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Discorso sulla questione meridionale di Paolo Volponi, eletto a Palazzo Madama come indipendente nelle liste del Pci, tenuto al Senato il 6 novembre 1984, il Presidente del Consiglio era Craxi.



Se c’è una colpa che si può dare al fascismo è quella di aver lasciato il Sud ricadere su se stesso perdendo ogni possibilità di rapporto con il resto del Paese. Ma questo non era soltanto un disegno dell'ideologia fascista, questo era, in qualche modo, il disegno ed il proposito della cultura che aveva portato avanti e realizzato soprattutto politicamente, a livello di governo, a livello di trattative diplomatiche, a livello di scambi di favore, e poi sul piano militare, l'unità d'Italia e che aveva realizzato l'unità d'Italia come l'espansione del regno più stupido, ahimè, che in quel momento esisteva sul territorio dello stivale italiano: il Regno del Piemonte e della Sardegna, o se volete il regno dei Savoia

[ ... ].


Ho sentito qui un uomo intelligente e colto come il senatore Malagodi rifarsi a padri quali Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II.

Ora quei padri noi dobbiamo dimenticarli, dobbiamo smentirli.

Quelli non furono nostri padri.


Furono i seduttori di nostra madre e l'abbandonarono malamente e povera al margine delle loro strade; la buttarono fuori dalle loro carrozze e dai loro letti [ ... ].


Se si parla ancora di una questione meridionale, non è tanto perché è stata colpa dei governi che si sono succeduti dal 1945 in poi, ma perché son partite male le premesse storiche della formazione de[l'unità dei nostro Paese.


Non si è capito che il nostro Paese non doveva essere unito attraverso una conquista militare, come, in realtà, è stata quella del grande eroe Garibaldi. Non per niente, è l'eroe del nostro presidente del Consiglio, un eroe da conquista militare, un eroe da colpo di mano, un eroe che conquista un regno e lo regala ad una potenza superiore alla sua [ ... ].

Comunque, lì è stato lo sbaglio, quando non si è capita la grande lezione che veniva dal Sud.


Il Sud non era la terra di conquista, non era una colonia, non era il luogo dello squallore e della regressione. Il Sud aveva grandi capitali e grande patrimonio. In questi giorni abbiamo aperto a Napoli una mostra del '600 napoletano che è di grande fulgore nel quadro delle manifestazioni d'arte dell'Europa e fuori dell'Europa.


Questo vuoi dire che Napoli e i suoi territori erano luoghi di civiltà, di lavoro, di ricerca, di sperimentazione e di innovazione. Non per niente - lo ripetiamo. sempre - la prima ferrovia è stata fatta a Napoli e l’Illuminismo ha avuto a Napoli le sue radici e le sue prese con la realtà più profonda; a Napoli vi sono stati i primi tentativi di industrializzazione e di organizzazione dei territorio in senso industriale.


Quelle città come Napoli e Palermo, o come le altre grandi capitali del Sud, sono state perdute dall'unità d'Italia. Laddove c'erano governi sono state inviate prefetture, questure; è stata loro tolta la coscienza di essere grandi portatori di civiltà, di cultura e di essere protagonisti veri dello sviluppo italiano.


E’ sufficiente leggere la letteratura italiana per capire questo. Il dramma di Verga, di Pirandello, di Lampedusa e di Vittorini è questo: sono stati sempre profeti inascoltati non solo nella loro regione, quanto a livello nazionale. Essi affermavano, a livello nazionale, la necessità che queste popolazioni fossero sentite come protagoniste effettive della crescita dello stato unitario.


Oggi io non voglio qui citare tante pagine che si potrebbero citare facendo un discorso sul Mezzogiorno; si potrebbero rileggere le pagine di Carlo Levi, di Scotellaro o quelle dell'inchiesta parlamentare sulla miseria, quelle di De Sanctis e di Dorso, quelle che ci spiegano la grandezza, l'umiltà, la povertà, e l'onestà del Mezzogiorno.


Noi oggi dobbiamo tenere conto e capire che la nostra Repubblica, che pure ha scritto quella bella lapide che sovrasta quella del re "a certezza di progresso civile", oggi ha lasciato quella lapide a metà, come quella dei re, l'ha elusa, non ha potuto produrre le sue speranze e realizzarle in una soluzione dei problemi dei Mezzogiorno, stabilendo una vera unità del Paese in termini culturali, economici e politici.


Questo è quello che la Repubblica deve ancora fare, e questo è quello che vedevano i veri padri della nostra Repubblica.


I veri padri della nostra Repubblica non sono quelli che ho citato prima e che ha citato Malagodi, ma sono altri [...] Manzoni può essere un padre dell'Italia unita, perché ha scritto un libro cercando a forza una lingua unitaria per poter essere capito da tutti gli italiani.


Questo libro parlava dei poveri italiani in lotta contro il potere, che era il problema di tutti e che tutti potevano sentire come proprio, risolvendo il quale potevano unificarsi in uno Stato superiore nel quale riconoscersi come cittadini.


Un altro padre può essere Leopardi, che non era solo il poeta dell'idillio o del pessimismo o della bella lirica incantata "Alla luna", ma è un grande poeta civile non solo per le sue canzoni all'Italia, ma perché intendeva l'unità italiana come unità delle culture.


Egli esortava i marchigiani ad unirsi ai basilischi, ai molisani, ai campani; non per niente Leopardi amava moltissimo Napoli e l'aveva scelta come seconda patria. Egli aveva capito le debolezze di Roma, gli inganni, i tranelli, gli acquitrini di Roma, dove gran parte del nostro potere culturale e politico si è perduto ed è pian piano filtrato fino ad affogare.


Leopardi parlava di unità delle culture che si unificassero in uno Stato diverso, riprendendo in ciò, in termini poetici, quello che era il disegno forse politicamente e sociologicamente più chiaro di Cattaneo che è un maestro vero dell'unità del Paese come unità di regioni con caratteristiche autonome diverse, con culture diverse, con fisionomie, problemi, propositi, qualità e , risorse diverse ma che si uniscono in un concerto dove ciascuna di esse può prosperare proprio perché si riconosce e si intende con altre.


Paolo Volponi - Senato, 6 novembre 1984

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