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MINISTERO DEL TESORO - DIREZIONE GENERALE DEL DEBITO PUBBLICO
RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE
ALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA

IL DEBITO PUBBLICO IN ITALIA 1861-1987
Volume I
ROMA - ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO - 1988
CAPITOLO 1

La finanza di "emergenza" all'inizio del regno d'Italia. 1861-1872


Dopo l'istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico italiano (1), avvenuta con legge 10 luglio 1861, n. 94, in cui confluirono i debiti degli stati preunitari non è azzardato affermare che si aprì un decennio di fuoco per la finanza pubblica italiana, che dovette ad un tempo far fronte ai costi di svariati eventi militari e alla creazione di una struttura unitaria, adatta alle esigenze di un moderno Stato. Tutto ciò si tradusse in una vertiginosa ascesa dei Debito Pubblico che passò nel giro di 10 anni dal 45% al 95% del PIL. 


Tre furono i motivi che gonfiarono il Debito Pubblico nel primo decennio post-unitario: i deficit strutturali di bilancio, le spese militari straordinarie e l'assunzione dei debiti delle regioni annesse. Il disavanzo di cassa degli anni 1862-68 fu assai rilevante, anche se decrescente (con l'eccezione dell'anno di guerra 1866). 


Ciò era dovuto ad un trend della spesa lentamente crescente (17% in più tra le due date) a fronte di un livello iniziale delle entrate incredibilmente basso: nel 1862 le entrate coprivano solo il 60% delle spese. 


La classe dirigente dell'epoca, sia pure in mezzo a molti contrasti testimoniati dalle lunghe ed infuocate discussioni parlamentari, fu in grado di aumentare le imposte e di rinvenire altri cespiti extratributari per rimpinguare le entrate, ma ciò richiese qualche tempo. Nel 1864 fu introdotta l'imposta sul redditi di ricchezza mobile e fu riordinata l'imposta fondiaria; nel 1868 fu istituita la tanto contestata imposta sul macinato e l'imposta sui redditi provenienti dai titoli di Debito Pubblico, mentre nel frattempo un pò tutte le aliquote impositive venivano progressivamente inasprite.


Quanto ai cespiti extra-tributari, si procedette alla vendita di beni demaniali, alla vendita dell'asse ecclesiastico, alla cessione nel 1865 alla Società Alta Italia delle ferrovie possedute dallo Stato e del materiale rotabile (per 188 milioni di lire), alla concessione nel 1869 della Privativa dei Tabacchi ad una Regìa cointeressata per 15 anni (contro anticipazione di 180 milioni di lire). 


In media, nel decennio 1860 le entrate extratributarie ebbero un'incidenza del 16% circa sul totale delle entrate. Fu così, poi, che tra il 1862 e il 1868 le entrate aumentarono del 79%, il che fece scomparire il deficit al netto degli interessi già fin dal 1867. La copertura della spesa per interessi, che era però ormai diventata una cifra assai consistente, richiese ancora alcuni anni. Fu praticamente completata nel 1872.


Il fatto è che un po' per le spese militari (2), un pò per l'unanime convinzione che il nuovo stato non dovesse lesinare sulle opere pubbliche (3), non si era mai ritenuto opportuno apportare consistenti tagli alle spese, le quali, al netto degli interessi, restarono su di un trend stazionario, con le inevitabili oscillazioni annuali, ad un livello relativo al PIL piuttosto elevato per l'epoca (4).


Fu quindi inevitabile che il riequilibrio di bilancio provenisse quasi interamente dal lato delle entrate, oltre che dalla cessazione, a partire dal 1871, di spese militari straordinarie.


L'ultimo motivo di aumento del Debito Pubblico, nel decennio considerato ossia l'assunzione dei debiti delle regioni annesse e il pagamento di indennità varie era evidentemente contingente ad eventi irripetibili, ma non per questo meno oneroso. Si trattò dell'assunzione del Debito veneto (1868) e pontificio (1868 e 1871), del pagamento di una indennità di guerra all'Austria (1866) e del riscatto, dalla Società delle ferrovie dell'Austria meridionale, delle linee dell'Alta Italia (1876), per un totale di poco più di 2 miliardi di capitale nominale e circa 80 milioni annui di rendita.


Di fronte a queste imponenti esigenze di reperimento di capitali, la politica del Debito subì notevoli cambiamenti nel corso del decennio. Il primo prestito di 500 milioni netti fu collocato sul mercato dal Ministro delle Finanze Bastogi nel luglio del 1861 a 70,5 lire effettive per 100 lire di capitale nominale, per un totale di 715 milioni di lire circa. Doveva servire per colmare il deficit del 1861 e quello previsto del 1862. 


Durante il corso del 1862, Sella, subentrato a Bastogi, fece molte proposte di aumento delle entrate, fra cui la vendita dei beni demaniali e dei beni della neo-costituita Cassa ecclesiastica, vendita che venne autorizzata nell'agosto 1862. 


Il risultato finanziario dei provvedimenti presi fu, a breve termine, così scarso che Minghetti si trovò l'anno successivo a dover ricorrere nuovamente ad un prestito di ben 700 milioni netti, collocati a 71 lire, per un totale nominale (comprese le provvigioni) di poco più di 1 miliardo di lire (5). 


Oltre a ciò, veniva allargata la circolazione dei Buoni del Tesoro, che passarono tra il 1861 e il 1862 da 38,9 a 227,5 milioni di lire, restando poi sempre su cifre molto elevate. Con il ritorno di Sella l'anno dopo al Ministero delle Finanze, la necessità di colmare i deficit di bilancio non si rivelò purtroppo meno impellente. 


Fu allora che si iniziò a cercare delle alternative alla pura e semplice emissione di un prestito sul tipo di quelli, già assai onerosi, precedentemente collocati. Sella, infatti, notando la lentezza con cui i beni demaniali potevano essere venduti, ritenne di concludere una convenzione con una neo-costituita Società Anonima per la vendita di beni demaniali (6), in base alla quale tale società anticipava 150 milioni al Governo mediante il collocamento sul mercato di proprie obbligazioni. A fronte di ciò, la Società riceveva obbligazioni dello Stato non negoziabili (7) da rimborsarsi con la somma incassata dalla Società per la effettiva vendita dei beni (o, in mancanza di questa, con un finanziamento ad hoc) (8). 


La "novità" di Sella venne ampiamente discussa in Parlamento, dove si levarono molte critiche, soprattutto perché i termini della convenzione, per motivi tecnici, non potevano essere in alcun modo modificati per tener conto dei suggerimenti emersi durate le discussioni. Ma, alla fine, la convenzione venne approvata il 20 novembre 1864 ed ebbe, forse, il merito di arrestare temporaneamente la discesa delle quotazioni del Debito Pubblico.


L'anno dopo, il Sella dovette ritornare alla carica. Stavolta non poté evitare di proporre un nuovo prestito per 425 milioni (netti) (9), oltre alla alienazione delle ferrovie per 185 milioni circa. Non vennero risparmiati sarcastici commenti in Parlamento a questa nuova accensione dei debiti. 


"A me pare - dichiaro Ton. Lazzaro nella seduta del 13 aprile 1865 - che in quattro o cinque anni dacché stiamo qui riuniti, la questione finanziaria non ci abbia presentato null'altrochè una serie di illusioni, e per conseguenza una serie di disinganni; e si potrebbe ancora dire che i diversi Ministeri si sono demoliti gli uni e gli altri; i precedenti illudevano sè e il paese; ed i successori demolivano i primi mostrandosi illusi, aspettando gli altri che li demolissero a volta loro dimostrando il disinganno" (10).


"Nell'amministrazione finanziaria, - rilevava l'On. La Porta - che cosa abbiamo noi osservato? Un sistema che si puntella sui prestiti ogni due anni: un prestito al 1861, un prestito al 1863, un prestito al 1865! Due miliardi di lire!" (11). 


Crispi saggiamente osservava: "Contrarre degli imprestiti per le spese ordinarie è uno di quei fatti anomali di cui a noi sembra dato privilegio. Gli imprestiti si fanno per le spese straordinarie, in caso di guerra, per grandi lavori pubblici, per esigenze eccezionali, e che non è possibile soddisfare con mezzi normali; ma quando si tratta di avere, bisogna tenersi a quello che si ha" (12). 


E il senatore Siotto-Pintor concludeva: " Il malcontento è grave, un senso di malessere si diffonde in tutte le classi della società. Le sorgenti della ricchezza vanno a disseccarsi. Noi facciamo il lavoro di Tantalo o di Penelope. Il signor Rothschild, re del milione, è, finanziariamente parlando, re dell'Italia" (13). 


Il miglioramento nel bilancio corrente che nel frattempo si era registrato (la copertura delle entrate correnti al netto degli interessi venne infatti raggiunta nel 1865) venne vanificato dagli eventi che occorsero nel 1866. 


In primo luogo una crisi finanziaria internazionale fece precipitare le quotazioni della rendita italiana all'estero, dalle 66 lire di marzo alle 49 di fine aprile, e fino a punte ancora inferiori. 


Le banche restringevano il credito; si iniziava la corsa agli sportelli. Fu in questo clima che il Ministro delle Finanze Scialoja fece approvare il 30 aprile un disegno di legge che accordava "al governo la facoltà di provvedere per via di decreti reali, anche con mezzi straordinari, ai bisogni della finanza".


Il 10 maggio successivo fu emanato un decreto che obbligava la Banca Nazionale a dare un mutuo al Tesoro di 250 milioni di lire al tasso di interesse (in seguito da più parti criticato) dell'1,1/2%, proclamando al contempo il "corso forzoso" di tutti i biglietti di banca in circolazione. 


Questa decisione, presa sotto l'incalzare degli eventi e quindi dettata più dalla necessità che da una libera scelta di politica economica, si rivelò molto più determinante per i destini del Debito Pubblico italiano (e dell'intera economia italiana) di quanto non sembrasse in un primo momento. 


Se, infatti, prima di tale provvedimento, l'unica alternativa al puro e semplice collocamento di prestiti consolidati (e di Buoni del Tesoro) era stata l'alienazione di patrimoni pubblici, ora si presentava anche percorribile il canale della creazione di moneta che, come vedremo, sarà ampiamente sfruttato. 


Intanto, però, dobbiamo ricordare che nel giugno 1866 era scoppiata la guerra con l’Austria che fece notevolmente lievitare le spese. Il ministro Scialoja decise dunque di ricorrere ad un prestito redimibile forzoso interamente collocato in Italia. Il prestito venne approvato il 28 luglio 1866 per 350 milioni effettivi e 400 nominali, al 5% di interesse più 1 % di premi a sorte, e riscosse un grande successo, dato il clima di mobilitazione patriottica del paese e l'adesione generale alla guerra contro l'Austria.


L'anno dopo l'attenzione del Parlamento fu polarizzata dalla liquidazione dell'Asse ecclesiastico, una delle questioni più lunghe ed intricate della storia della finanza (e dell'agricoltura) italiana. Per quanto riguarda i suoi effetti sul Debito Pubblico, nel giugno 1866, era stata decretata la conversione dei beni delle corporazioni religiose, ma fu nel 1867 che si discusse come effettuarla. 


Durante la sua breve permanenza al Ministero delle Finanze, Ferrara concluse una convenzione (sul tipo di quella stipulata da Sella con la Società Anonima per la vendita dei beni demaniali) con il banchiere Erlanger, che avrebbe dovuto versare al Tesoro italiano 600 milioni in quattro anni e avrebbe dovuto provvedere alla liquidazione dei beni, versando l'eccedente ad un fondo per il culto. 


Tale convenzione suscitò la più fiera opposizione parlamentare e fu quindi accantonata. Fu invece approvato il disegno di legge Rattazzi (15 agosto 1867) che prevedeva l'emissione di obbligazioni per 500 milioni nominali in due tranches, la prima a 78 e la seconda a 80 lire, per 395 milioni di ricavo netto, obbligazioni da accettare in pagamento dei beni dell'Asse ecclesiastico acquistati dai privati e quindi da annullare. 


Ma l'accoglimento presso il pubblico di queste obbligazioni non fu buono, così che i 150 milioni della prima tranche vennero depositati presso la Banca Nazionale a garanzia di un anticipo di 100 milioni concesso al Tesoro nel 1868. Nello stesso anno, si pensò di varare un'altra operazione che sistemasse ad un tempo l'amministrazione poco florida del monopolio dei tabacchi e alcuni buchi di bilancio. 


Fu Cambray-Digny a concludere, nel 1868, sempre con la Società Generale di Credito Mobiliare, la creazione di una Regìa cointeressata dei tabacchi alla quale veniva ceduto per 15 anni l'esercizio del monopolio dei tabacchi, mediante l'assicurazione di un determinato canone annuo all'Erario, oltre l'anticipazione della somma di 180 milioni in oro, da ottenersi con l'emissione di apposite obbligazioni garantite dallo Stato: la proposta di Cambray-Digny sollevò una grossa battaglia parlamentare, ma alla fine venne approvata.


Dopo un anno (il 1869) di relativa calma, nel 1870 Sella, ritornato al Ministero delle Finanze, si ritrovò di nuovo di fronte al problema del ripianamento dei deficit residui, comunque assai meno preoccupanti di quelli dei suoi primi ministeri. 


La posizione che assunse denota sia la sua propensione ad esperire vie "nuove", come già per la convenzione con la Società anonima per la vendita dei beni demaniali e la vendita delle ferrovie, sia la sua capacità di tenere conto dell'esperienza fatta. 


Nella sua esposizione finanziaria davanti alla Camera dei deputati del 10-11 marzo 1870, Sella concludeva di avere bisogno di altri 200 milioni. 


"Corne si fa, o signori - si interrogava - a trovare questi 200 milioni? Ecco la quistione. Volete procacciarvi tutta questa somma con prestiti? Combinateli con rimborsi, o senza rimborsi, fate quel che volete, se esaminate la cosa attentamente, voi troverete che questi prestiti a rimborso hanno costato tutti assai caro alla finanza, salvo il Prestito Nazionale che fu imposto al paese, e gliene furono quindi imposte le condizioni Vorreste procedere per prestito forzato, o signori? 


Una misura di tal genere, per regola, è bene riservarla per i momenti gravissimi pel paese, e poi crederei impossibile di ottenerla oggi" (14). 


Sella propose quindi una convenzione con la Banca Nazionale per il versamento di altri 122 milioni, il che avrebbe portato il debito totale del governo verso la Banca a 500 milioni (15). Nel contempo, si annullarono tutte le obbligazioni ecclesiastiche ancora invendute (274,4 milioni di capitale nominale) e si stabilì l'emissione di una nuova serie di obbligazioni per 333 milioni nominali, emesse all'85% e rimborsabili solo mediante l'acquisto di beni ecclesiastici. 


Questo prestito venne dato in garanzia alla Banca Nazionale, la quale doveva provvedere al suo collocamento, il cui ricavato sarebbe andato a diminuire l'esposizione del Tesoro nei confronti della Banca. Altri 80 milioni (netti) vennero ricavati con un normale prestito.


Il "rubinetto" della Banca Nazionale era assai allettante e, in un primo tempo, sembrava privo del tutto di effetti collaterali negativi che non fossero quelli dell'aggio dell'oro. Mentre il deflatore implicito del PIL aumentò in 10 anni (1861-71) di meno del 10%, mostrò poi una forte crescita nel 1872-73 (nei due anni aumentò del 23%). IL mercato dei capitali, praticamente monopolizzato dai titoli pubblici (16), non lasciava spazio ai titoli privati.


Si continuò in tale direzione per sistemare gli ultimi buchi di bilancio, evitando la crescita esponenziale della spesa per interessi che si era verificata nei primi 10 anni: tra il 1862 e il 1871 essa si era pressoché triplicata! Le operazioni di credito con la Banca Nazionale erano però diventate ormai di importo talmente consistente, che la Banca si prestò a farle solo contro deposito in garanzia di titoli di Stato, ossia seguendo il metodo instaurato nel 1870 in occasione della convenzione relativa alle obbligazioni ecclesiastiche (17).


In tal modo lo Stato registrava l'emissione di una nuova rendita, pagava regolarmente gli interessi, che gli venivano restituiti, e in cambio riceveva danaro liquido sborsando per esso solo lo 0,60%.


Fu già nel 1871 che avvenne una di tali operazioni, per 150 milioni di "mutuo", coperto da 214 milioni di obbligazioni al valore nominale (emesse al 70%), in parte utilizzando il consolidato già autorizzato (per 5,8 milioni) e in parte di nuova emissione (per 4,9 milioni). Ma nell'aprile dell'anno dopo si ha la sistemazione definitiva di tutte le pendenze. La nuova convenzione siglata con la Banca Nazionale prevedeva:


a)  la concessione di un "nuovo" mutuo di 300 milioni, per il quale il tasso di interesse venne ridotto allo 0,50%, da erogarsi secondo le necessità di cassa, sempre dietro copertura di consolidato alienato a 85 lire;


b)  la conversione del prestito nazionale forzoso del  1866 (che era redimibile) in consolidato 5%, affidata alla Banca Nazionale, tramite l'iscrizione a favore di questa di 19,1 milioni di lire di rendita annua per un capitale nominale di 382 milioni, emesso a 81 lire circa. Si ritiene che questa conversione, che evitava allo Stato l'esborso annuo di quasi 23 milioni per rata di estinzione e quindi il ricorso sostitutivo al credito, produsse un risparmio effettivo di cassa al Tesoro di 217 milioni di lire;

 
c) il mantenimento in essere del corrispettivo delle obbligazioni ecclesiastiche annullate, perché rientrate presso la Banca, attraverso la solita operazione di mutuo al Tesoro contro deposito di consolidato. Tutte queste operazioni fecero immediatamente affluire al Tesoro i fondi necessari. "Sebbene a caro prezzo....concludeva J. Tivaroni - il Governo allontanava così la necessità di ricorrere a nuovi ingenti debiti per far fronte ai disavanzi dei bilanci e sino al 1881 non troviamo stipulati altri debiti a tale scopo". I "biglietti di Stato" ascesero nel 1872 a 790 milioni di lire, per raggiungere 940 milioni nel 1875: il tasso di inflazione s'impennò, passando dal 2 per cento del 1871 al 12 per cento nel 1872, per poi ridiscendere gradatamente.


Si chiuse in questo modo il primo grande ciclo della storia del Debito Pubblico italiano, durante il quale si registrò una violenta crescita dello stesso, una progressiva diversificazione delle sue fonti di finanziamento, con una particolare insistenza finale sul canale monetario, ma anche una continua attenzione a rimuoverne le cause, agendo con fermezza dal lato delle entrate tributarie e patrimoniali fino a raggiungere il pareggio. 


Nel dicembre 1872, durante una accesa discussione alla Camera sull'imposta di ricchezza mobile, al deputato Lazzaro, che accusava il governo di opprimere il contribuente, Quintino Sella rispose: "L'On. Lazzaro dice: non siamo noi che abbiamo votato il macinato. In fatto d'imposte, per verità, non so che cosa abbiate votato. Credo che non ne abbiate votata alcuna. Avete solo votato le spese, e moltissime ne avete domandate. Ora io credo che realmente s'impongano aggravi ai contribuenti non quando si votano imposte, ma quando si votano spese. Siete quindi perfettamente solidali con noi nell'attuale situazione: e coloro che ebbero il coraggio di votare le imposte sono perfettamente giustificati a compiacersene, perché con ciò hanno salvato il paese" (18).


Plebano, d'altra parte, sul finir del secolo, quando scrisse la sua monumentale opera sulla finanza pubblica italiana, osservava: "Il male è che le risorse economiche di un paese, per quanto vigorose e potenti, non si svolgono che assai lentamente; ed in Italia, purtroppo, per molte ragioni che bisognerebbe rintracciare nella sua storia e nell'indole triste di quasi tutti i suoi passati Governi, le difficoltà di quello svolgimento e quindi la lentezza di esso, non potevano non essere grandissime. 


Era perciò assai pericoloso sistema il contrapporre alle attuali e crescenti necessità della finanza le lontane speranze di una futura prosperità economica ancora da conquistare . E così, mentre a procedere con sicurezza, l'entrata dovrebbe essere sempre ragione e sorgente della spesa, la spesa diventa invece causa e ragione dell'entrata, che bisogna con ogni mezzo e senza troppi riguardi andar cercando".

  

[...]

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(1) Il Gran Libro dei Debito Pubblico del Regno d'Italia fu creato sul modello di quello dell'ex Regno di Sardegna, istituito il 24 dicembre 1819; a sua volta, per l'istituzione del Gran Libro del Debito Pubblico Sardo era stato preso a modello il Gran Livre de la Dette Publique francese, creato il 24 agosto 1793.


(2) Répaci calcola il costo della guerra contro l'Austria del 1866 pari a lire 468 milioni e il costo della presa di Roma pari a lire 20 milioni circa. Il costo della IP guerra d'indipendenza e degli altri eventi militari connessi era già incluso nel Debito Pubblico sardo all'atto dell'unificazione.


(3) "Vi erano due strade - aveva proclamato il Sella alla Camera il 14 aprile 1865 - da tenere nella formazione dei Regno d'Italia .... Alcuni .... ed erano i più paurosi.... hanno potuto credere che si dovesse mettere una specie di spegnitoio sopra il bisogno prepotente di lavoro, di movimento sorto in tutto il Regno e i dovesse continuare le spese in corrispondenza alle piccole risorse che avevano gli antichi Stati .Noi abbiamo scelto una via diametralmente opposta; noi ci siamo gettati animosamente a soddisfare i bisogni di civiltà, di progresso che trasparivano da tutte le parti della popolazione italiana". Soprattutto l'allargamento della rete ferroviaria nazionale impegnò sostanzialmente la Destra Storica (così come, in seguito, la Sinistra), senza produrre i risultati sperati. J. Tivaroni (1908-10) scrisse, con pessimismo forse eccessivo, che: "Si sprecarono somme ingenti per costruire delle ferrovie, senza che avessero merci e viaggiatori da trasportare; per scavare porti senza navi da ospitare , per creare delle preture senza cause, degli impiegati senza lavoro, delle scuole senza scolari".


(4) L'intera spesa pubblica italiana, centrale e locale, si aggirava tra il 15 e il 16% del PIL nel decennio 1860. In un confronto internazionale, sempre relativo alla spesa pubblica totale, per il 1880, risulta che l'incidenza sul PIL della spesa pubblica italiana era la più elevata fra quelle calcolabili (Francia, Germania, Gran Bretagna, Giappone). Aveva le sue ragioni J. Tivaroni quando scriveva che "nessuno allora credeva che il nuovo Regno fosse tra i più poveri d'Europa, tanto è vero che i confronti fra le nostre spese pubbliche e quelle degli altri Stati venivano istituiti esclusivamente in base al manchevole criterio del numero degli abitanti e non della ricchezza relativa".


(5) Il prestito veniva approvato il 10 marzo 1863, con un grosso intervento del banchiere Rothschild di Parigi per il collocamento sul mercato francese. Esso venne emesso al saggio effettivo di 7,04 lire, cioè a un tasso d'interesse molto elevato per quell'epoca.


(6) Tale società fu fondata da Domenico Balduino, presidente della Società Generale di Credito Mobiliare che partecipò

per il 60% del capitale, mentre le restanti quote erano detenute dal Banco di Sconto (30%) e dalla Società Anonima delle

Terre Italiane (10%).


(7) Per un totale di 212 milioni nominali, fruttanti l'interesse semestrale del 2,50%, molte delle quali collocate all'estero.


(8) In effetti, per il lento procedere delle vendite, il Tesoro dovette negli anni successivi versare alla Società parecchi

milioni all'anno che vennero recuperati solo in seguito.


(9) Così, al 30 giugno 1900, quando le operazioni di vendita risultavano praticamente concluse, si registravano 118,3 milioni di lire di entrate da vendite dirette e 239,9 milioni di vendite col concorso della Società, liquidata alla fine del 1883.


(10)  Si noti che sia le discussioni in Parlamento che le leggi si riferivano sempre al ricavo netto dei prestiti; la quotazione

di mercato della rendita italiana ne determinava, quindi, il capitale nominale. In questo caso, il prezzo di emissione fu di 66

lire.


(11)    Atti parlamentari, Discussioni della Camera, Vili leg., sess. 1863-6"5, v. XI, pp.8694 ss.


(12)  Ibidem, v. XII, p.960"7. Si noti che il reddito nazionale era di poco più di 8 miliardi di lire.


(13)  Ibidem, v. XII, p.9646.


(14)  Atti Parlamentari, Discussioni del Senato, sess. 1863-65, v. IV, p.3091.


(15)    Atti parlamentari, Discussioni della Camera, sess. 1869-70, tornata 11 marzo, p.472.


(16)  Aggiungendo agli originari 250, aumentati pochi mesi dopo di 28 milioni come quota-parte dell'annesso Veneto, e dei

100 milioni anticipati nel 1868 su garanzia di obbligazioni ecclesiastiche.


(17)    Si stima che alla Borsa di Genova, la più importante dell'Italia del tempo, i titoli di Stato rappresentassero ancora nel

1876 i 2/3 delle contrattazioni.


(18)  Questi depositi venivano registrati nella contabilità della Banca sia in entrata che in uscita e non sono compresi nella

serie di R. De Mattia (1967) relativa agli impieghi in titoli di Stato da parte della Banca.


(19)  Atti parlamentari, Discussioni alla Camera, sess. 1871-72 tornata Il dicembre 1872, pp. 3685-86.


(20)    Per tutti i dettagli relativi a tale riforma, si veda il volume di R. Faucci (1975).









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