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Fonte:
in comune - mensile dei dipendenti del Comune di Roma - luglio - agosto 2004 - pag. 42-43

STORIE ROMANE 

Fotografie dalla città eterna

di Luigi Stanziani

Tra la fine del 1839 e l'inizio del '40 si diffuse in  Italia la tecnica dagherrotipica, inventata dal  pittore parigino Louis Jacques Mandé  Daguerre, mentre la calotipia (altra tecnica, meno  precisa ma che permetteva di fare più copie) arrivò  qualche anno dopo, per problemi di brevetto. 

Probabilmente il primo romano a occuparsi di fotografia  fu Gioacchino Belli che annotò sul suo diario  la nuova invenzione facendo anche una certa confusione  tra i due metodi di riproduzione. 

Il fotografo romano Lorenzo Suscipj è ricordato come  l'autore della più antica foto panoramica realizzata in  Italia: otto grandi dagherrotipi (30 x 35), scattati nel  1841 a Roma dall'alto della chiesa di S. Pietro in  Montorio e conservata attualmente al Museo della  Scienza di Londra.

Tra le altre fotografie di questi  primi anni, famosa è la panoramica dell'assedio della  Roma repubblicana da parte dei francesi nel 1849,  attribuita a S. Lecchi (considerato quindi il primo  fotografo di guerra).

Sulla foto sono stati dipinti i  vari personaggi della battaglia, tra cui Ciceruacchio,  impossibili da riprendere fotograficamente dati i  lunghi tempi di esposizione necessari. Il primo club  fotografico italiano nacque negli anni '40, col nome  di "Scuola romana di fotografia", tra i tavolini dell'antico  "Caffè Greco" ritrovo degli artisti dell'epoca. 

Intanto calavano a frotte gli intraprendenti fotografi  francesi, attratti sia dalle opere da riprodurre, sia  dalla luce italiana, perfetta per la fotografia. Tra questi  un tale Perraud, che aprì uno studio nel 1845.

Ecco  un suo avviso pubblicitario  datato 29 Gennaio  1846: “a scudo uno, il  ritratto al dagherrotype,  fatto in pochi minuti  secondi da Perraud in via  dei Pontefici n. 50 primo  piano in fondo al corridore  a mano sinistra presso  Correa oggi mausoleo di  Augusto. Non domandare  di Perraud al pianterreno  per motivi da dedursi.” 

Evidentemente c'era  un altro fotografo al  piano terra, da cui si  intuisce che la concorrenza  era già accanita. I rapidi  progressi della tecnica dagherrotipica si rilevano  dai pochi minuti richiesti (e vantati) per il tempo di  posa: già nel 1845 bastavano "appena" dieci minuti,  grazie anche alle cosiddette materie acceleranti che  evitavano le lunghe sedute di posa sotto il sole.

Lo  stesso Perraud vendeva un liquore di sua produzione,  composto di diverse e naturalmente segrete,  sostanze acceleranti: con due scudi si acquistava una  bottiglia di liquore garantito per 5000 ritratti. 

I fotografi romani avevano tutti lo studio nell'area  del Tridente, il quartiere borghese e degli stranieri. I  giovani rampolli in viaggio per il Gran Tour al pari  dei ricchi mercanti o pellegrini si facevano ritrarre  nel formato cartolina sullo sfondo di monumenti e  acquedotti per farnr un’originale carta da visita.

La  moda si diffuse a tal punto che perfino Gaetano  Moroni, barbiere di Gregorio XVI, ne parla nella suo  monumentale Dizionario di erudizione. Ma prima  ancora dei ritratti, a Roma c'erano i monumenti, le  vedute, i costumi da riprodurre e divulgare; così la  nuova arte invase il campo che per secoli era stato  del pennello e del bulino da incisore. 

Roma, in particolare, divenne la scena naturale, il  modello ideale, il dichiarato oggetto del desiderio  per i tanti seguaci della nuova tecnica miracolosa: le  rovine romane diventano scenari teatrali di tante  vedute senza attori (siamo ancora lontani dall'istantanea  che permette di fermare le immagini delle persone). 

In questo periodo nasce la fotografia archeologica  per permettere la indispensabile comparazione  per lo studio delle antichità.  I primi fotografi locali saranno gli incisori, in particolare quelli vedutisti, di cui Roma vantava una  grande tradizione, già padroni dei soggetti da ritrarre;  infatti le fotografie romane riprendono gli antichi  temi della veduta di genere, con scene di pastori  ambientate tra le rovine del foro romano o addirittura,  con l'arrivo delle nuove tecniche composite, si  creeranno fotomontaggi che riuniscono i monumenti  più famosi.

Le più antiche foto databili di un romano,  sono del pittore Giacomo Caneva (appassionato  anche di aereonautica, come Nadar e altri fotografi,  coincidenza forse non casuale), con studio in Via del  Babuino: la sua "Tempio di Vesta " è del 1847.

Nell'  Elenco Generale degli oggetti spediti dal Governo  Pontificio all'Esposizione Internazionale di Londra  del 1862, i fotografi comparivano insieme agli incisori,  e presentavano lo stesso tipo di materiale: vedute  di antichità, riproduzioni di dipinti, ecc. 

Tra i più importanti professionisti romani va senz'altro  ricordato Don Antonio d'Alessandri il quale, di  ritorno da un viaggio a Parigi, nel 1852 portò a  Roma, insieme all'ultimo modello di macchina fotografica,  anche la nuova tecnica del collodio, la fotografia  su vetro.

Il sacerdote si era appassionato  immediatamente alla fotografia, ma dovette chiedere  il permesso ai suoi superiori, che lo autorizzarono  purché non indossasse l'abito talare durante il lavoro. 

Impiantò un gabinetto fotografico sulla terrazza  di un palazzo, per avere la massima illuminazione,  ma ben presto si trasferì al Corso in uno studio  acquistato con i proventi del suo lavoro.

Di lui si ha  un autoritratto del 1858, colorato a mano, come spesso  si usava all'epoca. La sua posizione di sacerdote  gli permise di ottenere l'esclusiva (allora si diceva  privativa) dei ritratti di Pio IX, della corte pontificia  e dei Borboni.

Questo monopolio delle immagini se  da un lato lo arricchì, lo coinvolse anche in uno spiacevole  e incredibile avvenimento. Intanto il proliferare  di studi fotografici aveva messo in allarme il  Governo Pontificio che li avversò con il pretesto di  provvedere perché “Niun danno provenga all'onestà  dei costumi”.

Il 28 Novembre 1861 il Cardinal  Vicario Costantino Patrizi firma il primo atto legislativo  al mondo per regolamentare l'attività fotografica  professionale.

Nonostante questo controllo nel  febbraio 1862 circolarono improvvisamente e contemporaneamente  a Roma, Napoli, Torino, Vienna e  Monaco varie fotografie della bellissima regina  Maria Sofia di Borbone in atteggiamenti pornografici. 

Il volto della regina, acquistato in varie copie nello  studio d'Alessandri era stato applicato e rifotografato  con grande cura, sul corpo nudo di una giovane  scuffiara lavorante in una fabbrica di cappelli a via  del Pozzo delle Cornacchie, somigliante vagamente  alla regina, la quale aveva accettato per la notevole  somma di cento scudi, di posare in atteggiamenti  equivoci.

La polizia pontificia individuò immediatamente  gli autori del grave delitto nei coniugi fotografi  Antonio e Costanza Diotallevi, i quali dichiararono  di aver agito per conto del Comitato Nazionale  o Partito Piemontese, che vedeva nella regina colei  che tramava per riavere il suo regno, finanziando il  brigantaggio del Sud Italia. 

Al processo, di cui si conservano gli atti, don  Alessandri riuscì a dimostrare la sua estraneità e a  continuare tranquillamente la sua attività. 

Sono sue anche le rarissime foto della battaglia di  Mentana, che comportarono anche notevoli rischi  personali, dovendo preparare sul posto, le lastre al  collodio umido e portarle velocemente, tra due fogli  di carta assorbente bagnata, al punto di posa. 

D'Alessandri è indicato anche come l'autore delle  foto della Breccia di Porta Pia su incarico del generale  Raffaele Cadorna, un'ora dopo che vi erano passati  i bersaglieri. 

Esprimo su questo attribuzione i miei personali  dubbi, visto lo stato sacerdotale del fotografo e la critica  situazione che si creò a Roma tra il papato e gli  occupanti italiani. Inoltre è quasi certo che la famosa  istantanea fu scattata … il giorno dopo. 

Quasi tutti i fotografi avevano origini casuali e a  volte curiose, come i fratelli Lais con studio a Campo  Marzio, uno pittore e l'altro cuoco del Principe di  Piombino; Gustavo Chaufforier, tra i primi fotografi  ad arrivare a Roma dopo l'unità, aveva girato  l'Europa come fotografo da baraccone per vari anni. 

Una guida di Roma del 1862 riporta l'elenco dei fotografi  d'arte più noti: Tommaso Cuccioni in via  Condotti 18, l'inglese Macpherson a vicolo Alibert  12, Dovizzelli in via del Babuino 136 (conosciuto  soprattutto per le sue ottime riproduzioni degli affreschi  di Raffaello alla Farnesina), Ferrando in via  Bocca di Leone, Suscipj al 182 del Corso e  d'Alessandri, definito " The first in Rome. " 

I prezzi praticati a Roma variavano a seconda del  taglio delle foto: da due paoli a uno scudo per i pezzi  di grande formato; le vedute di Cuccioni formate da  più fotogrammi congiunti costavano anche dieci  scudi. Giacomo Anderson, già editore di opere d'arte,  forniva vedute fotografiche di Roma e dintorni,  nella sua libreria Piale a piazza di Spagna. 






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