"Quanto al caso del carcere di Fenestrelle in cui nel 1861 furono rinchiusi i prigionieri dell'esercito borbonico, ad esso ha dedicato pagine assai interessanti Gigi Di Fiore nel libro «I vinti del Risorgimento» pubblicato di recente dalla Utet. Di Fiore riporta un articolo dell'epoca pubblicato da La Civiltà cattolica in cui era scritto che «per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad uno spediente crudele e disumano che fa fremere. Quei meschinelli (i militari borbonici, ndr), appena ricoperti di cenci di tela e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento tra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re!». Il 22 agosto del 1861, prosegue Di Fiore, pur provati e affamati, i soldati napoletani tenuti a Fenestrelle tentarono una rivolta. Prepararono un piano d'azione, ma vennero scoperti, subendo una dura repressione. Ai rivoltosi venne sequestrata anche una bandiera borbonica. In quel periodo, i napoletani detenuti nella fortezza erano mille, mentre altri seimila erano ammassati a San Maurizio, sotto la vigilanza di due battaglioni di fanteria.
Il ministro piemontese della Rovere - riferisce ancora «I vinti
del Risorgimento» - diede notizia in Senato che ben ottantamila
soldati dell'ex esercito borbonico si rifiutarono di servire sotto la
bandiera Italiana. Liberati dai campi di prigionia, i napoletani si
allontanavano, fuggendo nello Stato Pontificio, o dandosi alla macchia
e ingrossando le bande di briganti nelle loro terre di origine. A
centinaia però non riuscirono a tornare dai campi del Nord, dove
trovarono la morte. A Fenestrelle, la calce viva distruggeva i cadaveri
di chi non ce l'aveva fatta a superare il rigore del freddo e a
sopportare la fame. I più deboli, abituati al clima delle Due
Sicilie, per la prima volta nella loro vita così lontani dalle
loro terre di origine, crollavano. L'ospedale della fortezza era sempre
affollato. E, nei registri parrocchiali, vennero annotati i nomi dei
soldati meridionali deceduti dopo il ricovero in quella struttura
sanitaria, per malanni dovuti alla rigidità delle condizioni
carcerarie e per varie malattie contratte. Ma i nomi registrati non
corrispondevano a tutti i prigionieri morti in quegli anni. Per motivi
igienici ed essendoci difficoltà a seppellire i cadaveri, molti
corpi vennero gettati nella calce viva in una grande vasca, ancora
visibile, dietro la chiesa all'ingresso principale del forte. Nessuna
censura su Fenestrelle, caro Faccini. È solo un'altra storia.
Un'altra terribile storia."
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