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Il Patto di Teano sulla stampa

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Tratto da:
https://linux.cassino.edu/sudlazio/anno2/cosln17.html

Il Corriere del Sud Lazio - anno II numero 17 - Domenica 30 Aprile 2000

La storia torna a ripetersi: considerazioni

sul recente "summit" politico di Teano

FERDINANDO CORRADINI

Alla base del nostro Risorgimento vi fu indubbiamente un forte afflato nazionalistico. Ma anche altri furono gli elementi che concorsero nel movimento risorgimentale. Tra gli altri vi fu anche un certo "imperialismo" del Nord nei confronti del Sud: tanto per fare qualche esempio,


i Mille di Garibaldi erano quasi tutti lombardi e, quando i "cafoni" del Sud manifestarono il loro dissenso con il cosiddetto brigantaggio, ci pensò l'esercito piemontese a riportarli alla ragione. Ma vi fu anche un terzo elemento, dopo quello nazionalistico e "imperialistico".


Un elemento che non manca mai, neanche nei movimenti permeati dai più alti ideali: quello "affaristico". In pochi sanno, anche perché a scuola non ce l'ha insegnato mai nessuno, che la spedizione dei Mille (tutti idealisti come il loro capo, è fuor di dubbio) fu finanziata dagli industriali lanieri di Biella.


Il motivo che spinse questi uomini d'affari a tale (apparente) gesto di liberalità fu molto semplice: producevano ad un buon prezzo dei panni di lana di ottima qualità, che, però, non riuscivano a "piazzare" nel Regno delle Due Sicilie perché i Borboni, per proteggere i panni di lana che si producevano ad Isola ed Arpino, imponevano su quelli che venivano da fuori dei consistenti dazi doganali.


I lanieri di Biella pensarono: se finisce il Regno delle Due Sicilie finiscono anche i dazi. E così fu. Qualche anno dopo l'Unità d'Italia i lanifici della Valle del Liri chiusero, uno dopo l'altro.


Per ironia della sorte, uno di questi (forse il più grande) apparteneva all'industriale arpinate Giuseppe Polsinelli, che tanto si era prodigato per l'Unità.


Di recente, a Teano, luogo simbolo dell'Unità d'Italia, si sono incontrati gli uomini-simbolo (probabilmente inconscio) dei tre elementi costituitivi del movimento risorgimentale.


Nella cittadina campana c'era Fini, che ben possiamo considerare il continuatore dell'ala "nazionalistica".


C'era, in rappresentanza di Bossi, Maroni, numero due della Lega Lombarda, continuatrice dell'ala "imperialistica".


C'era Berlusconi, che, penso sia fuor di dubbio, è un uomo d'affari e che, in quanto tale, ben possiamo considerare l'erede della corrente "affaristica".


C'era anche Casini, erede (anch'egli inconsapevole) di quella corrente cattolica minoritaria che dette un contributo (sia pur minimo) al movimento risorgimentale. Una cosa è certa: tutti i leaders politici che si sono dati appuntamento (di recente) a Teano sono (guarda caso) del Nord, come del Nord erano anche gli altri due leaders che qui (o poco più in là) si incontrarono nel 1860.Il giorno successivo alle elezioni regionali che hanno visto trionfare in tutto il Nord e, in parte, anche nel Centro e nel Sud i partiti di cui sono a capo i leaders anzidetti, il rieletto Presidente della Regione lombarda alla radio (seguo poco la televisione) ha dichiarato: "Nel Nord si produce l'80 % del P. I. L. e l'80 % di ciò che l'Italia esporta.


Il Governo centrale non potrà continuare a non tenerne conto". Ed ora che, con le probabili elezioni politiche, Berlusconi, Bossi, Fini e Casini avranno in mano il Governo centrale, sicuramente ne terranno conto. Francesco Saverio Nitti in un libro scritto nel 1903 ha evidenziato come, al momento dell'Unità, in tutta Italia vi erano riserve aurifere per complessivi 668 milioni di lire.


Di questi ben 443 vennero portati in dote dal Regno delle Due Sicilie. La Lombardia (udite, udite) contribuì con 8 milioni. Il Regno di Sardegna, che comprendeva anche il Piemonte e la Liguria, con 27.


Ora, dopo oltre cento anni di politica "filonordista", ci vengono a dire che l'80 % del P. I. L. si produce al Nord. Forse non aveva tutti i torti Francesco II di Borbone, quando, lasciando Gaeta, disse: "Il Nord non lascerà ai meridionali neanche gli occhi per piangere".


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lhttps://lanazione.quotidiano.net  11 aprile 2000

La rivoluzione federalista

di Franco Cangini

Novità in vista in questa Italia «perennemente da fare, illimitatamente futura» (parola di poeta: Mario Luzi). Ma non certo perché un passaggio a cose nuove sia stato da qualcuno fortemente voluto. Tanto meno perché sottoscritto da Berlusconi e Bossi in un codicillo segreto del patto elettorale tra Forza Italia e «forza Padania», come sostenuto nell'articolo di giornale che ha ferito il leader dell'opposizione.

Tanto gli è dispiaciuto, quell'articolo, da indurlo a marciare quest'oggi sulla fatal Teano, con i capi del centrodestra, per testimoniare la persistenza dell'afflato unitario del Nord e del Sud, centoquarant'anni dopo il precedente, storico incontro.

Italiani sempre uniti, ma non sarà più la stessa cosa. Ancora una volta, il Caso irrompe nella nostra vicenda collettiva, come la passeggiata di un bighellone senza meta che finisce per trovarsi nel luogo di un destino non cercato.

La metamorfosi federale del vecchio Stato unitario, più che in un calcolo razionale, è iscritta nella distrazione di una classe politica che ha dato corso all'elezione diretta dei presidenti di regione e al potere costituente legato alla definizione degli statuti regionali, prima ancora di affrontare il problema del rafforzamento del governo nazionale. Il resto ne discende, come il frutto cade dal ramo.

L'oggetto di questa consultazione elettorale, sebbene nessuno abbia ritenuto fin qui di intrattenerci sull'argomento, è la dislocazione del potere dal centro alla periferia. Stiamo per eleggere parlamenti e governi regionali che saranno più forti delle istituzioni statali.

Inutile, oltre che tardivo, piantare paletti per contrassegnare termini non oltrepassabili, poiché chi volesse passarli non potrebbe essere fermato.

Del resto, nessuno si è sognato di dare sulla voce a Bassolino, candidato del centrosinistra nella regione Campania, quando, a Eboli, ha auspicato la formazione di una macroregione meridionale, speculare al vecchio progetto nordista di Bossi.

La nuova parola magica: «federalismo», non avrebbe tanta fortuna se non alludesse a un cambiamento tanto radicale quanto ormai acquisito dal senso comune.

Ancora troppo imbarazzante per parlarne liberamente dopo secoli di sacrosanta retorica unitaria, ma anche troppo razionale per subire contestazioni.

Sappiamo tutti, per esperienza diretta, che l'amministrazione pubblica non funziona e nessuno si aspetta più che uno Stato snervato da innumerevoli cessioni e usurpazioni di sovranità sia capace di svolgere quello che è oggi il suo compito primario: creare condizioni favorevoli per l'afflusso degli investimenti.

Attualmente così poco favorevoli — per eccesso di tassazione e di burocrazia, come per pochezza di servizi e di flessibilità nei rapporti di lavoro — che gli investitori restano alla larga dall'Italia. Sapendo questo, si è portati a credere che le cose andrebbero meglio se, per esempio, nel Nord Est delle piccole imprese rampanti e nella Campania della disoccupazione di massa, forti istituzioni di autogoverno restituissero alla politica la forza di corrispondere alle aspettative delle popolazioni e degli operatori economici.

Non è indispensabile essere fanatici del vecchio Marx per convenire sul fatto che le rivoluzioni del modo di produrre determinano i grandi cambiamenti delle società.

L'assetto centralista tramonta insieme con il modello di produzione della grande impresa «fordista» e con le sue appendici, come centralità della classe operaia e Stato sociale.

Oggi le opposte, ma concomitanti, spinte della impresa sovranazionale e di quella «reticolare», richiedono un ambiente istituzionale diverso. Né centralizzato, né frammentato in una fricassea di localismi.

Dunque uno Stato regionale, o «federale» che dir si voglia. Le cose cambiano, ma il sentimento profondo degli italiani garantisce che l'unità nazionale non sarà messa in discussione.

A due condizioni: che non sia troppo a lungo esposta alla prova della divaricazione degli interessi territoriali e dell'inconcludenza dei pubblici poteri; e che la politica torni in sé per governare il cambiamento.


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lhttps://lanazione.quotidiano.net  12 aprile 2000

Teano, il Polo sdogana la Lega

Alessandro Farruggia

TEANO (Caserta) — Se Bassolino s'è fermato ad Eboli per lanciare il suo manifesto, il Polo e la Lega ripartono da Teano per presentare la loro ricetta liberale per il Mezzogiorno. Sotto il quadro che ritrae lo storico incontro del 26 ottobre 1860 tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi (in realtà forse avvenuto alla "Locanda della catena" della vicina Vairano scalo, ma vabbè), incuranti dell'indignazione del centrosinistra (D'Alema: «E' stata una messinscena di pessimo gusto, Teano è una pagina gloriosa della nostra storia») semmai felici di aver scelto un luogo simbolo per l'unità d'Italia dopo la buriana seguita al siluro di Eugenio Scalfari, ieri si sono schierati Berlusconi, Fini, Casini, una selezione di colonnelli e cinque candidati — da Rastrelli a Formigoni — alla presidenza di altrettante regioni.


Con loro non c'era Bossi (l'iconografia garibaldina era forse troppo per lui...), ma il suo numero due Bobo Maroni, che è riuscito nell'impresa di farsi applaudire da una platea di campani («E' scandaloso che certe accuse ci vengano dalla sinistra, che fino a due mesi fa voleva l'accordo con noi»).


Ma come al solito è Silvio Berlusconi a tenere il timone. «Noi — attacca — combattiamo con le armi dei valori e dei programmi, loro con quelle della disinformazione». E giù sciabolate contro «le menzogne che ci hanno rovesciato addosso: dalla polemica sull'immigrazione fino all'ultima fanfaluca, la mia presunta apertura a D'Alema, che non c'è mai stata».


Anzi, chiarisce, «questo premier per me è il più comunista di tutti, comunista nella testa». E ce n'è anche per i radicali giacché «ormai sarà chiaro a tutti che chi vota Bonino o Pannella vota per la sinistra». Una battuta anche per le riforme: «Sono convinto che il cancellierato sia un buon sistema. Tuttavia molti in Forza Italia guardano con simpatia al modello americano...».


Quanto alla polemica sulla devolution innescata da Scalfari sarà Fini il più corrosivo («un falso scoop di un trombone vero»), mentre Berlusconi si preoccuperà di spiegare «quanto sia paradossale pensare che un partito che si chiama Forza Italia e ha come simbolo la bandiera nazionale e un partito che si chiama Alleanza Nazionale possano tramare contro l'unità nazionale». «La Lega — aggiunge — non è più secessionista».


In sintonia anche i leader di An e Ccd. «L'intesa con la Lega — osserva Fini — si basa su di un federalismo che serve sia al Nord che al Sud». «D'Alema è smemorato — rincara la dose Casini — perché ieri, quando Bossi era secessionista, era disponibile a corteggiare la Lega, e oggi fa finta di essere preoccupato solo perché ha paura di perdere».


Ma il meeting di Teano doveva è servito anche a presentare la ricetta di Polo e Lega «per la rinascita del Mezzogiorno». «La formula — dice Berlusconi — è quella della ricetta liberale che così bene ha funzionato in Spagna, in Inghilterra, negli Usa. La ricetta è quella dell'84: meno tasse, meno sprechi, meno rigidità nei contratti di lavoro».


Tremonti entra nel dettaglio. Promette infrastrutture. Per la ripresa industriale invece presenta un vigoroso progetto di sgravi fiscali. «Vogliamo ridurre ad un terzo il peso fiscale sulle imprese del Sud. In pratica gli imprenditori meridionali dovrebbero pagare 30 mentre i loro colleghi in altre aree continuerebbero a pagare 100. Gli sgravi durerebbero 5 anni e ci costerebbero 2 mila miliardi che recupereremmo abolendo le agevolazioni per le cooperative con oltre 30 miliardi fatturato».


Nelle foto: Fini, Maroni e Berlusconi. Sotto, l'incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II


dall'inviato

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Tratto da:
la Repubblica 11 aprile 2000

Il leader di Forza Italia manifesta con Fini, Casini e
Maroni. Smentendo ancora il "patto segreto" col Carroccio

Teano, show di Polo e Lega

in nome dell'unità d'Italia

E la ricetta di Berlusconi per il Sud è la "Tremonti":
detassare fino a un terzo gli utili reinvestiti dalle imprese

     
TEANO - "I problemi del paese si risolvono se insieme sapremo risolvere i problemi del mezzogiorno. Sappiamo come farlo, le nostre ricette non sono astruse".

All'indomani dell'apertura di dialogo tra Massimo D'Alema e radicali, all'indomani delle polemiche sul "patto segreto" tra Forza Italia e Lega, così Silvio Berlusconi ha aperto la manifestazione organizzata dal Polo (e col Carroccio ospite d'onore) a Teano. Cioè in uno dei luoghi simbolo dell'unità nazionale.

E la ricetta, per il centrodestra, è sempre quella dell'ex ministro della Finanze Giulio Tremonti: sconti d'imposta sugli utili reivestiti dalle aziende.

E quella di oggi è stata anche una risposta, a pochi giorni dal voto regionale, al patto del Sud lanciato da Antonio Bassolino ad Eboli, un paio di settimane fa. "Siamo qui - ha aggiunto Berlusconi - insieme anche con la Lega Nord che ha lasciato il discorso del secessionismo per parlare di unità.

Come si può pensare - ha detto - che un partito che ha come simbolo la bandiera nazionale e si chiama Forza Italia e un partito che si chiama Alleanza Nazionale possano lasciare dei dubbi su questo?".

Accanto al Cavaliere, nell'aula del consiglio comunale di Teano, ci sono Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, lo stesso Tremonti, il leghista Roberto Maroni e Roberto Formigoni. Per il Polo la strada per portare il Sud sullo strada dello sviluppo "è quella liberale".

Che ha funzionato, secondo Berlusconi, in tutti i paesi che l'hanno applicata: "Nell'Inghiltera della Thatchter, negli Usa di Clinton, in Irlanda e in Spagna".

"Si tratta - ha sottolineato il leader di Fi - dell'applicazione delle leggi Tremonti, in grado di far recuperare la competitività delle imprese" che ha perso 10 punti in classifica. L'obiettivo è di determinare la maggior crescita possibile e creare il maggior numero di posti di lavoro agendo sulla leva fiscale, prevedendo una detassazione "fino ad un terzo"; sul recupero della legalità; sulla realizzazione delle infrastrutture; sulla formazione. Infine Berlusconi ha citato Don Sturzo: "Il mezzogiorno aiuti il mezzogiorno".

E a Teano ha parlato anche Maroni: "La guerra santa del Sud contro il Nord - ha detto, riferendosi all'iniziativa di Bassolino - significa mantenere il meridione nello stato in cui è, favorire solo l'assistenzialismo clientelare".

"Siamo venuti qui perchè siamo amici del Sud - ha proseguito - sono venuto a testimoniare che la Lega, su proposte serie di sviluppo del Mezzogiorno, come quella del Polo, dà tutto il suo appoggio".

Quanto agli altri leader presenti, se Fini ha invitato gli alleati a "vigilare" - "e non solo sulla regolarità del voto, ma anche perchè chi è disperato non arretra di fronte a nessuna ipotesi" - Casini ha ricordato ancora una volta che quel Carroccio adesso tanto criticato è stato a lungo "corteggiato" dal centrosinistra.

(11 aprile 2000)

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