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Tratto da:
https://www.conbassolino.net/

Il manifesto di Eboli

PER UN MERIDIONALISMO DELLA RESPONSABILITA’

E DELL’AUTOGOVERNO

Siamo convinti da tempo che il Mezzogiorno dei guai e della disperazione non è più capace di suscitare attenzione e interesse nel resto della nazione.

Un sud che trasmette di sé un’immagine negativa rafforza l’idea nella opinione pubblica nazionale che si tratta di una questione irresolubile e di cui, dunque, è meglio disinteressarsi o liberarsi.

Per noi è definitivamente finito il meridionalismo della dipendenza, del lamento, della passività. Insieme vogliamo dare forza e sponda al meridionalismo della responsabilità e dell’autogoverno, quel meridionalismo che si è avviato con la fine dell’intervento straordinario, con la stagione del buon governo di tanti sindaci meridionali, con il risveglio della società civile, con le scelte strategiche dello sviluppo locale.

Noi vogliamo rappresentare quel sud che parla con la sua voce, con le sue potenzialità, con la sua soggettività. Che non scarica su altri le proprie responsabilità ma si rimbocca le maniche. Che ha deciso di partire da se stesso prima di chiedere sostegno agli altri, con una sana e orgogliosa fiducia nei propri mezzi e nelle proprie possibilità.

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Quel sud che sta cambiando, che sta mostrando in tanti settori capacità, dinamismo e buona amministrazione.

E’ questo il sud che ci piace e in cui crediamo. E’ questo il sud che vogliamop ortare al governo delle regioni meridionali, perché siamo consapevoli che solo una radicale rottura di immagine e di identità è in grado di riconquistare la solidarietà nazionale, la comprensione e il sostegno di una parte consistente della società del centro nord e di fare da sponda per una nuova politica pubblica.

Sappiamo che il sud sta vivendo una fase di passaggio difficile, una fase di transizione delicata ed anche fragile. Ma, per la prima volta dopo anni, vediamo l’orizzonte del mezzogiorno più aperto a sviluppi positivi, sviluppi che dipenderanno sempre più da quanto i meridionali sapranno fare da sé.

Il sud è stato sempre “oggetto” di politiche pubbliche, mai “soggetto” determinante di esse. Oggi la forza del mezzogiorno, il suo principale capitale, consiste in una “soggettività” di cui non si ha riscontro nel passato. Oggi ci sono le gambe, le braccia e i cervelli su cui appoggiare le politiche pubbliche, in modo che le stesse politiche possano accompagnare la soggettività del mezzogiorno e non sostituirsi ad essa.

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Non è più ammissibile, oggi, il pessimismo storico sulle classi dirigenti meridionali, pessimismo che ha giustificato per quasi un secolo e mezzo l’intervento sostitutivo dello Stato centrale rispetto all’azione delle classi dirigenti locali.

Avere fiducia nelle classi dirigenti locali è per noi un obbligo politico e culturale. Oggi non sussistono più le condizioni politiche, economiche ed istituzionali per un nuovo intervento straordinario, per una nuova sostituzione di ciò che il sud e le sue classi dirigenti non sarebbero capaci di fare.

E’ il sud che intende fare da sé che ha un futuro e una credibilità. Ciò non vuol dire che il sud possa farcela da solo. Ciò non vuol dire che il sud non abbia bisogno di un rinnovato intervento pubblico e di una più consapevole solidarietà nazionale. Vuol dire soltanto che se il sud non parte da sé e dalle sue classi dirigenti non può neanche avviare una nuova politica di sviluppo e aprire una fase nuova di solidarietà.

Per noi compito della nuova politica meridionalistica è l’assunzione della cultura della responsabilità dei meridionali a tutti i livelli: come cittadini, come amministratori, come rappresentanti del mondo del lavoro, dell’impresa, delle professioni.

Noi sosteniamo che nel processo di emancipazione del mezzogiorno hanno un ruolo centrale le classi dirigenti locali e cercheremo di creare al governo delle regioni le migliori condizioni perché esse svolgano questa funzione storica.

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C’è stata finora una sproporzione tra i cambiamenti intervenuti a livello di Comuni e la staticità di quasi tutte le Regioni meridionali. E’ indubbio che le Regioni sono le istituzioni meridionali dove finora l’elemento di continuità con la politica precedente ha prevalso sugli elementi di rottura. Le Regioni meridionali sono state il buco nero del nuovo meridionalismo. Ci vuole uno scossone nella vita delle Regioni meridionali pari a quello che si è avuto nei Comuni.

I casi di successo economico dell’Abruzzo e del Molise, il buon governo della Basilicata dimostrano che questa impresa è alla nostra portata.

PERCHE’ IL SUD NON PUO’ NON ESSERE

FEDERALISTA E AUTONOMISTA

Il sud è interessato al federalismo molto più dello stesso nord, da cui è partita la spinta iniziale.

Il sud non è stato e non sarà un ostacolo sulla strada di questa riforma  istituzionale.

La spinta delle sue classi dirigenti locali verso una sempre maggiore assunzione di responsabilità è forte almeno quanto quella delle classi dirigenti del nord.

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Centralismo e meridionalismo si sono quasi sempre identificati e reciprocamente giustificati nel dibattito culturale e politico italiano. Al punto tale che, quando una parte del paese ha guardato al modello federale come l’unico in grado di superare il suo fortissimo disagio nei confronti del cattivo funzionamento dello Stato centrale, si dava per scontata l’ostilità del sud a questo processo.

Infatti, il centralismo in Italia ha avuto sempre una giustificazione storica nella presenza di fortissimi squilibri territoriali. Il timore era che uno Stato federale sancisse tali squilibri e li facesse divenire irreversibili. Si riteneva che il superamento delle difficili condizioni economiche e civili del mezzogiorno non potesse essere affidato nelle mani delle sue classi dirigenti.

Il punto di vista da cui parte la nostra iniziativa è il seguente. Dopo quasi un secolo e mezzo di Stato centralista, nonostante gli sforzi fatti ed i nobili intenti, la “questione meridionale” non è stata risolta.

La Lega, che ha propugnato un federalismo antimeridionale e secessionista, ha sempre sostenuto che il principale beneficiario storico del centralismo sarebbe stato il sud. Noi affermiamo, invece, alla luce dei risultati concreti, che il sud è stato una vittima del centralismo. Infatti, il superamento dello storico divario tra le due parti del paese, divario che ha sempre giustificato l’organizzazione centralistica dello Stato, non

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solo non è stato superato ma resta la principale anomalia dell’Italia nei confronti dell’Europa.

Noi pensiamo che il federalismo deve servire a tenere più solidamente unita la nazione e al tempo stesso ad affrontare meglio e a superare le differenze territoriali.

Federalismo, autonomismo e meridionalismo oggi per noi coincidono.

Noi vogliamo superare di slancio, con una diversa organizzazione dello Stato, le differenze economiche e civili delle due parti del paese. Pensiamo che il mezzogiorno sia il principale potenziale di crescita dell’intero Paese. Passa da qui la profonda differenza tra un federalismo unitario e un federalismo sanzionatorio degli squilibri territoriali, tra un federalismo solidale e cooperativo e un federalismo nei fatti separatista.

Ci impegniamo ad utilizzare il federalismo e l’autogoverno delle regioni meridionali ai fini della soluzione della questione meridionale. Concepiremo il federalismo come il modello di riferimento della cultura della responsabilità, come spazio istituzionale per l’autogoverno delle realtà locali, a partire dai comuni e dalle  province meridionali.

Il federalismo e l’autogoverno non si esauriscono nella vita delle Regioni, ma riguardano tutto il sistema delle autonomie locali e tutta la società civile meridionale.

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Noi siamo per la piena cooperazione e collaborazione tra tutte le istituzioni.

Siamo, perciò, fortemente preoccupati delle alleanze del Polo con la Lega.

Sappiamo che questo accordo prevede che, in caso di vittoria, tutti i presidenti dei consigli regionali del nord saranno appannaggio della Lega. In alcune dichiarazioni di esponenti del partito di Bossi si è parlato di un accordo segreto in base al quale verrebbe costituito un parlamento del nord, utilizzando la fase di approvazione degli statuti regionali. Già in Parlamento l’On. Borghezio ha presentato una proposta di iniziativa popolare che prevede tutto questo.

Consideriamo l’alleanza del Polo con la Lega una provocazione e un grave atto di ostilità verso il sud e verso i cittadini meridionali.

Mentre il mezzogiorno in questi ultimi anni si è sforzato, grazie ai fermenti nuovi prodottisi sul piano istituzionale, economico e civile, di tornare positivamente sulla scena politica nazionale, il Polo risponde a questi fermenti con l’alleanza con la Lega.

È chiaro che il sud non può tornare al centro della politica nazionale ed europea se un movimento antimeridionale come la Lega riconquista (grazie all’accordo con il

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Polo) un ruolo nella politica italiana, dopo che per tutti gli anni di governo del centro sinistra si era ridotta ad un movimento isolato e ininfluente.

È un gravissimo errore politico togliere la Lega dall’isolamento degli ultimi anni, perché le sue idee eversive e antimeridionali sono un conto se praticate da un movimento relegato nel nord, altra cosa se invece queste stesse idee condizionano e influenzano un’alleanza per il governo del paese.

Chi si allea con la Lega non può parlare a nome del Mezzogiorno, dei suoi interessi, delle sue speranze. Chi si allea con la Lega vuole sbarrare la strada al tentativo del sud di riconquistare importanza e forza nella politica nazionale. I candidati presidenti del centro destra nelle regioni meridionali sono alleati con la Lega e quindi con loro è reale il pericolo di una possibile emarginazione del sud dalla scena politica nazionale.. Noi vogliamo, al contrario, che il sud, nel suo insieme, diventi un tema centrale, una  priorità dell’intera nazione, la “nuova missione politica nazionale” dopo l’ingresso nella moneta unica europea.

Il Mezzogiorno d’Italia è una realtà storica, geografica e politica da diversi secoli. Proprio perché il Mezzogiorno è stato per più secoli uno stato unitario, il regionalismo ha avuto più difficoltà ad affermarsi come dimensione identitaria per le popolazioni amministrate.

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Anche questo aspetto ha condizionato la vita stentata delle regioni meridionali.

Ma bisogna nettamente cambiare passo.

Vogliamo radicare il federalismo meridionale dentro una storia unitaria, che ha visto quest’area dare un grande contributo all’idea di Europa e di nazione.

Noi ricerchiamo un coordinamento dei governi meridionali, rivendichiamo la necessità di non ignorare la storia unitaria che abbiamo alle spalle e il futuro unitario che dobbiamo costruire. Le regioni meridionali sono regioni dell’Italia unita e della nuova Europa.

MERIDIONALI E EUROPEI

Il mezzogiorno d’Italia ha dato molto al raggiungimento dell’obiettivo della moneta unica europea. Il mezzogiorno poteva essere l’area geografica più ostile ad una politica di drastico risanamento finanziario, vista la sua forte dipendenza dalla spesa pubblica. Poteva rappresentare, per alcune forze politiche, il principale argomento per contrastare questo obiettivo.

Con orgoglio diciamo che se l’Italia ha centrato gli obiettivi di Maastricht è anche, e in modo determinante, grazie al contributo del mezzogiorno. Un contributo politico e culturale prima che economico.

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E tutto ciò è avvenuto senza grandi conflitti sociali, nonostante esistessero tutte le condizioni perché le regioni meridionali diventassero il luogo del conflitto e della contrapposizione all’obiettivo europeo e alla politica di rigore.

Le classi dirigenti meridionali hanno sentito l’obiettivo dell’integrazione europea, anche in presenza degli alti prezzi che ciò comportava, essenziale alla costruzione di un nuovo mezzogiorno.

La nuova classe dirigente meridionale si è dimostrata classe dirigente nazionale più di alcuni settori politici e imprenditoriali del centro-nord. Essere meridionali ed essere europei, nella lunga storia del mezzogiorno, ha sempre rappresentato la stessa cosa.

L’integrazione europea è, quindi, il primo grande contributo positivo che il nuovo mezzogiorno ha dato al paese, tanto più importante perché fornito nel periodo più acuto della sua grave crisi economica.

Per noi l’Europa è una delle strade per il riscatto del mezzogiorno, ed opereremo concretamente per utilizzare questa straordinaria opportunità.

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INSIEME FAREMO

Assumiamo l’impegno a costituire un coordinamento permanente delle regioni meridionali, che agisca come strumento di consultazione, orientamento e centro propulsore di una progettualità comune. Il coordinamento si riunirà prima di ogni conferenza Stato - regioni, e ogni qualvolta lo si riterrà opportuno.

Il sud ha dato il meglio di sé nel periodo delle sue maggiori difficoltà economiche. E’ uscito in piedi dal trauma della fine dell’intervento straordinario, dalla riduzione della spesa pubblica e dal crollo di un’intera classe dominante. Il sud ha  dimostrato una tensione morale, civile, culturale che è ancora oggi il suo tratto distintivo. Ma nessuna tensione morale, civile, culturale regge nel lungo periodo se la base economica non si consolida, se non si registrano risultati sul piano occupazionale, se non si espande il tessuto produttivo e non si crea fiducia nelle famiglie rispetto al futuro dei propri figli.

Noi vogliamo fare tutta la nostra parte per affrontare di petto il nodo della disoccupazione meridionale.

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Lavoreremo insieme per aumentare di un punto all’anno il tasso di occupazione nelle regioni meridionali.

Il nostro primo obiettivo sarà quello dell’utilizzo pieno e di alta qualità dei fondi comunitari. Sappiamo che dal buon utilizzo dei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea dipenderà il giudizio sul nostro operato e la ripresa di credibilità dei governi regionali.

Ci impegniamo a rendere pubblici due volte l’anno i dati relativi alla spesa dei fondi, in modo che il fine del loro utilizzo diventi obiettivo condiviso da tutte le nostre comunità. Ci impegniamo a dare conto, nello stesso modo, dell’efficacia di quella spesa nei termini degli obiettivi trasparenti concordati con tutto il partenariato territoriale: nuova occupazione regolare, incrementi turistici, investimenti dall’estero, approvvigionamento idrico, condizioni e tempi per insediamenti industriali.

Così come assumiamo questo impegno verso l’Europa, chiediamo allo stesso tempo che l’Unione consideri gli alti tassi di disoccupazione come la più grave malattia dell’economia europea.

Non condividiamo, perciò, l’idea che la lotta alla disoccupazione sia un problema che ciascuna nazione deve affrontare da sé senza una politica comune europea.

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Noi pensiamo al contrario, che la lotta alla disoccupazione, che è una lotta contro una moderna discriminazione verso i giovani e le donne, debba essere la principale identità dell’Europa unita. Se non sarà così avrà poco da dire al sud d’Italia.

Invitiamo il governo italiano a tenere ferma questa richiesta e anzi chiediamo che il tasso di disoccupazione e non più il reddito pro-capite sia il metro di riferimento nell’assegnazione delle risorse comunitarie ai singoli stati e ai territori svantaggiati.

Diciamo ciò perché non vogliamo che nel 2006, quando saranno decisi i nuovi regimi di aiuto, le regioni meridionali escano dall’obiettivo 1 (obiettivo che sostiene le regioni in ritardo di sviluppo che non superano il 75% del reddito medio europeo) non perché hanno migliorato le proprie condizioni, ma solo perché nell’Unione Europea sono entrati paesi dell’est che hanno redditi di gran lunga inferiori al fatidico 75%.

Certo, non esiste una contrapposizione tra l’allargamento dell’Europa verso est e la difesa degli interessi delle regioni meridionali, e la ricerca di una più stretta integrazione dell’Europa con l’insieme dell’area mediterranea.

Solo che finora la prima politica, quella dell’allargamento dell’Europa all’est, è stata predominante. Non si vede ancora traccia della seconda. Non si tratta solo di “allargare” l’Europa, ma anche di “allungarla”, di coniugare gli interessi dell’Europa

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continentale con quella meridionale. Si tratta, soprattutto, di investire di più nel ruolo che l’Europa può svolgere nel Mediterraneo, affinché esso non sia mare di contrapposizione geografica, economica e culturale tra i paesi delle sue diverse sponde.

Sappiamo che il compito è arduo, complesso, ma è anche un compito che, se avviato, può ridare centralità alle regioni meridionali dell’Italia.

Solo mettendo in comunicazione tutte le sponde di questo mare, tutte le diverse culture, tutte le diverse economie, il sud d’Italia potrà svolgere un ruolo non gregario nella storia futura.

Per questo chiediamo che gli investimenti infrastrutturali nelle nostre regioni si carichino di una ambizione in più. Innanzitutto dell’ambizione di collegare le regioni meridionali tra di loro lavorando su direttrici di trasporto che uniscano il Tirreno, lo Jonio e l’Adriatico. Le direttrici nord-sud all’interno del Mezzogiorno hanno sì collegato la fascia tirrenica a quella adriatica ma hanno isolato la fascia appenninica, oggi la più dinamica da un punto di vista produttivo, e hanno separato le due fasce costiere.

L’altra ambizione è quella di fare da sponda verso gli altri paesi del bacino del Mediterraneo. Abbiamo già visto cosa vuol dire investire sulla posizione baricentrica

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nel Mediterraneo delle nostre regioni. Lo dimostra il successo del porto di Gioia Tauro. Chiediamo che si prosegua su questa strada.

L’Italia deve imparare a non considerare il mare come un confine, ma come un ponte.

Nel sud mancano porti, strade, ferrovie, aeroporti adeguati a ridurre le distanze al suo interno e con i mercati di sbocco del centro-nord dell’Italia e dell’Europa. Ma le infrastrutture del futuro dovranno essere costruite sia guardando verso il nord sia guardando verso il sud, oltre il mare. Il paradosso della situazione attuale consiste nel fatto che è più facile recarsi negli altri paesi del Mediterraneo, scambiare e trasportare merci in quei luoghi partendo da Roma o da Milano di quanto lo sia dal sud d’Italia, che è di gran lunga più vicino. Tutto ciò deve rapidamente cambiare. Costruire aeroporti internazionali (che sono le infrastrutture più carenti al sud), basi logistiche per lo spostamento di merci e persone (per mare, per cielo e per terra) sarà sempre più importante sul piano economico per conquistare quei mercati.

Perciò le regioni meridionali vogliono concordare con il governo italiano una politica estera che giochi con più forza e coerenza del passato la carta dell’incontro con gli altri popoli del Mediterraneo.

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Vogliamo che nella politica estera dell’Italia e dell’Europa sia combattuta quella specie di “ossessione magnetica” che spinge a pensare che il baricentro di tutto sia al nord.

Noi vogliamo mettere a disposizione e ulteriormente coltivare quella particolare attitudine del popolo meridionale all’accoglienza e alla convivenza pacifica con altri popoli, che è stata per tanti secoli una consuetudine precipua di questa parte del paese.

In questo senso vogliamo costruire, insieme con il governo centrale, centri di alta formazione per le classi dirigenti dei paesi delle altre sponde del Mediterraneo, scuole, università, strutture sanitarie in grado di fare delle regioni meridionali un punto di riferimento per le popolazioni mediterranee.

Le regioni meridionali possono giocarsi un ruolo leader in una delle zone strategiche sul piano politico, culturale ed economico di questo secolo che è iniziato.

Sappiamo che ci sono segnali importanti di una modifica storica del ruolo del Mediterraneo. Esso sta tornando ad essere luogo di transito, di scambi tra l’Asia, il nord Europa e il nord America. Dopo secoli di emarginazione geografica, la direttiva Gibilterra-Suez, quella direttiva collocata tra l’Estremo Oriente e il nord Europa e l’America, diventa nuovamente centrale sulla scena economica e commerciale mondiale.

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Oggi la posizione geografica dei paesi che si affacciano sulle rive del Mediterraneo, a differenza di ieri, quando il crocevia degli scambi e dei mercati era posto quasi esclusivamente nel cuore dell’Europa, può diventare un vantaggio, come nei fatti lo fu fino alla scoperta dell’America.

Tornare ad essere il baricentro geografico degli scambi commerciali a lunghissima distanza, può rappresentare una svolta nella storia delle regioni meridionali e dell’Italia intera. Ciò può mettere finalmente in discussione la marginalità economica e geografica che per un lungo periodo storico ha caratterizzato il  Mezzogiorno d’Italia.

Orientarsi, dunque, verso una politica euromediterranea può rappresentare la scelta strategica più favorevole per le nostre regioni.

Noi lavoreremo perché questa scelta venga fatta.

Lanciamo una sfida a noi stessi e al governo centrale: fare del sud il principale punto di investimenti per sviluppare le reti della new-economy.

Gli investimenti in questi settori sono in grado di azzerare uno dei principali ostacoli allo sviluppo meridionale, cioè la distanza geografica dai principali mercati

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europei ed internazionali. Essendo un’economia che si sta sviluppando velocemente negli ultimi anni, il sud per la prima volta non partirebbe svantaggiato e potrebbe competere ad armi pari con altri territori italiani ed europei. Ciò è reso evidente dal fatto che alcuni degli imprenditori più conosciuti e dinamici in questo settore sono meridionali.

Chiediamo una forte iniziativa del governo centrale nei confronti della Commissione Europea per introdurre nel sud d’Italia una tassazione dei redditi d’impresa più bassa che nelle altre parti d’Italia e una fiscalizzazione degli oneri sociali e previdenziali che annulli i divari di produttività (non dipendenti dalle imprese) tra nord e sud d’Italia.

Non si può pensare di ampliare il tessuto produttivo meridionale se non si usa anche la leva fiscale. Sappiamo che l’Unione Europea vieta tassazioni differenziate per territori, considerandole distorsive della concorrenza. Noi chiediamo che contro questa posizione il governo faccia sentire con più forza rispetto al passato la sua voce in sede europea.

Se l’Europa ha come suo obiettivo la lotta alla disoccupazione non può impedirci di adottare misure ad hoc proprio nel sud d’Italia (20 milioni di abitanti, 36% del territorio italiano) dove si registra il più alto tasso di disoccupazione giovanile d’Europa.

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Noi ci batteremo perché in Europa ci siano politiche mirate per i singoli territori; solo in questo modo un paese come l’Italia ad economia duale può ottenere risultati.

Non stiamo parlando di riduzioni fiscali generalizzate per tutte le imprese meridionali, ma della riduzione del carico fiscale per le nuove imprese che vengono ad investire nel sud e per i nuovi investimenti per imprese già esistenti. Questa fiscalità differenziata varrebbe per un tempo limitato, che potrebbe coincidere con il periodo di programmazione dei fondi comunitari (2000-2006).

In questo senso verificheremo le condizioni legislative per un provvedimento volto a consentire sgravi fiscali e previdenziali alle imprese che decidono di allungare la stagione turistica. In cinque anni vogliamo fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per ospitare nel periodo autunnale-invernale milioni di turisti provenienti da tutto il mondo.

Il nuovo meridionalismo deve puntare sulle energie presenti nei nostri territori.

Lo sviluppo passa, per noi, attraverso questa strada fatta di cultura della responsabilità e dello sviluppo locale. Noi condividiamo “la strategia del contesto”, quella strategia basata sull’idea che lo sviluppo è un processo complesso in cui operano più fattori, il primo dei quali è rappresentato dall’ambiente sociale in cui agisce l’impresa.

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Perciò noi attribuiamo alla cura del territorio e della società meridionale la stessa importanza degli incentivi fiscali e finanziari. Noi attribuiamo la stessa importanza al capitale fisico (infrastrutture materiali e immateriali, istruzione, formazione e ricerca) e al capitale sociale (fiducia reciproca, fiducia nelle istituzioni, assunzione del rischio d’impresa, rispetto delle regole e della legalità, pubblica amministrazione moderna ed efficiente).

Noi vogliamo usare nell’assegnazione e nell’utilizzo dei fondi comunitari, i patti territoriali e i contratti d’area già in essere trasformandoli in “agenzie di sviluppo locale”, e vogliamo fare in modo che ciascun territorio usi le risorse comunitarie secondo scelte di comune responsabilità locale.

Consideriamo la sicurezza e la legalità una delle principali condizioni per assicurare lo sviluppo. In questo senso utilizzeremo parte dei fondi comunitari affinchè in ogni zona dove si cominciano a realizzare nuclei di industrializzazione e di sviluppo produttivo, in ogni area urbana dove criminalità e microcriminalità frenano il lavoro autonomo e l’impegno sociale, nelle aree investite da forti afflussi migratori, ci siano interventi per garantire sicurezza e libero svolgimento delle attività economiche. Ci batteremo affinchè i tribunali civili e amministrativi delle nostre regioni siano dotati di professionisti e personale di livello e affinchè i tempi del loro giudicare siano dimezzati.

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Ci impegniamo ad azzerare la formazione professionale così come si è svolta negli ultimi anni e a incominciare daccapo. Chiederemo su questo punto una forte collaborazione alle imprese perché una parte di questa formazione si svolga dentro le aziende. Concentreremo la nostra attenzione su una formazione capace di preparare i milioni di giovani disoccupati diplomati e laureati alle nuove opportunità offerte dalla new-economy. Ci impegniamo a dedicare all’emersione e alla valorizzazione del  lavoro sommerso molte delle nostre energie e risorse. Dove esso non è lavoro minorile e sfruttamento di ceti indifesi – perché, allora, una più forte azione repressiva di giustizia è richiesta – si tratta di un potenziale ci capacità manuali ed inventiva che domanda e merita l’offerta di un contesto dove “convenga” emergere: servizi finanziari decorosi, reti telematiche e servizi per l’uso di quelle reti, consulenza fiscale e

commerciale di livello.

Siamo convinti che le montagne e le coste, le foreste ed i valli, i siti archeologici ed i monumenti, i castelli e i palazzi del sud, siano fra le ragioni principali del nostro orgoglio e fra le fonti prime della nostra possibile ricchezza materiale. E poiché queste risorse sono spesso inaccessibili, quasi sempre sottoutilizzate, talora vandalizzate, noi ci impegniamo non solo a tutelarle e a riportarle alla luce, ma a costruire un contesto che richiami l’intrapresa privata – turistica, artigianale, artistica, scientifica, anche di alto servizio informatico – e l’associazionismo giovanile, il terzo settore, a investire e a produrre nuovi servizi attorno a quelle risorse.

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Chiederemo alle imprese di sottoscrivere un accordo in base al quale le assunzioni saranno fatte selezionando i giovani con i migliori voti nelle scuole e nelle università.

Vogliamo trasformare la pubblica amministrazione nelle regioni del Mezzogiorno, vogliamo rompere l’identificazione fra sud e burocrazia inefficiente,

inefficace e corrotta. Già in alcune regioni, come la Basilicata – esempio europeo di buon utilizzo dei fondi comunitari – questa identificazione comincia a rompersi Siamo convinti che la sfida nella competizione con gli altri territori italiani ed europei ha il suo nodo da sciogliere nel rimuovere, riorganizzare e semplificare gli apparati burocratici per metterli al servizio dei cittadini e delle imprese. Le diverse capacità amministrative saranno un elemento fondamentale di questa sfida e una delle condizioni indispensabili ed irrinunciabili per lo sviluppo delle regioni meridionali.

Per questo vogliamo che i vertici delle amministrazioni regionali saranno scelti tra i migliori professionisti e laureati italiani ed europei. Per questo ci impegniamo a selezionare i funzionari con una formazione in grado di dialogare con le amministrazioni degli altri stati europei e con Bruxelles. È con l’aiuto di queste persone, capaci e competenti, che intendiamo fare squadra per

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promuovere una nuova immagine del sud d’Italia che spezzi ogni legame con l’immagine di una burocrazia oscura e tortuosa.

Noi chiediamo un voto per l’unità del mezzogiorno contro chi vuole renderlo subalterno e dividerlo dal resto del Paese.



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