Il linguista americano Noam Chomsky afferma che l’unica differenza tra lingue e dialetti è che le prime hanno istituzioni reali che le tutelano, mentre i secondi sopravvivono nella palude della condizione coloniale.
L’etnopsichiatra africano Franz Fanon ci ha insegnato che il
dominio coloniale sconnette in modo spettacolare l’esistenza del
popolo colonizzato, ne nega la patria-matria e produce ogni sforzo per
indurre il colonizzato a confessare l’inferiorità della
propria cultura trasformata in comportamenti istintivi e barbarici...
A guardare in questa doppia luce la realtà dei Siciliani, specie
delle classi medie e acculturate, mi viene da pensare a quei neri che
fanno “terapie sbiancanti” e a quel maestro che fu Albert
Memmi quando scriveva che il moderno colonialismo ci svuota
materialmente ma anche spiritualmente, falsando e corrompendo i
rapporti umani.
Lo Spettacolo neocoloniale ipnotizza gli abitanti di Sicilia, ne
perverte i valori, ne devia l’evoluzione spirituale, svuotandone
l’Anima. C’è qui un Popolo incapace, in quanto tale,
di darsi propri giornali, tv, scuole, partiti, sindacati,
soggettività e rappresentanza internazionale in un’epoca
in cui se non hai questi strumenti non esisti: dunque un Popolo in via
di estinzione, il cui ultimo baluardo, la famiglia clanica come
comunità di r/esistenza, che era sopravvissuta perfino a tre
ondate migratorie di massa, sta per essere travolto dalla rottura
totale tra le generazioni, rallentata solo nel quadro di un familismo
tendenzialmente “amorale”.
La Sicilia è pedina geopolitica dell’Impero e colonia del
Sistema Italia. Ma questo “Spettacolo” non sarebbe
possibile senza il consenso costruito da collaudate agenzie di
mediazione che fanno capo a un pugno di Logge massoniche e
paramassoniche -le quali telecomandano un ceto politico e
amministrativo ascarizzato e spaventosamente incolto- mentre
alimentano, ora per convinzione, ora per convenienza, la strutturazione
di un senso comune predisposto all’automutilazione culturale.
La distruzione della Patria Siciliana è un delitto perfetto: il
Popolo Siciliano, per dirla col grande poeta Micio Tempio, è
futtutu cca so stissa minkia, ed affonda nella palude della perdita del
sè, mentre a difisa da libbirtà ri sprixioni, lungi
dall’essere un optional, coincide con una esigenza vitale e
cosmica, col diritto all’Identità radicata in una Terra, a
partire dalla Coscienza linguistica, chè “il parlare un
linguaggio è parte di una forma di vita” (Wittgenstein):
altro che mezzora di “dialetto a scuola”!. Le Lingue, i
“relitti dialettali”, i suoni raccolti sulle antiche Vie
dei Canti, custodiscono il respiro dei Grandi Antichi, il thymos che
viaggia silenzioso nelle vene della Storia e anima la Psiche dei
Popoli.
E la Memoria ci serve a Essere, oltre l’avere e l’apparire
dello Spettacolo quotidiano di cui siamo poco piú che comparse:
quando facciamo la spesa, quando votiamo, quando facciamo benzina,
quando andiamo a scuola, quando guardiamo la tv...
Torniamo alla nostra metafora (chè di questo si tratta). Sebbene
la Lingua Siciliana non sia mai stata una lingua del Potere, ha sempre
avuto un proprio ambito nel quale godeva del prestigio conferitogli
dall’uso corrente: e non solo nella sfera privata. Essa si
è adattata, per sopravvivere, alle dominazioni, quanto le genti
che la parlavano: ciò accade da millenni. Da questo punto di
vista le cose non sono cambiate se non in peggio: perchè
l’ultima dominazione impone il suo Spettacolo in forme pervasive
e totalitarie: nella Storia non è mai esistito nulla di simile.
Per questa ragione una Lingua non può piú sopravvivere
senza la tutela di istituzioni reali.
In mezzo secolo, l’ARS, la parodia del “piú antico parlamento del Mondo”, si è occupata di Lingua Siciliana solo una volta, il 6 maggio del 1981, per approvare la leggina n.85, G.U.R.S., parte I, n.23 del 9/5/1981) che la degrada ufficialmente a “il dialetto” e la relega tra le “attività integrative e facoltative delle scuole della Regione” legalizzando, in nome della...”Autonomia”, le patologie della diglossia.
Ma il peggio è che neanche questa leggina stitica ha trovato una
decente applicazione, mentre il Siciliano è stato ignorato
perfino nella recente positiva Legge di Tutela delle Lingue minoritarie
dello Stato Italiano (nel novembre 1999, a Roma, non si trovò un
deputato sicilianoide che avesse nulla da dire, nè ridire!).
Leggo ora su “La Sicilia” dell’8-9-2001 una pagina
dedicata alla (presunta) introduzione dello studio del
“dialetto” nelle scuole dell’Isola, finanziato con la
miseria di 500 milioni (per capirci: 500 milioni per una Regione che
spende 26.000 miliardi all’anno sono come 50 lire nelle nostre
tasche!)... Quanti progetti scolastici di promozione del
“dialetto siciliano” si finanziano con 500 milioni
all’anno sapendo che un progetto standard fruisce di un tetto di
spesa di lire 5 milioni? 100 progettini (su migliaia e migliaia di
istituti!) coi quali non si “promuove” altro che qualche
piccola “integrazione” a stipendi notoriamente tra i
piú bassi d’Europa: quelli degli insegnanti.
Lo Spettacolo neocoloniale sta trasformando la tragedia dello
sradicamento di una cultura millenaria in una farsa davanti alla quale
resta una sola cosa sensata da fare: la Cultura dell’Amore per la
Patria Siciliana, per vivere nella luce, deve costruire centri di
produzione e canali di diffusione autonomi. Senza rinunciare al dialogo
a 360°, ma contando prima di tutto sui propri mezzi.
Non esiste, zeitgeist, alcuna autentica forza mentale intorno al tema
dell’Identità radicata e aperta: un cordone sanitario di
sofismi, costruito in decenni (e secoli), rende inutile ogni impegno il
cui successo dovesse essere misurato col bilancino del “consenso
di massa”. Ma da questa considerazione non ne consegue il
disimpegno, quanto una concezione piú realistica e concreta
dell’Azione.
L’avvio del progetto “Libera Università della Patria
Siciliana” è un piccolo esempio in questa direzione.
Se poi la “politica regionale” vuole realmente occuparsi, per esempio, della nostra Lingua agonizzante: che lo faccia in Parlamento e non sui giornali. Ne sono capaci?
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