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Fonte:
“Il SUD Quotidiano” del 6/12/97


Il grandioso e modernissimo porto di Bari
fu una delle ultime grandi opere pubbliche del Regno delle Due Sicilie
di Luciano Gentile 


Il 13 maggio 1855 fu un giorno fondamentale per la vita e lo sviluppo della città di Bari. Infatti in quel giorno, con l’inaugurazione del nuovo porto voluto e reso possibile con grande lungimiranza e determinazione da Re Ferdinando II di Borbone, vennero rilanciate le antiche vocazioni mercantili e commerciali della città, che divenne il fulcro economico ed imprenditoriale dell’intera regione pugliese.
    Nella seconda metà del ‘700 Francia ed Inghilterra, disponendo di una notevole flotta mercantile, godevano di una posizione di monopolio nel commercio marittimo col Regno di Napoli. Ciò era la conseguenza del malgoverno dei viceré spagnoli, della mancanza di una efficiente flotta e di un valido sistema portuale.
    Carlo III aveva ereditato i regni di Napoli e di Sicilia in condizioni disastrose, per cui decise di intraprendere una serie di riforme miranti soprattutto al rilancio dell’economia dello Stato, ed emanò provvedimenti tesi al recupero dei porti perché fossero incrementati anche i commerci ad opera dell’emergente ceto mercantile, che si avviò a sostituire l’antica nobiltà agraria nella guida amministrativa ed economica delle città.
    Con lungimiranza questa nuova borghesia vide il futuro economico proprio negli scambi commerciali, e comprese quindi l’importanza di avere grandi ed efficienti porti, insieme ad una potente flotta.
    Nel secondo periodo borbonico, infatti, dopo la restaurazione ed il reinserimento sul trono napoletano di Ferdinando IV furono emanate validissime leggi di navigazione, tra il 1815 ed il 1826, con il preciso scopo di favorire la ripresa economica ed il miglioramento della bilancia commerciale del Regno nei confronti di Francia ed Inghilterra.
    L’abbattimento dei dazi doganali deciso da Ferdinando arrecò inoltre notevolissimi benefici alle esportazioni, e permise enormi recuperi di competitività sui mercati europei nei confronti di merci provenienti da Grecia ed Africa.
    Al tempo era fondamentale per l’economia di tutto il Regno il commercio dei prodotti agricoli, in particolare dell’olio prodotto particolarmente nelle masserie dell’entroterra; gradualmente il commercio di questo prezioso alimento venne accentrato nella città di Bari, e da lì smistato verso i mercati del nord Europa.
    La nuova borghesia quindi, che si arricchiva proprio con il commercio e le esportazioni dei prodotti agricoli, prevalentemente olio, mandorle e grano, si specializzò nei traffici via mare.
    Con grande intraprendenza, la nuova classe dei “negozianti d’olio per mare” vide il futuro economico della provincia barese proprio negli scambi commerciali fra le zone di produzione agricola ed i mercati di consumo. Legati alla marina mercantile ed in molti casi provenienti da famiglie marinare, con esperienza e competenze commerciali notevoli, i negozianti d’olio conoscevano bene i mercati dell’alto Adriatico e riuscirono a costruire, attraverso i loro contatti e conoscenze, rapporti proficui con quelle popolazioni.
    Si assistette così ad un’intensificarsi di iniziative, che videro i commercianti baresi grandi protagonisti poiché riuscirono a controllare tutto il commercio di olio della provincia, che veniva conservato nei depositi della città.
    Attraverso tale espansione economica ed imprenditoriale giunsero a controllare l’intera flotta mercantile, costruendo o acquistando direttamente navi affidate poi al comando di familiari ed amici, o comunque di persone della massima fiducia e ben introdotte sulle piazze dell’alto Adriatico.
    Fra il 1840 ed il 1855, dopo la costruzione, dopo la costruzione della Camera di Commercio e della Scuola Navale, la prima in Adriatico, l’esigenza di poter usufruire di un nuovo porto con fondali profondi per consentire l’attracco di grandi mercantili si fece pressante.
    Già nel 1819 l’ingegnere Giuliani de Fazio aveva avanzato una proposta di ampliamento del vecchio e piccolo porto esistente. Questa proposta fu subito bocciata però dagli stessi mercanti, perché non rispondente alle loro necessità che li obbligavano a dipendere dal porto di Trieste, ove erano costretti ad accettare condizioni spesso svantaggiose.
    L’idea per risolvere il problema consisteva nella costruzione di un grande porto, ex novo, ad occidente della città, su fondali profondi, che avrebbe permesso la nascita di una nuova società commerciale di navigazione.
    Questa, utilizzando i bastimenti a vapore, avrebbe incrementato il commercio estero e favorito soprattutto gli scambi con la Francia.
   La bontà di tale progetto si verificherà, purtroppo, solo dopo la conquista del Regno delle Due Sicilie quando, nel 1876, nacque la “Prima Compagnia Barese di Navigazione a Vapore”, seguita subito dopo dalla “Società di Navigazione a Vapore Puglia”.
    Tra il 1830 ed il 1840, dunque, vari altri progetti per la realizzazione del porto furono presentati: uno ancora ad opera dell’Ispettore de Fazio, accantonato a causa dei lunghi tempi di realizzazione e degli eccessivi costi, ed un secondo ad opera dell’architetto Ercole Lauria, che prevedeva la realizzazione del nuovo scalo in 8 anni e con un preventivo di spesa quasi dimezzato rispetto al concorrente.
    Quest’ultimo fu alla fine approvato da parte del Consiglio di Stato nel 1847. Quando però nel 1851 giunse a Bari il generale Carrascosa, Ministro dei Lavori Pubblici, si rese conto che difficilmente anche questo progetto sarebbe stato realizzato, ed intervenne il Sovrano in persona per sbloccare la situazione.
    Ferdinando II, con Sovrana Risoluzione del 20/1/1851, commissionò agli ingegneri Bruno e Petrilli un ennesimo progetto del porto, e l’Ingegnere Direttore di Acque e Strade Don Luigi Giordano provvide ad elaborarne il grafico definitivo, ubicandolo ad occidente di Bari.
    Approvato dal Re, l’appalto dei lavori fu assegnato alla ditta “Lembo e Ma succi”, con contratto del 16/5/1854 depositato presso lo studio del notaio Gaetano Calvani.
    L’anno seguente, alle 10 del mattino del 13 maggio, ebbe luogo il rito della benedizione e alla posa in opera della prima pietra del nuovo e modernissimo porto di Bari, alla presenza dell’Intendente della Provincia marchese Ajossa, e dedicandolo al Santo protettore della città “San Nicolò il Magno”.
    Lungo le mura della città vecchia furono innalzate sei grandi tribune addobbate a festa con drappi di colore bianco e rosso, decorati di gigli e fiori, di rosoni dorati e di festoni; al centro, ben visibili, erano collocati i busti di Ferdinando II e di Maria Teresa d’Asburgo. A sinistra le bande musicali.
    Anche la strada era addobbata a festa, con drappi, festoni e trofei.
  Tutte le autorità religiose e civili presero posto, insieme alle alte cariche della magistratura, i deputati del porto, gli ingegneri nonché gli impiegati tutti del Reale Governo, e si unirono sui palchi ai rappresentanti della classe dei mercanti, ai signori ed alle dame più in vista della città.
    Nel mare era un brulicare di barche, di scafi mercantili e natanti di ogni genere, gremiti di popolo festante; le bianche bandiere borboniche garrivano al vento. Il lido, i muri di cinta, i balconi e le terrazze delle case erano gremiti di gente festante e gioiosa.
    Finalmente il reverendo Basilio Clary benedisse il primo blocco marmoreo da calare in mare dove era stata inserita una medaglia con l’effigie di Ferdinando II, che aveva patrocinato con ferma volontà gli studi del progetto ed il reperimento dei fondi necessari alla sua realizzazione.
    Il rombo dei cannoni, il suono delle bande musicali, lo scampanìo festoso delle chiese, il lancio di palloncini, l’agitare frenetico di fazzoletti bianchi accompagnarono grida di gioia e lacrime di commozione del popolo barese che, a gran voce, levava al cielo il grido di Viva il Re, Viva Ferdinando II!
    Al rito sacro seguì l’offerta di rinfreschi, dolci e pastiglie di zucchero con lo stemma reale. La pioggia battente non permise lo spettacolo delle luminarie e dei fuochi d’artificio.
    La sera infine, autorità ed invitati raggiunsero il Teatro Piccinni, il nuovo teatro costruito su disegno dello stesso ingegnere Giordano. Un triplice ordine di ceri lo illuminava a giorno e ne esaltava la sfavillante bellezza, che lo elevava al terzo posto tra i teatri dell’Italia intera.
    La rappresentazione dell’opera “Il Lionello” di Verdi ed un nuovo ballo, “Il Sogno”, allietarono degnamente quella memorabile giornata di festa e di letizia che rimase scolpita indelebilmente nel cuore del popolo barese, e fu tramandata per generazioni.
    I finanziamenti necessari alla gigantesca opera furono reperiti attraverso l’autotassazione cui i commercianti oleari si sottoposero spontaneamente ed assai volentieri; il Comune e la Provincia contribuirono con la somma rispettivamente di 4000 e 6000 ducati annui, ai quali il Sovrano aggiunse 3000 ducati concessi in prestito.
    Inizialmente il progetto prevedeva la realizzazione di due moli fra il Capo del Liceo e quello di San Cataldo, ad occidente della città, il primo per la lunghezza di circa 106 metri (400 palmi), mentre il secondo sarebbe stato costruito ad una distanza di circa 64 metri (240 palmi) dal primo. Tale progetto subì notevoli modificazioni in corso d’opera a cura dello stesso ingegnere Giordano, che provvide a congiungere i due moli separati con una curva di raccordo.
    Per la costruzione del porto vennero importati da Venezia moltissimi larici, mentre per la pavimentazione fu utilizzata la pietra lavica, tuttora esistente di colore scuro, denominata “pozzolana”, fatta arrivare da Bacoli con apposite navi.
    Nel 1856 i negozianti ed i marinai baresi donarono all’erigendo porto una statua a mezzo busto di San Nicola, il cosiddetto San Nicola Nero, proveniente dall’antica chiesa di San Pietro delle Fosse. Il signor Vito Pancrazio, uno degli appaltatori dei lavori, in un’apposita lettera all’Intendente della Provincia cavalier Mandarini chiese il permesso di allocare sul molo di levante la statua del protettore di Bari San Nicolò.
    Nel 1857 l’appalto dei lavori fu trasferito a Giuseppe, Agostino e Vincenzo Beltrani.
    I baresi, in riconoscenza verso il sovrano, gli dedicarono la più importante strada cittadina, il corso Ferdinandeo, oggi conosciuto come corso Vittorio Emanuele II.
    L’intendente Mandarini, leggendo nel 1858 il discorso inaugurale del Regio Banco delle Puglie, aveva avanzato la proposta affinché i cittadini baresi innalzassero una statua in onore del Re, da collocarsi in corso Ferdinandeo, idea ripresa dal sindaco Giuseppe Capriati nel 1859 quando si era diffusa la notizia della imminente visita a Bari della famiglia Reale in occasione del matrimonio del principe ereditario Francesco con la duchessa Maria Sofia di Baviera.
    Incaricati dell’esecuzione della statua marmorea furono gli scultori Tito Angelini, Gennaro De Crescenzio, Giuseppe Sorbillo ed Emanuele Caggiano. Tale progetto non fu comunque portato a termine, a causa dell’occupazione militare del Regno delle Due Sicilie.
    Alla fine del 1865 il ministro dei LL.PP di casa Savoia dispose il definitivo completamento del molo del porto, prolungandolo di altri 200 metri e ripiegando per 450 metri verso la punta di S. Cataldo, con un angolo di 140 gradi.
    Questi lavori, affidati in un primo momento ai pugliesi d’Atri, Sartori e Maraini, furono trasferiti successivamente alla ditta Geisser di Torino e quindi all’ingegner Casimiro Dini (!), iniziando anche in questo l’opera di colonizzazione decisa con la conquista del Regno.

Da “Il SUD Quotidiano” del 6/12/97







 

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