«Il Piemonte - con la sua rete di funzionari, portaborse e burocrati onnivori - lasciò il Meridione conquistato, avvilito, depresso e derubato di ogni avere. Con la scusa dell'unità d'Italia rubarono tutto.
E dove non riuscirono a battere moneta secondo
i loro desideri, per insipienza e imbecillità distrussero le
attività economiche che, nonostante tutto, funzionavano».
È la tesi sostenuta nell'ennesimo pamphlettone
antirisorgimentale, Maledetti Savoia di Lorenzo Del Boca (Edizioni
Piemme Pocket, 287 pagine, 14 mila lire). Stando all'autore,
l'unità italiana è stata opera di lestofanti, di corrotti
e, nel migliore dei casi, di «onesti babbei», come
Garibaldi.
Dei «padri della patria» non v'è alcuno
che si salvi: non Vittorio Emanuele II - altro che «re
galantuomo»: fu uno zotico, puzzone, dilapidatore di denaro
pubblico! -; non Cavour, esperto di conflitto di interessi; non Mazzini
- «l'asceta incorruttibile, tutto casa, massoneria e Giovine
Italia», coinvolto, con Adriano Lemmi, in un brutto giro di
concessioni ferroviarie; non il cassiere dei Mille, Agostino Bertani -
che, al termine della spedizione, si ritrovò con una fortuna di
14 milioni di lire.
E almeno i piemontesi e i loro complici si fossero
limitati a rubare! Macché, il loro zelo patriottico e
«unionista» li portò a repressioni sanguinose e
terroristiche ai danni di chi non voleva essere «liberato»:
Hitler non ha inventato nulla.
Per giunta, i sabaudi non conquistavano
i territori sui campi di battaglia ma con le armi della corruzione e
delle alcove.
L'annessione del Sud sarebbe stata resa possibile solo
dai soldi raccolti dalla massoneria inglese per comprare funzionari e
generali borbonici e indurli a non sparare un colpo contro un esercito
raccogliticcio di mille straccioni male armati.
Certo, nel quadro c'è del vero ma provi il Del Boca a
immaginarsi un tentativo analogo di comprare il Belgio o altra
società civile moderna e strutturata, con un regime politico
legittimato da un'opinione pubblica vigile e colta!...
Lui stesso dopo
aver definito l'esercito borbonico «fra i migliori e meglio
preparati» del tempo, avalla poi il parere di chi fa risalire al
congedo dei reggimenti svizzeri le sue «condizioni
disastrose». Se i promotori dell'unità italiana furono
davvero quelli che ci dipinge Del Boca (in accordo con
l'antirisorgimentalismo reazionario: da Alianello alla Pellicciari), ci
si chiede, con Rosario Romeo, «come poi accada che in presenza di
tante forze tese soltanto a respingerlo indietro il Paese abbia invece
progredito». «Virtù, verrebbe fatto di credere -
rispondeva ironicamente Romeo - del sistema capitalistico e borghese,
che progredisce a dispetto del malvolere e della volontà retriva
di tutti i suoi esponenti...».
Felice La Rocca, L'eredità perduta. Aldo Moro e la crisi
italiana, Rubbettino, 206 pagine, 20 mila lire
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