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Fonte:
“…PERCORRENDO I LUOGHI DELLA MEMORIA…” -  Convegno Internazionale - Schio 11-12-13 Ottobre 2002

MEMORIA E IDENTITÀ. MATRIA E PATRIA OVVERO LA RI-SCOPERTA DELLA PROPRIA STORIA. LA GRANDE GUERRA E NOI.

di Antonio Cassuti

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8. Identità e Guerra


8.1. Parlare di identità oggi è per molti versi scontato e quasi banale. Ma è anche ripercorrere drammi infiniti che non sembrano arrestarsi mai. Bisognerebbe allora addentrarci sulla buona identità e sulla cattiva identità. Appare più facile, forse, parlare della cattiva identità visti i risultati: dalla ex-Jugoslavia, all’Europa caucasica, all’Asia, all’Africa, dove le etnie, il tribalismo, le patrie confliggono in nome, per l’appunto, di una esasperata esaltazione della propria specificità.


8.2. Ma per noi, per noi almeno, uomini e donne dell’Europa centrale, per noi che viviamo in piena coscienza l’urto della globalizzazione e del forte richiamo ad una presunta universalizzazione dei valori (e quindi ad una omologazione identitaria fondata su un meticciato culturale ritenuto inevitabile), non possiamo fare a meno di ribadire che senza una forte affermazione della propria identità, come fenomeno dialogico e perciò espansivo e comprensivo ad un tempo, non è praticabile un progetto comune tra le genti europee.


Noi siamo contro il cattivo meticciato culturale e la universalizzazione, presunta, dei valori: qui siamo sul piano dell’ideologismo e dell’evasione. Amare la propria terra e le proprie radici, ancorarsi alle proprie tradizioni, all’amore per la propria gente, non è solo un antidoto alla pressante invasione omologatrice dei media, ma una riscoperta autentica dei valori dell’uomo, solo semplicemente questo.


8.3. Ritorniamo alla domanda postaci in precedenza a conforto di una memoria vera, autentica. Cosa sentivano e cosa pensavano gli uomini in guerra sui nostri monti?


Laceri, stanchi, presi un poco anche dall’amor patrio desideravano ritornare rapidamente alla loro terra natia, alla loro matria, alla loro Heimat. Lì avevano le loro  mogli, le loro fidanzate, i loro figli, i loro amici; lì conciliavano il loro bisogno di vivere in armonia con  l’ambiente d’origine. La terra natia, la matria viene prima della patria .


La madre precede il padre e dà al figlio la sua impronta, la sua protezione. Nella terra natia si vive con naturalezza la propria vita comunitaria e ci si sente cittadini davvero: perché si conosce e si è conosciuti, perché si sa che si può aiutare l’altro e si viene aiutati. La patria viene dopo. E battersi e addirittura morire per la patria non è cosa naturale davvero.


La propaganda di guerra, ben sappiamo, dipinge il nemico in termini diabolici al fine di suscitare in chi combatte sentimenti di ostilità, e di odio. Molte volte anche la causa giusta, la “guerra giusta”, viene sacrificata sull’altare del pregiudizio etnico. Nella terra natia prevale la morale , cioè la volontà liberamente espressa di vivere e collaborare con gli altri; nella patria prevale sovente l’etica, cioè un comportamento determinato da norme astratte ed eteronome.


Chi combatteva, trovava nel desiderio talora irrefrenabile di “ritornare a casa”,  la vera motivazione per “restare ancora al fronte”. E chi mai potrebbe dire il contrario?


Pensiamo a quanto espresso da E. Reitz nel ciclo filmico Heimat e la figura di Paul Simon, protagonista della parte iniziale del racconto di Reitz, quando il nostro giovane soldato tedesco rientra nel suo villaggio dopo quattro anni di guerra e “gode in silenzio” dei genitori, dei parenti e degli amici. Pensiamo a S. Kubrick ed al drammatico episodio raccontato in Orizzonti di gloria , quando il giovane soldato francese destinato - ingiustamente - al plotone di esecuzione parla con uno scarafaggio e dice: «Pensa… hai maggiori probabilità di me di vedere mia madre!». Insomma la memoria della guerra non può prescindere, mi ripeto, dal vero volto, dai veri sentimenti di chi ha vissuto il dramma. Il resto sa, talora, di evasione e di giustificazionismo storico.


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