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Fonte:
Come ti finanzio il nord - Una rilettura critica dell'intervento pubblico a sostegno dell'industria nel Mezzogiorno,  Gennaro Zona - Nord e Sud, Maggio 1997

Il federalismo come l'intervento straordinario? Rischia solo il Sud

di Gennaro Zona

La visione “distorta e pregiudiziale” dell'intervento straordinario a favore del Mezzogiorno, smentita dai dati reali (evidenziati in questa ricerca) ma ben radicata nell'immaginario collettivo, ha sempre condotto di fatto alla separazione del Paese in due parti. 

Questa idea ha acquistato nuova forza anche dalla lunga fase di recessione che stiamo attraversando, la quale depauperando le risorse statali disponibili, ha posto il Settentrione, forse per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, nella prospettiva di dover fare sacrifici. 

La spinta improvvisa al federalismo, o alla “separazione”, che nasce dall' esigenza di salvaguardare le proprie ricchezze piuttosto che di migliorare l'efficienza complessiva del sistema, dovrebbe indurre le popolazioni meridionali a riflettere su ciò che si nasconde dietro il termine “federalismo”, vessillo della rivolta dei ricchi.

Il primo quesito a cui il Mezzogiorno dovrebbe chiedere risposta è: quando si parla di federalismo, a nostro avviso in modo volutamente superficiale, si intende parlare di semplice decentramento amministrativo oppure realmente di federalismo, visto che sono soluzioni profondamente differenti?

Se per federalismo si intende soltanto una forma di decentramento amministrativo, esso potrebbe trovare sicuramente un vasto consenso, in quanto lo Stato centrale potrebbe finalmente dedicarsi ai grandi problemi nazionali ed operare per una effettiva unificazione del Paese, destinando alle amministrazioni locali 1'espletamento di molte funzioni. In quasto caso le regioni meridionali sarebbero responsabili, nel bene e nel male, di. provvedimenti finora soltanto subìti.

Se invece si intende perseguire una organizzazione federale dello Stato, diventa vitale per il Mezzogiorno valutare i rischi e soprattutto i costi della sua attuazione.

L'inadeguatezza del dibattito attualmente in corso in Italia lascia molti dubbi sulla capacità di affrontare una riforma così complessa, prevedendone fino in fondo l'impatto politico ed economico.

Il federalismo impone delle scelte chiare riguardo l'articolazione dei poteri dello Stato, che tengano conto dell' organizzazione politico-istituzionale vigente, dei rapporti economici territoriali e della maggiorazione dei costi statali che determina. Inutile cercare una risposta in schematizzazioni teoriche, gli studiosi hanno individuato quasi cinquecento definizioni diverse di federalismo. 

Tuttavia i modelli di federalismo si riducono a due tipi fondamentali, contrapposti nello spirito e nelle metodologie istituzionali: un “federalismo cooperativo”, basato sulla cooperazione tra amministrazioni locali e centrali e la massimizzazione dei costi, ed un “federalismo concorrenziale”, basato invece sulla competizione tra le istituzioni e quindi su elevati costi di gestione dei servizi pubblici. 

Gli esempi classici dei due modelli di federalismo sono la Germania per il primo ed il Canada per il secondo. I continui richiami al federalismo canadese da parte del movimento leghista non sono certamente casuali e lasciano ben intendere il modello di riferimento. Si pensi quale dramma sarebbe trasferire formalmente agli Enti locali della metà del Paese competenze importanti ed allo stesso tempo metterli nelle condizioni di non poterle svolgere.

Come verrà risolto il grave problema dei fabbisogni di spesa, sempre superiori alle risorse di cui le regioni meridionali dispongono?

Nell'abolizione totale dei trasferimenti alle regioni come sarà possibile promuovere lo sviluppo nel Mezzogiorno, quale modello di intervento sarà adottato?

Le regioni settentrionali che ospitano la sede legale della maggior parte dei grandi gruppi industriali e finanziari, che hanno la proprietà di stabilimenti o di altre aziende ed istituti nel Sud, accetterebbero una nuova legislazione federale che prevedesse il pagamento delle tasse nei luoghi di produzione e limitasse le compensazioni intersocietarie?

Di domande analoghe ce ne sarebbero molte di più e di più tecniche, ma bastano queste a dare la dimensione dei compiti che lo Stato dovrà affrontare.

Così come l'intervento straordinario non è stato per il Mezzogiorno il toccasana che tutti si aspettavano ma, al contrario, ne ha perpetuato ed aggravato la dipendenza economica dal Nord del Paese, allo stesso modo ci dispiacerebbe se altri, tra cinquant'anni, dovessero effettuare una ricerca sui danni che un federalismo abborracciato e funzionale solo agli interessi del settentrione avrà provocato nel meridione, uccidendolo definitivamente.

Tutto è stato già scritto sul Meridione d'Italia e sul suo sottosviluppo; perché dunque insistere con una ulteriore analisi di questo fallimento?

La motivazione più forte mi è venuta dalla lettura di una recensione di un “intellettuale” meridionale all' ennesimo libro scritto da un settentrionale contro il sud.

Paradossalmente devo ringraziare l'autore di questa recensione “servile” per avermi spinto a verificare con dei dati ciò che chiunque, leggendo con un po' di attenzione tra le righe della stampa nazionale, sospetta fortemente.

Questo lavoro è stato realizzato con la collaborazione del gruppo di ricerca formato dai dottori Domenica Bellusci, Moira Crociani e Luciano Righi e di tutti quei funzionari della pubblica amministrazione che gentilmente hanno fornito i dati e le informazioni richieste. Un ringraziamento particolare va, infine, alla signora Mara Lazzarini per il contributo fornito nelle varie fasi della ricerca.


Questa tesi ha come quadro di riferimento l'interpretazione del rapporto tra economia meridionale ed economia nazionale centrato sul nesso integrazione-dipendenza. Si veda a proposito Cafferata, R., Romagnoli, G.c. (a cura di) (1990).












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