Fonte:
LuissInformazione – 18 marzo
2004 - SPECIALE
MEZZOGIORNO
Adriano
Giannola: smascheriamo
il “federalismo
preterintenzionale” e poi puntiamo sulle vere riforme
La ricetta per il progresso
economico
La redistribuzione fiscale alla luce della
riforma del Titolo V
della Costituzione
“EVOLUZIONE
dello Stato in
senso federale e riflessi per le
regioni meridionali”. Adriano Giannola,
esperto di economia, entra subito
nel vivo della questione nel suo intervento “Federalismo fiscale
e Mezzogiorno”: smascherare quello
che viene definito un “federalismo
preterintenzionale”, una parodia
di quello vero e analizzare
quella che viene considerata una
lettura troppo ottimistica delle
opportunità, soprattutto finanziarie,
che il federalismo offrirebbe al
Mezzogiorno. Giannola si è
soprattutto concentrato sul nuovo articolo 119 della Costituzione,
modificato dalla legge del 18
ottobre 2001, articolo tenuto finora in
scarsa considerazione e che l’economista ritiene invece fondamentale
per la comprensione del nuovo
assetto finanziario regionale;.
“La
questione meridionale è tutta qui e
risorge, per la prima volta in
vent’anni, proprio per volontà
delle
regioni del Sud – spiega Giannola
– le stesse che l’avevano
precedentemente negata per un
forte senso del pudore”.
L’articolo 119 è il filo conduttore di tutto il suo intervento:
“La riforma del Titolo V è
un impianto normativo non solo da attuare
ma anche da interpretare. Il modello di federalismo individuato è
nettamente di tipo cooperativo e
verticale e non solidale come
impropriamente si dice.
L’articolo 119 specifica un’attività
di intervento finanziario dello Stato a
integrazione delle risorse ordinarie degli enti ed è riferito a
finalità di solidarietà e
sviluppo che integrano e si aggiungono, ma certo non sostituiscono,
quanto è previsto a salvaguardia
dei diritti fondamentali”. Di fatto un
federalismo fiscale oggi ancora non esiste.
L’unico
campo ad essere regolato secondo alcuni
criteri di devolution è quello
relativo alla sanità. Anche se non mancano i problemi. Il decreto
legislativo 56/2000 che precede la
riforma del Titolo V della Costituzione
è, secondo Giannola, incostituzionale “in primo luogo perché
prevede una perequazione non totale
ma ferma al 95 per cento e, in secondo
luogo, perché il fondo stanziato per il Servizio sanitario nazionale risulta essere inferiore ai
livelli essenziali di assistenza delle
Regioni”. Le previsione non sono delle
più rosee.
Per
il docente di
economia, infatti, la devolution
provocherebbe un’incapacità
delle Regioni più “povere” a
coprire con risorse proprie e derivate
i fabbisogni sanitari definiti
essenziali. Le aree più colpite
risulterebbero essere quelle del meridione insieme con Liguria,
Marche e Umbria.
Le
cifre parlano da sole. Un anno dopo la riforma, il Mezzogiorno
perde 88 milioni di euro, di cui 30
la Puglia, 24 la Campania, 18 la Calabria. Ma i problemi non finiscono
qui. L’applicazione della devolution risulta
difficile se si considera che queste
Regioni dovrebbero aumentare la pressione fiscale per finanziare
il fabbisogno di spesa sanitaria di
circa il 40 per cento rispetto all’attuale
Pil regionale (2,52 per cento rispetto all’1,81).
Una
misura improbabile data la ristrettezza della base imponibile con
cui queste sono costrette a fare i conti.
La soluzione sembra essere unica: le
Regioni si vedranno costrette a razionare la fornitura dei servizi sanitari nel proprio territorio.
Ciò
determinerebbe un ulteriore aumento della
domanda che i residenti meridionali già ora rivolgono alle
strutture sanitarie delle regioni ricche,
concorrendo così anche al loro
finanziamento.
“Ma non bisogna dimenticare che
il Mezzogiorno – conclude Giannola -
grazie anche ai fondi dell’Unione europea, sta diventando una realtà
sempre più forte tanto
da potersi inserire tra le macro
regioni teorizzate da uno dei
padri fondatori della Lega lombarda,
Gianfranco Miglio”.
Non
a caso il
meridione, e segnatamente la
Campania, negli ultimi anni, ha
registrato una crescita di tre/quattro
volte superiore a quella del Nord. Viste
queste premesse, la ricetta di Giannola risulta essere molto semplice:
nascita di una strategia comune tra le
Regioni del Mezzogiorno, adeguata riqualificazione produttiva,
investimenti nella ricerca e un’efficace
sistema bancario e finanziario.
Landolfo Landolfi Teresa
Maisto
Ecco
l’articolo modificato dalla legge costituzionale del 18
ottobre 2001 numero 3:
“I
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di
spesa. I Comuni, le Province, le
Città
metropolitane e le Regioni hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazione al gettito di
tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello
Stato istituisce un fondo perequativo,
senza
vincoli di destinazione, per i
territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle
Citta metropolitane e alle Regioni di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche
loro attribuite. Per promuovere
lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà
sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei
diritti della persona, o per provvedere
a scopi diversi dal normale esercizio
delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed
effettua interventi speciali in favore
di determinati Comuni, Province,
Città
metropolitane e Regioni. I Comuni, le
Province,
le Città metropolitane e le Regioni
hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello
Stato. Possono ricorrere
all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui
prestiti dagli stessi contratti”.
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LuissInformazione – 18 marzo
2004 - SPECIALE
MEZZOGIORNO
Adriano
Giannola insegna economia bancaria e macroeconomia
all’Università degli studi di Napoli
Federico II. Si è occupato di
problemi
di teoria dell’impresa, di teoria e
politica monetaria, delle tematiche del dualismo italiano
e dello sviluppo del Mezzogiorno. Dal 1997
fa parte del Consiglio direttivo
dell’Animi. Nel 2000 è nominato con
decreto del ministro del Tesoro, presidente
dell’Istituto Banco di Napoli – Fondazione Bancaria.
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