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Fonte:
https://www.avvenire.it/

Viaggio fra camorra e rifiuti

di TONI MIRA

Monnezza tour in Campania. L'inviato de L'Avvenire Toni Mira e Raffaele Del Giudice, dirigente regionale di Legambiente, nella terra dei fuochi. Impianti bloccati e clan che aprono le cave all'emergenza

Una lunga, interminabile fila di più di duecento camion attende da giorni di scaricare i rifiuti. Vengono da tutta la Campania. Fa caldo, nell'aria c'è un forte odore di putrefazione e dai camion cola liquido nerastro. In un angolo, sotto un albero striminzito, alcuni autisti giocano a carte su un tavolo non si sa come rimediato. «O guaio è grosso», dice uno di loro che attende ormai tra tre giorni. Non ha tutti i torti. È la nostra stessa sensazione al termine di un viaggio nell'emergenza rifiuti, una sorta di "monnezza tour" tra i luoghi dove sono nate le ecomafie e dove, non è un caso, si è concentrata, quasi infierendo su questo territorio, anche la gestione legale (ma spesso il confine è molto labile...) dei rifiuti in Campania. Ci accompagna nella ricognizione, come una sorta di cicerone della "monnezza", Raffaele Del Giudice, educatore di minori a rischio, responsabile di Legambiente per questa zona e, soprattutto, innamorato della sua terra. Siamo a Giugliano, in provincia di Napoli ma al confine con il Casertano, con quell'Agro aversano regno incontrastato dei casalesi, il clan camorrista dalla forte caratterizzazione criminal-imprenditoriale che ha inventato le ecomafie. Siamo davanti all'impianto di Cdr, il cosiddetto combustibile da rifiuti, uno dei sette della regione gestiti dalla Fibe, la società del gruppo Impregilo che si occupa dell'emergenza rifiuti, al centro anche di alcune inchieste della magistratura, in regime di "prorogatio".

Qui entra "monnezza" ed escono ecoballe, enormi pacchi da più di una tonnellata che dovrebbero contenere il materiale essiccato e a più alto potere calorico, da bruciare nei termovalorizzatori (il resto dovrebbe essere utilizzato come concime o per recuperi ambientali). Era il progetto nato molti anni fa per risolvere l'emergenza, ma rimasto a metà. Perché i termovalorizzatori non si sono fatti (il primo, quello di Acerra, sarà in funzione a ottobre, ma solo al 50%) e quindi le ecoballe si sono accumulate a milioni. I rifiuti continuano ad arrivare negli impianti, vengono impacchettati e poi ammucchiati in alcuni siti. Ma qualcosa oggi sta andando storto. «Di solito si scaricano dieci camion al minuto - spiega uno degli autisti - mentre oggi siamo a due ogni 45 minuti». Un mistero. Facciamo il giro attorno al grande impianto e scopriamo il perché. Tutti i piazzali sono letteralmente ricoperti di ecoballe. Così i camion fanno fatica ad entrare e fare manovra e, quindi, serve più tempo per scaricare. Inoltre, la presenza delle ecoballe impedisce di utilizzare l'avanfossa, lo spazio che può contenere i rifiuti di due giorni di lavorazione. Così la fila dei camion si allunga e gli autisti sono costretti a passare giorni e notti in mezzo alla strada, senza neanche un bagno. «Raffaè vienece addà 'na mano», dicono riconoscendo il nostro accompagnatore. Ma c'è anche altro, come ci spiega, Raffaele. «Le porte dell'impianto sono tutte aperte così non possono entrare in funzione gli aspiratori. L'impianto, infatti, deve operare in depressione. Invece dentro ci sono troppi rifiuti, si produce biogas e, per evitare esplosioni, si devono tenere le porte aperte. Ma così il Cdr viene male e ci vuole più tempo».

Come se non bastasse, il nastro trasportatore che dovrebbe portare la frazione organica allo stabilizzatore è fermo. Insomma, c'è la sensazione di un sistema bloccato o, almeno, che va al minimo. Non solo qui. Veniamo a sapere che tutti i sette impianti stanno viaggiando col freno tirato. Il motivo ufficiale è che nella regione non ci sarebbero più luoghi in cui stoccare le ecoballe. Ma non è così. Il posto c'è. Nel nostro tour lo abbiamo accertato. Ma nessuno vi sta scaricando. È proprio all'inizio del giro che raggiungiamo la località di Taverna del Re, tra i Comuni di Giugliano e Villa Literno (Caserta), dove si trova il più grande, e attualmente unico, sito di stoccaggio delle ecoballe, anch'esso gestito da Fibe. Qui dovrebbero arrivare i "prodotti" di tutti sette impianti regionali . Ma non non si vede alcun camion. Il sito è enorme, tre milioni e mezzo di metri quadri, 350 ettari, oltre due milioni di ecoballe ammucchiate a formare enormi e altissime piramidi. Le più vecchie risalgono a sei anni fa. Doveva essere uno stoccaggio temporaneo. È diventato più che definitivo (ci vorranno almeno dieci anni per bruciare tutto). Un luogo assurdo, un concentrato di scelte sconcertanti. Sopra le piramidi, a meno di cinque metri, corre un elettrodotto dell'alta tensione. Le hanno innalzate proprio lì sotto. Basterebbe un banale incidente e qui scoppierebbe un incendio dagli esiti drammatici. Ma non basta. Solo le prime piramidi sono ricoperte da un enorme telo nero impermeabile. Quelle più recenti no. Così le ecoballe si sono rapidamente deteriorate, rotte, bucate. Spuntano rifiuti, cola liquido (ma non dovevano essere essiccate?). E alcune piramidi stanno collassando. Il tutto avviene in un ambiente che più sbagliato non poteva essere. Quei 350 ettari si sono mangiati migliaia di splendidi alberi da frutta: pesche, albicocche, mele, prugne. Questa è terra fertilissima. «Qui germoglierebbe anche il manico di una scopa», scherza Raffaele. E coi frutteti sono stati strappati dalla terra anche decine di contadini, tutti affittuari di proprietari che hanno preferito la ben più ricca offerta della Fibe: si parla di 150mila euro a moggio (4228 metri quadri) l'anno per affitti decennali. L'unico che ancora resiste è il solo contadino proprietario. Continua a coltivare in serra le fragole, e accanto l'uva e le pesche, ma ormai è letteralmente circondato dalle imponenti piramidi. Che non si fermano.

Proprio oltre la stradina sterrata interpoderale che porta alla casa del contadino, c'è un nuovo cumulo, questa volta a formare un altissimo muro, come la prua di nave. Forse si spera di metterne di più in meno spazio. Ma non sembra molto stabile. Comunque il guaio è fatto e spazio ce n'è ancora tanto. Ci sono piazzole pronte e vuote, altre sono in stato avanzato di lavorazione. I camion scaricano brecciolino e cemento. Ma oggi non arriva nessuna ecoballa. Ed è qui il mistero. Dall'impianto di Cdr non esce nulla perché, versione ufficiale, non c'è posto dove metterle. Ma dove il posto c'è non arriva nulla.

Così la fila dei camion si allunga, l'attesa pure. Risultato finale: i rifiuti non si possono raccogliere dalle strade e l'emergenza torna a salire. Mentre ci allontaniamo da Taverna del Re, vediamo arrivare un grossa auto di gran lusso. «Li hanno avvertiti della nostra presenza e ora vengono a controllare», dice Raffaele, che certe facce le conosce bene. Non sarà l'unico incontro "a rischio" nel resto del tour. Poco dopo, viaggiando verso l'impianto di Cdr, Raffaele avverte. «Ci hanno agganciati, ma possiamo stare tranquilli». Un auto ci segue e controlla dove andiamo. E già. Perché mentre i camion fanno la fila, gli impianti non funzionano, i rifiuti si accumulano per strada, la camorra sta già predisponendo siti da "offrire" per tappare la falla. Vecchie cave dove le ruspe sono al lavoro da alcuni giorni per spianare il terreno e aprire strade di accesso. Come al solito, tra inefficienze, ritardi, proteste e probabilmente anche peggio, loro, i boss, gli affari li fanno sempre. Proprio sulla strada che circonda l'impianto di Cdr si alzano fiamme e denso fumo nero: bruciano rifiuti tossici tra gli scoppi di alcuni contenitori. Sono gli inceneritori della camorra. Questi sì che funzionano. Con tariffe da saldo: 300 euro a falò contro un costo legale che supererebbe gli 800. E poi ci si stupisce se dall'emergenza non si esce mai...












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