Se c’è una colpa che si può dare al fascismo è quella di aver lasciato il Sud ricadere su se stesso perdendo ogni possibilità di rapporto con il resto del Paese. Ma questo non era soltanto un disegno dell'ideologia fascista, questo era, in qualche modo, il disegno ed il proposito della cultura che aveva portato avanti e realizzato soprattutto politicamente, a livello di governo, a livello di trattative diplomatiche, a livello di scambi di favore, e poi sul piano militare, l'unità d'Italia e che aveva realizzato l'unità d'Italia come l'espansione del regno più stupido, ahimè, che in quel momento esisteva sul territorio dello stivale italiano: il Regno del Piemonte e della Sardegna, o se volete il regno dei Savoia
[ ... ].
Ho sentito qui un uomo intelligente e colto come il senatore Malagodi
rifarsi a padri quali Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II.
Ora quei padri noi dobbiamo dimenticarli, dobbiamo smentirli.
Quelli non furono nostri padri.
Furono i seduttori di nostra madre e l'abbandonarono malamente e povera
al margine delle loro strade; la buttarono fuori dalle loro carrozze e
dai loro letti [ ... ].
Se si parla ancora di una questione meridionale, non è tanto
perché è stata colpa dei governi che si sono succeduti
dal 1945 in poi, ma perché son partite male le premesse storiche
della formazione de[l'unità dei nostro Paese.
Non si è capito che il nostro Paese non doveva essere unito
attraverso una conquista militare, come, in realtà, è
stata quella del grande eroe Garibaldi. Non per niente, è l'eroe
del nostro presidente del Consiglio, un eroe da conquista militare, un
eroe da colpo di mano, un eroe che conquista un regno e lo regala ad
una potenza superiore alla sua [ ... ].
Comunque, lì è stato lo sbaglio, quando non si è capita la grande lezione che veniva dal Sud.
Il Sud non era la terra di conquista, non era una colonia, non era il
luogo dello squallore e della regressione. Il Sud aveva grandi capitali
e grande patrimonio. In questi giorni abbiamo aperto a Napoli una
mostra del '600 napoletano che è di grande fulgore nel quadro
delle manifestazioni d'arte dell'Europa e fuori dell'Europa.
Questo vuoi dire che Napoli e i suoi territori erano luoghi di
civiltà, di lavoro, di ricerca, di sperimentazione e di
innovazione. Non per niente - lo ripetiamo. sempre - la prima ferrovia
è stata fatta a Napoli e l’Illuminismo ha avuto a Napoli le sue
radici e le sue prese con la realtà più profonda; a
Napoli vi sono stati i primi tentativi di industrializzazione e di
organizzazione dei territorio in senso industriale.
Quelle città come Napoli e Palermo, o come le altre grandi
capitali del Sud, sono state perdute dall'unità d'Italia.
Laddove c'erano governi sono state inviate prefetture, questure;
è stata loro tolta la coscienza di essere grandi portatori di
civiltà, di cultura e di essere protagonisti veri dello sviluppo
italiano.
E’ sufficiente leggere la letteratura italiana per capire questo. Il
dramma di Verga, di Pirandello, di Lampedusa e di Vittorini è
questo: sono stati sempre profeti inascoltati non solo nella loro
regione, quanto a livello nazionale. Essi affermavano, a livello
nazionale, la necessità che queste popolazioni fossero sentite
come protagoniste effettive della crescita dello stato unitario.
Oggi io non voglio qui citare tante pagine che si potrebbero citare
facendo un discorso sul Mezzogiorno; si potrebbero rileggere le pagine
di Carlo Levi, di Scotellaro o quelle dell'inchiesta parlamentare sulla
miseria, quelle di De Sanctis e di Dorso, quelle che ci spiegano la
grandezza, l'umiltà, la povertà, e l'onestà del
Mezzogiorno.
Noi oggi dobbiamo tenere conto e capire che la nostra Repubblica, che
pure ha scritto quella bella lapide che sovrasta quella del re "a
certezza di progresso civile", oggi ha lasciato quella lapide a
metà, come quella dei re, l'ha elusa, non ha potuto produrre le
sue speranze e realizzarle in una soluzione dei problemi dei
Mezzogiorno, stabilendo una vera unità del Paese in termini
culturali, economici e politici.
Questo è quello che la Repubblica deve ancora fare, e questo
è quello che vedevano i veri padri della nostra Repubblica.
I veri padri della nostra Repubblica non sono quelli che ho citato
prima e che ha citato Malagodi, ma sono altri [...] Manzoni può
essere un padre dell'Italia unita, perché ha scritto un libro
cercando a forza una lingua unitaria per poter essere capito da tutti
gli italiani.
Questo libro parlava dei poveri italiani in lotta contro il potere, che
era il problema di tutti e che tutti potevano sentire come proprio,
risolvendo il quale potevano unificarsi in uno Stato superiore nel
quale riconoscersi come cittadini.
Un altro padre può essere Leopardi, che non era solo il poeta
dell'idillio o del pessimismo o della bella lirica incantata "Alla
luna", ma è un grande poeta civile non solo per le sue canzoni
all'Italia, ma perché intendeva l'unità italiana come
unità delle culture.
Egli esortava i marchigiani ad unirsi ai basilischi, ai molisani, ai
campani; non per niente Leopardi amava moltissimo Napoli e l'aveva
scelta come seconda patria. Egli aveva capito le debolezze di Roma, gli
inganni, i tranelli, gli acquitrini di Roma, dove gran parte del nostro
potere culturale e politico si è perduto ed è pian piano
filtrato fino ad affogare.
Leopardi parlava di unità delle culture che si unificassero in
uno Stato diverso, riprendendo in ciò, in termini poetici,
quello che era il disegno forse politicamente e sociologicamente
più chiaro di Cattaneo che è un maestro vero
dell'unità del Paese come unità di regioni con
caratteristiche autonome diverse, con culture diverse, con fisionomie,
problemi, propositi, qualità e , risorse diverse ma che si
uniscono in un concerto dove ciascuna di esse può prosperare
proprio perché si riconosce e si intende con altre.
Ai sensi della legge n.62 del 7 marzo 2001 il presente sito non costituisce testata giornalistica.
Eleaml viene aggiornato secondo la disponibilità del materiale e del web@master.