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Corriere della Sera - mercoledì 1° settembre 2004


Le regio0ni del Sud e la riforma

MEZZOGIORNO FEDERALE

 di SABINO CASSESE

Cavour. riteneva che bastasse calare le regioni meridionali nelle più moderne istituzioni unitarie per assicurare il loro sviluppo. Fatta l'unificazione, una parte della cultura settentrionale,si schierò a favore della istituzione di regioni in tutto il territorio Nazionale.

La classe politica meridionale, invece, prima ottenne una differenziazione delle istituzioni a favore del Sud, cosi rompendo l'iniziale uniformità, poi cominciò la lenta conquista del potere centrale. Agli inizi del Ventesimo secolo si poteva già parlare di meridionalizzazione dello Stato.

Ne risultò un paradosso: lo Stato rimaneva unitario, ma era differenziato; rappresentava la Nazione, ma era gestito da meridionali. La storia smentiva così sia il disegno di Cavour, sia quello di Minghetti.

Con un ritardo di un secolo dalle prime proposte e di più di vent’anni rispetto alla Costituzione, nel 1970 fu avviata l'esperienza regionale. I confini dei nuovi enti territoriali furono quelli delle antiche regioni romane: una storia lunga, ma non rilevante per individuare precise identità, se si escludono i dialetti.

Alle Regioni veniva chiesto di fare meglio dello Stato. centrale; hanno fatto, complessivamente, peggio. Le Regioni dovevano ascoltare esigenze diverse, in zone diverse; hanno finito per copiare l'una le leggi dell'altra.

Accettare venti legislatori diversi significava ammettere la differenziazione e accettare l'idea che vi fossero i forti e i deboli; si è, invece, richiesto l'intervento perequativo dello Stato non solo per rimediare ai dislivelli territoriali, ma anche per compensare gli errori delle dirigenze regionali. Insomma l'esperienza regionale è stata piena dì contraddizioni.

Quali conseguenze possono ora avere per  il Sud ulteriori trasferimenti di funzioni dallo  Stato alle Regioni, come quello disposto dal  la riforma del 2001 e  quello previsto dalla riforma costituzionale in  corso di esame in Parla  mento? Si pongono su  spalle poco robuste pesi enormi: scuola e sanità rappresentano circa  due terzi del Welfare  State.

Le Regioni più  gracili, quelle meridionali, sopporteranno un  tal peso? E facile prevedere che questo coro  porterà maggiore politicizzazione, minore efficacia di azione, maggiori costi, più corruzione.

Un'alternativa ci sarebbe: accettare un decentramento differenziato, con un passaggio progressivo di compiti alle Regioni, cominciando da quelle più attrezzate, per poi passare alle altre, a mano a mano che esse si dotano di uffici, personale, capacità organizzativa.

Questo comporta una organizzazione statale decentrata a macchia di leopardo; un sistema di incentivi alle Regioni, perché si preparino; un programma aperto alla sperimentazione.

Un decentramento progressivo, differenziato, sperimentale, non è lontano dalla prima proposta di riforma costituzionale e corrisponde alla esperienza che si sta facendo in Francia, dopo la loro riforma costituzionale regionale del 2001, che consente di adottare norme derogatorie per zone. Ma progressività, differenziazione e sperimentazione incontrano due ostacoli.

 Il primo è quello della direzione strategica: non vedo le strutture idonee per guidare e gestire una operazione così complessa. Il secondo è quello che proviene dalle Regioni stesse, legate da un patto che le porta a farsi strumento di autocentralizzazione. Il «fronte delle Regioni» o avanza tutto insieme, o resta fermo.


 

 

 

 

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