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Fonte:
Corriere della Sera - Dossier: Un altro Sud - Giovedì 9 dicembre 2004

Crederci, crederci, crederci per liberarlo dalla trappola 

di Gian Antonio Stella

«Ho scritto venti libri su Napoli, migliaia di  articoli. sono napoletano da 5000 anni. E  resto sempre molto sorpreso quando arriva un  giornalista dal Nord che in pochi giorni o in  pochi mesi pretende di scoprire quel che io non ho visto in 72  anni». disse un giorno Domenico Rea, furente con un reportage sul Mezzogiorno.


Certo, chi arriva in un posto per la prima  volta vede a volte cose che chi abita li non aveva notato.  Capita. Ma è difficile dar torto allo scrittore napoletano. Ancora quattro anni fa, l’Economist scriveva:  “Perchè i giovani meridionali non si trasferiscono al Nord assetato di manodopera? Perché sono viziati e un po’ superbi”. In giudizio superficiale ed offensivo, steso nella scia di una tradizione di pregiudizi che hanno gettato sale nelle piaghe del Meridione denunciate proprio da chi del Sud e innamorato. 


Basta  rileggere Robert Putnam: «I1 Sud e in ritardo non perché i suoi cittadini siano malvagi, ma perché sono intrappolati in una  struttura sociale e una cultura politica che rendono difficile o  addirittura irrazionale la cooperazione e la solidarietà. Anche un individuo dotato di molto “senso civico” se viene posto in una società priva di senso civico è destinato a comportarsi in  un modo non cooperativo, a violare il codice stradale, ad agire con egoismo e diffidenza».


Liberatelo dalla trappola, e il meridionale sprigionerà energia, fantasia, accanimento lavorativo. Lo dicono le storie dell'invenzione del genere western Carlo Angelo Siringo e del sindaco più   amato di  New York  Fiorello La Guardia e giù giù fino a Lee Jacocca e Mario Cuomo e Martin Scorsese e milioni di emigrati meridionali che hanno fatto la fortuna dei paesi e delle aziende (si pensi ai capireparto della Volkswagen) che li accolsero. 


Ma lo dice anche il modo in cui è cambiato il Mezzogiorno, in  questi anni. Nulla è falso quanto la tesi che il Sud sia una  realtà immutabile nel tempo. Lo dice il reddito pro capite, che  oggi non è lontano dalla media europea e nel 1949 era con 130  dollari un undicesimo di quello americano e inferiore perfino a  quello jugoslavo. Lo dice il confronto con la paga dei poveretti  che lavoravano nelle miniere di zolfo e nel 1953 guadagnavano  530 lire al giorno: il costo di tre etti di salame.


Lo dicono le  parole di Gesualdo Bufalino: «Mia madre litigo con una vicina  perchè, non avendo nulla da mangiare, s'era fatta prestare un  uovo e l'aveva restituito un po' più piccolo».


Lo dicono, a  dispetto dell'attuale catena di sangue a Napoli, il crollo verticale degli omicidi. Scesi nell'ultimo secolo in Sicilia, per fare un  esempio, da 47 a 2 ogni centomila abitanti 1'anno.


In Sardegna  da 32 a meno di 2. E in genere in tutto il Sud in proporzione  maggiore che nel Nord. Lo dice lo stato delle abitazioni, che  l'inchiesta parlamentare sulla miseria del '51 diceva disperate,  con «numerosissimi» casi di coabitazione, nella stessa stanza,  di uomini, capre, maiali e pollame.


Ma lo dicono soprattutto le  straordinarie attività produttive sparse in tutto il Mezzogiorno.  Le aree industriali dalle quali escono prodotti di eccellenza  che hanno conquistato  il  mondo. 


L'effervescenza di  realtà  intellettuali vivissime e spesso all'avanguardia nel panorama  nazionale. Il Sud non e fatto solo di ombre, ma anche di luci.  Certo, dice Mirella Barracco in uno dei servizi all'interno,  bisogna crederci, crederci, crederci. Ma ne vale la pena. 





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