Iniziamo dal tema della criminalità organizzata, perchè il regime borbonico veniva anzitutto qualificato come "mafioso" e "camorrista".
Non si contano le esclamazioni, la disperazione, il dolore degli
unitari constatando la diffusione di quei fenomeni che loro si
trovavano ad ereditare dal passato regime.
Ma tanta disperazione e tanto dolore corrispondevano ad una
"profondità e delicatezza di approccio al problema che
appaiono
subito sospette prima che grossolane.
Nel caso della Mafia l'approccio unitario comincia a denunciare le
oggettive circostanze della sua "particolarità addirittura
con
il conio stesso del termine "Mafia". Un termine che venne forgiato (o,
meglio, inventato lessicalmente come identificativo di una
"organizzazione malavitosa") dai piemontesi, per indicare la
categoria/consorteria di quei "figuri" che godevano di "prestigio" fra
la gente perchè incutevano timore con la violenza.
Gia il conio linguistico scelto dai piemontesi la dice lunga sulla
"profondità e delicatezza" del loro approccio con le culture
e
le popolazioni che finirono sotto il loro controllo.
Trovandosi fra le mani un esotico (nel senso di: strano aggettivo dell'idioma siculo che indicava cose o persone di valore, sagge,. fatte bene, gagliarde owero Vaggettivo mafioso/sa con significato fortemente ed esclusivamente "positivo". pensando che i siciliani come loro "non" facessero differenza fra un "saggio rispettato dalla comunita" ed un "violento a servizio dei baroni". non solo trasformarono l"aggettivo in sostantivo (che come tale era un neologismo improprio per lo stesso idioma siculo), ma ne fecero l'identificativo di una "organizzazione" fondata su di uno mentalità sociale.
Realizzando cosi il doppio salto mortale di trasformare un aggettivo
siciliano di significato positivo in sostantivo delinquenziale. e di
ritenere il "nuovo" significato negative come espressivo delta
mentalità di un intero popolo che aveva il solo torto di
adoperare comunemente nella sua lingua un aggettivo in significato
positivo.
Fu cosi che le bande di gabellotti e massari (di cui mai e poi mai un
siciliano del tempo avrebbe pensato fossero "mafiosi", ritenendoli
l'esatto contrario del termine) si trovarono gratificati di una
rilevanza "strutturale" ed, in certo modo, "formate" che non avevano
(tiranne che a livello della gerarchia interna a ciascun feudo), e di
una qualificazione istituzionale "di pubblica opinione" che contrastava
con quella riconosciuta dalla gente del lungo e ne accresceva il potere
intimidatorio
Fu cosi che i Siciliani, si videro attribuire in senso generate e
dispregiativo un connotato di cultura sociale impropriamente (per ogni
siciliano) corrispondente alla mentalità di quelli
che
fino a prima dell'Unità ogni abitante dell'isola
aveva
ritenuto appartenere, quantomeno, alla sfera del "potere" che (specie
quello baronale) di loro abusava e tendeva ad abusare sempre di piu.
Non c'e che dire: un risultato brillante e corroborante anche
sul
piano meramente linguistico della sensibilità
unitaria ed
unificatrice di chi "gestiva" l'Unita.
Del resto la grossolanità, cinicamente interessata,
utilizzata
dai gestori del nostro tipo di Unità nel recepire la
terminologia corretta di espressioni idiomatiche delle genti
meridionali non si ferma all'episodio ottocentesco del termine mafia,
ma si estende, con il tardo '900, anche a 'ndrangheta.
Dall’amore per l'esotico eclalant nel glossario di qualche
reportage giornalistico di alcuni decenni fa, e stata regalata alla
criminalità organizzata (che ben volentieri se ne e
appropriata)
anche una antica parola calabrese che, con origini grecaniche, stava ad
indicare la "ta agata andria", cioè "la categoria" (la
genia)
degli uomini saggi e rispettati per la loro "saggezza" (come
civiltà greco/antica insegnava) cui poter chiedere il giusto
consiglio e l'equa soluzione di povere ma sentite controversie.
Precisata, dunque, la "profondità" dell'incultura e del
disinteresse sociale che stava dietro a tante lamentazioni unitarie sui
fenomeni di criminalità organizzata, si deve subito
osservare
(perchè storicamente essenziale per capire il livello di
coerenza degli unitari nel lamentarsi) che la loro disperazione tendeva
ad ignorare, totalmente e con noncuranza, una circostanza storica che
caratterizza l'Unità come "spartiacque " della stessa
storia per cosi dire della Mafia (circostanza che
ritroveremo tal quale con riferimento alla Camorra).
Per cogliere tale spartiacque occorre solo ricordare brevemente che
l'organizzazione siciliana che i piemontesi "battezzarono"
impropriamente Mafia, al momento dell'Unità era la struttura
di
controllo e gestione del latifondo siciliano, "a servizio",
ufficialmente. della nobiltà terriera dell'isola. Anche se,
in
realtà, usufruendo e stimolando l'assenteismo padronale
nella
conduzione delle proprietà agrarie, fini con l'essere lo
strumento. tanto improprio quanto tipicamente locale, per erodere la
stessa proprietà dei baroni e formare i primi nuclei di
media
proprietà terriera in mani non nobili.
Qualunque re di Sicilia, quindi, poteva legittimamente andare orgoglioso come tutore del "bene comune" se appena fosse riuscito a costituire una polizia e corti civili di giustizia che circoscrivessero al massimo possibile la sfera di prepotenze dei baroni, e, perciò, limitassero pesantemente la capacità di agire della loro struttura di amministrazione locale.
A tanto i Borbone erano riusciti, ma, purtroppo per loro, facendosi "nemiche giurate" la nobiltà e la sua struttura "parassita" di amministrazione dell'ordine e della giustizia nei feudi (che i piemontesi battezzarono Mafia).
Su questa inimicizia mortale avevano lavorato motto bene La Masa e
Rosolino Pilo, die precedettero Garibaldi in Sicilia dal marzo 1860
proprio per cooptare i baroni e le loro bande a sostegno della
spedizione dei Mille (parola di La Masa, che ripetutamente rivendico
l'operazione indicando, anche nelle sue opere storiche nomi di baroni e
cifre di uomini).
Infatti, immediatamente dopo lo sbarco a Marsala, i Mille furono soli
esclusivamente nello scontro di Calatafimi. Una solitudine temporanea e
non dannosa perchè quello scontro venne deciso dal generale
borbonico Landi, pare dietro consegna di un fedecommesso del Banco di
Napoli per 14mila ducati (più di 6miliardi di oggi) che
dovrebbe
ancora trovarsi neirarchivio storico di quella banca sia
perchè
quell'archivio e, per tradizione, uno dei migliori "giacimenti" di
documentazione storica dei sud, sia per il motivo "tecnicobancario" che
e presso 1'istituto di emissione che vengono conservati quei titoli,
soprattutto quando "non" vengono onorati perchè, in qualche
rnodo, ritenuti fasulli. Landi, infatti, fece suonare la ritirata per i
suoi 5mila uomini proprio quando i Mille avevano cominciato a scappare
lungo le baize che avevano appena scalato.
Ma subito dopo quello scontro (più che di
battaglia come
vuole l'oleografia risorgimentale si tratto, causa ordine di
ritirata, di un semplice scontro a fuoco) almeno quattro bande baronali
si unirono ai Mille (facendoli più che triplicare) e ad esse
se
ne aggiunsero immediatamente tante altre fino ad arrivare a ben oltre
lOmila uomini (9 briganti per ogni garibaldino) prima di arrivare alle
porte di Palermo.
L'infoltimento "banditesco" delle colonne garibaldine prosegui fino a
Messina, anche con progressive liberazioni dai carceri siciliani di
turti i delinquenti comuni (come e noto, quelli politici non sostavano
in carceri dell'isola maggiore, ma in quelli delle isole minori), pure
per assicurare, con le bande, il mantenimento dell’ordine
persino e, per la Mafia, per la prima volta nelle
citta,
nonche per tutelare il buon esito dei plebiscito di annessione al Regno
di Sardegna.
Qui si colloca lo spartiacque della storia della Mafia.
Quando questa, cioè, prese consapevolezza del ruolo che
poteva
giocare non più "contro" il governo centrale (fino al 1860,
quello dell'isola) ma "in sostegno" di questo, in una posizione nuova
di "parassita" del potere statale, non diversa da quella svolta fino a
quel momento solo per garantire 1a rendità baronale".
Questo salto di qualità e stato generato proprio dal modo in
cui
estata fatta l'Unità e da chi, poi, avrebbe preteso di
bollare
come male sociale endemico un virus che i precedenti sistemi di governo
avevano combattuto e contenuto in ambiti progressivamente ristretti.
La frittata era fatta. Se la nobiltà siciliana si
era
schierata con i Savoia (ma, soprattutto, contro Napoli) non era cosa ne
nuova ne grave, ma purtroppo la Mafia aveva compreso quale
funzione di sostegno parallelo potesse giocare in uno Stato in cui
c'erano da gestire "anche" istituzioni cittadine e quella simpatica
novità delle elezioni cui venivano chiamati cittadini in
numero
esiguo. ma pur sempre più ampio di quello ristrettissimo dei
baroni, e, soprattutto, meno potenti di questi.
La Mafia capi che poteva diventare molto potente. Gli effetti si
sentirono e subito. Ma questi effetti furono venduti dagli unitari come
retaggio borbonico. La prima mano di paura allo sfondo storico di
sostegno alla gestione dell'Unità senza unificazione venne
data
proprio cosi.
Se non fosse quasi impensabile una genesi più diretta per il
salto di qualità di un'organizzazione che da rozza e brutale
diventava "sistemicamente criminale"" e, soprattutto, parassitariamente
istituzionale, basterebbe a convincersi del contrario la comparazione
fra la sostanza di quanto awenuto in Sicilia con quanto riguardo la
Camorra di Napoli.
Camorra e oggi un sostantivo che al di la delle sue origini lontane e
dell'attuale trasformazione in nome proprio di un'organizzazione
malavitosa. nel periodo che qui interessa aveva finito con il
coincidere con il significato di "estorsione", al punto che, in Sicilia
ed ancora oggi, il termine più adoperato per intendere una
violenza in qualche modo estorsiva era come e
quello di
camurria.
Quel che oggi si chiama Camorra. fino al 12 settembre 1842 era stato un
prodotto spontaneo della ordinaria malavità popolare.
Da quella data si era data una sorta di statuto (il cosiddetto frieno)
ed una struttura societària rigorosa e precisa (oltre che il
nome proprio di "Grande Mamma") proprio per garantirsi ancora qualche
possibilità operativa in una realtà
socio/economica
diventata più ampia ed organizzata e, quindi, più
difesa
anche dalla piccola criminalita. In quell'occasione fu
avvertità
l'opportunità di tutelarsi anche con il costoso apporto di
qualche "colletto bianco1".
Questo e certo. almeno quanto e certo che tutti i "narratori" che dopo
il 1860 hanno riempito biblioteche intere di descrizioni di quel
fenomeno. sono incorsi in un errore di "strabismo"1 hanno
cioè
attribuito al periodo pre/1860 i connotati che caratterizzavano la
Camorra dopo il 1860.
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