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La modernizzazione dell’Irpinia

vista attraverso la letteratura italiana pubblicata dopo il 1980
[The Modernization Of Irpinia As Seen Through Italian Literature Published After 1980]

Stephanie A. Longo
Mentor: Dott.ssa Virginia Picchietti
Lettori: Dott.ssa Josephine Dunn

       Dott. Roy Domenico

Un progetto presentato per realizzare parzialmente le esigenze del
Programma d’onore dell’Università di Scranton
9 maggio 2003

Ringraziamenti

Innanzi tutto, vorrei ringraziare la Dott.ssa Virginia Picchietti per tutto ciò che ha fatto per me durante il mio tempo qui all’Università di Scranton. Sono onoratissima di poter dire che è stata la mentor per questo progetto e spero di aver l’opportunità di lavorare di nuovo con lei nel futuro. Vorrei anche ringraziare la Dott.ssa Josephine Dunn per tutte le sue parole d’incoraggiamento e per tutto l’aiuto che mi ha dato su questo progetto. Inoltre, vorrei ringraziare il Dott. Roy Domenico per aver sempre saputo farmi ridere e sorridere, soprattutto quando i miei nervi erano a pezzi e per aver preso il tempo di scoprire la Verde Irpinia. Ringrazio Giuliana Caputo, Tina Rigione ed Emilia Bersabea Cirillo per la loro disponibilità e la loro amicizia. Spero di aver trattato i loro libri con lo stesso amore e rispetto che hanno sempre mostrato per me.

Devo la mia passione ed amore per l’Irpinia a Salvatore Boniello del comune di Guardia dei Lombardi perché lui è stato la prima persona ad accogliermi in Irpinia e mi ha sempre incoraggiata a continuare coi miei studi sulla nostra terra. Voglio esprimere la mia più profonda gratitudine a mia madre, Anna Maria, perché lei è stata la prima persona ad introdurmi all’Irpinia ripetendomi le parole di mio nonno, Giuseppe: "Voglio tornare a Guardia. È stata a causa di questa memoria che ho deciso di scoprire questa terra per me stessa. Inoltre, mia madre mi ha sempre consigliata di seguire i miei sogni ed alla fine della mia carriera universitaria, posso veramente dire che l’ho ascoltata. Senza la mia famiglia, non sarei la persona che sono e ve ne ringrazio.

A Marina Salvadore devo la mia conoscenza del Meridione. Lei mi ha insegnato che posso fare una carriera d’italianistica seguendo il mio desiderio di studiare la letteratura meridionale.  A Giuseppina Luongo Bartolini devo la mia consapevolezza che sto facendo un lavoro che aiuterà non solo l’Irpinia ma anche tutto il Meridione.

Mille grazie a Paolo Speranza, Michele Vespasiano e Generoso Benigni per avermi inviato tanti bellissimi libri sull’Irpinia. Grazie a voi, sono sicurissima di poter continuare a studiare la nostra terra e la sua letteratura e storia. Finalmente, voglio ringraziare le seguenti persone per tutto ciò che hanno fatto per me durante il corso della mia ricerca: Domenico Cirpiano, Denise D’Antona, Sharon Nazarchuk, Andrea Massaro, Valeria Luongo, Carmine Palatucci, Cesare de Seta, Elio Guerriero, Antonio Serao, Rita Pennarola, Edoardo Spagnuolo, Luigi Famiglietti, Franco Adamo Balestrieri, Marina Troiano, Giuseppe Palma Alagia, Pierpaolo Basso, Michele Luongo, Ottaviano De Biase, Giuseppe Di Biasi, Vittoria Troisi, Clemente Farese, Domenico Iannutuoni, Angelo Siciliano, Franco Arminio, Antonio Ciano, Antonio Pagano, Umberto Bartolini, Carmine Crocco Donatelli e le seguenti organizzazioni: Le comunità Internet Bella Napoli, Controrivoluzione e Ddoje Sicilie, L’Ente provinciale per il turismo di Avellino, Per caso sulla piazzetta, L’Associazione culturale Due Sicilie, Il Comune di Guardia dei Lombardi, Il Comune di Avellino, La Provincia di Avellino ed Il Centro di Documentazione della Tradizione Orale della Biblioteca G. Venturelli.

Voi tutti avete contribuito molto alla crescita di studi sull’Irpinia e, nel nome di tutti gli Irpini non solo in Italia ma anche attraverso il mondo, vi ringrazio.    

L’idea del sottosviluppo è sempre stato un problema per il Meridione d’Italia. Dopo il Risorgimento, il nuovo governo italiano ha preferito contribuire alla crescita del Nord. [1] Il Meridione è stato considerato un “problema” e c’era un gruppo di persone dal Nord, i meridionalisti, che credevano di poter risolverlo. [2] Secondo i meridionalisti, i problemi del Sud erano causati dal fatto che la terra del Sud non è adeguata per l’industria o l’agricoltura e che le persone del Sud non avevano le qualità necessarie, come una voglia di lavorare, per cambiare la situazione. Gli storici ed i meridionalisti degli anni immediatamente dopo il Risorgimento credevano che il Sud fosse primitivo e che la gente lì non fosse colta. [3]

     Negli anni ‘80, gli studiosi della storia del Meridione hanno cominciato a contrastare il meridionalismo perché cambiava le realtà del Sud quando questa veniva interpretata dal punto di visto di qualcuno dal Nord. [4] L’idea più importante di questo “nuovo” meridionalismo è che è pericoloso paragonare il Sud col Nord perché sono due zone completamente diverse e che il “vecchio” meridionalismo non può superare lo stereotipo del Sud sottosviluppato, che è un’idea sorpassata. [5] Questo nuovo meridionalismo, allora, propone guardare il Sud con occhi meridionali invece che con occhi settentrionali. [6]

     Il Sud è sempre stato colpito da disastri naturali come terremoti. Nel terremoto del 1908 in Calabria e in Sicilia, oltre 100.000 persone sono morte [7] e nel terremoto di Belice nel 1968, i danni erano quasi irreparabili ma la Regione di Sicilia ha proposto un piano di modernizzazione che avrebbe aiutato il Belice di riprendersi dopo la tragedia mantenendo il suo patrimonio storico. [8] Nella valle dell’Irpinia, la quale include la Provincia di Avellino, sono avvenuti cinque terremoti negli anni fra il 1900 ed il 2000. [9] Il terremoto del 1980, che serve come soggetto di quest’analisi, ha ucciso oltre 3.000 persone e ha forzato gli Irpini a ricostruire la loro terra da zero. [10]

    La ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto del 1980 ha provocato una modernizzazione nella zona che non è stata regolata dalla Regione di Campania [11] ma che è stata causata dal bisogno inerente di modernizzare la zona. Per esempio, le case erano fatte tutte del tufo prima del terremoto irpino del 1980 ed ora venivano ricostruite col cemento antisismico per meglio sopravivere ad  un’altra catastrofe.

     L’Irpinia è rappresentata nella letteratura italiana, per la maggior parte, attraverso l’immagine della modernizzazione e la ricostruzione della zona dopo il terremoto del 1980. Nei tre libri presentati in quest’opera, si vedrà la modernizzazione dell’Irpinia mostrata in vari modi. Tina Rigione nel suo racconto “Terra” rappresenta i cambiamenti nella cultura irpina avvenuti dopo il terremoto, mentre Emilia Bersabea Cirillo nel romanzo Il pane e l’argilla reclama il bisogno di usare le tradizioni contadinesche dell’Irpinia per sviluppare il suo turismo; lo sviluppo di un turismo irpino è un passo verso la modernizzazione della zona perché aiuterà a migliorare l’economia della zona.  Finalmente, Giuliana Caputo in Lezione d’amore annuncia la necessità di cambiare il sistema scolastico irpino perché le future generazioni irpine possano usare la loro istruzione per aiutare a modernizzare la zona.

     Per mostrare la modernizzazione dell’Irpinia com’è messa in rilievo attraverso queste opere, si useranno le opere stesse, interviste con gli autori ed anche altri libri ed analisi critiche pubblicati sull’Irpinia per sostenere le idee presentate qui. È importante notare che non esistono molte opere critiche che trattano dell’Irpinia perché non è una zona studiata spesso. Questa tesi si propone come un esempio del nuovo meridionalismo perché prova a mostrare che il Sud non è una zona sottosviluppata e che ci esiste veramente una cultura. Il Sud non è una zona primitiva; anzi, è una terra ricca di storia e letteratura. I libri usati in quest’opera sono solo un esempio di quanto è ampia la collezione di libri scritti da autori meridionali.

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     La potenza degli Irpini è stata messa alla prova la sera del 23 novembre 1980 quando alle 19,35 un terremoto ha quasi distrutto l’Irpinia con tutto il suo potere. [12] Migliaia di persone sono state uccise dal potere del sisma che si poteva sentire attraverso tutta la penisola italiana. Come si fa ad affrontare il dolore, la paura ed il terrore causati dal terremoto che anche oggi è un simbolo della “morte” dell’Irpinia? C’è un racconto in particolare, “Terra” di Tina Rigione [13] , che serve come fotografia di quel fatidico giorno. [14] Si vede in questo racconto che la normalità in Irpinia se n’è andata nel 1980 e che gli Irpini hanno dovuto costruirsi una nuova vita sulle rovine del loro vecchio mondo.

      Quando si legge “Terra”, si capisce immediatamente il disagio provato da Rigione e da tutti gli Irpini durante il periodo del terremoto perché comincia come un giorno qualsiasi nella vita irpina: “Fu un bel pomeriggio trascorso a cantare alla parrocchia per la messa delle sei; tra gli amici, Roberto suonava la chitarra e noi altri facevamo il coro”. [15] Questa prima frase del racconto rappresenta l’Irpinia di prima perché l’azione avviene in chiesa—“la stella maggiore [16] ” del cielo irpino. Rigione ed i suoi amici stanno godendo la vita senza alcun’indicazione degli eventi che stanno per accadere. C’è solo una breve prefigurazione del sisma quando Rigione scrive nel paragrafo che ha salutato gli zii per “l’ultima volta”. [17] Il primo disagio causato dal terremoto è, allora, la perdita dei cari in un colpo. Questo sentimento di disagio rimane al primo piano per tutto il racconto ma ci sono anche altri sentimenti che fanno parte alla ricostruzione degli eventi del terremoto come sono rappresentati qui.

     Il terremoto irpino del 1980 significa la fine terrificante della “vita vecchia” di quella zona. [18] Rigione mette questo in rilievo quando scrive che “Ad un certo punto un boato, come un tuono circoscritto, mi fece trasalire, ma sembrava tutto calmo... Poi mio padre iniziò ad urlare ‘il terremoto! il terremoto!’ e fu quell’urlo che mi fece tremare di più, dando la conferma alla casa che qualcosa di tremendo stessa accadendo. Buio”. [19] Il lettore sa immediatamente che tutto è cambiato in Irpinia perché il buio è come una tenda nell’opera—l’atto è finito quando la tenda scende. Quando si leva, tutto è diverso; come quando il buio è sparito in Irpinia dopo il terremoto. Si vede la sensazione di terrore provata da Rigione; lei tremava, lei sapeva che “qualcosa di tremende stesse accadendo”. Lei era terrorizzata; non sapeva che cosa le avrebbe portato l’indomani, tutto era incerto e tutti erano nel buio.

     Il terrore che un disastro naturale come un terremoto può provocare è immenso ma anche difficile da spiegare ad un altro; però Rigione ce lo descrive paragonando il sisma ad “una giostra del luna park” e dicendo che “il panico mi avvolse”. [20] Si vedono gli eventi del disastro nei giornali dell’epoca ma si ha bisogno di un racconto come quello di Rigione per mostrare cos’è successo nelle menti delle persone che hanno vissuto il trauma perché un articolo giornalistico dev’essere obiettivo nel raccontare i fatti mentre un racconto può parlare di sentimenti personali che non dovrebbero apparire in un giornale. [21] Lei ci racconta che “L’odore di quella polvere [della loro abitazione che stava per crollare] resterà indimenticabile nella mia mente”. [22] I giornali dell’epoca ci mostrano cos’è successo quel giorno ma gli scritti come questo ci mostrano l’aspetto umano della tragedia; si vedono tutti i sentimenti provati dagli Irpini e da Rigione quel giorno. Lei ci dice che, “Attendemmo il nostro destino sul muro maesto”. [23] Mentre Rigione e la sua famiglia aspettavano il loro destino, tutto intorno a loro stava crollando.

     La parola “TUFO [24] ” scritta tutta a maiuscolo richiama il crollo degli edifici irpini perché quasi tutti erano costruiti di tufo. È una sorpresa vedere la parola scritta a maiuscolo ma serve a dimostrare lo shock e l’aspetto inaspettato dell’evento. Il tufo era dappertutto ed era la sostanza che componeva la polvere della quale Rigione ha detto che l’odore “resterà indimenticabile” nella sua mente. Immediatamente dopo la pioggia del tufo, Rigione descrive il suo terrore dicendo che “Tutto girava a mille, il cuore batteva a mille, il fiato usciva a mille ed entrava a meno mille dalle narici ostruite e dalla bocca arsa senza più saliva, ingombrata dallo strato di polvere; le gambe tremavano e i piedi saltavano da una pietra all’altra cercando di non inciampare”. [25]

     Nel 1980, Rigione era ancora ragazzina. Il racconto è la sua memoria del terremoto e, perciò, lei include anche i suoi sentimenti ora che guarda indietro. Scrive di un fanciullo che conosceva, Gerardo, morto nelle macerie: “Era sparito sotto alle balconate precipitate in terra lì, proprio a mezzo metro dal portone, un solo passo indietro, ah! se fosse rimasto ad aspettare dentro!” [26] Questa frase mette chiaramente in rilievo la spontaneità di quel giorno e che nessuno sapeva l’esito delle proprie azioni; per esempio, nessuno sapeva che un passo significava la differenza fra la vita e la morte. Rigione riflette sul sisma dicendo “Ma a tredici anni non si conosce la vita, tanto meno si dovrebbe conoscere la morte”. [27] La vita è stata tolta da Gerardo e lui non ha veramente vissuto dato la sua giovanissima età. Lei si ricorda di Gerardo ed ora, più di vent’anni dopo il sisma, lei si sente sconvolta perché si accorge che Gerardo avrebbe dovuto avere l’opportunità di vivere invece di morire nel terremoto.

     Il terremoto era un evento così tremendo che Rigione aveva sentimenti contrastanti: “Ero incredula, non riuscivo neanche a versare una lacrima. Singhiozzavo, non piangevo”. [28]   Lei era scioccata; non piangeva perché la situazione era così inaspettata. Prima del terremoto, lei era in chiesa e cantava coi suoi amici; non ha mai sognato che il resto della sera le avrebbe portato tanto dolore. I sentimenti dello shock degli Irpini cambiano in sentimenti di disperazione quando scrive “E poi, dalla piazza dove eravamo fermi, chi si era ritirato dopo l’evento stava cercando il compagno, la figlia, la moglie, l’amica”. [29] Il disagio e la disperazione provocati dal terremoto erano così grandi che le persone erano ridotte a cercare nelle rovine i loro cari senza l’aiuto di nessuno. La disperazione aumenta quando Rigione dice in un ricordo simbolico all’inizio del racconto: “Sembrava che Dio si fosse proprio dimenticato di noi, pure dei bambini e dei ragazzi sotto alle pietre. La natura ha voluto punirci”. [30]

     Dopo i suoi ricordi del sisma, Rigione comincia a parlarci della sua vita nei prefabbricati costruiti in Irpinia mentre si ricostruivano le vere abitazioni della gente. Rigione scrive di un evento inventato che sembra avere niente a che fare con la storia intera ma che è rilevante perché mostra i primi passi dell’Irpinia verso la modernizzazione: “Ero solo una bambina quando mi resi conto che in quelle calde mattine d’estate quando nella casa si alzavano le risa, non si giocava con le bambole, non erano le risa di una bambina, anzi, lei era in silenzio...’Vieni qua, piccola, che ti faccio vedere un bel giocatolo’”. [31] Questa frase enunciata dall’uomo che abitava nella prossima prefabbricazione dopo quella di Rigione significa la fine della vita vecchia in Irpinia; il terremoto ha veramente distrutto tutto. La vita che caratterizzava l’Irpinia di prima è sparita sotto le macerie. Prima del terremoto, un’instante d’abuso come questo era nascosta; non se ne parlava anche se succedeva. Rigione ci mostra che ora si può parlare apertamente dell’abuso sessuale e che non è tabù. [32] Allora, tutto in Irpinia è cambiato, si sono perduti i valori tradizionali. L’evento descritto qui rappresenta l’inizio di una nuova Irpinia, una società meno rigida di quella di prima.

     Rigione chiude il racconto dicendo che la sua vecchia abitazione è stata ricostruita in cemento armato; questo vuol dire simbolicamente che gli Irpini hanno subito un terremoto, hanno vissuto la catastrofe ma tutto questo non ha potuto distruggerli. Il terremoto ha reso loro più forti e ha anche insegnato loro che devono fare i primi passi verso la modernizzazione per veramente sopravivere; per esempio, non si può più tenere nascoste instanti d’abuso sessuale come quello descritto da Rigione. Poi lei ci dice che “con qualcuno degli abitanti di quella zona siamo rimasti in rapporti di salda amicizia” [33] , un segno di un ritorno alla normalità dalla parte degli Irpini. Ma, immediatamente dopo questa frase, Rigione annuncia “Il dubbio, non l’ho mai cancellato dai miei ricordi”. [34] Quest’è perché il “normale” di prima non esiste più nell’Irpinia dopo il terremoto; tutto, non solo le case e la vita, è stato distrutto; gli Irpini hanno dubbi incancellabili perché sanno che la natura della loro zona cambia sempre, un altro disastro può capitare loro nel futuro.

     Questo breve racconto ci mostra l’aspetto umano del terremoto e ci mostra il grande cambiamento della vita irpina nel periodo immediatamente dopo il sisma. In una frase di Salvatore Boniello, professore e storico del comune di Guardia dei Lombardi (AV), l’impatto del terremoto può essere descritto così: “Noi, i giorni del terremoto, li abbiamo vissuti tra sacrifici, paure, speranze, difficoltà di sopravvivenza e poi il ritorno del sole... e della vita”. [35] Nella parte seguente vedremo il ritorno del sole irpino; la nuova Irpinia non è com’era prima del sisma perché ora sta modernizzandosi; ma è ancora una testimonianza vivente di una gente forte che ha saputo riprendersi dopo una terribile tragedia.

     Nell’introduzione de Il pane e l’argilla di Emilia Bersabea Cirillo si legge che “una data separa il primo e il dopo [36] ” dell’Irpinia. Questa data è, di nuovo, il 23 novembre 1980. Nel racconto “Terra” di Tina Rigione si sono visti il terrore e il disagio provocati dagli eventi del terremoto e si sono anche visti i cambiamenti nella società irpina dopo il sisma. Il pane e l’argilla di Emilia Bersabea Cirillo e Lezione d’Amore di Giuliana Caputo mostrano il bisogno di modernizzazione in Irpinia, attraverso un cambiamento nell’economia e nel sistema scolastico della zona.

     Il pane e l’argilla di Emilia Bersabea Cirillo è una serie di riflessioni dell’autrice dopo aver girovagato nei comuni dell’Irpinia. Il fatto che l’autrice viaggia nell’Irpinia può essere considerato una continuazione del viaggio desanctisano perché entrambi gli autori scrivono delle loro esperienze nella zona e delle loro impressioni della terra irpina. Ambedue parlano dei problemi della valle e condividono le idee su come cambiare la situazione coi loro lettori.

     Il problema più importante dell’Irpinia descritto da Cirillo è la mancanza di gente nella valle; tutti se ne vanno a Napoli o a Roma per trovare lavoro. L’Irpinia di oggi è un luogo dal quale tutti partono. In una frase che descrive la situazione corrente in Irpinia, Cirillo scrive che “solo il vento è la permanenza del tempo in Irpinia”. [37] Questo vuol dire che niente è permanente in Irpinia, né la presenza della gente né gli edifici dei comuni. Nella sua riflessione su Guardia dei Lombardi, un comune irpino che sta provando una tale emigrazione che la popolazione diminuisce ogni anno [38] , l’autrice racconta una conversazione con un vecchio signore. Lui le dice  “‘qua non è vita per un ragazzo. Tra poco a Guardia non rimarrà più nessuno’. Cosa resterà dell’Irpinia allora.  ‘Nui, fino ‘a quanno campammo’ risponde”. [39] Quest’incontro significa che l’Irpinia, morirà forse con la morte delle persone anziane perché i giovani partono senza l’intenzione di tornarci perché c’è una mancanza di lavoro e d’industria. Con la partenza della gente, l’Irpinia perderà la sua identità contadinesca che si manifesta nel fatto che la zona è sempre stata largamente una zona agricola e gli abitanti non vivevano una vita di lusso. [40]

     Una delle domande che Cirillo pone ai suoi lettori è “Dov’è il nucleo dell’Irpinia?” [41] , il nucleo essendo l’identità della valle. Per rispondere alla propria domanda, lei dice che “il vero nucleo è la terra d’argilla che scivola lenta fino al fiume, che apre nuove spaccature, possibili nuovi percorsi. Il nucleo fondante è la forma rotonda del pane, quel pane maestoso, croccante, alto di pollica che ho visto sfornare con gesti rituali dalla panettiera di Aquilonia”. [42] Allora, per Cirillo, l’identità dell’Irpinia si trova nel pane e l’argilla, come suggerisce il titolo del libro. Perché questi due oggetti? Si può dire che il pane e l’argilla rappresentano il mondo contadino e che essi fanno parte della vita irpina. L’Irpinia non è un mondo industriale; invece, è un mondo contadinesco nel quale si lavora con la terra e il pane e l’argilla vengono da questa terra.

     Il nome di Avellino è un simbolo dell’identità contadinesca della zona. Il capitolo dedicato alla città di Avellino inizia con una riflessione sul suo nome: “Il nome di Avellino non mi è mai piaciuto, per quel diminutivo che associavo a—novellino campanello—e a nulla valevano le spiegazioni della maestra: Avellino deriva da Avellana, dal culto per la dea Giunone, dea di abbondanza”. [43] Anche se il nome di Avellino dovrebbe suggerire l’abbondanza, qualcosa di importante per i contadini soprattutto nella stagione del raccolto, il fatto che c’è un –ino suggerisce una piccola cittadina piena di persone ingenue. Cirillo non crede che Avellino sia così; lei ci parla della fierezza ed orgoglio della città che non esistono altrove; per lei, Avellino non somiglia al suo nome, è qualcosa di diverso. Gli Avellinesi, secondo lei, non sono ingenui; invece loro lavorano per portare l’abbondanza alla loro valle.

     La gente di Avellino mostra il suo orgoglio e la sua fierezza negli anni dopo il terremoto quando ha lavorato per ricostruire la loro città:
            Poi la catastrofe. La collina tremò. Tremò tutta la città, tremò l’Irpinia intera, ancora morte, rovine, distruzione, pietre di sangue, grida dagli ammassi. Polvere,  polvere, buio e polvere, il tufo era sotto i nostri occhi, frantumato.

La città c’era appena, ancora, troppo poco per mantenerla in piedi, in ogni caso una parola d’ordine passò tra i banchi del consiglio comunale, abbattere e ricostruire.

Nuovo. Questa città ha ormai solo una pallida scorza di tufo, per il resto è cemento antisismico e stecchetti, colori panna e rosa lieve, capitelletti e stucchi da salotto, questa città ha vetri a specchio al centro, al contorno è una pullulare di villette, lottizzazioni, mattoncini in bella vista e pinnacoli sui tetti. [44]

Questo passaggio mette in rilievo che Avellino sa sopravvivere dopo un evento catastrofico come il terremoto del 1980. Questo passaggio richiama anche il racconto di Rigione perché parla del terrore e la pioggia di polvere di tufo che si sono visti in “Terra”. Ciò che è diverso ne Il pane e l’argilla è che Cirillo descrive come l’Avellino nuovo è diverso da com’era nell’epoca prima del terremoto: le case sono fortificate dal cemento antisismico, allora, non sono come quelle trovate in “Terra”; non sono più fatte solo di tufo. Le case sono state modernizzate per resistere ad un altro sisma. Questo richiama l’abbondanza trovata nel nome di Avellino perché ora che gli Avellinesi si stanno modernizzando con la fortificazione delle loro case, il resto della zona comincerà a seguire quest’esempio; così non si assocerà più l’Irpinia con persone ingenue che non vogliono fare niente per la loro terra perché si vedrà che queste persone vogliono portarci l’abbondanza.

     Dopo il passaggio sul terremoto, Cirillo ritorna al suo fascino con l’-ino di Avellino e il fatto che Avellino dovrebbe significare l’abbondanza. Lei dice che “Avellino farebbe a tempo ancora a tirare umilmente dal cuore la sua matrice e farci i conti, se è vero che i nomi hanno dentro il destino di chi li porta”. [45] Poi scrive che “starà a noi di lasciar crescere erbe e foglie sui muretti, o strapparli prima che le radici penetrino in profondità. Sarà una maniera di dialogare col tempo”. [46] L’ottimismo dell’autrice per l’Irpinia è chiaro in queste frasi perché lei dice che crede che Avellino possa superare la sua sorte. Il destino è stato crudele ad Avellino, soprattutto col terremoto, ma siccome il nome “Avellino” vuol dire “abbondanza” in riferimento alla sua natura contadinesca, la scrittrice sa che la zona può cambiare il suo destino.

     Dopo aver passato del tempo ad Avellino, Cirillo fa visita ai comuni limitrofi dell’Irpinia dove abita la maggior parte dei contadini della zona. In un paragrafo, richiama l’antica Irpinia di prima anche se parla del presente:

Le zone interne non hanno bisogno di stravolgimenti: hanno retto e reggono per un miscuglio di tenacia e passione, attaccamento al luogo, voglia di esistere e resistere. Noi che ci inoltriamo d’autunno per questa terra rosastra, come coda di volpe, abbiamo voglia di una dignità diversa, di essere percorsi e visitati per quello che siamo, per quello che resta di una cultura di pietra e vino, di santuari antichi, di castelli e fortezze, di polle di salmastro e zolfo dove la prima dea predisse un destino di dimenticanza. [47]

Si vedono di nuovo la resistenza e l’orgoglio di essere nati irpini menzionati nel Viaggio desanctisano. Forse la terra irpina è dimenticata oggi [48] , conosciuta solo come la zona del terremoto, ma gli Irpini di oggi, come Cirillo, vogliono cambiare questo. Vogliono che si ami l’Irpinia perché è l’Irpinia, non perché si sente la colpa per i tempi difficili che gli Irpini hanno trascorso. Il problema è, secondo Cirillo, che poche persone capiscono cosa rappresenta l’Irpinia, come ci spiega Cirillo nel capitolo dedicato al comune di Nusco nel quale scrive:

La vita è un sorriso e un battito di mani dopo una danza, ho pensato, rincorrendo in piazza il suono della Montemaranese e le cose sono sembrate soffici, sopportabili, come le trine e i filet viste a casa di una signora qualche minuto prima. La vita ha il sapore acre e sugoso delle ciliegine ricamate nel filet.

Questo siamo noi, questo è l’Irpinia intera. Siamo questo struggente ballo d’amore e questa musica sempre uguale, come un bolero, che viene da respiri lontani, siamo il caglio e le fascelle di giunco, siamo il pane con le cigole, gelatina e pepaine. Questo è un alfabeto con cui parlare, con cui esprimerci. A conferma nell’aria si è sentita la musica di un organetto che ha fatto muovere i piedi da soli. Amarcord. [49]

Questo passaggio intero rappresenta l’Irpinia di Cirillo, una zona antica dove c’è molta musica e cibo che ci permettono di sentirci completamente a nostro agio quando ci si va. [50] Lei scrive “amarcord [51] ” perché si ricorda della vera Irpinia che ha visto attraverso il suo viaggio. Lei ha visto il bene ed il male dell’Irpinia ma non permette al male di cambiare il suo sentimento ottimista per la zona.

     L’ottimismo di Cirillo per l’Irpinia è rilevato verso la fine de Il pane e l’argilla nei capitoli su Torella dei Lombardi e Vaidiaperti. In questi capitoli, Cirillo parla dell’Irpinia di domani. Dice che “Sì, a Torella penso che siamo nel domani. Che le cose accadono, che possiamo uscire dalla malìa in cui sembra sprofondare l’Irpinia”. [52] Poi scrive che “Il futuro dell’Irpinia è conservare i centri minori nella loro interezza e anche nella loro dimensione, creando intorno una rete di interessi turistici ed economici, legati alla nostra tradizione agricola e artigianale, tralasciando lo sviluppo urbano come risorsa”. [53] Cirillo crede che l’Irpinia possa rinascere senza rinunciare al passato. L’Irpinia deve cambiare in molti modi ma non deve cambiare ciò che la rende speciale, come le sue tradizioni contadinesche. Invece, l’Irpinia deve usare la sua natura particolare per sviluppare un’economia ed un turismo nella zona. [54]

     Una delle istituzioni irpine che devono cambiare perché la zona diventi moderna è il sistema scolastico. Lezione d’amore di Giuliana Caputo ci mostra che molte scuole irpine falliscono nella loro meta di istruire le nuove generazioni e che, secondo Caputo, è necessario favorire l’istruzione nell’Irpinia ricostruita. Il libro è una lettera da Caputo ad Antonio, uno dei suoi alunni alle scuole medie. Caputo spiega la sua decisione di scrivere una lettera ad Antonio sui suoi sentimenti riguardano i problemi del sistema scolastica avellinese:

La mia decisione di scriverti una lettera risale ad almeno tre anni, cioè al momento in cui ho deciso di lasciare la scuola con molti anni di anticipo rispetto all’età della pensione. Sentivo infatti di dovermi scusare con te per averti abbandonato alle soglie della licenza media, quando il mio aiuto era più necessario. In realtà, non mi sento solo in colpa con te, ma con tutti i compagni della tua classe e delle classi a venire. Tanti piccoli Antonio che, per la mia scelta, non mi conosceranno mai come loro insegnante. [55]

Caputo ha deciso di lasciare la scuola media perché credeva che non si facesse abbastanza attenzione ai bisogni degli studenti. [56] Questo libro serve come un appello ad azione per cambiare il sistema scolastico irpino e portarlo nell’epoca moderna. Serve anche a mettere in rilievo che le nuove generazioni sono le persone che finiranno la ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto. [57]

     In questo libro, il personaggio di Antonio rappresenta la rinascita della vita irpina dopo il terremoto e i docenti sono gli operai della ricostruzione dell’Irpinia. [58]   Come si è visto ne Il pane e l’argilla di Cirillo, l’Irpinia è una zona contadinesca che ha bisogno di modernizzazione. Secondo Caputo, la modernizzazione dell’Irpinia dopo il terremoto deve concentrarsi sulla formazione scolastica dei bambini perché loro possano dare nascita a città più “vive e vivibili [59] ”—“vive” perché ci saranno cose da fare e da vedere con lo sviluppo turistico della zona e “vivibili” perché le future generazioni possono sviluppare nuove tecniche architettoniche per rendere gli edifici delle città più sicuri nell’evento di un altro terremoto. Purtroppo, gli altri professori non sempre concordano con le idee di Caputo. Lei si ricorda di una manifestazione nella Provincia di Avellino dove ha dovuto gridare la sua rabbia col sistema scolastica avellinese: “Qualcuno di loro [gli uomini politici provinciali] ebbe a dire che è necessario soprattutto sradicare la mentalità diffusa che vede nel contadino ‘il cafone’, rozzo e ignorante. Subito dopo il microfono fu tra le mie mani e non seppi resistere alla tentazione di ribattere”. [60] Antonio rappresenta la rinascita dell’Irpinia simbolizzata dai contadini come ci ha mostrato Cirillo. Usando Antonio come esempio, Caputo ci dice che i contadini meritano un sistema scolastico che aiuterà loro a superare lo stereotipo del cafone che sa né leggere né scrivere. Caputo si accorge della vera situazione del contadino irpino perché l’ha vista per se stessa mentre gli uomini politici provinciali la conoscono solo attraverso l’immaginazione perché non vogliono associarsi coi contadini che credono ignari.

     Un esempio di come Caputo capisce veramente la vita contadinesca dell’Irpinia si trova nelle sue esperienze con Antonio. Quando Caputo ha cominciato ad insegnare alla scuola dove ha conosciuto Antonio lui non sapeva né leggere né scrivere pur avendo undici anni. Dopo aver fatto del progresso con lui, insegnandogli a scrivere ed a leggere, Caputo si è resa conto che Antonio era assente per numerosi giorni e lui non sapeva darle spiegazioni. Finalmente, Caputo si è recata da Antonio per parlare coi suoi genitori. Quando nessuno ha risposto alla porta, Caputo è andata a parlare con la loro vicina di casa, la quale le ha detto: “Il ragazzo abita solo nella casa. I genitori vivono in campagna mentre lui da qualche mese vive qui perché deve tenere occupato l’appartamento di queste case popolari, diversamente la casa viene tolta alla famiglia. Mi sembra, continuò a dire, che la madre venga ogni quindici giorni a pulire la biancheria”. [61] Da quest’incontro, Caputo ha potuto capire che Antonio doveva badare a se stesso e che era la ragione per cui non veniva sempre a scuola. Caputo ci mostra in questo breve libro che i contadini hanno dignità e che meritano essere trattati con rispetto. Non è la colpa di Antonio che la sua situazione è così pessima avendo genitori assenti; è la colpa degli uomini politici come quelli alla manifestazione che rifiutano di aiutare i contadini a migliorare la loro sorte e che, invece, continuano a togliere la loro dignità considerandoli solo “cafoni ignoranti” e niente di più.

     Forse il vero valore di questo libro è che ci mostra l’aspetto umano del bisogno della modernizzazione nell’Irpinia del dopoterremoto. Cirillo ci ha mostrato l’aspetto comunale di questa modernizzazione perché il suo libro era un raccolto di viaggi attraverso la valle. Questo libro rende evidente l’aspetto umano del bisogno di modernizzazione in Irpinia perché tratta dei problemi della scuola irpina nella quale, secondo Caputo, i maestri non fanno abbastanza per gli studenti. Quando Antonio dà a Caputo delle ciliegie dicendole: “signora professorè, t’aggio purtate ‘e cerase pecché m’e mparate ‘a leggere” [62] , si capisce che l’attenzione e l’amore della professoressa erano importanti per il ragazzo perché è stato dimenticato dai suoi altri maestri. Caputo sa che per compiere un progresso effettivo in Irpinia, bisogna occuparsi delle prossime generazioni ed è ciò che fa coi suoi alunni alla scuola media.

    Caputo crede che per la ricostruzione dopo il terremoto sia necessario non dimenticare il passato ma guardare al futuro curando le future generazioni; questo richiama il pensiero di Cirillo che crede che sia necessario mantenere l’aspetto unico della zona. Però, Caputo crede anche che sia necessario favorire l’istruzione nell’Irpinia rinnovata perché è un modo per curare le generazioni da venire. Lei vuole che il nuovo sistema scolastico irpino sia libero

dall’arroganza di chi possiede per se stesso la cultura e non la sa comunicare;

dalla superbia di chi cita a memoria titoli e aiuti di tremila opere, ma perde per strada il senso del dovere diventando strumento di disuguaglianza;

dalla protervia di chi crede di essere un buon educatore ma non medita sull’inalienabile concetto di ‘Educazione’ come diritto universale;

dalla furbizia di chi, dopo aver ottenuto un posto di lavoro, sa difendere solo il suo salario;

dalla pigrizia di quanti ritengono che essere docenti non significhi mettere ogni giorno in discussione la propria educazione culturale da dequalificare lungo tutto l’arco della vita. [63]

Per Caputo, se le scuole irpine possono liberarsi da questi vizi, si può compiere la ricostruzione totale della zona perché non ci saranno più pregiudizi contro i contadini, tutti potranno esercitare il loro diritto fondamentale all’educazione. Inoltre, i docenti si ricorderanno sempre che sono maestri per insegnare invece di guadagnare soldi. Caputo vuole una scuola senza vizi con l’unico scopo essendo di aiutare i ragazzi irpini a diventare cittadini non solo dell’Irpinia ma del mondo.

     Il nucleo dell’Irpinia, come direbbe Cirillo, non si trova nel mondo moderno ma si trova nella vita contadinesca per la quale si conosce la zona. [64] Caputo vuole portare il pensiero di Cirillo in avanti e cambiare il sistema scolastico irpino perché i contadini possano imparare le materie necessarie, come il leggere e lo scrivere, per portare la modernizzazione alla loro valle. Se i contadini sono il nucleo dell’Irpinia, secondo Caputo, loro devono avere accesso ad un miglior livello d’istruzione.

a

     In conclusione, il bisogno di modernizzare l’Irpinia è mostrata dalla letteratura prodotta dagli autori della zona dopo il sisma del 1980. Gli autori presentati qui in quest’opera hanno tutti voluto modernizzare l’Irpinia perché hanno riconosciuto il bisogno di un cambiamento nella valle. Non si sa ora cosa succederà con i progetti di modernizzazione della valle; però, sembra che l’Irpinia stia diventando più moderna quando si paragona all’Irpinia di vent’anni fa. La letteratura dell’Irpinia del futuro ci mostrerà il progresso fatto dalla valle sul suo cammino verso la modernizzazione.

 


[1] Robert Lumley, The New History Of the Italian South: The Mezzogiorno Revisited (Exeter: University of Exeter Press, 1997).

[2] --------. 2.

[3] --------. 115.

[4] --------. 3.

[5] --------. 3.

[6] Per ulteriori informazioni sulla storia meridionale guardata con gli occhi meridionali, si consiglia il libro La Storia Proibita: quando i Piemontesi invasero il Sud di Autori Vari (Napoli: Controcorrente, 2000).

[7] Giuseppe Chiusano, È la terra tremò (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1983), 40.

[8] Luciano Di Sopra, Il costo dei terremoti (Udine: Grafiche Fulvio spa, 1992), 46.

[9] Chiusano, Giuseppe. 41.

[10] --------. 41.

[11] --------. 185. Iniziativi per la modernizzazione dell’Irpinia sono state presi dai comuni della zona e non la regione di Campania.

[12] Tutti gli articoli sul terremoto dal quotidiano napoletano Il Mattino sono disponibili nel libro Quei giorni delle macerie, della paura e della rabbia (Napoli: Il Mattino, 1983).

[13] Tina Rigione è la fondatrice dell’Associazione culturale “Per caso sulla piazzetta”, che è la prima casa editrice italiana no-profit. Per caso sulla piazzetta si trova ad Avellino o al seguente sito: https://digilander.iol.it/xcasosullapiazzetta.index.html.

[14] In un’intervista recente (marzo 2003), Rigione mi ha detto: “Per scrivere “Terra”, mi sono ispirata alla realtà ed ai ricordi di quei 90 secondi che non potrò mai più dimenticare. Ho vissuto il terremoto, il dolore delle perdite di persone care, il disagio di vivere in un prefabbricato, il disagio di attendere 12 anni che ricostruissero la mia casa, il disagio in cui ti mette la burocrazia per permessi, autorizzazioni, certificati, il tutto inerente alla ricostruzione della casa stessa. Quindi ho vissuto ‘nel terremoto’ del primo e del dopo. Perché non raccontarlo”?

[15] Tina Rigione, I racconti (Avellino: Per caso sulla piazzetta, 2001), 45.

[16] La chiesa è considerata la “stella maggiore” del cielo irpino perché la vita irpina si base sul suono delle campane della chiesa e che la chiesa è, di solito, l’edificio più alto dei comuni irpini.

[17] Rigione, Tina. 45.

[18] Un interessante articolo di Alberto Moravia chiamato “Ho visto morire il Sud” che parla della fine della “vita vecchia” in Irpinia può essere trovato nel libro Terratremule: Vent’anni dal sisma pubblicato da Legambiente a Napoli nel 2000.

[19] Rigione, Tina. 45-46.

[20] --------. 45-46.

[21] Un altro libro nel quale si possono trovare gli articoli giornalistici trattando del terremoto è È la terra tremò di Giuseppe Chiusano (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1983).

[22] Rigione, Tina. 46.

[23] --------. 47.

[24] --------. 47.

[25] --------. 47.

[26] --------. 48.

[27] --------. 48.

[28] --------. 49.

[29] --------. 49.

[30] --------. 49.

[31] --------. 51.

[32] Durante la mia intervista a Tina Rigione, lei mi ha detto: “Con I racconti ho cercato di immaginare cosa potesse accadere nelle menti delle persone che sembrano normali quando sono al di fuori del loro habitat naturale, e che invece si rilevano aggressivi, violenti, succubi delle loro madri, quando invece sono all’interno della loro casa. Adesso c’è più di comunicazione di massa e che è più difficile nascondere certi eccessi perché vengono denunciati alla polizia con più coraggio”.

[33] Rigione, Tina. 51.

[34] --------. 51.

[35] Lettera ricevuta da me dal professor Boniello, 10 gennaio 2003.

[36] Emilia Bersabea Cirillo, Il pane e l’argilla (Napoli: Filema, 1999), 5.

[37] --------. 13.

[38] Per esempio, nel 1991 la popolazione di Guardia dei Lombardi era di 3361 Guardiesi e nel 1998 era di 2272 Guardiesi. Informazione fornita da Salvatore Boniello.

[39] Cirillo, Emilia Bersabea. 104.

[40] Un esempio di come l’Irpinia mantiene la sua identità contadinesca può essere trovato nel Museo della civiltà contadina di Guardia dei Lombardi curato da Salvatore Boniello.

[41] Cirillo, Emilia Bersabea. 20.

[42] --------. 20-21.

[43] --------. 39.

[44] --------. 41.

[45] --------. 42.

[46] --------. 50.

[47] --------. 52.

[48] Un capitolo in Dopo il terremoto, la ricostruzione di Cesare de Seta si chiama “Irpinia dimenticata” perché la zona è stata dimenticata dopo il terremoto. (Bari: Laterza, 1983)

[49] Cirillo, Emilia Bersabea. 128.

[50] Un libro utile per scoprire le tradizioni dell’Irpinia è Sulle orme del lupo di Carmine Palatucci (Lioni: Rotostampa s.r.l., 2001).

[51] La parola “amarcord” qui fa riferimento all’omonimo film di Fellini del 1974.

[52] Cirillo, Emilia Bersabea. 147.

[53] --------. 150.

[54] Infatti, l’Irpinia sta già sviluppando il suo turismo col Parco Letterario De Sanctis, il Museo della civiltà contadina di Guardia dei Lombardi e l’Ente Provinciale per il Turismo ad Avellino.

[55] Giuliana Caputo, Lezione d’amore (Grottaminarda: Delta 3, 1998), 7.

[56] Giuliana Caputo mi ha spiegato questo in alcune lettere dal mese di novembre 2002 fino al mese di marzo 2003.

[57] Questa credenza di Caputo mi è anche stata spiegata nelle sue lettere.

[58] Da una delle lettere ricevute da me dalla signora Caputo in febbraio 2003.

[59] --------.

[60] Caputo, Giuliana. 46.

[61] --------. 17.

[62] --------. 74.

[63] --------. 76.

[64] Salvatore Boniello dell’UNLA (Unione per la lotta contro l’analfabetismo) di Guardia dei Lombardi mi ha detto nel corso della mia ricerca che l’Irpinia èconosciuta per la sua identità contadinesca. Quest’è anche trovato nei libri pubblicati dall’UNLA.

Bibliografia

1.      Caputo, Giuliana. Lezione d’amore. Grottaminarda: Delta 3, 1998.

2.      Chiusano, Giuseppe. È la terra tremò. Lioni: Tipolitografia Irpina, 1983.

3.      Cirillo, Emilia Bersabea. Il pane e l’argilla. Napoli: Filema, 1999.

4.      Di Sopra, Luciano. Il costo dei terremoti. Udine: Grafiche Fulvio spa, 1992.

5.      Lumley, Robert. The New History Of the Italian South: The Mezzogiorno Revisited. Exeter: University of Exeter Press, 1997.

6.      Rigione, Tina. I racconti. Avellino: Per caso sulla piazzetta, 2001.

Libri che trattano dell’Irpinia

Letteratura:

1.      Viaggio nella memoria: Salvatore Boniello (Lioni: Poligrafica Irpina, 1995).

2.      Quella sera c’era una luna luminosa: Angelo Giusto (Bracigliano: CECOM SNC, 1993).

3.      Terremoto con madre e figlia: Fabrizia Ramondino (Genova: Il melangolo, 1994).

4.      Passo d’Ombre: Giuseppina Di Rienzo (Salerno: Avagliano Editore, 1997).

5.      I versi: Tina Rigione (Avellino: Per caso sulla piazzetta, 1999).

6.      Intorno a noi: Nicola Arminio (Avellino: Edizione Nuovo Meridionalismo, 1990).

7.      Respiri di esistenza: Vania Palmieri (Lioni: Altirpinia, 2000).

8.      Scrittori irpini del 900: Antologia a cura di Maria Teresa Cantore ed Antonio Iannaco (Nusco: Hirpus, 1990).

9.      Folklore in Irpinia: storie e leggende: Alfonsina Esposito (Piazza al Serchio: Biblioteca G. Venutrelli: Centro di Documentazione della Tradizione Orale, 2001). Direttore della tesi: Prof. Alberto Borghini.

10.  Scaglie di Roccia: Ottaviano De Biase (Altripalda: W.M., 1989).

11.  La speranza del seme: Ottaviano De Biase (Firenze: L’Autore Libri, 1995)

12.  Incontri: Ottaviano De Biase (Firenze: L’Autore Libri, 1993).

13.  I colori del Sud: Ottaviano De Biase (Avellino: Scuderi Editrice, 1998).

14.  Terremoti: Cesare De Seta (Marene: Nino Aragno Editore, 2002).

15.  Terra e cielo: Ottaviano De Biase (Firenze: L’Autore Libri, 1994).

16.  Terra mia: Ottaviano De Biase (Salerno: Poligraf, 1987).

17.  Con la fiamma nel cuore: Michele Luongo (Trento: Akkuaria, 2001).

18.  Il continente perso: Domenico Cipriano (Roma: Fermenti, 2001).

19.  In paese: Domenico Cipriano (Guardia dei Lombardi: Domenico Cipriano, 2000).

20.  Casa nostra: Camilla Cederna (Milano: Mondatori, 1983).

21.  Rossa luna di novembre ed altri: Claudia Iandolo (Avellino: Grafic Way, 1990).

22.  Poesie: Generoso Benigni (Avellino: Grafic Way, 1991).

23.  Memorie di Pietra: Romualdo Malandino (Nusco: Poligrafica Irpina, 1991).

24.  Casa e putea: Michele Vespasiano (Montella: Eliotipografia dei Fiori, 1996).

25.  Divina o Diversa: AA.VV. a cura di Giuliana Caputo. (Frigento: Tipolitoelle, 2001).

26.  Terra: Tina Rigione (Avellino: Per caso sulla piazzetta, 2003).

27.  Il senso del sogno: Alfonso Attilio Faia (Avellino: Casa Editrice Menna, 2000).

28.  La terra di pane: Alfonso Attilio Faia (Nusco: Nuovo Meridionalismo/ Il Nuovo Sud, 1993).

29.  Meridiani: Alfonso Attilio Faia (Avellino: La Ginestra, 2002).

30.  La montagna di lame: Vittoria Troisi (Avellino: Valentino editore, 2000).

31.  Un viaggio elettorale: Francesco De Sanctis (Torino: Giulio Einaudi Editore, 1968).

32.  Memorie di un commerciante: Angelo Muscetta (Avellino: Edizioni del Centro “Dorso”, 1984).

Storia e cultura:

1.      I sapori della memoria: Scuola elementare V^A e V^B di Guardia dei Lombardi (Grottaminarda: Delta 3, 2001).

2.      Avellino e la sua provincia: Ente provinciale per il turismo di Avellino (Parma: Clemente Editore, 2002)

3.      Sulle orme del passato: Salvatore Boniello (Lioni: Rottostampa s.r.l., 2001).

4.      Dizionario dialettale della lingua di Guardia dei Lombardi: Salvatore Boniello (Nusco: Poligrafica Irpina, 1994).

5.      Terra di Irpinia: Alessandra Cristina Celano e Giampiero Galasso a cura di CRESM Campania (Roma: Grafica CDP, 2001).

6.      Panorami in Irpinia: Comune di Frigento (AV) (Mercogliano: Centro Regionale Multimediale per la Valorizzazione delle Risorse Culturali Territoriali, 2002).

7.      Viaggio in Irpinia: Ente provinciale per il turismo di Avellino (Napoli: Edizioni Pubblitaf, 2002).

8.      Campania e Turismo: Avellino e la sua Provincia: Ente provinciale per il turismo di Avellino (Napoli: Edizioni Pubblitaf, 2002).

9.      Guardia dei Lombardi: Notizie di storia civile e religiosa: Don Antonio Parziale (Materdomini:Valsele Tipografica s.r.l., 1996).

10.  Antica funzione storica, sociale e legale dei soprannomi dialettali di Guardia dei Lombardi: Stefania Giordano (Lioni: Rottostampa s.r.l., 2001).

11.  La chiesa madre di Guardia dei Lombardi: Don Antonio Parziale (Lioni: Tipografia Irpina, 2002).

12.  Irpinia in cifre: Camera di Commercio di Avellino (Montella: Arti Grafiche 2000, 2002).

13.  Itinerari in Irpinia: Amministrazione provinciale della Provincia di Avellino (Avellino: Grafic Way, 2002).

14.  Irpiniagate: Goffredo Locatelli (Roma: Newton Compton, 1989).

15.  I Dauni-Irpini: AA.VV. (Napoli:Generoso Procaccino, 1989).

16.  Riflessioni di un liberale: Generoso Benigni (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1998).

17.  Santa Lucia nella valle del Sabato: Ottaviano De Biase (Lancusi: Edizioni Gutenberg, 2001).

18.  Avellino e l’alta valle del Sabato: Ottaviano De Biase (Avellino: Scuderi Editrice, 1997).

19.  Serino antica e medioevale: Ottaviano De Biase (Prata P.U. : Idea Stampa, 1999).

20.  L’Irpinia non corre più: Raffaele Aurisicchio et.al. (Serino: Stampa Editoriale, 2002).

21.  Ultime voci dall’epicentro: Salvatore Piazzo et.al. (Napoli: Tullio Pironti Editore, 1981).

22.  Sant’Angelo dei Lombardi: La città di De Sanctis:  Giuseppe Chiusano (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1983).

23.  La rivolta di Montefalcone: Edoardo Spagnuolo (Napoli: Edizioni Nazione Napoletana, 1997).

24.  Guardia dei Lombardi: Echi di Storia: Aurelio Popoli (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1996).

25.  Sant’Angelo dei Lombardi: Cittadini e famiglie: Giuseppe Chiusano (Lioni: Tipolitografia Irpina, 1983).

26.  Grazie, sisma: Rita Pennarola et.al. (Napoli: Tipografia Cafieri, 1990).

27.  Memorie Conzane: Pro Loco “Compsa” (Conza della Campania: Edizioni Pro Loco “Compsa”, 2000).

28.  Vocaboli, poesie, canzoni, strofette e detti popolari in dialetto gesualdino: Mario De Prisco (Ariano Irpino: Tipolitografia Lucarelli, 1996).

29.  Il brigantaggio post unitario nella Morra di Francesco De Sanctis: Luigi Del Priore e Celestino Grassi (Morra De Sanctis: Amministrazione comunale, 2000).

30.  Avellino 1799: Giovanni Pionati (Avellino: Edizioni Nuovo Meridionalismo, 1992).

Riviste sull’Irpinia

1.      “Lo Brigante”

2.      “Nuovo Meridionalismo”

3.      “Civiltà Altirpinia”

4.      “La Voce della Campania”

5.      “Altirpinia”

6.      “Il Corriere dell’Irpinia”

Film sull’Irpinia

1.      “È una domenica di novembre”: Lina Wertmuller, 1981.

2.      “La terra è fatta così”: Gianni Amelio, 2000.


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