A Roma appena uscita dalla guerra, mentre tutte le certezze sembravano franare tra le rovine, una mano ignota aveva scritto su un muro sbrecciato «aridatece er puzzone». Per fortuna non siamo ai verbi difettivi come allora anche se il livello di credibilità delle istituzioni continua a scendere. Il federalismo, però, nella versione approvata dal Senato, fa venire davvero voglia di gridare e di stampare i caratteri cubitali sulle cantonate: ridateci le Due Sicilie. Non si tratta di invocare il ritorno dei Borbone, ma di pensare a qualcosa che faccia da contraltare alla Padania sì.
La soluzione varata a palazzo Madama non è solo un successo
della Lega e di Bossi: piaccia o non piaccia ai piani alti della
filosofia politica, è tagliata su misura nell’ interesse
del Nord, cioè dei loro elettori. Che non sono solo scalmanati
in camicia verde. Dietro queste avanguardie, infatti, non mancano
industriali in doppiopetto e cravatta ed un popolo di piccoli e medi
perseguitati fiscali..
Che poi «una larghissima maggioranza di costituzionalisti»
abbia «espresso montagne di perplessità e di
riserve» come ricorda Giovanni Sartori sul “Corriere della
sera”, che stiamo andandoci a ficcare in un ginepraio, come
sostiene Sabino Cassese, sempre sul “Corriere”, che questo
federalismo produrrà «con ogni probabilità
l’aumento della fiscalità, della spesa pubblica e della
complessità burocratica, amministrativa e istituzionale»
secondo l’opinione, da economista, del ministro Antonio Martino,
è un altro discorso.
Giuseppe De Tomaso, che dell’esperienza regionale conosce vita e
miracoli, evidenzia , giustamente, nella “Gazzetta del
Mezzogiorno”, il prevedibile «aumento degli sprechi, del
caos, dell’inefficienza, dei costi, delle tasse» e spera
che i deputati meridionali della maggioranza «diano segni di
vita». Che per il Sud, se la riforma va in porto, saranno guai
grossi è scontato. Si può, comunque, essere certi che
fino alla fine qualcosa accadrà.
È chiaro che non è questione di girotondi o di abbandoni
dell’aula. Ma si tratta di una revisione della Costituzione: tra
Camera, seconda votazione nei due rami del Parlamento e referendum,
più che probabile sicuro per l’impossibilità di
raggiungere la maggioranza di due terzi nella seconda approvazione,
nulla, quindi, per fortuna, è ancora definito. Intendiamoci: il
problema non è il federalismo ma il sistema e lo aggravano
quelli che De Tomaso chiama mostri legislativi e che non riguardano
solo il recente parto del Senato.
Questa medaglia, però, sarà pure una patacca ma, come
tutte, ha un rovescio. Potrebbe, infatti, avviare finalmente un
dibattito serio per un federalismo serio: finora le riforme hanno
sempre dovuto fare i conti con i compromessi, con i rinvii, con i
diktat e con la fretta di portare a casa qualcosa. Il risultato sono
stati i rammendi, i rappezzi ed i rimedi quasi sempre peggiori del male
tra prima e seconda Repubblica.
Il buco nero della spesa pubblica non è certo stato prodotto dai
marziani o a colpi di bacchetta magica. Ha ragione l’assessore al
bilancio della Regione Puglia, Rocco Palese: è tempo di affidare
il tutto ad un’Assemblea Costituente perché proponga un
nuovo modello di Costituzione. Non è il solo a pensarla
così.
Sarebbe la soluzione più logica. Ma anche la più
difficile. E ad altissimo rischio per la classe politica attualmente in
sella. Inutile nasconderlo: per il federalismo si deve cominciare da un
ridimensionamento al centro del governo e degli organi legislativi. E
qui sta il busillis. Perché è inimmaginabile che il
Parlamento decida un’autoriduzione o si spogli dei suoi poteri.
Ed è follia sperare che senatori e deputati mettano a
repentaglio la propria rielezione ed i propri privilegi. I partiti? Ma
dove sono? Sembra che non importi a nessuno se di questo passo si va
verso lo sfascio istituzionale.
Era un Borbone Luigi XIV, il re Sole, che dichiarava
«après moi le deluge»: dopo di me il diluvio.
Dobbiamo proprio rassegnarci, dopo aver chiuso con la monarchia nel
1946, ad una sorta di poliarchia o, piuttosto, ad una forma di
neofeudalesimo che, nonostante l’euro, non fa Europa?
Certo, per voltare pagina ci vuole un’Assemblea Costituente.
Possibilmente con pochissimi componenti, costituzionalisti ed
economisti non di comodo. C’è qualcuno che sponsorizza una
soluzione del genere?
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