Sto seguendo il dibattito sui Borbone e il Mezzogiorno attraverso le lettere pubblicate nella sua pagina sul Corriere e alcune sue risposte.
Mi sembra assodato che il Regno delle Due Sicilie fosse migliore di come ci è stato descritto dopo il 1861, cioè dopo l'unità d'Italia. Ma non credo che si possa sostenere, come qualcuno ha scritto, che i piemontesi ebbero un "animus" razzista o di discriminazione nei confronti delle popolazioni meridionali.
Faccio queste affermazioni, pur ricordando quella lettera da Napoli
(da lei citata in un suo libro) di Luigi Carlo Farini a Cavour: "Che
barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini a
riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile".
Claudio Lanza, Torino
Caro signor Lanza,
anch'io non credo che si possa parlare di "animus razzista" dei
piemontesi o più in generale dei settentrionali nei confronti
del Meridione a metà Ottocento. Però ci sono le prove,
queste sì, di un forte e radicato pregiudizio negativo. Paolo
Macry, uno tra i migliori storici italiani della generazione dei
cinquantenni, ha studiato il fenomeno e ha tratto la conclusione che "a
ridosso del 1860 ha preso forma un'immagine patologica dei Sud".
Proprio così: "un'immagine patologica".
E la prova non è solo in quella lettera di Farini,
luogotenente di Vittorio Emanuele II a Napoli, che lei ha citato. In
un'altra lettera, stavolta a Minghetti, lo stesso Farini
scriverà: "Napoli è tutto, la provincia non ha popoli ma
mandrie".
Quanto al paragone con l'Africa, è destinato a tornare
infinite volte. Scrive la Gazzetta di Torino nel '61: "Per la gran
parte di noi l'Italia è un po' come l'Africa per i geografi: ne
conosciamo i confini ma poi se vogliamo spingere un po' più in
là l'occhio e il pensiero, ci troviamo innanzi ? come i geografi
nell'Africa ? le terre ignote".
Nino Bixio: "In questo Paese i nemici o gli avversari si uccidono, ma
non basta uccidere il nemico, bisogna straziarlo, bruciarlo vivo a
fuoco lento... è un Paese che bisognerebbe distruggere o almeno
spopolare e mandarli in Africa a farsi civili".
Giuseppe Bandi ne "I mille" scrisse che persino la lingua dei
siciliani era "africanissima".
Quintino Sella dirà che "tenuissimi sono i vincoli d'affetto
che legano l'Italia settentrionale alla meridionale". Diomede
Pantaleoni diceva che "la civiltà di queste province (del Sud,
n.d.r.) è molto diversa ed inferiore a quella dell'Italia
settentrionale". Aurelilo Safri parlava dell'ex Regno di Napoli come di
un "lascito della barbarie alla civiltà del secolo XIX".
Costantino Nigra dirà di aver trovato a Napoli
"incapacità, corruzione, inerzia", e un "popolo instabile,
ozioso e ignorante". Per Giuseppe Massari Napoli è "chiasso e
sudiciume". Ancora all'inizio dei Novecento, a conclusione
dell'inchiesta parlamentare sui contadini dei Mezzogiorno Eugenio Faina
scriverà: "L'inferiorità del contadino meridionale
è un prodotto storico ( ... ). Dato l'ambiente di ignoranza e di
miseria in cui ha vissuto per secoli il lavoratore della terra, qual
meraviglia se il suo temperamento si è volto al male, se
l'acutezza della mente ha degenerato in frode, la forza in violenza,
l'amore in libidine?".
Ed è evidente, caro signor Lanza, che i comportamenti dei nostri
antenati che fecero l'unità d'Italia corrisposero alle idee che
avevano in testa.
Caro signor Sorrentino,
credo che il professor Donno, almeno per ciò che riguarda quella lontana Commissione di inchiesta sul brigantaggio, abbia ragione. La Commissione fu istituita alla fine di dicembre del 1862, entrò in carica ai primi di gennaio dei 1863 e a marzo ? dopo un viaggio nel Sud dei nove parlamentari che ne facevano parte, sotto la guida di Giuseppe Massari portò a termine un'eccellente inchiesta sull'Italia meridionale.
Notevoli erano ancora i pregiudizi dei commissari tra i quali c'era il generale garibaldino Nino Bixio. Padre Carlo Piccirillo sulla Civiltà cattolica protestò: "Questo che voi chiamate con nome ingiurioso di brigantaggio, non è che una vera reazione dell'oppresso contro l'oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro".
E, se tralasciamo la veemenza dei toni, almeno in parte aveva ragione. Tant'è che quando quell'inchiesta fu discussa in Parlamento, si ebbe un violento scontro tra Massari che imputava il fenomeno dei brigantaggio alle mene cospirative di agenti borbonico clericali e il mazziniano Aurelio Saffi che, invece,intravedeva le ragioni sociali di quelle sollevazioni del Sud.
Dopodiché, lei ricorda bene, furono le leggi eccezionali
predisposte dal deputato abruzzese Giuseppe Pica. In merito alle quali
merita di essere letto un libro appena pubblicato (Jovene editore) da
Pasquale Troncone, docente di diritto penitenziario
all'Università di Napoli "La legislazione penale dell'emergenza
in Italia". La legge Pica avrebbe dovuto restare in vigore dall'agosto
al dicembre del 1863. Invece fu prorogata in vari modi fino a tutto il
1865.
Produsse nel Mezzogiorno, innumerevoli abusi che furono denunciati
in Parlamento da Vito D'Ondes Reggio, un deputato siciliano e cattolico
appartenente alla Destra. Per protesta contro quel che era accaduto in
seguito al varo della legge (e contro il rifiuto opposto
all'istituzione di una nuova Commissione di indagine) Giuseppe
Garibaldi si dimise da deputato.
Proprio in questi giorni nella parte settentrionale della Lucania,
il Melfese, cioè i comuni di Atella, Avigliano, Filiano, Rapone,
Rionero in Vulture, Ruvo del Monte e San Fede, sta maturando l'idea di
varare iniziative per raccontare meglio la storia dei briganti che
combatterono da quelle parti: Carmine Crocco, Giuseppe Caruso, Nicola
Summa detto Ninco Nanco.
Credo che sarà una buona occasione per parlare nuovamente
della Commissione Massari nonché della legge Pica. Senza
dimenticare qualche buona ragione dei Sud che resistette
all'unità e i numerosi torti che esso subì in quella
complessa stagione storica. Ma, concordo con Donno, se lo potremo fare
sarà anche grazie alla documentazione prodotta dai nove
parlamentari in quel viaggio di studio all'inizio del 1863.
Ho letto la lettera del professor Gianni Donno che, rispondendole in tema di indagini parlamentari, lodava le commissioni istituite a ridosso dell'Unità d'Italia e criticava quelle di adesso. Quella sul brigantaggio del 1863, secondo il docente leccese, avrebbe .prodotto "eccellenti risultati".
Quelle "Antimafia" e "Stragi", guidate da Luciano Violante e
Giovanni Pellegrino, no. Sospendiamo, per carità di patria, il
giudizio su queste ultime.
Ma davvero si può sostenere che quella commissione di un secolo e mezzo fa lasciò dietro di sè qualcosa di memorabile?
O non servì piuttosto a varare l'abominevole legge Pica?
Mario Sorrentino Torre Del Greco
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"LA STORIA PROIBITA" Intervista a Carmine Crocco Donatello
Monologo di Carmine Crocco Donatello
Stralcio di un articolo pubblicato nel 1992 su "Il Calendario del Popolo"
Il Sud e l'Unità d'Italia (9. La Sicilia)
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