito a dare un quadro abbastanza attendibile sull’andamento demografico della popo­lazione a partire dal 1268 fino al 1991.


Alla luce dell’attuale situazione demografica si può capire come la flessibilità abitativa è stata nel corso dei secoli molto dinamica.

Sicuramente ogni diminuzione o incremento è legato a un preciso fattore sociale ed ambientale, lo studio del quale sarebbe interessante; si auspica di riuscire a diffondere in chi legge l’interesse per una ricerca.


     Anno    1268     1440   abitanti      17
     Anno    1320     1379     “           18
     Anno    1445      633     “           19
     Anno    1532      685     “           20
     Anno    1545     1300     “           21
     Anno    1561     1065     “           22
     Anno    1595     1002     “           23
     Anno    1648      935     “           24
     Anno    1669      290     “           25
     Anno    1708      667     “           26

     Anno    1785     2000   abitanti      27
     Anno    1816     1563     “           28
     Anno    1861     2120     “           29
     Anno    1881     2386     “           30
     Anno    1891     2126     “           31
     Anno    1901     2197     “           32
     Anno    1921     2191     “           33
     Anno    1931     1972     “           34
     Anno    1951     1792     “           35
     Anno    1961     1688     “           36
     Anno    1971     1235     “           37
     Anno    1981     1120     “           38
     Anno    1991      995     “           39

Del periodo angioino si nota un aumento demografico significativo, che in considerazione dell’epoca è da ritenersi eccessivo rispetto al numero di vani che il borgo offriva; ma è verosimile che erano abitati anche i casali di Casalvetere e Casalicchio. Notare il decremento causato dalla peste del 1656 confrontando i dati relativi al 1648 e quelli relativi al 1669. Interessante anche il dato riferito al 1785, che vuole nel paese 2000 abitanti con una crescita di 1300 unità dal precedente censimento del 1708; è il periodo in cui si è appena ultimata la costruzione della chiesa, la cui realizzazione ha richiamato nella borgata numerose maestranze e mano d’opera.

Significativa la flessione che si sta registrando dall’unificazio­ne italiana fino ad oggi a causa dell’emigrazione o meglio a causa della grande fortuna che sta conoscendo l’urbanesimo per lo spopolamento progressivo che impone alle zone interne. Queste ultime hanno conosciuto periodi di splendore fino al XIX secolo a causa dell’insicurezza delle coste e a causa della povertà che regnava nelle città in epoca preindustriale.

Non è un caso che la storia dei borghi cilentani è stata quella di università autonome e autosufficienti, che non avevano bisogno di centri cittadini. Fino al 1960 in tutto il Cilento nessuna borgata poteva definirsi città, questa ha iniziato a nascere, se pur timidamente, negli ultimi decenni come aggre­gazione di uomini e non come concentrazione di servizi o di rappresentanze.

Certamente il fenomeno è alla base della dispersione politica e della incomunicabilità culturale del “dotto” cilentano, che ha agito e agisce da solitario in patria e che ha dato e dà il massimo in ambienti lontani dal proprio campanile.

La città quale luogo di incontro, di confronto, di studio, di aggregazioni culturali, di iniziative politiche, sarebbe stato per gente accomunata da un unico dialetto e mentalità uno stimolo potente per la crescita di tutta la regione Cilentana.

[...]

 


8 -  LA GRANDE PESTE DEL 1656

A Napoli nel popoloso rione del Lavinaio si verificarono le prime morti all’inizio di maggio 1656; queste furono giudicate strane perché fuori del comune sia per età, sia per numero, sia per modalità.

Il rione Lavinaio a Napoli era la parte più bassa della città e sorgeva nei pressi del porto.

La peste arrivò a Napoli dalle navi provenienti dalla Sardegna. Prima che si pensasse a mettere in piedi un minimo di organizzazione assistenziale, si precipitò nel caos più assolu­to. La situazione divenne incontenibile, ma pur tuttavia la epidemia fu fronteggiata anche se a prezzo di 250.000 morti in una città che ne contava circa 450.000.

Nella periferia contadina del regno fu una vera strage con una mortalità che raggiunse il 50%—60% della popolazione. Per avere un quadro della devastazione che la peste feroce del 1656 provocò nel regno di Napoli basta confrontare il numero degli abitanti relativi all’anno 1648 con quello dell’anno 1669; i dati di questi due anni sono pressoché sovrapponibili per ogni borgata Cilentana e delle altre regioni limitrofe.

Alcuni centri scomparvero, la maggioranza subì perdite umane così elevate che solo dopo 100 anni furono recuperate.

La peste a Sacco arrivò verso la fine di giugno del 1656. Non c’è documento che attesti l’inizio della epidemia, se non un richiamo di fine giugno, che interessa la parrocchia di Ognissan­ti di Laurino; grazie a questo documento si accetta come data di inizio del contagio nell’alta valle del Calore il primo luglio del 1656 51.

Le misure di salvaguardia emanate per regio decreto com­prendevano la quarantena dei forestieri nel lazzaretto, che a Sacco sorgeva (e sorge ancora, anche se radicalmente distrutto dalla ricostruzione del terremoto) in contrada S. Giovanni, la bruciatura degli indumenti.

Se il forestiero non ammalava, dopo 40 giorni si ammetteva nel paese.

A Sacco queste norme di squisita validità igienico­epidemiologica non furono osservate. Del resto è menzione che in un solo comune furono eseguite al puntiglio grazie alla meticolosità di un funzionario zelante quale si rilevò Gian Gola del Mercato di Perdifumo. A Perdifumo per la perspicacia del funzionario delegato dal locale feudatario si ebbero solo 78 morti, pari al 9% della popolazione.

Nella maggioranza dei borghi cilentani la mortalità fu del 60% e in pochi addirittura del 100%.

A Sacco fu la fine. Il censimento del 1648 conta 935 abitanti, mentre quello ricognitivo del 1669 appena 290. Morirono più di 600 persone, pari al 60% della popolazione. La vecchia chiesa non poteva contenere i morti, questi furono sepolti “fora la chiesa”; ancora oggi la via Cimitero e il Crocifisso di via Sottosanti ricordano la pietà dei sepolcri degli appestati, assieme al ritrovamento di ossa umane nel contiguo luogo denominato Gelso (Cieuzo).

Fu una desolazione.

Scomparvero intere famiglie.

Si visse nella attesa della morte.

 Ma la peste a Sacco fu l’inizio di uno splendore che mai prima di allora si era visto.

Il 2 agosto 1656 accadde qualcosa di straordinario: la mortalità nel paese cessa improvvisamente.

Non vi furono più i 20 morti giornalieri.

Si gridò al miracolo nel giorno in cui ricorreva la festività della Madonna degli Angeli. La tradizione vuole che sulla mano dell’immagine di Nostra Signora degli Angeli comparisse il lividore del bubbone maligno e che questo evento segnasse la fine dell’epidemia 52.

L’abate Pacichelli, rettore del convento del Carmine di Piaggine, scrisse negli anni successivi alla peste questa testimo­nianza sul Picciol castello del Sacco, armato del titolo di contea, si é renduto venerabile pei prodigi dispensati dall’imagine di Nostra Signora nella fiera peste di Napoli; concorrendovi migliaia di fedeli da varie parti del Regno, i quali con l’olio della Sua lampada si liberano o preservaron da’ danni del morbo epidemico “.

Giovan Battista Ferraro da S. Rufo l’8 settembre 1656 nella lettera al vescovo Tommaso Carafa scrive “...Il Signor Giovan Battista Bottiglieri da Salerno, mio parente, et anco Sérvitore de V.S. Ill. ma, riconosce la conservazione della sua salute e casa dal corrente contaggio, l’intercessione della Gloriosa Vergine madre di Dio del Sacco, detta degli Angioli  La gratia della salute sua e di sua casa la ricevé dopo l’untione dell’oglio di essa gloriosa Vergine, che mandò a posta a pigliare....”

La tradizione vuole che ogni anno nel 2 di agosto, in particolare, e anche in altri periodi dell’anno accorrevano folle di pellegrini a rendere omaggio alla Vergine degli Angeli.

Questo pellegrinaggio fu interrotto sotto l’arcipretura curata di don Dionisio Salomone sul finire del secolo scorso. I pellegrini venivano a sciogliere i voti davanti all’immagine della Madonna degli Angeli per aver ottenuto la guarigione.

    Il dottor Giovan Battista Bottiglieri donò 545 pecore alla cappella della Madonna degli Angeli, queste erano tenute al pascolo in Brienza e di lì furono condotte a Sacco attraverso i pascoli di S. Rufo per interressamento del Signor G. B. Ferraro da S. Rufo ADV 53.

Non solo questo, perché la Cappella ricevette in dono animali vaccini, monete, monili e vasellame. Nell’ottobre del 1656 si aveva il problema della custodia di tanti averi e regalie. Significativa è la lettera del parroco don Camillo Monaco al vescovo Tomaso Carafa dell’8 ottobre 1656 “Si é fatto l’inventario delli contanti quali sono in mio potere de oro et argento ducati settecento ottanta in circa et tricento sittanta roba de rama ... et anco sono inventariate tutte l’altre cose de oro, cioé cannacche, anelle et scoccaglie et altre cosette de argento et coralli, quali minutamente stando notati a libro. Resta da fare l’in ventario dell’altri mobili de lino et sete, quali io non vi ho voluto ponere mano ancora...-Io supplico V.S.I. afarnegratia de non farmici intricare ali negotii della detta Madre Santissima, non perché non averia lo zelo de farlo, ma perché (.) siamo venuti a termine che non possiamo agiutare la ragiuni della chiesa né tanti heredità lasciati sì alla detta Cappella come d’altri legati pii, che il S. Duca lui se ne impatronisce e dopo gi minaccia (...) lui mifaria levar la vita, gi lo aviso con segillo confessionis (…)”54.


Da questa lettera trapela l’ansia di don Camillo Monaco, che si vede custode di beni mai prima posseduti, ma più grave è la tracotanza dei feudatari, che proprio in quel periodo comincia­rono a sferrare contro la chiesa una accanita guerra per impossessarsi dei beni ecclesiali; la lotta veniva capeggiata da Carlo Calà il potente duca di Diano, presidente del Real Camera del Regno, e seguito dal altri baroni tra cui il duca di Sacco Francesco Villani55.

Fino al 1670 è descritto il movimento di compra-vendita dei capi di bestiame donati alla cappella della Madonna degli Angeli 56, segno delle rendite che la stessa possedeva per effetto delle donazioni.

La grande stalla, che sorge in contrada Acera, la Cappella diruta della stessa contrada insieme alle vasche antiche della fontana dell’Acera sono i reperti architettonico-archeologico di quello che fu realizzato per la custodia del bestiame. E’ tramandato dai nostri antenati che un sacerdote ogni domenica si recava nella cappella dell’Acera per celebrare la S. Messa.

La chiesa parrocchiale di Sacco si trovò in breve tempo ad amministrare una ricchezza immensa. Una affluenza senza precedenti di pellegrini invadeva le vie del paese accorrendo da ogni luogo per onorare la Regina degli Angeli. I nostri anziani ancora raccontano episodi risalenti a quel periodo, come quello che vuole la dipartita da un paese di Basilicata di un pellegrino, che veniva ad impetrare la guarigione per i suoi tanti mali; questi sfinito dal viaggio si accasciò esausto nei pressi di una fontana, desolato perché non poteva raggiungere per lo sfinimento mortale la Cappella della Madonna degli Angioli in Sacco.

Bevve dell’acqua della fonte, affinché questa fosse la sostitu­zione dell’unzione con l’olio della lampada, chiedendo perdono alla Vergine per l’impossibilità fisica di sciogliere il voto davanti alla Sua immagine.

Dopo un sonno profondo l’uomo si svegliò guarito. Aveva bevuto l’acqua alla fonte dell’Acera, di lì raggiunse il paese per cantare le lodi della Madonna.

La chiesa parrocchiale, in cui era presente la Cappella della Madonna degli Angeli non poteva contenere le folle dei pellegrini. Era indispensabile pensare a soluzioni adeguate. E’ quello che il clero sacchese fece nel 1756 dando inizio alla costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale.

La ricostruzione venne concepita dopo 100 anni dalla peste e deve intendersi come un solenne atto di ringraziamento.

La chiesa di Sacco fu realizzata con i soldi delle cappelle votive, in particolare di quella della Madonna degli Angeli, e con il lavoro spontaneo e gratuito di tutto il popolo. Il Duca Scipione Villani non contribuì alla realizzazione della chiesa se non per la costruzione della Cappella del Vangelo e della tomba di famiglia.

La costruzione della chiesa fu un evento popolare saggiamen­te guidato e finanziato da un clero intelligente. Le lapidi, che troneggiano sulla facciata della chiesa ricordano quello che accadde. La lapide di sinistra recita la seguente espressione, tradotta liberamente per meglio dare al lettore il senso autentico dalla volontà, che accomunava popolo e clero: Il popolo sacchese ricostrui nell’anno 1756 questo sacro tempio, dedicato a Dio Ottimo e Massimo e alla memoria del Beatissimo Silvestro, ricostruito sulla vecchia chiesa umida e poco accogliente, perché appena conteneva la frequenza dei fedeli e perché una volta ristrutturata concedesse più respiro al culto.

Mentre la lapide di destra, tradotta sempre liberamente per una migliore comprensione, dice: Tempio, opera recente, ristruttu­rato nell’anno 1760 grazie alle rendite della vecchia chiesa e delle Cappelle e per mezzo del lavoro del popoìo sacchese.

Le diverse date delle lapidi sono da riferirsi all’anno in cui si iniziò la ricostruzione e all’anno in cui presumibilmente se ne prevedeva la ultimazione.

Il popolo fu protagonista assoluto con il clero. Del resto l’unico modo per mettere al sicuro il patrimonio che la chiesa amministrava era quello di investirlo. Se la Cappella della Madonna degli Angeli possedeva molti beni già nell’ottobre del 1656, che davano non poche preoccupazioni a don Camillo Monaco, immaginarsi cosa erano diventate le offerte votive dopo un secolo di ininterrotti pellegrinaggi.

 La peste che tanto dolore aveva portato si era tramutata in una occasione di grande rinascita. Si rinvigorì il culto della Vergine, il popolo ritrovò incoraggiamento e guida nella fede. L’opera di ricostruzione fu senza tregua, ogni cittadino contribuì col proprio lavoro e chi non poteva prestare opera donava parte delle proprie sostanze.

Ancora oggi grazie ai sacrifici dei nostri Antenati ognuno di noi sente come sua questa stupenda opera di architettura, verso la quale è sempre poco il tempo che le si dedica sia sottoforma di frequenza liturgica che di interessamento per soddisfare le riparazioni della struttura e i restauri delle tante opere d’arte.
























vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.









vai su









Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del Webm@ster.