Il Savoia osteggiò la proposta fatta da Ferdinando II di Borbone e appoggiata da Pio IX
Chi per primo lancia l'idea di una Lega federale fra i vari stati che
compongono la penisola italiana? Strano a dirsi, ma il famigerato
Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie.
Nel novembre del 1833, tramite il proprio ambasciatore a Roma conte
Ludorf, Ferdinando II invita Gregorio XVI a farsi promotore di una Lega
difensiva e offensiva fra i vari governi italiani per tutelare la
religione, i troni e l'ordinamento sociale minacciati dal liberalismo,
vale a dire dalla rivoluzione.
Visti gli immediati precedenti storici -Napoleone e Murat-, si tratta
anche di agire di comune accordo "verso quelle potenze straniere che
sconsigliatamente volessero cooperare a favorire in un caso estremo gli
sforzi dei medesimi settarî".
La risposta del papa arriva per mano del cardinal Bernetti, segretario di stato, il 6 dicembre dello stesso anno.
Gregorio XVI apprezza la proposta e le intenzioni di re, ma non
può far propria l'iniziativa perché "il carattere sacro
di padre comune" impedisce al papa, "supremo gerarca di nostra santa
religione", di "suonare la tromba di guerra od eccitare alle armi".
Le difficoltà cui accenna Gregorio XVI sono comprensibili,
eppure l'idea della Lega si fa strada all'interno della Chiesa e nel
cuore di Pio IX, successore di Gregorio XVI.
Mastai Ferretti appoggia la costituzione di una Lega doganale, punto di
partenza per un'unione federale e, dietro al papa, è
praticamente tutta la Chiesa a promuovere e a sostenere l'unificazione
italiana attraverso un processo federale. Ecco con quale slancio, nel
1848, l'influente gesuita Giuseppe Romano parla della Lega in La causa
di gesuiti in Sicilia: "La Lega! Il sospiro di tanti anni, il voto
unanime de' popoli italiani. La Lega federativa è diretta a
tutelare a ciascuno dei popoli federati i suoi diritti, gl'istituti, le
proprietà, le franchigie. La Lega ritenendo tutti i vantaggi che
dà ad ogni stato la sua autonomia, aggiunge al loro aggregato
tutta la forza che mancherebbe a ciascuno di essi per costituirsi in
nazione grande, ricca, commerciante, prosperevole e temuta".
La Lega, a parole da tutti auspicata, non si realizza perché
sulla sua strada si frappone un ostacolo insormontabile: Carlo Alberto
di Savoia. Il Re di Sardegna ha l'ambizioso progetto di "fare da
sé". Incurante delle più elementari norme di diritto
internazionale, vuole diventare re d'Italia lui solo. Il 2 giugno 1846
il ministro degli esteri dello stato sardo, Clemente Solaro della
Margarita, indirizza a Carlo Alberto un Memorandum per mettere in
guardia Sua Maestà dai pericoli che la politica liberale
può comportare per il suo governo: "La corona d'Italia
sarà una corona mal acquistata che presto o tardi
sfuggirà dalle mani di chi se ne sarà impadronito con un
progetto politico opposto a quello voluto da Dio". Solaro ricorda a
Carlo Alberto di essere il primo ad augurarsi l'accrescimento del
"potere" e dei "domini" di Casa Savoia, purché questo avvenga
"senza lesione di giustizia".
Il benservito a Solaro della Margarita, dopo undici anni di fedele
servizio, è il più chiaro segno che Carlo Alberto ha
rotto gli indugi: Casa Savoia fa proprio il progetto massonico
dell'unità nazionale sotto la bandiera liberale. Buon profeta
Ferdinando II di Borbone.
Quanto da lui paventato diventa realtà: una casa regnante
italiana si fa paladina, oltre che delle proprie, delle esigenze di
potere di Francia ed Inghilterra, massime potenze liberali dei tempi.
La Padania - 4 agosto 2001
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