Paolo GRANZOTTO
La pagina più nera della storia d'Italia e ancora coperta dal segreto militare a distanza di 140 anni dagli avvenimenti. Nonostante il Risorgimento stia lentamente subendo un processo di rivisitazione in chiave neoborbonica, grazie all'impegno di alcuni storici coraggiosi, che lavorano in contrasto all'ortodossia accademica, a Roma, presso lo Stato Maggiore dell'Esercito, si conservano, inaccessibili agli studiosi, 150.000 pagine che contengono la verità sull'insurrezione meridionale contro i piemontesi.
Quel controverso periodo capziosamente definito brigantaggio.
I documenti che potrebbero finalmente fare luce sulla distruzione di interi paesi, sulla deportazione dei suoi abitanti e sulla fucilazione di migliaia di meridionali subiscono ancora «Il complesso La Marmora», dal nome del generale che diresse per anni la repressione nel Mezzogiorno, prima di divenire capo del governo.
Lei fa bene a prendersela, caro Della Ragione, ma badi che gli archivi non potrebbero altro che confermare quello che già si sa, si sapeva e si è sempre taciuto. Non la «rivisitazione», ma la «visitazione» storica sull'annessione del Regno delle Due Sicilie (che non è necessariamente filoborbonica: lo diventa per contrasto alle menzogne antiborboniche della storiografia risorgimentalmente corretta) può contare su una buona mole di documenti, di relazioni, di diari e perfino di materiale fotografico.
A proposito sappia, caro Della Ragione, che presto uscirà in
abbinato al Giornale una collana di libri (La biblioteca storica del
Giornale) su vicende e personaggi di quel periodo. Cominciando con
colui che fu all'origine di molte nostre avventure e disavventure:
Napoleone. Certo, quello è un dente che ancora duole.
Ancora si fa fatica non dico ad ammettere, ma solo a sospettare che i
Savoia avallarono una guerra di conquista coloniale accompagnata da
brutalità, soprusi ed efferatezze. Si preferisce continuare a
credere che il Regno sia stato «liberato» e i sudditi dei
Borbone volontariamente, entusiasticamente, si siano gettati nelle
braccia dei piemontesi salvatori (salvo naturalmente pochi delinquenti,
i «briganti», giustappunto). Sui Mille, su Garibaldi, sullo
scappellamento (mai verificatosi) di Teano gli storici si dilungano,
compiaciuti. Ma delle cannonate dell'esercito piemontese, cioè
di un esercito che invase il Regno senza aver dichiarato guerra, zitti
e mosca.
Qualche riga su Gaeta che l'eroe Cialdini seppe da par suo costringere alla resa e che Persano, anticipando la vergogna di Lissa, cercò di espugnare dal mare, ma dovette filarsela -ovvero ritirarsi, ovvero fuggire- inseguito dai pernacchi che la guarnigione gli indirizzava dagli spalti.
Per il resto, silenzio, anche su Civitella del Tronto, capitolata solo
il 20 marzo del 1862. Finita, a viva forza, nel dimenticatoio Civitella
s'è presa però una bella rivincita: la fortezza è
infatti diventata meta di centinaia di migliaia di turisti desiderosi
di toccar con mano, se così si può dire, la storia
patria. Un successo che a qualcuno fa venire il mal di fegato, al
Comune di Torino, per esempio.
Deve sapere, caro Della Ragione, che un paio di mesi fa i civitellesi
si sono rispettosamente rivolti al sindaco Chiamparino per chiedere
fossero loro restituite tre bocche da fuoco che i gloriosi piemontesi,
una volta occupata Civitella, si portarono via quale trofei di guerra.
Si tratta di due colubrine del Seicento e una bombarda, detta «la
scornata», del 1741, particolarmente cara ai civitellesi
perché, oltre a sparar palle sui piemontesi del generale
Ferdinando Pinelli, le sparò anche sui soldati di Napoleone (gli
stessi ai quali i «patrioti» giacobini napoletani, le
Fonseche Pimentel eccetera, aprirono le porte non prima d'aver steso i
tappeti rossi).
Insomma, Civitella del Tronto cittadina tosta, è. E rivoleva i suoi cannoni. Ma la Torino sabauda glieli ha negati, consentendo solo un prestito della durata di un anno.
Dopo di che dovranno tornare dove giacciono (probabilmente assieme ad
altri trofei di guerra, come le teste mozze dei «briganti»
chiuse in vasi pieni di formalina) da quasi centocinquant'anni: negli
scantinati di qualche civico deposito torinese. Io sono uomo d'ordine e
mai ho istigato alla sovversione. Ma invito i civitellesi a non
restituire quei cannoni.
Se li tengano. E se c'è da difenderli dai birri piemontesi;
sappiano che mi offro volontario, pronto a salire sulle mura e a
battagliare, ovviamente con le stesse armi che i lazzari di Gaeta
opposero al grande ammiraglio Persano.
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