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Fonte:
Il Sud e l'Unità d'Italia (Giuseppe Ressa)

Il ruolo degli esuli e dei parlamentari meridionali

di Giuseppe Ressa


 È stato un errore, si sostiene nel 1862 in una memoria … avere affidato il governo napoletano a quei patrioti che, emigrati al cominciare della reazione del 1849, rimasero fuori dalla province Napoletane sino al 1860. ……Sebbene essi siano per ingegno, dottrina e amor patrio la migliore parte di quella eletta schiera di liberali Napoletani, sono i meno adatti a svolgere le mansioni loro affidate dal governo di Torino sia per la poca conoscenza che hanno degli interessi di queste province, da cui sono stati per molti anni assenti, sia per quella passione…mista di vendetta e di disprezzo, di cui sono sempre dominati quelli che dopo un lungo e doloroso esilio ritornano potenti in patria.

Rientrati a Napoli come proconsoli piemontesi, hanno falsato agli occhi del Governo centrale i fabbisogni del paese e hanno consentito che questo venisse ammisserito e spogliato…da estranei a queste provincie…venuti con lo spirito di conquista che non si addice a chi doveva spargervi la luce e il progresso. A causa della loro incapacità a governare, l’amministrazione cade in mano di persone che non sapevano un’ acca e non avevano altro merito se non di godere delle grazie della consorteria.”[1]

I deputati meridionali che giunsero a Torino, nel febbraio 1861, per l’inaugurazione del nuovo parlamento erano tutti accesi filopiemontesi e avevano avuto una parte molto rilevante nel favorire la conquista savoiarda prima screditando il governo duosiciliano e poi collaborando all’invasione. La maggior parte, pur di rimanere nel gruppo di potere, chiuse tutti e due gli occhi di fronte all’annientamento economico e civile del Sud con un atteggiamento che è perdurato fino ai giorni nostri, ma alcuni di loro fecero coraggiose interpellanze per difendere gli interessi del meridione, ne selezioniamo alcune[2] divise per argomento:

- riguardo lo stato delle finanze il deputato pugliese Valenti così dichiarava nella seduta del 3 aprile 1861 (atto nr.52): “Sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un’armata di centoventimila uomini…ponevano fondi in tutti i banchi all’estero, dotavano largamente la figliolanza e tuttavia il tesoro era fiorente “ e il 4 dicembre il deputato Ricciardi così si esprimeva (atto nr.340): “ Come mai questo paese le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118 è in così misera condizione?“

- riguardo la sicurezza personale il deputato siciliano Bruno così dichiarava nella seduta del 4 aprile 1861 (atto nr.53): “La Sicilia sotto i Borboni offrì per molti anni l’edificante spettacolo che furti non ne succedevano assolutamente e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore senza la menoma paura di essere aggrediti né derubati”.

- riguardo la proposta di legge abolitiva dei vincoli feudali in Lombardia il deputato Zanardelli così dichiarava il 7 maggio (atto nr.113): “ La legge napoletana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione ma di restaurazione, in un tempo in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia….. e questa legge nella patria di Vico, di Mario Pagano e di Filangeri fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo di napoletana civiltà”.

- riguardo la connivenza con i piemontesi dell’alta ufficialità duosiciliana prima dell’invasione il deputato Ricciardi così ebbe a dichiarare il 20 maggio 1861 (atto nr.140): “Appena reduce dall’esilio giunsi in Napoli…io feci la propaganda nelle caserme a rischio di farmi fucilare…gli ufficiali rispondevano: noi saremmo pronti ma i nostri soldati sono talmente fanatizzati che ci fucilerebbero…Ma vi pare che senza il lavoro segreto di questi ufficiali, senza il nostro lavoro, avrebbe mai potuto entrare Garibaldi in Napoli, città di mezzo milione di abitanti, con 4 castelli gremiti di truppe? Egli entrò solo in Napoli perché noi liberali, con un buon numero di ufficiali, glie ne aprimmo le porte

- riguardo lo strozzamento dell’economia meridionale e la piemontesizzazione: nella seduta del 20 novembre 1861 (atto nr.234) il deputato di Casoria, Proto, duca di Maddaloni, propose il distacco dell’ex Regno di Napoli dal Regno d’Italia e accusò apertamente il governo piemontese di avere invaso e depredato il Napoletano e la Sicilia: «Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per gli uffici e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a sbrigarla. Ai mercanti del Piemonte si danno le forniture più lucrose: burocrati di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocrati napoletani. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a camerieri, a birri vengono uomini del Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le provincie meridionali come il Cortez ed il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nel regno del Bengala». La presidenza della Camera invitò il deputato a ritirare la sua mozione ed egli il giorno successivo per protesta rassegnò le dimissioni.

Il 4 dicembre il deputato Ricciardi (atto nr.340) insiste sull’argomento: “Due sono le principali piaghe di quelle provincie….la piaga morale è l’offesa profonda recata a sette milioni d’uomini…un paese che per otto nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia, un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può essere contento. Aggiungete la invasione d’impiegati non nativi del paese i quali non sono veduti troppo di buon occhio….quanto alla piaga materiale la miseria è grandissima…e poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l’Italia, da Torino non si regge Napoli: questa è la mia convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali“.

Il 20 dicembre il deputato San Donato (atto nr.340): “Tutti gli impiegati che da Torino si sono mandati a Napoli non solo sono stati promossi di soldo, ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, sino quattrocento franchi al mese di indennità, mentre ai Napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo, ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli”.

Nella stessa seduta il deputato Pisanelli: “Non vi è istituzione pubblica, collegi, università, amministrazione, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della Marina signor Menabrea ha invitato 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (che essi vi tenevano da tre o quattro anni messi al tempo dei Borboni), unicamente perché gli è piaciuto dire che questi erano entrati nel 1858 quando a Napoli non vi erano regolamenti piemontesi“.

Il 2 febbraio 1867 il conte Ricciardi, eletto a Foggia, e uno dei più tenaci difensori degli interessi del Sud si dimette da deputato, così motivando: “Dopo sei anni di lotta mi persuasi che l’opera mia in Parlamento si riduceva ormai ad un inutile sfogo….una opposizione divisa e acefala…una maggioranza impotente al bene…il governo di nulla di grande e fruttifero mostrasi iniziatore. Continuando io alla Camera mi assumerei una responsabilità tristissima; meglio sarammi tornare all’antico ufficio di scrittore, più umile, ma certo più utile, consolandomi alquanto dè mali di cui sono testimone, di aver fatto ogni sforzo per evitarli“.

Più tardi un unitarista convinto come Giustino Fortunato, nella lettera a Pasquale Villari n. 89 del 2 settembre 1899, scrive: “L’unità d’Italia ... è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali“. Gli fece eco Gaetano Salvemini (1900): “Se dall’unità d’Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata…è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone “. Sempre Fortunato in un’altra lettera del 1923 diretta a Salvemini scriveva[3]: “Non disdico il mio “unitarismo“. Ho modificato soltanto il mio giudizio sugli industriali del nord. Sono dei porci più porci dei maggiori porci nostri. E la mia visione pessimistica è completa”.





[1] riportata da Tommaso Pedio, Brigantaggio Meridionale, Capone, 1997, pag. 57

[2] tratte dal periodico “Due Sicilie” del marzo 2002, sono il risultato di uno studio di Sator di Ortona sugli Atti parlamentari ufficiali.

[3] lettera n.58 del 14 giugno 1923








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