L’opinione pubblica
In questa epoca tristissima, che ben potrebbe dirsi il regno della menzogna, fa d’uopo contare per qualche cosa quel che suol chiamarsi pubblica opinione: opinione fabbricata a furia di arti malvage, d’idee false e travolte da mestatori politici, ai quali, per castigo dell’uman genere, la Provvidenza concesse un ingegno vivace e ardito, una voce seducente e una facile loquela: opinione di cui sventuratissimamente abusò financo chi talvolta si credé chiamato a difendere la causa della verità e della giustizia, pur non seguendo gli eterni immutabili principii del retto e del vero, e ciò con privati intendimenti, e con iscopo che solo conosce Iddio. Noi affrontiamo codesta capricciosa e cieca regina dei nostri giorni, armati della spada della verità, sostenuti da fatti irrefragabili e da documenti, che non possono sconoscere gli stessi avversarii.
[...] V’è ancora fra gli uomini chi distingue due specie di opinioni
[...]. Così v’è una opinione pubblica retta e vera, che obbedisce alla legge
morale, rende omaggio alla verità e alla giustizia, osserva le azioni degli
uomini e dei governi, e accorda loro la meritata fiducia, quando agiscono
conformemente a quegli eterni principii. All’opposto vi è un’altra opinione,
idolo bugiardo dei nostri giorni, sostenuto e portato a cielo da quella
cospirazione contro la verità (come chiamavala il de Maistre) che è il
giornalismo prezzolato e settario, il quale ricuopre come morbosa crittogama
tutta la faccia del mondo, appassendo e annientando i frutti salutari degli
insegnamenti cristiani e civili, scambiandoli con frutti amari di perdizione. Un
istrione, che pur non era vile, su i nostri teatri, nell’effimero regno della
repubblica di Mazzini (nel 1849) ebbe il coraggio di stimmatizzare codesta
opinione pubblica, paragonandola a una mandra imbelle di pecore che va’
dietro allo sguaiato belare di un fetente becco. Fu applaudito, e a ragione;
perché tale appunto è la opinione pubblica dei nostri tempi.
Per codesta sciagurata mezzana delle Società segrete, imbavagliata la
Chiesa, sconosciuta la sua santa missione, vilipesi i suoi ministri, screditata
la sua parola, che è parola di verità, ogni ardito malvagio [...] si crede in
diritto di arrogarsi l’impero del mondo. Costui, disprezzato ogni sano
principio, alla virtù dà nome di vizio, al vizio quello di virtù [...]; fabbrica
cose meravigliose, improvvisa grandi uomini ed eroi, e, novello Satanasso sul
culmine dell’altissimo monte, dice agli uomini istupiditi per la sorpresa o per
la paura, indicando loro il mondo: — Vi darò tutte queste cose, se proni mi
adorerete! —.
L’uomo onesto e cristiano rimarrà estraneo ad una opinione formata in questa
guisa, e malgrado dell’avversità dei tempi e delle cose, chiamerà sempre
menzogna la menzogna, vitupero il vitupero, empietà la empietà, e miseri quei
tempi, quei governi, quegli uomini che loro ardono incensi; chiamando verità la
sola vera santa verità, emanazione di Dio. Ma i figli degli uomini, i novelli
giganti del Massonismo, colle bugiarde parole di libertà, di
civiltà, di redenzione, pretesero annientare la libertà dei figli
di Dio, distruggere la civiltà cristiana, inutilizzare la redenzione compita in
virtù della Croce. Però questa libertà, questa civiltà, questa redenzione hanno
riempita la terra di uomini magnanimi, sapienti e grandi, di opere gigantesche e
stupende a bene temporale ed eterno degli individui; in quello che la libertà,
la civiltà e la redenzione di coloro hanno riempito l’umano consorzio di
miserie, il mondo di ruine, tanto più smisurate, quanto più mostruosi sono i
moderni edificii innalzati al vitello d’oro, col saccheggio delle pubbliche e
private sostanze, colle lagrime e col sangue dei popoli.
Quali siano i vantaggi arrecati all’Italia in generale, e alle Due Sicilie e
agli Stati della Chiesa in particolare, dai moderni banditori di libertà, fatti
vincitori in virtù di armi straniere, lo hanno già reso manifesto infiniti danni
materiali e morali di che sono tuttogiorno saturate codeste infelici contrade, e
sarà registrato nella storia con caratteri indelebili di fuoco e di sangue. La
storia dirà il contegno sprezzante delle consorterie dominanti, avvezze a
calpestar tutto con proposito deliberato; le mostrerà insaziabili di ricchezze,
di vendette, di prepotenze; riboccanti di pretensioni, vuote di merito e di
dignità; dirà la moltitudine di popoli gemente sotto il più dispotico dominio,
le intelligenze isterilite, le forze vigorose inutilizzate; e in loro vece pazze
invidie, odii feroci, selvaggi appetiti, ignoranza, miseria, disperazione...
[...]
La storia mostrerà nuove innumerevoli piaghe sociali, le quali non saprebbesi
di qual nome appellare; mentre invano un’atea filosofia, una legislazione senza
giustizia, un’amministrazione senza probità, un governo di proconsoli senza
fede, di tribuni militari senza pietà, non hanno altro farmaco da apprestare ai
popoli famelici di verità, di quiete, di pane, che metter loro un fucile in
ispalla, perché versino pur anco il loro sangue, contro le proprie convinzioni,
in quello che se ne espongono all’asta pubblica le povere masserizie da saziarne
le ingorde fauci dell’esattore del fisco.
Questo diranno i fatti e proveranno i documenti; non ostante che l’opinione
pubblica (formata dalle sètte) negherà codesto smisurato abisso, cinicamente
gloriando il suo trionfo; e mentre che ardono Pontelandolfo e Casalduni, e cento
altri villaggi; mentre infieriscono le fucilazioni in massa dei Pinelli e dei
Fumel; mentre spariscono in un baleno i tesori e le risorse di governi e di
Stati i più ricchi e fiorenti d’Italia (e forse anco del mondo), dirà, lavandosi
le mani, come la prostituta delle sacre Carte, che la felicità è fra noi; e,
chiesto per ischerno un popolare plebiscito, griderà che l’Italia è fatta, ora
che gli antichi cospiratori gavazzano nell’abbondanza, avendo rubato ogni cosa.
Né a quella bugiarda opinione pubblica verrà in mente, che quando nei precedenti
anni così alto essa declamava contro i governi della Penisola, e in particolare
contro Napoli e contro Roma, e tanti torti loro attribuiva, nulla, affatto
nulla, accadeva delle attuali enormità e nefandezze. Ma per una cosiffatta
opinione è inutile ogni ragionamento, ogni prova, ogni testimonianza: essa tiene
luogo di ragionamento, di prova, di testimonianza, tiene luogo di tutto, per
servire vilmente, ciecamente all’altrui ambizione e cupidigia, e rendere odioso
distruggendolo un’ordine di cose che mirava al benessere e all’indipendenza
della patria e della monarchia, della società e dell’individuo; nulla curando di
averli resi schiavi d’insolenti padroni stranieri, e vittime sanguinolenti, non
di uno, ma di cento despoti settarii.
I documenti raccolti in queste carte provano purtroppo il trionfo di codesta
sciagurata opinione; ma provano altresì, fino all’ultima evidenza, che quel
trionfo non avvenne per volere o desiderio delle italiane popolazioni; ma sì per
le arti abbominevoli di coloro, che per avidità o per odio insensato,
antireligioso e antimonarchico, avevano interesse di rendere devastato e
isterilito questo giardino d’Europa.
Innumerevoli sono i documenti che dimostrano la rivoluzione italiana essere
stata opera di gente straniera, e i nostri popoli averla soltanto subìta. Per
dir solo dei Napoletani, basti fin d’ora ricordare la confessione fattane
dall’infelice Bixio in pubblica Camera di Torino, nella tornata 9 dicembre 1863,
e la dichiarazione solenne di Garibaldi nel pomposo ricevimento fattogli in
Inghilterra nell’aprile del 1864, dove, innanzi a 30.000 spettatori, Ministri,
membri del Parlamento e Lordi, ebbe a dire: "Napoli sarebbe ancora dei Borboni
senza l’aiuto di Palmerston; e senza la flotta inglese io non avrei potuto
passare giammai lo stretto di Messina". Parole autorevolmente terribili, le
quali provano che, se Re Francesco II poteva combattere e vincere la
insurrezione suscitata da una mano di filibustieri, avrebbe poi necessariamente
soccombuto, non ostante l’amore del popolo e il valore dell’esercito, dovendo
[...] tener fronte alla mal velata guerra del Governo Britannico e all’aperta
aggressione del Sardo, sostenuto da Napoleone III e dalla potenza della Francia,
che grande era a quel tempo; doveva in una parola difendersi dai rivoluzionarii
di tutto il mondo, e dagl’interni tradimenti procurati da essi.
E chi non sa, che quanto si disse e si fece negli ultimi quaranta anni, ed in
peculiar modo dal 1856 a questi giorni, a nome dei popoli Italiani, fu detto e
fatto a insaputa di loro e anzi contro il loro volere? Chi non sa, che
architetto ed artefice supremo di codesti e calamitosissimi rivolgimenti fu una
Setta, nemica di Dio e degli uomini, che seppe valersi della malizia dei meno,
della ignoranza dei più, delle passioni di tutti, ai suoi intendimenti? Essa col
pretesto di rendere Una e potente l’Italia ne afferrò la egemonia
impadronendosi delle sue ricchezze; che se fa le viste di acconciarsi per ora
agli ordinamenti e alle apparenze monarchiche, ciò è a patto soltanto di avere
complice la monarchia per ammantare il proprio finale scopo, e preparare i
popoli alla repubblica sociale senza Dio. Esaminando attentamente i fatti
compiuti in quel nefasto periodo, si parrà chiaro come un così esiziale trionfo
sarìa stato impossibile, se tutti i depositarii della legittima autorità
avessero fatto il loro dovere in difesa, non meno della medesima autorità, loro
commessa da Dio, che dei popoli e di sé stessi. Per somma sventura però, o
piuttosto per nostro castigo, prevalse (così disponendo la setta) il sistema
della mitezza, della clemenza, anzi della conciliazione verso uomini, che avendo
giurato guerra all’Altare e al Trono, lungi dall’esserne riconoscenti ai
legittimi governi, osarono chiamare crudeltà, tirannia, oppressione gli stessi
benefizii di che andavano ricolmi. Ma Dio e la storia faranno giustizia severa
di cotanta enormezza.
Di tale Opinione pubblica però, così artificiosamente formata, fa
d’uopo ricercare la origine; e noi non crediamo di andare errati se la
segnaliamo in quei tali famosi Congressi, detti degli scienziati i quali,
sotto le sembianze di scientifiche trattazioni, di null’altro si occupavano
veramente, che di spianare le vie alla rivoluzione, seguendo l’impulso delle
Società segrete, sotto la protezione de’ governi, ciechi o
complici della stessa Rivoluzione.
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