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Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012

La Maffia nel suoi fattori e nelle sue manifestazioni

Studio sulle classi pericolose della Sicilia

di Giuseppe Alongi

FRATELLI BÓCCA EDITORI

librai di S. M.

1886.


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A

FRANCESCO CRISPI

GLORIA ED ORGOGLIO DELLA SICILIA DEL CÜI RINNOVAMENTO El l'U l'ANTA PARTE OFFRO QÜEST'UMILE SAGGIO BELLA MIA PROFONDA E RISPETTOSA AMMIRAZIONE.

A chi voglia seriamente occuparsi di uno studio sulle classi delinquenti della Sicilia occorrono: conoscenza vasta del diritto privato e dell'economia sociale; famigliarità con la storia e con le tradizioni locali; acume ed intuito pronti per poter distinguere il falso sotto le spoglie del vero, il male camuffato in bene; e sopratutto coraggio e lealtà per assorgere alle vere cause della criminalità, sprezzando pericoli di rappresaglie ed impopolarità, tutt'altro che esagerati.

S'egli vuol ricorrere alle indagini dirette infatti troverà o reticenze interessate, figlie di ignoranza e paura, o notizie contraddittorie, definizioni che fanno a calci fra loro, mezze frasi, motti significativi od evanescenti, idee preconcette, o scetticismo ed ironía. - Se invece studia i molti lavori scritti sull'argomento non trovera minor confusione. Per alcuni la maffia non esiste, per altri è una vasta e potente associazione di malfattori con gerarchia preordinata, fissa, evolventesi sociològicamente; una specie di stato abnorme dentro lo stato legale.

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I primi attenuano il male, e sol perché dovunque son vi ladri e uomini violenti, ne concludono che la Sicilia non si trova in condizioni peggiori di ogni altra regione; i secondi esagerano prendendo un fenomeno criminoso come tipo per fabbricarvi su un romanzo sociale sulla maffia. - Si aggiunga a ciò la difficoltà di potería studiare alle fonti dirette, cioè nei processi gelosamente custoditi negli archivii giudiziarii; i sentimenti locali per quanto nobili, altrettanto interessati, e vedrete quali e quanti ostacoli si parano dinanzi allo studioso delle nostre classi pericolose, e come spesso l'impopolarità sia l'unico guiderdone al suo lungo ed ingrato lavoro.

Esempio splendido ne diedero gli egregi signori Sidney Sonnino e Leopoldo l'ranchetti, e l'illustre prof. Villari anche prima con le sue belle e simpatiche che si fanno ancor oggi leggere con interesse vivissimo. - Quando nel 1875 fu istituita la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni della Sicilia, gli on. Sonnino e l'ranchetti, con coraggio e sagrifizii tanto più lodevoli, inquantoché disinteressati, impresero per conto proprio un viaggio nell'isola. Ne furono risultato due stupendi volumi: del primo,del secondo, editi dal Barbera con la sòlita nitidezza ed eleganza, generosamente donati alla stampa periodica dell'isola. Questa, dato pure che il lavoro fosse

(1) Ne è uscita testé una nuova edizione presso i fratelli Bocca.

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riuscito inesatto, avrebbe sempre avuto l'obbligo di tener conto della buona fede e lealtà (che traspariscono in ogni pagina) con cui gli egregi scrittori compirono i loro studii sulle nostre piaghe morali. Invece la stampa siciliana, ancora irritata dalla gazzarra destatasi in Parlamento e fuori a proposito dei provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza, vide la presunzione di oltraggio e disprezzo, la dove era uno studio coscenzioso, esatto e minuto delle nostre condizioni sociali, ed una crociatad'inchiostro lunga,

clamorosa, accanita fu l'único compenso agli illustri autori. - Siciliano anch'io, trascinato dalla corrente - perché non dichiararlo? - mi astenni da quella lettura. più tardi (1878) parlando con un Pretore di maffia e malandrinaggio, lo sentii esclamare: Oh! per Dio, questa è nuova: è la prima volta che trovo un siciliano d'accordo con Sonnino e l'ranchetti, i quali anzi sono più moderati nel giudicar dell'isola. Ma gia lo vedo, lei è impressionato dalla lettura dei loro scritti, e giovane com'é, è scusabile se esagera le tinte del quadro. - L'ironía era evidente, il mio amor proprio ebbe una scossa e risposi quasi indignato: Scusi, caro Pretore, io parlo per esperienza personale, e mi sarei ben guardato di ispirarmi a quei due romanzi fantastici (1). - Bravo, rispose ancor celiando il mio interlocutore, li legga prima, glieli darò io, e poi mi saprà dire chi di noi ha più ragione. - E li lessi: e provai un'umiliazione profonda

(1) così allora tutti chiamavano i lavori di Sonnino e l'ranchetti.

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vedendo come.realmente quegli egregi signori avevano studiato la Sicilia con affetto e lealtà commendevoli: ed arrossii ripensando alla critica interessata, sleale, virulenta con cui ne furono rimeritati da noi, che, senz'ombra di adulazione, dovevamo loro riconoscenza e stima grandi. - Questo aneddoto basti per esordio, quasi a dimostrare come sia pericoloso tra noi occuparsi di siffatte questioni; e colgo l'occasione per ringraziare con tutto il calore che in me infondono questo clima e l'amore del mio paese, gli illustri signori Sonnino e l'ranchetti.

Ora pero che venticinque anni di esperienze hanno in gran parte modificato l'ambiente, smorzando iré e togliendo malintesi; ora che studii ufficiali (1) ed individuali cominciano a trovarsi d'accordo e che infine le manifestazioni più acute e morbose della maffia sono vinte, l'opera dello studioso, se non meno difficile, diventa certo meno impopolare. E volendo anch'io portare un modesto contributo agli studii delle nostre classi pericolose, riassunte nella parola maffia, credo anzitutto opportuno, o meglio indispensabile, premettere un breve cenno sulle condizioni sociali delle classi stesse, perché la delinquenza - chi lo ignora ormai? - è un fenomeno sociale complesso, risultato di fattori varii impalpabili, ma veri e calcolabili, se non matemàticamente, certo pero sociològicamente ed alla stregua delle probabilità statistiche. Essa va quindi studiata secondo le coefficienze dell'ambiente antropologico físico e sociale in cui si produce,

Relazione della Giunta per Vinchiesta sulle condizioni de lia Sicilia. Relazione della Giunta per l'inchiesta agraria.

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e difatti nessuno potra negare che, mentre una specie di reati predomina in certi luoghi ed in dati tempi, un'altra germoglia, si espande e permane in luoghi e tempi non molto lontani dai primi; salve sempre le eccezioni, che pero son fatte apposta per confermare la regola. A me del resto, oscuro e modesto neofíta, basta enunziare questo principio, divenuto postulato inconcusso della sociología criminale, auspice la scuola italiana di diritto penale positiva che, fondata dai professori Lombroso, l'erri, Morselli, Garofalo, ecc., ha già in poco tempo preso un posto invidiato e glorioso nel campo della Scienza.

I fattori della maffia, quindi, saranno il mio primo studio, non nuovo certamente perché fatto più o meno ampiamente da quanti mi precedettero (1).

Funzionario di polizia, a me interessa fermarmi principalmente sulle manifestazioni antigiuridiche della maffia, ed è questa, a dir vero, la parte del mio lavoro alla quale ho rivolto tutta la mia attenzione, malgrado la scarsezza di materiali e la breve mia esperienza. Ritengo pero che per quanto nuova ed imperfetta, questa parte non riuscirà del tutto inutile ai funzionari di P. S. cui più specialmente è dedicata.

I casi di Palermo nel setiembre 1866. - La delinquenza della Sicilia e le sue cause. L'uomo delinquente. La Sicilia nel 1871. Governo e govemati. - Gli Italiani del Mezzogiorno. Relazioni annuali sull'Amministrazione della giustizia nel distretto della Corte d'Appello di Palermo.

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A completare lo studio vagheggiava l'idea di parlare a lungo dei rimedii, che distinguo in due grandi classi; quella cioè dei sostitutivi penali o delle riforme che intendono a scalzare e modificare i fattori della delinquenza nel senso scientifico della prevenzione sociale, e quella dei mezzi di prevenzione diretta, di polizia in senso stretto. Or mentre della prima si hanno già lavori compiuti, vuoi dai punto di vista scientifico generale (1), vuoi da quello pratico e speciale per la Sicilia (2), il parlare di polizia in uno studio particolare avrebbe potuto sembrare una stonatura. Senza sfuggire quindi dallo accennare qui e cola ai mezzi diretti ed indiretti di prevenire e reprimere l'attività maffiosa, ho creduto meglio riunire in separato opuscolo quanto concerne l'istituto della polizia, tanto più che questa parte si adatta alla cura di ogni altra manifestazione antigiuridica (3).

Questo lo scopo del mio povero lavoro; ad altri il giudicare se è stato raggiunto.

Piana dei Greci, maggio 1886.

LONGI

(1) Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, 3a ediz. - Lombroso, Dell'incremento del delitto in Italia e dei mezzi di arrestarlo. - Beltrani-Scalia, La riforma penitenziaria, e altri molti.

(2) Opere citate.

(3) Polizia e delinquenza in Italia (in preparazione).

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PARTE PRIMA

I FATTORI

I.

Fattori storici.

Volendo rimontare alle origini della maffia, al suo contenuto morale divenuto ereditario, atavistico, bisogna rifarsi parecchi secoli addietro e ripescarle nell'organismo sociale di quei tempi.

«La Sicilia, scrive l'on. Damiani (1), non b entrata che da poco tempo nel mondo della civiltà, moderna poiché in essa più che altrove perdurarono i tristi effetti del sistema feudale che per quasi settecento anni corrosero il midollo della vita dell'isola, trastullo dei suoi conquistatori, degli stranieri dominatori, Arabi, Normanni, Hohenstaufer, re di Spagna, Borboni. Queste scosse politiche e le istituzioni feudali non potevano non rovinare l'agricoltura, il benessere, il traffico e per conseguenza il suo sviluppo intellettuale». Dai 1200 al 1860 infatti la Sicilia fu vittima di conquistatori sempre nuovi e sempre peggiori, che si successero consolo interrotta da conati rivoltosi intermittenti, impulsivi e quindi isolati, senza direzione e senza pratici e duraturi effetti. Da quello rimasto celebre col nome di Vespri a quello del 1848 si ebbe una

(1) Relaz. cit. A questa conclusione pervennero concordemente tutti gli scrittori che si occuparono dell'argomento, già citati nella prefazione.

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lunga serie di riscosse, di esplosioni momentanee di iré e dolori popolari ben presto soffocati nel sangue e nelle segrete del dispotismo. è ben naturale che i soprusi, le spogliazioni e per conseguenza la miseria e L'abbrutimento, gli odii e la barbarie seguissero una scala ascendente: la ricchezza territoriale dell'isola sfruttata di prima, seconda e terza mano, diveniva sempre più scarsa, la vita pubblica intristiva ed ogni nuovo governo dava Governi di questo genere, intenti solo ad estorcere ogni produzione sotto le forme più ibride di tasse, privilegi, regalie, oltre che non avevano tempo né tornaconto a migliorare le condizioni intellettuali, morali ed economiche del popolo, miravano invece ad isolarlo, ad abbrutirlo, a soffocare ogni benché minimo sentimento di dignità. Ogni nuovo conquistatore, inoltre, aveva interesse ad ingraziarsi i proprii armigeri, d'onde la creazione continua di grandi e piccoli vassalli che col territorio si dividevano la popolazione, quasi gregge annesso alla terra.

Il governo centrale (se così può dirsi parlando di feudalismo) non aveva altro intento all'infuori di quello di assicurarsi 1' introito delle imposte sui grossi vassallaggi, e, conscio forse della provvisorietà del suo dominio, non pensava a sviluppare le fonti della produzione. Tin la giustizia e la polizia si volgevano solo a mantenere inalterato il dispotismo, e perciò a colpire non i delinquenti comuni ma i malcontenti della tirannia. Polizia politica perciò, a servizio del dispotismo: giustizia corrispondente: nessuna prevenzione e tanto meno cura economica e di prosperità. Preclusa anzi ogni via di comunicazione con l'estero, la forza di questi governi consisteva nell'impedire il sorgere di sentimenti di fratellanza, di solidarietà tra le varié parti del regno e perfino tra le classi sociali.

, era la formòla del sistema perfezionato dai Borboni, uno dei quali si vantò di aver trovato il segreto di governo con tre f- feste, farine, forche - talché, visto che le seconde mancavano spesso, non fu esagerato chi chiamò quel governo

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Tutto lo studio che un governo, anche dispotico, ma provvido e civile, avrebbe dovuto porre ad affratellare le popolazioni commesse alla sua cura, i Borboni lo avevano posto a rendere inestinguibili gli antichi odii tra Napoletani e Siciliani. Dalla rivoluzione francese in poi si erano serviti di quelli per opprimere questi, sopratutto per mantenere divise le forze che, non volute o non sapute adoperare ad un fine elevato e civile, si temeva vedere da un momento all'altro riunite per scrollare il giogo comune (1). Né gli odii si cementavano soltanto tra Napoli e Sicilia, ma tra Palermo e Messina, tra un comune e l'altro, si che spesso degeneravano in sanguinose rappresaglie. è tuttora generale, visibilissima l'aria di superiorità, ostentata che assumono gli abitanti di un comune verso quelli di un altro più piccolo, sebbene legati da interessi materiali, economici, morali ed amministrativi. è un campanilismo esagerato che si sfoga sempre in aneddoti frizzanti, in istorielle comiche del vecchio mondo, in proverbii più o meno salati.

Il popolano di Palermo, venditore ambulante o lustrascarpe, non chiama altrimenti che tutti gli altri isolani, fossero anche nati a Messina o Catania, abitassero a Palermo anche da venti e più anni. Villano, regnicolo, sono i nomi comunissimi che i palermitani con aria di disprezzo e di superiorità incontestata (2) dànno a chi è nato cento metri in là dalla cinta daziaria. Con lo stesso olímpico disprezzo l'abitante del capoluogo di circondario tratta quello del mandamento, e questo l'altro del comune suflraganeo. Si critica, si punge, si morde ogni manifestazione della vita pubblica e privata con racconti apocrifi ed esilaranti che spesso toccano al più vivo l'animo di chi ne è colpito anche indirettamente.

Lo stesso avveniva tra le primarie famiglie d'uno stesso paese, tra le classi sociali.

(1) Tommasi-Crudeli,

(2) Intendo qui alludere alla grande massa del popolo, non alle classi intelligenti che sorridono a questi vieti pettegolezzi e che in fatto di cortesia e delicatezza nulla lasciano a desiderare.

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Oggi era un'onorifícenza o un mutile privilegio concesso ad un signorotto che destava 1' invidia di un altro: più tardi una lettera ministeriale beneficava questo a dispetto di quello. II piccolo possidente che riusciva a portare il cappello senza provocare lo sdegno ed il sarcasmo dei o (borghesia) diveniva del loro numero. I galantuomini (proprietarii e professionisti) riuniti in un così detto, come in un campo chiuso, comandavano a bacchetta operai e contadini,creati dai buon Dio per ubbidire e servire. L'operaio si rifaceva sul contadino (specie inferiore dell'animalità, umana) del disprezzo con cui era trattato dai Erano, in breve, le muraglie della China tra un paese e l'altro, le caste infrangibili tra le classi sociali.

Tutto ciò non poteva a meno di dare un grande impulso ad un criterio sbagliato ma necessario della conservazione e della difesa personale, e produsse un selvaggio, una lotta primitiva e brutale per la vita, il predominio assoluto dei sentimenti egoistici. Per darne una idea adeguata mi è d'uopo fermarmi alquanto a parlare della vita e dei costumi di quei tempi (1) in cui i baroni, signori assoluti della proprietà immobiliare e del capitale fluttuante, lo erano di fatto anche della libertà., dell'onore e della vita dei popolani. I baroni, ignoranti nella massima parte, ingordi, ansiosi di arricchirsi sempre più, gelosi del loro dominio, chiusi ai contatti esterni e sociali, senza ideali all'infuori di quello di prepotere nel loro paese, eran paghi di esercitare questo loro potere di diritto e ancora più di fatto, tassando e tartassando i soggetti su cui si arrogavano giurisdizione civile e penale senza alcuna guarentigia o controllo. II sapersi odiato dalle masse e dai rivali fecero del palazzo o castello baronale uno Stato dentro lo Stato: con promesse di ricompense ed impunità ogni signore raccoglieva attorno a sé un'orda più o meno risoluta di facinorosi, spesso anzi di malfattori consumati.

(1) Ciò perché un resto di essi permane ancora, specialmente nei piccoli centri dell'interno dell'isola nostra.

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Costoro, è vero, proteggevano il castello, ma rimanevano liberi di prepotere e fare scorrerie nelle proprietà vicine; anzi era stretto obbligo del padrone quello di difenderli e proteggerli a sua volta anche contro l'autorità, sempre debole, del governo centrale e contro la braveria degli altri signorotti. Era il regno della violenza privata in tutta la sua barbara efferatezza, e qual cumulo di ruberie, prepotenze, rappresaglie sanguinose ed odii ereditarii producesse è facile indovinarlo. Al povero niuna speranza restava all'infuori del molto problematico buon cuore delle signore, a meno che non preferisse passare alla braveria o buttarsi addirittura alla campagna.

Qualche volta il governo centrale sentiva il bisogno di riaffermare la sua autorità, sia per frenare la soverchiante prepotenza baronale, sia per domare alquanto la delinquenza, che scalzava le basi stesse della società,. Si rendeva quindi necessaria una larva di polizia, e nell'impossibilità, di reclutarla tra le persone oneste la si appàltava ai facinorosi che, pagati e coverti di guarentigia governativa, facevano a gara nell'offrirsi, cosicché i più audaci malfattori ebbero un grado ed uno stipendio. Come il lettore avrà, compreso, intendo alludere a quella polizia, ibrida, violenta, senza legge e senza moralità, che fu una delle cause principali per cui questa amministrazione è stata ed è ancora guardata con terrore dagli uni, con disprezzo dagli altri, malgrado il profondo cambiamento di uomini e cose. Senza preoccuparmi di stabilire la data precisa di questa istituzione, dire che con vicenda instabile e fluttuante essa rimonta all'epoca feudale (1500?), e con nomi diversi esistette fin dopo il 1870. Conforta ormai il fatto che, riformata per le persone che la compongono e per l'organizzazione parificata alle guardie di pubblica sicurezza, pure tutti si accorgono che è destinata a scomparire (1). Ma se anche questo Corpo restasse quale oggi é, potrebbe dirsi di esso: E perché

(1) L'on. Presidente del Consiglio (Depretis), l'on. De-Renzis e l'on. Curcio lo hanno manifestato recisamente.

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ognuno possa convincersene riporterò, tra molti, i pareri di due autori competenti e spassionatissimi.

Il Ciotti nell'opuscolo citato, riportando un documento ufficiale, scrive: «L'organizzazione di questa forza racchiude in se stessa gran parte del marcio delle nostre popolazioni. I compagni d'armi, più modernamente chiamati militi a cavallo, erano gli appaltatori della pubblica sicurezza. L'origine di questa famosa istituzione rimonta all'epoca feudale, quando alla forza pubblica sostituivasi da per tutto la forza personale, quando il barone., il proprietario per difendere la roba erano obbligati a tenere al loro soldo squadre di uomini facinorosi, i quali proteggevano, è vero (?) il castello e la masseria, ma a patto di essere difesi e protetti contro l'autorità per tutte le prepotenze, delitti e ruberie che commettevano sugli altri. II governo non aveva nessun mezzo di soggiogare quell'immensa camorra che viveva e prepòteva all'ombra delPistesso castello feudale; e poiché la braveria era organizzata e prevalente, il governo pensò di farsi forte in essa e di sfruttarla a beneficio del paese. Ciò importa che il governo, inabile a perseguitarlo e punirlo, scese a patti col delitto. I più matricolati ribaldi, invece del capestro, ebbero una divisa, un soldo, talvolta una decorazione, e si resero mallevadori della pubblica sicurezza. La plebe dei ladri fu spesso sopraffatta, ma in mezzo allo scadere dell'aristocrazia della nascita sorse l'aristocrazia del delitto riconosciuto, accarezzato, onorato! Esigui di numero per poter guardare tutta isola, i compagni d'armi dovettero alla loro volta ricorrere ad espedienti degni di loro. Sorsero gli, che erano altrettanti anelli della catena malandrinesca. «, si diceva ad un famoso assassino, (perché non tutti e due?);».

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Se i protetti avevano questa illimitata facoltà di, che diremo dei protettori? Del resto l'abitudine e l'esperienza avevano dimostrata l'inutilità di dar querela, anzi delle denunzie si perdeva perfino il pensiero, infiltrandosi nei costumi il principio Se un potente subiva un furto, se ne faceva indennizzare dai capitano d'armi, che a sua volta si rifaceva sul territorio di un collega. Spesso chi commetteva la ruberia era lo stesso compagno d'armi o i suoi compari. Allora si presentava al derubato, prometteva di indagare, cercare, ecc., e finiva per venire ad una turpe composizione (componenda) dando 80 (magari?!) per un furto di 100. Se poi la mano rapace rimaneva ignota si arrestava a diritto ed a torto, si bastonava, si dava la tortura perché il furto si doveva provare ad ogni costo.... e pur troppo con questi mezzi si provava sempre. Se il ladro, profano alla compagnia, si trovava davvero, qualche giorno dopo se ne rinveniva il cadavere in qualche burrone, o sotto una macchia; le indagini sugli autori di questo nuovo misfatto erano negative, ma la coscienza pubblica indovinava che era una terribile lezione data dalla compagnia. In conclusione per farne parte bisognava essere laureato in avere una mezza dozzina di misfatti sulla coscienza!».

Ed il prof. Tommasi-Crudeli, né siciliano né adulatore, così parla delle compagnie d'armi: «Si componevano di ribaldi matricolati, non di rado capitanati dal più matricolato di tutti che con la sua compagnia sí faceva mallevadore della sicurezza di un distretto. Per riuscire egli faceva man bassa sulla plebe dei ladri, ma veniva a patti con l'aristocrazia del delitto. La compagnia era composta di pochi eletti, troppo pochi di fronte al numero di quelli chiamati dai loro precedenti di farne parte; e per non essere sopraffatta da loro accordava ai birbanti più famosi del distretto la qualifica di con l'obbligo di preservare una porzione del distretto dagli attentati dei ribaldi minori, e con facoltà di taglieggiare a loro bell'agio, sotto la protezione della compagnia, la gente del luogo, che non osava fiatare.

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Quando essi ne facevano delle troppo grosse ed i derubati erano in tal posizione sociale da attingervi il coraggio di querelarsi del furto (mai però quello di denunziare il ladro) il capitano d'armi pagava la somma perduta, e talvolta del danno sofferto si andava a rifare con la sua compagnia sul distretto di un altro. Ma per lo più in simili casi si veniva a patti, a composizione, come si diceva; qualcuno della compagnia (non di rado complice del delitto) andava dai derubato, offriva il 60, l'80, il 90 per cento della somma rubata e lo persuadeva a non dar querela. Se però i furti o ricatti denunziati non erano opera di affiliati, si cambiava registro. La compagnia pagava l'indennizzo, ma si vendicava del profano che aveva osato cacciare sul suo senza averne l'autorizzazione. Se non v'erano indizii sicuri arrestava a diritta ed a sinistra della gente, la bastonava, la torturava all'occasione, e così alla meglio o alla peggio arrivava a trovare il ladro. Se v'erano indizii sicuri il temerario si trovava talvolta ucciso in qualche luogo remoto; poi si frenava la curiosità del giudice istruttore facendogli pulitamente sapere che era affare della compagnia». - Personale reclutato tra i più audaci malfattori, guarentiti, onorificati; transazioni turpi con gli altri malfattori; compartecipazioni abbiette in ogni forma di delinquenza: tale fu la polizia siciliana fino al 1860, e guai a chi avesse osato lamentarsene. È quindi strano se per eredità e adattamento il malandrinaggio fu ritenuta una istituzione invincibile, un male necessario, irrimediabile, e se la parola anzi perdette il suo significato infamante e divenne titolo al rispetto generale?

In sul nascere di questo secolo il cumulo immenso degli odii delle masse, non più trattenuti, perché ormai la miseria e l'arbitrio più sconfinati avevano ucciso il senso morale, mentre la braveria e la violenza personale sgovernavano apertamente, cominciarono a traboccare. Fuvvi un momento in cui si volle limitare l'onnipotenza giurisdizionale dei baroni e porre un argine alle violenze d'ogni genere; venne quindi l'abolizione della feudalità e le altre riforme del 1812.

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É giustizia riconoscere che quest'época fu feconda di riforme nel campo del diritto privato e pubblico, e che la Sicilia ebbe una legislazione che lo stesso on. Franchetti riconosce in molte parti buona, in alcune ottima (1). Ma essa lasciò il tempo che aveva trovato perché veniva troppo tardi per alcuni, troppo prematura pei più e del resto il governo era primo a violarla quando lo reputava utile alla propria conservazione, o nell'interesse di qualche cortigiano (2). I baroni intanto, spogliati di diritto dei loro privilegi, vollero conservarli di fatto, e vi riuscirono sia sostituendo alla violenza brutale e diretta l'astuzia, l'intrigo e la corruzione dei funzionari, sia perché lo stesso popolo incretinito dai lungo servaggio, diffidente verso il governo, fatalisticamente adattato al vecchio ambiente, non comprese le riforme, anzi le osteggiò apertamente, ritenendole nuove insidie e nuovi trabocchetti. Epperò mentre i germi della corruzione, del disordine morale e giuridico continuarono a crescere e quelli della decadenza del governo ringagliardirono, questo altro non ottenne che l'odio degli stessi baroni, che si videro per poco spogliati di secolari diritti.

Un'alra ragione fomentava il malcontento dei nobili verso il governo. L'impunità d'ogni più criminosa impresa; il favoritismo sfacciato per le spie e per gli speculatori di fortuna nell'interno dell'isola; un orda di sensali, legulei, affaristi, trafficanti ed usurai d'ogni risma e colore nel litorale, diedero vita e potenza ad una classe di o, come oggi si direbbe, di aristocratici del denaro e che alleatisi la braveria e i prepotenti, volle e seppe imporsi all'aristocrazia della nascita. Questa quindi non poteva più senza pericolo attendere direttamente alla cultura dei suoi vasti latifondi, che più non rendevano per altro la produzione d'un tempo.

(1) Opera citata, pag. 132.

(2) Id. id., pag. 133.

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Sfiduciati del governo, fiaccati da secolare ed oziosa onnipotenza, inetti alle lotte feconde del lavoro e del commercio, i nobili dovettero alla loro volta transigere coi nuovi venuti, forti, audaci e padroni di quella classe malandrinesca da cui erano venuti su, e che già si chiamava maffia.

Nacque cosi il contratto di gabella, i baroni si ritirarono nei grandi centri e furono sostituiti in tutto da questa nuova classe di abili ed abbienti, avidi di accrescere la loro male acquistata ricchezza. La maggioranza dei signori si concentrò attorno alla Corte e vegetò del lusso e dell'ozio di essa, una minoranza si diede allo studio ed ai viaggi, e formò il núcleo di quel patriziato intelligente che nel 1812 votava spontaneamente l'abolizione della feudalità, e più tardi capitanava le rivoluzioni (1). I più però furono affetti da quel fenomeno stupefaciente, detto tuttora (2) per cui sicuri nelle città,, paurosi (spesso giustamente) di avventurarsi nelle campagne, prive di viabilità e di sicurezza, ad altro non pensarono che a mantenersi coi contratti di gabella le vecchie rendite (3). La nuova classe dominante, i gabelloti, ansiosi, come dissi, di accrescere la loro ricchezza e d'imitare gli antichi baroni nel dominio, nelle rivalità, nei costumi e perfino nelle fogge del vestire, pesò come orda di nuovi conquistatori sulla popolazione agricola, che rímase quale era stata, abbrutita da tanti soprusi, convinta per atavismo che bisognava adattarsi alla tirannia del Governo ed a quella peggiore dei signori (vecchi o nuovi poco importa) fino a che una riscossa, resa meno probabile nella sua mente da secolari disinganni, non avesse provvidenzialmente portato tempi migliori. Così le buone, ma postume, intenzioni del Governo e le sue riforme sociali del 1812 furono frústrate; e poiché un tale stato di cose non poteva migliorarsi per evoluzione, né per influenze esterne

(1) La Lumia, Studi storici italiani. - Vita di Carlo Cottone.

(2) Damiani, Reí. cit.

(3) Conosco tuttora proprietari di feudi che non vi han posto piede da oltre 20 anni.


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(perché il Governo poneva ogni cura a chiudere ogni spiraglio alle nuove idee che venivano dalla Francia) ad altro non riuscirono che a colmare la misura degli odii, a preparare fatalmente la rivoluzione, che ora avrebbe avuto capi ricchi ed esperti nella stessa vecchia aristocrazia.

Ognuno pertanto vede facilmente che questo sistema secolare e quasi inespugnabile di arbitrii alti e bassi non poté non produrre i più tristi effetti: accrebbe la miseria e la rese spaventosa; uccise la coscienza pubblica ed il senso morale e giuridico delle popolazioni; e però l'idea dell'utile si confuse con quella del bene; la violenza personale si soprappose alla giustizia collettiva; ed in tutti si formò il convincimento che la vendetta privata fosse il miglior modo di far valere il proprio diritto, che leggi e tribunali erano un pleonasmo amministrativo, un'ironia; che Governo e ricchi erano collegati per tiranneggiare i poveri ai quali per unico tornaconto non rimaneva che farsi facinorosi, ladri, sanguinari per acquistarsi protezioni ed impunità di misfatti, e migliorare cosi la loro condizione economica.

Tale era la Sicilia al 1860!

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II.

Fattori economici.

Dissi più sopra che lo studio dei fattori sociali della maffia è stato fatto da scrittori autorevoli e che a me non restava che riassumerli, tanto più che esso è per me secondario, in quanto possa servire a meglio spiegarne le manifestazioni. Spigolerò quindi nell'opera del Sonnino, nella citata relazione dell'onorevole Damiani ed in altri lavori di minor mole, rimandando ai primi due chi voglia farsi un criterio esatto e particolareggiato dell'agricoltura siciliana.

É risaputo che la Sicilia è una regione eminentemente agricola e si comincia ora a sapere che la sua agricoltura, meno la zona litoranea settentrionale,é primitiva e dominata dai più rozzo empirismo. Questa asserzione trova una prima conferma nel fatto che tolto un décimo della sua superficie totale (Ett. 2.690.379) occupata da boschi, fabbricati e terre incolte, del rimanente il 24 0|0 soltanto è coperto a coltura intensiva, ed oltre al 65 0|0 a seminerio o meglio a latifondo. Quali siano i tristi effetti economici e morali del latifondo son già noti storicamente, e per non parlar che di tempi moderni basterà accennare alle riforme agrarie combattute e vinte per la Russia, la Germania e l'Irlanda. Gli egregi scrittori sopra menzionati ¿anno esaminato questo fenomeno sociale sotto tutti i punti di vista, ed è per lo meno superfluo ripeterne le unanimi e sconfortanti conclusioni. A me che nel latifondo importa più che altro riconoscere il lievito e, diciamolo pure il concime da cui attinge rigoglio la mala pianta della maffia, torna utile riferire quanto ebbe a dirne un illustre magistrato, il procuratore generale Morena nelle relazioni statistiche sull'amministrazione della giustizia per gli anni 1877-78.

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«Il sistema della proprietà divisa è eminentemente moralizzatore, essendo insito nel cuore dell'uomo il desiderio di avere un pezzo di térra ove sia sul suo; là egli innalza la sua casa, là diventa padre e con gli alberi da lui piantati vede crescere rigogliosi i suoi figliuoli; là egli va in cerca di ogni più appartato angolo di terreno, lo dissoda e ne rende feraci anche le più sterili zolle; là insomma, ove nol fosse, diventa uomo d'ordine e di libertà. Ma non è tutto: il sistema della proprietà del terreno dimezzato non solamente moralizza proprietari ed agricoltori,.ma, direi quasi, purifica la campagna e con essa l'atmosfera, creando la necessità di aprirvi strade, di attirarvi acque, di edificarvi una chiesa, di chiamarvi un medico, un prete, un conciliatore, una stazione di carabinieri, di istituirvi insomma un centro di lavoro e di attività, di moralità e sicurezza pubblica, tale da rendere qualunque siasi sodalizio di malandrinaggio, da respingere qualunque scorreria di briganti...». , disse Plinio. Antitesi alla proprietà spezzata sta appunto il feudo, ossia il latifondo, per il quale il viandante cammina delle giornate intere senza trovare una casa, un albero, un filo d'erba, una fonte,un flore che riveli, non dire l'attività e la civiltà, ma l'esistenza dell'uomo. E così il latifondo, oltre che offre un sicuro asilo ai briganti, è pure un semenzaio di malandrinaggio. Leggete i processi che l'anno scorso (1877) si sono aperti contro antiche e disciplínate associazioni di malfattori e negli interlinei vi troverete un profondo medioevale rancore, una fiera protesta dei contadini contro i proprietari, a danno dei quali le associazioni stesse si costituirono; leggete le generalità dei condannati per grassazioni e per ricatti, le biografié dei più famosi malandrini e di tutti i briganti da Don Peppino a Riggio, da Di Pasquale fino a Raia, e troverete che tutti, senza eccezione, uscirono dalla classe dei rurali, dei contadini. Né crediate che tutti costoro siano stati al mal passo, all'aggregazione delle bande costretti perché colpiti da mandato di cattura o per fatale irresistibile causa, no: ve ne hanno alcuni che non imputati, non ammoniti, non latitanti, ma,

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come dissero,, si procurarono a poco a poco il vestiario e le armi alla brigantesca e, un mattino preso con solenne cerimonia commiato dai parenti e dagli amici, passarono con armi, bagaglio e fede di perquisizione netta nel campo dei masnadieri. Vi ricordate, o Signori, degli eccidi del 1848, 1860 e di quelli del 1866 e posteriori? Contadini, contadini, sempre contadini».

Si può in qualche particolare dissentire da queste idee, ma il profondo convincimento che un alto magistrato trae dai processi in cui egli ha dovuto intervenire come rappresentante della legge ha per noi un peso maggiore di quello uniforme manifestato da economisti, sociologi e uomini politici d'ogni scuola o partito.

Ed ora entriamo a dirittura in uno di questi latifondi, vediamo qual ne sia la vita. II feudo, meno eccezioni insignificanti, è un'estesa plaga di terreno (da 1000 a 6000 ettare) nuda di qualsiasi cultura a fusto, per cui da agosto a mezzo marzo vien fatto comunemente vedere da qualche rialzo un'estensione infinita di térra secca brulla che rattrista, interrotta qui e colà dai casali annessi ai feudi. «Ogni feudo, scrive il Sonnino, ha un casamento che è il centro dell'azienda rurale. Queste fabbriche sono per lo più in uno stato deplorevole, e quasi tutte mancano di stalle per gli animali e di convenienti abitazioni per gl'impiegati, specialmente per quelli inferiori che dormono in molti in una stanza mal coperta, sopra rozzi giacigli di paglia (o per terra)». Quest'ultima, ma non unica circostanza costringe i contadini ad abitare nei paesi, ed a far quindi due volte al giorno un viaggio che varia dai 5 ai 10 chilometri, arrivando stanchi sul luogo del lavoro e ripartendone presto per ritornare a casa, laddove non preferiscano di stare per molti giorni lontani dalla famiglia con danno enorme dei sentimenti di affetto e di moralità. Né le abitazioni che la classe agricola ha nei paesi sono migliori, come si vedrà. appresso.

Il proprietario del feudo è quasi sempre un nobile discendente degli antichi baroni, che abita in città e raramente si fa vedere nella sua proprietà;

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cosicché il contadino chiama impropriamente padrone il gabelloto, questo grande parassita (1), che pel contratto da cui prende il nome e che dura dai 4 agli 8 anni, corrisponde al vero proprietario un fitto annuo che va dalle 40 alle 100 lire per salma (Ettare 1.746) di terreno. Non h raro il caso di un gabelloto che a sua volta su-gabella i fondi dando così luogo ad un secondo o terzo intermediario tra capitale e lavoro. II feudo viene diviso in cosidette che (presa per unità di misura l'aratro, cioè il lavoro giornaliero medio di due uomini e due animali) varia da due a quattro ettare e si d al cosidetto o colono. Costui nella grande generalità dei contratti dominanti non ha che due specie di patti da accettare dai padrone, quello a terraggio (terratico) e quello detto a mezzadria o pel prodotto. II terraggio consiste in due o quattro ettolitri di frumento da pagarsi per ogni ettaro di terreno, e per consenso generale di quanti se ne sono occupati (2) riesce talmente gravoso al contadino che nelle annate medie giunge appena a pagare i debiti contratti pel sostentamento della famiglia, nelle scarse è costretto a vendersi l'animale e se l'ha, la casipola. La mezzeria o borgensatico, più comune che il contratto a terraggio, dà la seguente divisione del prodotto. Premesso che il gabelloto dà la semente che per lo più riprende con l'interesse del 15 e fino del 25 0[0, il prodotto pel quale il contadino ha dovuto sostenere tutte le spese di cultura, va per 3|4 e raramente per 2|3 al gabelloto. Arrogi che prima di tale divisione van prelevati alcuni diritti detti dai contadini di, consistenti in terraggiuolo, custodia, estimo, la messa nel feudo (l'abbia il contadino intesa o no), sfrido,restituzione della ricchezza mobile (!), o maccheroni ai campieri ed altri che a dir poco portano via un décimo del raccolto. Or ammettendo come media un prodotto decuplo della semente e come unità di misura della tenuta quattro ettari, avremo 40 ettolitri di frumento,

(1) Morena, loco cit., pag. 13.

(2) Sonnino, Villari, Salomone, Caruso, Cattani, l'urrisi, Mendola, ecc.

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dai quali tolti la semente e i diritti di Santa Barbara al borgese (che deve avervi lavorato con un compagno e due animali), non resterà per sua parte a dir più, cioè 12 Ettol. che tutto al più varrà L. 216 (L. 18 per Ettol.). Né qui finisce il bilancio passivo della famiglia agrícola. Durante l'anno colonico avrà preso dai proprietario pane (di solame (1) cioè nero e sabbioso), vino (aceto annacquato) e legumi spesso decimati nella quantità daie dai (2). Questi soccorsi calcolati come merce di buona qualità e con l'interesse del 20 o 25 0[0 devono essere pagati sull'aia, dalla porzione del contadino. La rimanenza, se ce n'è, andrà poi a cadere negli artigli del panniere, del calzolaio, del fabbro, anch'essi usurai della peggiore specie. è inutile che io mi fermi a narrare altri minuti soprusi cui il colono è fatto segno dai personale del feudo, dei ripieghi cui ricorrono gabelloto e soprastante per diminuirgli la magrissima sua porzione, come l'uso di misure arbitrarte, il dar la semente bagnata (per farla crescere di misura), e perfino l'obbligo fatto alle misere spigolatrici di lasciare 1¡3 del loro faticoso e microscopico raccolto (3).

Questo quadro men che sommarío basterà a convincere i più increduli della verità, espressa dai barone Mendola (benemerita eccezione) quando assicura di essersi trovato imbarazzatissimo a fare un bilancio di una famiglia di contadini siciliani, senza trovare alla fine il passivo sempre maggiore dell'attivo. E perché non mi si accusi di esagerazione e di sentimentalismo, riporteré qualche brano della prelodata Relazione dell'onorevole Damiani, pubblicata solo nel 1885.

Patta a pag. 34 rilevare ¡'enorme distanza sociale che intercede tra proprietario e contadino, quello possessore

(1) Solame, rímasuglio del grano che resta nell'aia mescolato a creta.

(2) Su questi impiegati vedasi appresso.

(3) Il contadino crede di vendicarsi appropriandosi una parte della semente, e non si accorge che così diminuisce a sua volta la produzione.

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di grandi capitali e vastissime tenute, questi misero e mal retribuito, quello riottoso e superbo, questo umile e quasi schiavo, a pag. 37 scrive: «Le relazioni tra contadino e proprietario sono tutt'altro che cordiali, ed è appunto in esse che si trova la misura dell'abbassamento sociale della classe agrícola. Per lo più si è riferito dalle autorità locali, che tali relazioni sono come tra schiavo e padrone, il quale d'ordinario si fa la parte del leone, sia retribuendo molto male il contadino, sia prendendo per sé una parte di prodotto maggiore di quella

convenuta,

sia anche prendendone la migliore Ma ciò che maggiormente contribuisce a rendere peggiore questo stato di cose già abbastanza deplorevole, è la esistenza del latifondo. Più estesa è la proprietà e maggiore è la distanza che intercede fra proprietario e contadino. Tale distanza è appunto quella che, togliendo fra l'uno e l'altro ogni e qualunque punto di contatto, li rende estranei fra loro, impedisce la reciprocità degli affetti, che non possono nutrirsi per persone lontane o quasi sempre sconosciute, e porge occasione alla intromissione di un corpo coibente tra questi due elementi destinati a vivere d'accordo, ma pure tanto in disaccordo in queste provincie. Questo corpo coibente è capitalista, il gabelloto».

Per chiudere questo breve cenno del feudo do una sommaria notizia del personale fisso, cioè stipendiato, che, pesando sul borgese, non fa che gli interessi del gabelloto ed i proprii. Primo viene il soprastante, che, come indica lo stesso nome, dopo il padrone, sovrasta a tutti. è costui un uomo valido, burbero, risoluto, tutto d'un pezzo, che nel più dei casi è pervenuto a questo alto ed invidiato posto, percorrendo la gerarchia inferiore. Né per arrivarvi gli è bastata assiduità al lavoro, zelo ed attaccamento al padrone, istruzione e capacità tecnica, ma c'è voluto un carattere energico, brutale, manopronto, insofferente d'ogni offesa, delle vaste conoscenze in maffia ed un paio almeno di processi fortunati. Egli ha conquistata la sua superiorità gerarchica con e la mantiene ad ogni costo.

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E ne vale la pena, perché il soprastante non vive di solo stipendio (L. 300 annue o poco più), ma rappresentando il padrone ed essendo lui che distribuisce sementi e soccorsi, trova sempre modo di fare la sui borgesi, che vedono, soffrono e tacciono per paura del peggio. Va da sé che potendolo, il soprastante ruba anche al gabelloto e, sapendo essere di conserva coi visita i feudi e gli armenti vicini per ammirarne i prodotti e le bestie, spingendo il suo entusiasmo fino a prenderne dei campioni di notte. Egli poi conosce il mondo e, mentre riceve sommesso e rispettoso, gli agenti della forza pubblica, dolentissimo di non poter loro nulla offrire, perché il padrone è sospettoso ed avaro, ai latitanti imbandisce delle colezioni succulenti, li ricovera ed è sempre pronto a mettere in salvo animali e roba, che quanto a provenienza potrebbe destare la tarda curiosità della polizia.

Vengono poi il robettiere o magazziniere, il panettiere, il palafreüiere, i bestiamari, il bardonaio (conduttore di sette muli pel trasporto dei prodotti del padrone, mancando le vie rotabili), il curatolo degli aratri, il bovaro, il giumentaro, lo stuolo dei(custodi del feudo e guarda-spalle del padrone), i garzoni, i giornalieri, ecc., che per ordine di precedenza e preeminenza, come li ho posti, hanno occupato i rispettivi posti a seconda dei meriti morali e penali richiesti dalle consuetudini. Ohi voglia farsene un concetto esatto e poético legga l'opera del Cattani. Palermo, 1873). Io, che sono per le mie occupazioni d'ufficio, poco tenero della poesia rusticana, mi limiterò ad assicurare il lettore che il 90 0|0 di questi signori ha la fede penale con qualche precedente.

Ed ora il lettore favorisca di seguirmi in uno dei comuni agricoli dell'interno dell'isola.

Immagini sur una costiera una mandra di pecore e fra esse qui e là un bue, o rammenti la stupenda descrizione del Manzoni sul paesello di Lucia, dominato dai palazzo di Don Rodrigo, ed avrà una prima idea del nostro paese.

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Cinque o sei case che arieggiano il palazzo ed il benessere, e poi un gruppo di case irregolare, informe, nere e senza intonaco, coi tetti mal coperti di tegoli e rottami, tutte a pianterreno con una sola apertura che serve da entrata, da finestra, da camino e per altri usi innominabili. - è in questo ambiente che si svolge l'esistenza delle donne e dei bambini. Entriamo in una di queste sedicenti abitazioni: «Si compone di un solo ambiente della superficie media di 25 m. q., non vi è pavimento, i muri sono a secco. In un angolo vi è il focolare, nell'altro il letto della famiglia umana fatto di paglia, di cui una parte va sotto all'asino, al porco, alle galline, che con essa convivono; e tutto questo insieme di animali, compreso l'uomo, si corica là dentro, in mezzo all'umidità del suolo, alle esalazioni putride degli escrementi, al fumo. è in questo covo che si insegna ai bambini, ciò che non sempre giova il conoscere ad uomini fatti. è là che gli adulti compiono accanto ai figli, ai nipoti, ai fanciulli, le funzioni animali della generazione. L'incesto e là pederastía ne sono non infrequenti e non sole conseguenze più gravi (1)». - «La scarsezza dei mezzi li obbliga a cibarsi frugalissimamente di pane con qualche minestra verde o di legumi, poco o niente condita, raramente accompagnata da poco vino. Non mangiano la carne che quando possono ottenerla furtivamente d'animali morti di malattia, Dio sa con quali tristi conseguenze! - Eppure i poveri agricoltori nella loro stessa ignoranza sono sobrí, d'índole pieghevole, rispettosissimi della borghesia, non dediti ai giuochi, ai liquori, al vino; ed avrebbero forse la incapacità a delinquere se non dovessero servire ai tenebrosi intrighi, alle private vendette e nauseanti gelosie di qualche privilegiato (2)».

Usciamo da questo ambiente rattristante e giriamo un po' il paese. La classe dominante, composta di poco più che una mezza dozzina, è rappresentata dai gabelloti.

(1) Damiani, loco cit., pag. 62. - Cito questa fonte non sospettabile e recente, per non essere accusato di fare della retorica e peggio.

(2) Id. ibid., pag. 61-62, nota. (Relazione del Prefetto di Messina). - Faccio qui qualche riserva per alcuni che ritengo irresistibilmente nati al delitto.

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Essi, salvo pochissimi, sono persone influentissime, sfruttano tutte le cariche amministrative, hanno vaste clientele di elettori, per cui si attirano necessariamente i riguardi del deputato, che con loro forma esclusivamente la classe politica. - Il gabelloto ha pretese baronali; quindi vive isolato da tutte le altre classi sociali, che disprezza; è quasi sempre ignorante, presuntuoso, dispotico, violento, gelosissimo di un primato che fatalmente va perdendo di giorno in giorno. E tradizionalmente convinto che gli esercenti professioni libere, e magari i funzionari del Governo, siano destinati esclusivamente alla soddisfazione dei suoi bisogni e delle sue vendettuzze, e li considera come una specie di liberti o servi emancipati. L'operaio ed il contadino poi sono, secondo lui, una specie animale inferiore, spesso trattata peggio del suo cavallo - II gabelloto o galantuomo e borbonico, o meglio contrario ad ogni governo liberale, e se vi prende parte come grande elettore, lo fa per conservarsi la considerazione politica ed il dominio nel suo paesetto. Non può capire, per esempio, perché i funzionari d'oggi debbano occuparsi delle violenze gravi che un galantuomo fa ad un servo o ad un borghese, cosa che gli antichi ufficiali di polizia non facevano; anzi si univano al galantuomo per daré delle severe lezioni al contadino. Tanto meno poi riesce a comprendere che anche un miserabile ha diritto a giustizia, a godere del porto d'armi e ad altri un tempo riservati soltanto ai galantuomini. Quel che più lo urta, è l'insistenza con cui giudici e funzionari vogliono sapere da lui certe cose intorno ai reati di fresco successi, quasiché si debba incomodare un galantuomo... citarlo per dire quel che sa come un semplice mortale!Ve n'è poi di semi-ingenui che strabiliano nel vedere che un Governo debba cercar prove, far tante formalità e spese per mandare un miserabile in galera.

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Rammento sempre di aver veduto molti di questi signori di montagna, tornare dai feudo seguiti da una mezza dozzina di campieri, tutti a cavallo, con stivali e fucile sulle ginocchia, entrare al gran galoppo in paese come una banda armata, senza preoccuparsi se qualcuno restava sotto le zampe dei loro Questa del cavalcarela nota caratteristica del gabelloto, che tiene sempre in istalla tre o quattro cavalli da si creda che per lui si tratti di divenire un cavallerizzo elegante; scrive il poético prof. Cattani: La giumenta semi-selvaggiala sua innamorata; la grande abilità, consiste di stare in sella con la doppietta avanti, saper fare una scappata a costo di rompersi l'osso del eolio cavaliere ed animale, senza cadere»; seguito da campieri, scelti per lo più dall'aspetto fiero e truce, con antecedenti per lo meno equivoci, pronti di lingua e di mano, alti, barbuti, con occhi di colore grigio indeciso, con capelli neri, arruffati e vestiti analogamente.

Tale è la condizione generale della popolazione agricola siciliana, cioè dei 9/10 almeno di tutta la popolazione; né le poche eccezioni che volontieri ammetto, possono seriamente influire a cambiarla, tanto che l'on. Damiani così conclude la parte relativa Sella sua Relazione più volte invocata: «Il contadino in generale, abbrutito dalle sofferenze, dovendo provvedere con scarso salario a numerosa famiglia (che spesso sta in ragione inversa di quello), forzatamente sobrio come un eremita, paziente come Giobbe, misero come Lazzaro, senza avvenire come un Ilota o un Fellah, è ignorante, diffidente, malizioso, scettico in cuore, surperstizioso, refrattario a qualunque cosa che la società possa offrirgli in suo vantaggio, a meno che questo non sia materiale ed immediato» (1).

Prima di uscire dall'interno dell'isola, giova dire poche parole relativamente alte condizioni economiche e morali

(1) Loco cit., pag. 121. - Un sindaco di uno dei più importanti Comuni della provincia di Palermo, che si atteggia a filantropo sapiente, mi presto la bella re lazione del Damiani, che egli lodava senza averla letta. Citandogliene io dopo qualche pensiero

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della popolazione sicula dedita all'industria mineraria, o delle zolfare (1). Si è voluto da alcuni attenuare l'impressione destata da coloro che hanno rivelato le tristissime condizioni morali in cui versano i nostri zolfatari, ma ormai nessuno ignora che questi poveri infelici, strappati nell'infanzia ai giuochi, all'aria, alla scuola, per esser sepolti vivi e sottoposti ad un lavoro primitivo, opprimente, superiore alle loro forze, condito da sevizie crudeli, crescono in uno stato grave di abbrutimento e di immoralità. Dall'on. Di Cesaré al Villari, dai Sonnino al Damiani, quanti hanno dovuto occuparsi di questa classe di veri miserabili, vennero a questa desolante conclusione: Non manca che la sanzione legale, perché i zolfatai siano di diritto come lo sono di fatto, veri schiavi nella moderna civiltà. - Neghi chi vuole che in loro il senso morale è pcrfettamente spento, lo sviluppo físico arrestato in sul nascere, come lo dimostra il gran numero dei riformati dai Consigli di Leva; non si giungerà mai a distrurre i fatti, cioè le statistiche criminali. Ché se si volesse dubitare che io non faccia che ispirarmi ai soli scritti, sebbene recentissimi, dire che quante persone oneste ed intelligenti ho interrògate in proposito, mi hanno risposto che qualunque descrizione fosca se ne faccia, non giungerà mai a daré una idea esatta dell'ambiente morboso, delle sozzure e dei dolori in cui vegeta e s'inebetisce la popolazione mineraria siciliana.

se ne mostrava scandolezzato, e più tardi, per scopi che mi astengo dai qualificare, me ne attribuiva la paternità per farmi ritenere, nientemeno,. Potrei provare a quel signore che per convinzioni invariate e profonde ho sempre venerato nei nostri Re tutto quanto hawi di nobile, generoso e grande nella nostra storia; che io sono socialista quanto gli illustri scrittori che vado citando, che mi furono larghi di aiuti e di incoraggiamenti. Ma mi contento solo di pregarlo a leggerne le opere e seguirne, nella sua modesta attività, i nobili e patriottici esempi.

(1) Essa è calcolata a e produce annualmente una quantità di zolfo valutata a Vedi Relazione dell'on. e l'opera citata del

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Un amico carissimo, egregio magistrato (1), che stette alquanti anni in mezzo ad essa, mi diceva che nei zolfatai non si può riconoscere l'età, e che guardandoli, si direbbero vecchi cretini e rachitici. Sono, è vero, discretamente pagati e potrebbero fare delle economie, ma dopo una giornata di lavoro snervante e primitivo perdono l'idea dell'economia e dilapidano tutto. Essi danno il massimo contingente ai reati di sangue, l'omicidio impulsivo è predominante, ogni più abbietta sozzura morale è sostituita agli affetti più nobili, umani e perfino animali. Amore, rimorso, dignità, umana, religione non raggiungono nei loro cervelli nemmeno le nebulosità dell'instinto. - Certo la loro condizione ha dato e darà da pensare, essendo di difficilissima soluzione, né a me incombe di fermarmici a lungo, bastando al mio intento aver dimostrato che essi attualmente, come in passato, sono predestinati al delitto. Ciò però non mi impedisce di far voti che la legge sul lavoro dei fanciulli, tanto invocata ed ora approvata, venisse tra loro applicata vigorosamente e rigorosamente.

Scendiamo ora alla marina. Nel litorale siciliano, e specialmente in quello settentrionale, il latifondo non esiste; ogni contadino possiede il suo pezzo di térra coltivato a perfezione, con rotazioni intensive che danno un prodotto più che discreto. Le contrade vicine a Palermo giustificano pienamente il pomposo titolo di Conca d'Oro. Mi consta inoltre che il contadino di queste contrade, oltre dai proprio fondicello, ricava anche profitto da piccole industrie; che per la mitezza del clima, la varietà e ricchezza delle colture, lo sviluppo invero completo della viabilità e il rialzo delle mercedi può contare su molte giornate di lavoro, e quindi potrebbe vivere piuttosto agiatamente e fare anzi delle economie. - Eppure l'illustre prof. Villari, che nelle sue dà la influenza massima alla miseria, come causa della maffia,

(1) Avvocato Salvatore Nuccio-Grillo.

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vedendo come questa imperversi nell'agro palermitano (1), dichiara lealmente che non sa spiegarsi questo fenomeno. Altri tentarono spiegazioni parziali, ed il dott. Colaianni ne attribuiva testé la causa alla miseria, cercando di provare che il benessere del contadino della Conca d'Oro è più apparente che reale, ed alla ignoranza (2). - D'accordo per ciò che riguarda l'ignoranza, in senso largo e sociologico, non lo sono relativamente alla agiatezza che ritengo reale per esperienza. Essa però viene sciupata, scialacquata, dall'amore al lusso, alle feste e, diciamolo pure, all'orgia, che inghiotte come una voràgine il profitto del lavoro. - Entrate in un Comune qualsiasi di montagna in un giorno di festa ed al vestito indovinerete súbito il contadino, il borgese, l'operaio ed il galantuomo. Frequentate invece, non dire certamente Palermo, ma uno dei Comuni circonvicini, e vedrete l'uniformità nel vestire. Tutti vi fanno sfoggio di abiti costosi, di cappelli, di stivalini eleganti e di guanti. Meglio ancora: il professionista, il funzionario scapitano al confronto del contadino. Questo, difatti, ha sempre la grossa catena d'oro all'orologio, un paio di grossi anelli alle dita, due o più abiti di lusso; le mogli, i figli, che in giorni feriali vestono male e lavorano assiduamente come il capo di famiglia, alla domenica si trasformano, rivaleggiano in abiti di seta e cappellini piumati con le signore della borghesia. - La casa del contadino, meno che per la posizione a pian terreno (e non tutti), per mobili eguaglia, se non supera quella del medico, del funzionario e spesso anche del proprietario e del commerciante. Come per gli abiti e le abitazioni, così pel vitto il contadino e l'operaio rivaleggiano con le classi superiori; in montagna in un Comune di oltre 15,000 abitanti, rarissimamente si consuma una vaccina e pochi o montoni;

(1) Ora però non più come prima, cioè in guisa diretta e brutale, e ciò in grazia dei grandi progressi che Palermo ha fatto in 25 anni, e della energia e consapevolezza delle locali autorità.

(2) La delinquenza della Sicilia e le sue cause.


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in marina, a parità di popolazione, si macellano due, tre e magari quattro bovini e non so quanti capi di bestiame inferiore. Io non invidio e non deploro questi agi, che vorrei anzi accessibili a tutti; ma constato che dietro ad essi vengono le case di prestanza, la miseria, il furto, la grassazione, il ricatto, la galera. E meno male se la mercede del lavoro non avesse altra uscita che la pulizia nel vestiré e la nutrizione igienica e sostanziosa. Sonvi le feste, veri baccanali in cui il sentimento religioso entra come il cavolo a merenda, poiché sono un'orgia di spese pazze in fuochi, musiche e... (1) che attirano la popolazione dei vicini paesi e molta di quella di Palermo e che ad imitazione del patronale di Santa Rosalia, durano sempre tre giorni. - Durante queste feste, che solo la penna di De-Amicis potrebbe descrivere, la gara dei contadini nel parere e non essere signori, raggiunge il parossismo, il comico e finisce nel tragico! - Carne, pesce, vino, dolci affluiscono con gli abiti e coi liquori nelle case dei contadini, che restano attaccati al vecchio costume più della grassa borghesia e della stessa aristocrazia. A proposito dei dolci, va notato che in Sicilia, ma più specialmente nel circondario di Palermo, con essi si potrebbe còmodamente fare il calendario, poiché ogni santo, ogni festa ha il suo dolce rituale, dai di capod'anno alla di carnevale, dalla di San Pietro alla dei morti e al biscotto di San Martino, che non debbono mancare in nessuna tavola di contadino ed operaio. - Né basta, ché al dopo pranzo le donne per una via e gli uomini per un'altra, a frotte finiscono di sciupare le ultime economie. All'indomani della festa, e qui viene il tragico, vesti eleganti, ori, mobili e qualche volta perfino il letto finiscono al Monte di Pietà, e ricomincia la vita stanca, monotona e dolorosa del lavoro.

Ecco perché il contadino del litorale é sempre povero e indebitato, ecco perché la maffia, mentre nell'interno dell'isola si circoscrive nella classe agricola e zolfifera, nella marina invece si attacca anche all'operaio.

(1) Desinari sfarzosi e nelle bettole.

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Altre cause importanti della delinquenza sul litorale, ne conveniamo, sono l'ignoranza ed altri fattori comuni alla montagna, ma la precipua e la più difficile a scalzarsi è del ricco signore, che, senza le antiche apparenze della braveria, ne ha tutto il contenuto e tutte le magagne. Ma di ciò a miglior luogo.

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III.

Fattori politico-amministrativi.

Il capitolo che imprendo è senza dubbio il più irto di difficoltà e di pericoli, poiché dovendo in esso occuparmi di mali recenti, di uomini e cose ancor viventi, mi trovo nel bivio o di dimezzare la verità, o di destare suscettibilità. Tengo quindi a dichiarare che mio compito è quello di esporre e constatare fatti e non di offendere alcuno, e del resto:

Il popolo siciliano, cioè la gran massa degli agricoltori e degli abitanti dell'interno dell'isola, non prese mai parte alle rivoluzioni politiche. E ciò era naturale, perché questa plebe, resa fatalista dai lungo servaggio, inebetita dai lungo diuturno lavoro, sempre infruttuoso, ignorante, scettica, difidente ed isolata dai resto del mondo, si era adattata all'ambiente sociale in cui viveva da secoli, inetta non solo a mutarlo, ma ben anco a concepire che potesse cambiarsi. Il tempo, i governi, il clero avevangli infiltrato nell'animo il convincimento incosciente che tale era il suo destino, e doveva solo saper grado al galantuomo, e più al convento che gli dava la minestra di legumi nei giorni rigidi dell'inverno. Le rivoluzioni furono quindi sempre fatte dalle città col concorso, tutto al più, dei vicini Comuni litoranei. Ha tuttora infatti un valore reale il detto: Se non si muove Palermo, non si muove nessuno. Il 1820, il 1848, il 1860 e lo stesso 1866 videro cominciare il movimento insurrezionale a Palermo. Avveniva che i promotori delle rivoluzioni dovevano necessariamente allearsi i più risoluti e violenti, cioè la maffia, poiché nella generale apatia, nella resistenza passiva dei più, non potevano fare a meno di quelle ciurme, o, come poi si dissero, squadre risolute ed avvezze al maneggio delle armi.

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Conseguenza di ciò era che le rivoluzioni duravano poco e venivano facilmente soffocate, perché i facinorosi, atteggiandosi a salvatori della patria ed a padroni, manomettevano tutto e si abbandonavano, come era loro abitudine, all'orgia, al furto, al sangue; cosicché, mentre i capi erano impotenti a disciplinarli, le maggioranze, disgustate ed i impaurite, reagivano, e la ristorazione trionfava facilmente e, mentre seppelliva nelle sue segrete i pochi patriotti che tardavano ad esalare, carezzava i peggiori facinorosi, creandone qualcuno capitano d'armi (1).

Ciò compresero i patriotti nel 1859, e senza sdegnare il concorso dei maffiosi, procurarono però di far partecipare alla rivoluzione il popolo tutto. Per riuscirvi non badarono tanto pel sottile ai mezzi: fecero intravvedere in un prossimo avvenire l'età dell'oro, la divisione delle terre comunali, la giustizia, la ricchezza...e poiché la tassa del macinato era la più esosa al popolo delle campagne, promisero che sarebbe stata tolta subito ed insieme con le altre. E riuscirono, poiché la rivoluzione del 1860 fu generale, potente per concorso di popolo. Ma necessità storiche e politiche dovevano raffreddare tanto entusiasmo, inaridire tante aspirazioni e creare disinganni e malintesi dolorosi!

E difatti, un popolo come il siciliano, uscente appena da un ambiente feudale, ignorante, non poteva comprendere che l'abbondanza, la felicitò, il benessere non potévano essere effetti immediati e visibili del patrio risorgimento. Come i semi-barbari e come i fanciulli, esso aspettava una trasformazione istantanea dell'ordine sociale, come in un racconto delle fate o delleL'abbondanza invece non venne, anzi le tasse crebbero e si aggravarono, e più tardi l'odiosa

polisa

(2) fu rimessa.

Da un altro canto e per le identiche ragioni esso non sapeva trar profitto dalle grandi risorse della libertà,

(1) Ciotti, Tommasi-Crudeli, Colaianni, ccc.

(2) Così il popolo chiama la tassa sul macinato.

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perché vi era impreparato storicamente, intellettualmente e moralmente (1). E difatti, se il nuovo ordinamento politico ed amministrativo si fondava sul concorso di tutti al Governo, solo pochi potevano avere in Sicilia i requisiti per accedervi, perché pochi erano i possidenti, pochissimi quelli che sapessero leggere e scrivere, ancora meno coloro che potevano rendersi ragione del nuovo meccanismo politico ed amministrativo. Per conseguenza, mentre le masse inette ed impotenti rimasero estranee alla cosa pubblica, i pochi abili ed abbienti presero in mano la somma delle cose, amministrarono nel loro esclusivo interesse e pesarono su quelle, non più per privata violenza, ma per legale rappresentanza. I più quindi videro permanere legalizzato il vecchio stato di cose, la miseria cioè per loro, l'onnipotenza pei loro antichi padroni e ne provarono un disinganno profondo, un malcontento, represso prima, aperto e generale poi.

Il Governo a sua volta, che nei suoi provvedimenti s'inspirava, com'era naturale, ai consigli di coloro che riteneva rappresentanti della volontà del paese, e che non riusciva a contentarlo (2), perdette la pazienza, e, rappresentato da funzionari settentrionali ignari delle nostre vere condizioni, e perfin del dialetto (único mezzo di porsi in diretta comunicazione cogli amministrati), ritenne ingovernabile il popolo che, invece di libertà autonome, null'altro chiedeva che di essere governato direttamente, paternamente. Creossi così un colossale malinteso tra Governo e governati, le cui distanze divennero enormi, ed il malcontento crebbe per altre cause che esporrò più sotto.

(1) Villari, Franchetti, Damiani.

(2) Né lo poteva, dopo essersi spogliato con l'ordinamento amministrativo liberale ed autonomo di quelle facoltà tutelari e di pubblico interesse, che lo avrebbero posto in grado di fare un governo paterno e di affezionargli la massa. - Vedasi in proposito il l'uriello, Governo e governati, ove questo punto è svolto stupendamente.

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Le spese sostenute per le guerre d'indipendenza e quelle che dovevano farsi per dare assetto alle nuove istituzioni ed ai pubblici servizi, l'addossarsi il debito pubblico dei cessati Principati, e molte altre passività aprirono, come è ben noto, quel baratro di guai che si chiamò il, il disavanzo finanziario, pel quale fuvvi un momento in cui tanti sacrifici e tanto sangue sparso per la libertà parvero inutili e la nuova Italia per poco non naufragò nel mare del fallimento. La finanza quindi s'impose come una ineluttabile necessità; le tasse furono escogitate con una vertiginosa prolificità, applicate con ferrea necessità, con un crudele fiscalismo. Non solo quelle preesistenti furono aumentate, ma molte ignote a noi furono introdotte ed esatte come (1). Il popolo pertanto, mentre vedevasi spogliato e tartassato da uno stuolo di agenti, ricevitori ed uscieri, non comprendeva che la libertà imponeva dei doveri, dovevasi pagar cara da principio, e che somme enormi occorrevano per i pubblici servizi, per le scuole, le strade, ecc., che a loro tempo sarebbero divenute, come lo sono oggi, sbocchi di nuova vita e di benessere.. Ora i tempi van mutando, e cessati in parte i rancori per molti, i Lanza, i Sella, gli Scialoia, un tempo odiati ministri di finanza, sorgono, ombre venerate e invitte, dalle loro tombe. Fortunata quella nazione che in tempi come quelli di cui parliamo, trova tra i suoi figli uomini di coraggio come costoro, sdegnosi di una popolarità che avrebbe costato tanto cara alla loro patria ed ai loro concittadini. Certo è però che allora questo modo di procedere non poteva non allenarsi l'affetto delle masse, mi sere, affannate, isolate... semi-barbare.

Un altro terribile disinganno doveva pesare sul popolo e non sulla borsa, ma sul cuore. In grazia dei nuovi principii di libertà fu tra noi introdotta la leva militare, a cui la Sicilia, per una delle solite arti della tirannide, non era mai stata abituata.

(1) Così allora si diceva, e molti, con poca carità di patria, lo ripetono anche oggi!

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Or mentre il ricco col cambio poteva sfuggire alla coscrizione, il povero vedeva strapparsi dalla casa il figlio a 20 anni, in quell'età in cui, oltre un essere caro, diveniva un capitale, (1). Ciò era orribile, mostruoso agli occhi del contadino, che, istigato dalla maffia, finiva per preferire il vederlo alla campagna, bandito, piuttosto che soldato, lontano: l'anto - dicevano - il Governo, dopo averci levato i pochi soldi, ci strappa i figli; è meglio che si facciano briganti, chécosi li vedremo ogni tanto. E pur troppo. molti giovani andarono ad ingrossare le fila del malandrinaggio! Qualche coraggioso patriotta si affannava a persuadere i contadini che la leva era un bene, che l'esercito avrebbe fatto dei figli ignoranti tanti cittadini intelligenti ed esperti, che sarebbero tornati con nuove idee, ecc. ecc.; ma la sua voce rimaneva coperta dalle maledizioni di tante madri, dalle sorde minaccie di tanti padri. Frattanto i pochi obbedienti tornavano dai servizio militare disabituati al rude lavoro della campagna, col sentimento di nuovi bisogni, che non potevano soddisfare, col fare di saputelli o di studenti in vacanza, avidi di riposo e di divertimenti, per cui nuovi anatemi contro il Governo, nuove maledizioni contro i corruttori uscivano dalle labbra frementi dei genitori popolani, ai quali la libertà, mentre non aveva apportato benefizi pronti ed evidenti, strappa va l'ultimo soldo, il figlio, e per soprammercato restituiva questo dopo tanti anni inabile al lavoro, anzi pieno di pretese e di albagie borghesi, che sciupava la sua giornata al caffè o dall'amorosa, con l'eterno sigaro in bocca!

Eppure chi potrà, negare che dopo 25 anni anche l'esercito ha dato un largo contributo al progresso ed alla civiltà del nostro popolo? A parlarne degnamente bisognerebbe far la storia di un quarto di secolo, rammentare tanti servizi, tanti sacrifizi compiuti con eroismo incosciente dai soldati qui in Sicilia, sia per la sicurezza sociale, sia nei casi di pubbliche e prívate calamita,; bisognerebbe poter calcolare esattamente

(1) Il popolino chiamava cosi il continente, di cui solo ora comincia ad avere una vaga idea.

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gli effetti sociali della caserma, dei contatti che i figli del continente hanno avuto con noi, della loro influenza nei costumi, nel linguaggio, nello scambio in breve di idee e sentimenti, che, pur ammesso non siano stati tutti bene, hanno prodotto fra gli altri due grandi risultati: 1° la coscienza popolare che il continente non è un, ma la migliore e la più gran parte della patria; 2° il soldato, già terrore delle nostre popolazioni, rappresentante armato della tirannide soverchiante, è ora ammesso con cordialità in tutte le case, trattato come un amico, come un compagno dei nostri figli. In questo senso è verissimo che l'esercito è stato la più grande e proficua scuola del carattere nazionale! Ma lasciamo queste simpatiche e consolanti regioni del sentimento e rientriamo nel passato, constatando che la leva lasciò anch'essa un coefficiente di malintesi e di malcontento nel nostro popolino.

Ed ora dirò di una delle più complesse cause di malumore che forse circola ancora nei nostri contadini, e che era invece destinata a mitigarne le secolari miserie. Accenno, come si vede, allo scioglimento delle corporazioni religiose. Queste in ¡Sicilia possedevano poco meno che un décimo della proprietà rurale, e pur ingrassandosi nell'ozio e peggio, facevano delle distribuzioni di minestre, specialmente negli anni di scarso raccolto. II nostro Governo, che sembrò nei primi anni destinato ad ottenére i più esiziali effetti dalle più grandi riforme, pensò di scalzare la manomorta e destinarla a creare un gran numero di piccoli possidenti. Lo scopo non poteva essere né più savio né più giusto, ma il tempo ed i mezzi adoperati per ràggiungerlo non furono né adatti né opportuni. Sospinto più dai bisogno finanziario che da quello sociale, censi e vendette in fretta e furia, cosicché alla fine si vide la manomorta ecclesiastica, cioè la bellezza di 230,000 ettari di terre fertili, cadere in mano ai proprietari; concorrere cioè ad accrescere quei latifondi che erano e sono il peggior male dell'isola. Né poteva avvenire altrimenti, attesoché la miseria e l'ignoranza erano l'unico capitale dei contadini che si volevano beneficare, anzi rialzare alla dignità di proprietari.

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Ma, ripetiamolo, la diffidenza, il malcontento, la povertà da un lato, la camorra e la maffia dei grossi proprietari dall'altro fecero si che i 9[10 delle terre allenate andarono ad accrescere il latifondo, ed il Governo non solo fallí allo scopo, ma raccolse nuovi odii e nuovo malcontento dai contadini cui vennero meno la minestra ed i legumi del convento.

Prima a sfruttare questo malcontento ed a soffiarvi dentro fu la maffia stessa. Abituata dalle passate rivoluzioni ed anche dalle ristorazioni ad esser tenuta in pregio, beneficata e temuta, provò un gran risentimento quando si vide scartata, messa alla porta. Licenziare le squadre, come fece Garibaldi pel consiglio dei migliori, equivalse a crear rancori e desideri di rivincita nei facinorosi; peggio ancora: essi videro succedere l'ordine alla sognata anarchia, sorgere polizia e tribunali non più intenti a perseguitare i sospetti di liberalismo, ma i ladri e i sanguinarii, cioè essi stessi, che un tempo erano la polizia e direi quasi il Governo. La maffia quindi odiò il nuovo ordine di cose, sfruttò ed accrebbe il malcontento popolare ed abusando dell'influenza che essa aveva sulle masse da cui usciva, lo rese più tenace ed irruento.

A questo lavoro di immoralità concorse per ignoranza e per interesse il clero. Esso, nell'interno dell'isola, quasi senza eccezione, è ignorante, fanatico, indolente, perfettamente estraneo al vòrtice degli awenimenti sociali e politici di quest'ultimo ventennio. è convinto e ripete che il Governo è usurpatore, scomunicato, protestante, e lo combatte, numeroso e tenace, con tutti i mezzi e con tutte le armi che la superstizione, il pergamo ed il confessionale gli offrono. Spesso anche oggi senti il prete ripetere in pubblico (di contadini, s'intende): Ma come possono far del bene e della giustizia governanti che non credono alle anime del purgatorio ed all'Immacolata? Ed il contadino lo crede, e sente crescere la propria diffidenza pei funzionari del Governo. II prete l'autorizza a mentire con essi, a non aver per loro che un apparente r¡guardo, ma ad odiarli in fondo.

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Maffia e clero, ecco i due grandi fattori di quella pagina dolorosa di storia che si chiamò il sette e mezzo (settembre 1866), che fu un vero e proprio moto brigantesco.

Ma le tasse ormai hanno fatto il loro corso e il popolo le paga senza i vecchi rancori; i nostri figli vanno volenterosi al servizio militare, e crediamo non esagerare dicendo che il soldato siciliano non è inferiore a quello delle altre regioni; il tempo, le nuove leggi diffondono i loro benefici effetti; i lavori pubblici aprono nuove vie al traffico, all'industria, e quindi alla prosperità. Se ci siam fermati su questi argomenti non fu certo per ridestare dolorose rimembranze ma per mostrare come essi influirono ed influiscano ancora in parte sull'animo delle masse, e fino a quando servirono di lievito a quel fermento pútrido che dicesi maffia.

Credo ora che Governo e cittadini, funzionari e pubblicisti debbano occuparsi con ogni loro possa a far argine alle altre cause di malcontento, poiché, o m'inganno, o mi accorgo che il senso giuridico-morale del nostro popolo invece che a rialzarsi tende ad abbassarsi sempre più, e che per esso le riforme politiche e le sempre crescenti libertò sono armi a doppio taglio, pericolosissime, che in un repentino muoversi delle passioni incomposte della plebe potrebbero portare il ferro; il fuoco e la strage nella nostra società. Oggi è di moda adulare, lisciare operai e contadini, parlare di uguaglianza e di quistione sociale senza occuparsi seriamente dei rimedi o cercandoli nell'allargamento del voto e nell'accrescimento delle autonomie, quando non si vada addirittura al suffragio universale. Io sentò invece che il campo delle riforme sia molto più modesto e vicino a noi, che sia tempo di far sosta con le grandi frasi fatte, e di raccoglierci invece per avvicinare il nostro popolo, studiarne le miserie materiali e morali e guarirle coi mezzi realite pratici; e questi non sono difficili né lontani, si riassumono in una parola: Amministrazione. A me manca l'autorità e la cultura sufficiente per sviluppare questo concetto, e del resto qui non sarebbe il luogo.

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Altri più competenti l'hanno già fatto, e per non citare che i migliori mi limiterò al Villari, al Carpi, al Turiello, al Marselli, al Manfrin, al Franchetti, ed in un campo più generale al Minghetti, all'Arcoleo, al Cardòn, al Fontana, all'Artom, al Mosca, al Pérsico, ecc. (1).

Accennerò pertanto e brevemente al male dei nostri piccoli Comuni, avvertendo che, siano essi nell'interno o sul litorale, esso esiste dovunque, con note più o meno tristi, con fisonomía più o meno spiccata, con tumori più o meno apparenti, salve le poche (troppo poche) eccezioni.

Dissi più sopra che tutta la popolazione agrícola abita nel paese e che i contratti agrarii e tutto l'insieme delle relazioni economiche e sociali dànno necessariamente il risultato di pochissime famiglie ricche, di poche agíate, e di una gran massa di poveri. Inimicizie ereditarie, desiderio di supremazia lòcale, bisogno di occupare in un modo qualsiasi i lunghi ozii, rendono inevitabile il formarsi delle clientele, o meglio queste, già esistenti sotto forma di braveria, si trasformano, adattandosi al nuovo ordine di cose, s'incarnano nelle società, agricole ed operaie, e si chiamano partiti amministrativi. In un Comune i capi-parte avversi furono in gioventü amjpi, compagni in imprese più o meno arrischiate; in un altro sono parenti anche, ma il desiderio di prepotere è più forte del sangue, Ogni capo ha naturalmente l'interesse di farsi una numerosa e variopinta clientela, dai sicario risoluto ed audace, al grande elettore, e per riuscire non risparmia denaro, favori, protezioni, assistenze di ogni specie. Esso non rifugge da alcun mezzo per difendere e tenersi fido il cliente, anche quando il costui passato non è interamente pulito. Lo si minaccia di ammonizione? Ed eccoti il signor B. in giro dai delegato al pretore, dalla sotto-prefettura alla procura del Re, dall'avvocato al deputato, facendo sforzi inauditi per dipingerlo onesto, vittima di calunnie partigiane.

(1) Vedasi la bibliografa in fine del volume.

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Se non riesce, scende anche più basso: assicura che delegato e pretore sono illusi, ignoranti, o peggio, venduti al partito contrario. I ricorsi anonimi, le corrispondenze ai giornaletti e perfino le lettere di minaccia fioccano, finché le autorità, stanche di questo bailamme, o fanno sospendere la denunzia, o son costrette a provocare il trasloco del funzionario, dilemma da cui è impossibile uscire. II cliente è imputato di qualche crimine? Il signor B. paga l'avvocato, procura testimoni a discolpa, quando non vi s'imbranca egli stesso, soccorre la famiglia e non si arresta da nessuna briga per procurargli l'impunità, o quanto meno la minor pena possibile. Lo stesso awiene per ottenergli il permesso d'armi, che in Sicilia è stato elevato alla dignità. di Ogni miserabile tiene ad averio a costo di qualunque sacrificio; si dichiara percié possidente quando non lo é, si indebita per pagarne la tassa. Se poi è chiamato a dar conto di sé, non cerca nel suo passato, nelle autorevoli testimonianze la sua discolpa, ma risponde invariabilmente: lo ho il permesso d'armi! con lo stesso tuono di convinzione con cui direbbe: lo sono un galantuomo. - Ma tre anni or sono foste imputato di questo fallo. - Signore, fu una calunnia di partito: se fossi un cattivo soggetto non avrei il permesso d'armi. - E dàgli col permesso d'armi!

Naturalmente questi favori costano un po' cari al signor B., e nasce quindi il bisogno di porsi in grado di farne altri meno onerosi per lui. Ne trova infatti una miniera inesauribile nell'ufficio comunale. Se di viene sindaco, o per maggior prudenza vi insedia un amico fedele a guisa di gerente responsabile, i suoi aderenti sono sicuri di ottenere quel che vogliono, mentre i contrari han da temere ogni specie di vessazioni. I primi hanno súbito certificati di buona condotta, sono il più lievemente possibile colpiti dalle tasse locali, ricevono un posto nel gran banchetto dei beni comunali, delle opere pie, degli appalti, ecc,; mentre pei secondi le cose procedono semplicemente al contrario. Si potrebbe credere che tra e siavi affetto, cordialità di relazioni. Niente di più falso.

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Quelli proteggono per necessità e per ispirito di supremazia, questi accettano per tornaconto, ed appena trovano di meglio nel campo opposto, dimenticano le proteste di smettono i vili ossequii di ieri e cambiano di protettore come di camicia.

Che cosa possa essere l'amministrazione ispirata a siffatti criterii è facile pensarlo. Mentre le spese utili vengono trasandate, quelle di lusso o a pro' di pochi si succedono ràpidamente. I servizi pubblici o non esistono che in apparenza e negli articoli del bilancio o sono affidati ad amici, senza criterii di scelta e di idoneità, d'onde un continuo alternarsi e rinnovarsi peggiorando di impieghi ed impiegati comunali, poiché ogni nuovo venuto fa del vecchio, e rimette tutto... a nuovo, secondo i suoi comodi.

Né l'autorità politica può seriamente infrenare questi disordini, perché, a parte che l'attuale legge riconosce e sanziona l'autonomia dei funzionari elettivi senza una corrispondente responsabilità, nessuno reclama, sapendosi che al disopra del sindaco vi è il consigliere provinciale e più in alto il deputato che, dovendo appoggiarsi ai grandi elettori, può far passare il quarto d'ora di Rabelais al funzionario un po' troppo zelante.

Il popolo intanto, che di diritto pubblico ne comprende quanto Renzo capiva del latino del dottor Azzeccagarbugli, e non vede che gli effetti materiali, si disaffeziona del Governo, continua a credere nell'onnipotenza delle protezioni e nell'impotenza del Governo si apparta e mormora che si stava meglio quando si stava peggio. In questo malumore soffiano gli oppositori sistematici ed interessati del Governo, che promettono mari e monti se divenissero essi Governo. Potrei moltiplicare gli esempi di questi mali, ma rimando il lettore alle opere cítate, e specialmente al Turiello, che ne ha fatto una lunga e coraggiosa rassegna.

I teorici poi, cioè la nostra classe politica, circoscritti al edal frasario dell'89, tenera della simmetria amministrativa e delle tradizioni dei nostri antichi Comuni,

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dogmatici van gridando: «Bisogna restringere ancora l'azione diretta del Governo, ci vuole liberto, autonomia, decentramento, ecc.», quasiché quelle esistenti non siano troppe e troppo abusate. Il popolo è già sazio di libertà ed ha solo sete di buon Governo. Ne sia prova, tra gli altri, il fatto che dovunque si parla con rispetto ed ammirazione dei delegati straordinari, che di tanto in tanto capitano in quei piccoli Comuni in cui la misura dei disordini trabocca. Sentite ivi ripetere: «Al tempo del Commissario regio la giustizia era per tutti, le strade, le scuole furono migliorate, i denari spesi bene: ci vorrebbe il sindaco di carriera, stipendiato, estraneo al paese, ecc.».

Ed invece si prepara quello elettivo!

So che non in tutti i piccoli Comuni il male è così acuto, e che nei grandi non si vede il grande sconcio di un eletto per influenze locali divenire di punto in bianco competente in tutto; ma so del parí che la grande maggioranza del popolo si lagna, si sente abbandonato dai Governo centrale, lo ritiene più abile che equo amministratore, lo vuole forte, energico, previdente nella giustizia e nell'amministrazione.

Fermiamoci quindi dai pendio delle riforme politiche, e occupiamoci di quelle spicciole, facili e pratiche nel campo amministrativo; se no è probabile che, al destarsi delle passioni plebee, foméntate dagli eterni tribuni e dai genii incompresi, dai mestatori d'ogni risma e colore, quelle irrompessero, distruggendo il già fatto e costringendoci a rifar tutto da capo, se pur sarà possibile.

Affrettiamoci mentre ne abbiamo ancora il tempo.


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IV.

I fattori fisici ed antropologici.

Gli studi positivi della delinquenza, così splendidamente sviluppati dai giovane ed illustre professore Enrico l'erri, condussero ad una doppia classificazione: quella dei fattori del reato e quella dei delinquenti (1). Seguace, anzi, neofita di questa scuola, ne ho seguito fin qui le norme direttive, applicandole appunto ai fattori della maffia. Mi resterebbe ora di studiare quelli inerenti alle persone (antropologici), e quelli relativi all'ambiente fisico, essendomi fin qui occupato di quelli sociali.

Quando per la prima volta il professore dell'Università di Siena espose le sue classificazioni, si levò una viva polemica scientifica, a cui presero parte il Turati, il Colaianni ed altri (2), che vollero, con argomenti più o meno validi, negare l'influenza delle due prime categorie di fattori, attribuendo la criminalità esclusivamente ed interamente all'ordinamento sociale. Rispose vigorosamente il Ferri colla bella monografia (3), ma di recente si è alquanto ravvivata la lotta, specialmente per la Sicilia, a proposito di alcune lettere del dottor Colaianni (4). Non è qui il caso di dar ragione al l'erri o al Colaianni, che in massima sono d'accordo nel daré ai fattori sociali la più grande influenza all'attività, criminosa, né io mi sento atto a dir l'ultima parola in proposito.

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Chi voglia farsene un'idea completa, non ha che a leggere le opere pubblicate in questa i fascicoli, e principalmente lo stupendo volume del Lombroso,, giunto, eccezionalmente in Italia, alla terza edizione.

Mi limiterò quindi a poche e generali osservazioni personali, fatte nella mia doppia qualità di maestro e di funzionario di polizia, e comincerò dalle cause fisiche, lasciando che più maturi studi e l'intrapreso riordinamento delle nostre statistiche giudiziarie facciano maggiore e più completa luce nel controverso argomento.

I fattori fisici, secondo il professore l'erri, sono principalmente: il clima, la natura del suolo e la sua viabilità, le stagioni, la temperatura annuale e le condizioni meteoriche, la produzione agricola ed altre minori. Quelli antropologici si riassumono in individuali e col le t ti vi. Alia prima sotto-classe fan capo le anomalie organiche del cranio, del cervello, dei visceri, la costituzione psichica e tutti i caratteri somatici in generale; alla seconda la razza, il sesso, l'età, lo stato civile, la classe sociale, l'educazione, ecc.

Il clima ha senza alcun dubbio una positiva influenza nelle abitudini umane, e perfino nella nutrizione. Ammesso anche quello che dice il l'arde, che cioè il delitto è un prodotto essenzialmente storico, in esso concorrerà, con una coefficienza non precisabile ma reale, il clima e le conseguenze abitudinarie che esso determina, come direbbe il Trezza Ma mi limiterò, come dissi, alla personale esperienza. è risaputo che nei paesi freddi predominano i caratteri tranquilli, riflessivi, e vediamo infatti che le scienze e le arti che richiedono pazienza e pertinacia vi hanno avuto la maggioranza e l'eccellenza dei cultori salve sempre le eccezioni.

Viaggiatori, archeologhi, naturalisti, filologi, ecc., matematici, incisori, industriali e simili ne danno una prova.

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La loro stessa pittura, la musica, la poesia stessa rivelano la calma, la cura minuziosa dei particolari, la riflessione, la premeditazione accurata, per così dire. Nel campo dell'attività criminosa vi predomina appunto il reato che richiede le stesse qualità, malgrado le oscillanti smentite della statistica, e perciò non la grassazione, la rapina, l'omicidio per impeto, ma tutte le figure di frode, l'avvelenamento e le altre offese personali indirette, premedítate. La donna tagliata a pezzi, il vetriolo furono importazioni criminòse del nord, esempio anche le tenebroso macchinazioni dei nihilisti. Nell'Italia meridionale avemmo scoppi eroici impulsivi di patriottismo, come Agesilao Milano, per limitarci a tempi recenti, Ugo Bassi, la spedizione di Sapri, Aspromonte e Mentana, ma non le stragi preparate di lunga mano a Mosca ed a Pietroburgo Abbiamo l'artista entusiasta, pieno di slancio, la lirica più che l'epopea, che tra noi non assunse mai la serietà del contenuto (1); il musicista sentimentale, da Cimarosa a Bellini ed a Petrella; il filosofo trascendente idealista, da Pitagora, che è un mito, al Campanella, al Bruno, al Vico stesso; il tribuno, il martire appassionato, il riformatore focoso, da Arnaldo a Savonarola, da Masaniello a Micca ed a Cappellini; quindi gli sdegni e le iré bollenti, irriflesse, violentissime, l'irrompere istantaneo delle passioni, il bisogno prepotente, imprevidente di soddisfare aspirazioni, bisogni, appetiti del cuore e del senso. - Scendiamo in un campo più pratico. Un diverbio, un tratto di scortesia, anche una vera offesa tra persone del nord darà luogo ad una spiegazione calma, corretta; ad una sfida regolare senza clamore e senza escandescenze: tra meridionali per contro la disputa più impersonale di principii scientifici e politici è sempre accompagnata da gesti espressivi, incomposti, e tra giovani finisce per lo più con scambio di ingiurie personali,

Berni, Baiardo,'Ariosto e perfino il Casti informino. -

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di invettive furibonde e non raramente in. - Rammento, per esempio, le recenti produzioni drammatiche sul divorzio, lail, il ed altre. A Napoli, e più ancora a Palermo, le scene in cui il marito tradito rimprovera con freddezza sarcastica, ma corretta, l'adultera ed il complice, la sfida cavalleresca, sería tra i due rivali, scene eminentemente drammatiche, passavano pei più in silenzio, che rivelava la sorpresa, il disinganno; ed uscendo dai teatro sentivi ripetere da gente ordinariamente pacifica: «Freddo scioglimento, cosa impossibile! io nei panni del marito avrei ucciso i due colpevoli: l'autore non ha la coscienza del mondo reale!». Che rivela ciò se non l'indole calda ed irruenta del meridionale?

Quello che ho detto del clima va in gran parte detto perla razza, non solo perché le varíe stirpi, come è dimostrato dagli etnologi, hanno scelto, fors'anco inconsciamente, i climi più adatti alla loro costituzione fisiologica, ma anche perché essi, in forza della legge di adattamento, si sono, come si dice, acclimatate, modificandosi lentamente.

La natura del suolo ha pur essa la sua influenza predisponente sulla criminalità. 11 latifondo, come fu detto, spopola la campagna e ne forma sicuro rifugio di malandrini: le grassazioni, i ricatti, il brigantaggio militante trovarono sempre un ambiente favorevole là dove mancano vie rotabili e ferrate. Difatti è più facile organizzare e perpetrare simili reati in luoghi incolti e spopolati, in vie accidentan e vicine a boscaglie, anziché lungo gli stradali frequentati, e, peggio ancora, in un treno scortato, più che dalla forza pubblica, dai telegrafo e dalla velocità. Nella provincia di Palermo, per es., un tempo centro del brigantaggio, la sicurezza delle campagne è ristabilita in gran parte, e più specialmente dove la vaporiera col suo soffio potente ha spazzato le vie un giorno battute dai grassatori. Con ciò non intendo menomamente sconoscere gli sforzi fatti dalle autorità locali per ristabilire l'ordine, ma rilevare che loro potente alleata fu la viabilità.

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Conosco paesi ove la grassazione infieriva. L'ultima di esse risale appunto alla vigilia dell'apertura d'una stazione ferroviaria.

Le stagioni e la produzione agraria danno esse pure incremento ad una piuttostoché ad altra specie di reati. Ho sempre osservato che i furti predominano nella stagione invernale o di scarso raccolto, mentre i reati di sangue e contro il buon costume crescono nelle annate abbondanti e in quei luoghi ove la produzione principale è il vino. Difatti, nelle zone montane a cultura estensiva, pochi pensano al permesso d'armi e l'uso del coltello vi è quasi sconosciuto come arma offensiva. A Partinico, Bagheria, Castelvetrano, San Giuseppe Jato e nella zona meridionale della provincia di Girgenti invece il contadino si ritira invariabilmente dalla campagna con la zappa sotto il braccio ed il fucile ad amacollo, ed il coltello fa mensilmente le sue vittime. - Chi scrive fu maestro per sei anni in un Comune agricolo ed elevato, e rammenta la noia, la disattenzione, l'esaurimento fisico ed intellettuale in cui cadevano i ragazzi nelle giornate sciroccose. Era quasi impossibile fermarne per poco l'attenzione e pericoloso lasciarli soli. Eran tosto liti, barufFe e batoste tra fanciulli ordinariamente calmi e tolleranti. Lo stesso fenomeno ha dovuto osservare, serbando le debite proporzioni, tra i grandi, nella sua qualità di ufficiale di P. S.

Occupiamoci ora dei fattori antropologici in senso generale o collettivo.

Difficile è riassumere in poche e generali qualità il carattere, l'indole siciliana, poiché, dai nobile di nascita al contadino, dall'abitante della grande città e della marina a quello di montagna, intercedono una serie di differenze importantissime. Diré soltanto che, meno una parte dei contadini di montagna, quella cioè più povera e più umile, la nota dominante del carattere siciliano è un esagerato sentimento di sé stesso, un egoismo sconfinato, un orgoglio, una pienezza individuale che ad ogni occorrenza si manifesta con una frase e con l'atteggiamento del

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Intendiamoci: quella nota spiccata del carattere siciliano non è un difetto, non è una virtù; ma, a seconda la classe sociale, l'educazione e 1'ambiente domestico, può andare all'eroismo, alle virtù più pure o scivolare all'omicidio impulsivo e premeditato. Del resto, anche il professore Turiello riscontrava come caratteristica degli Italiani in generale, dei meridionali in ispecie, uno spiccato individualismo, accompagnato da indisciplina e da mancanza di senso pratico del limite, che, secondo me, non sono che due note dipendenti, o meglio due conseguenze della principale.

Quest'alto sentimento, anzi questa soverchianza morale dell'io si manifesta e si espande ad ogni occasione, in tutto il contenuto morale dell'individuo. 11 siciliano ama potentemente l'isola sua, il palermitano adora la sua Palermo, ogni abitante del più piccolo Comune professa lo stesso grande amore per le quattro mura ove nacque e crebbe. Tutto ciò è bene; il male incomincia quando questo amore del natio loco trasmoda fino a farci credere e ritenere che il nostro sia il più bello, il più ricco, il più nobile, il più abbondante e civile paese del mondo. Questo sentimento diventa talvolta ridicolo; ce lo perdonino i nostri montanari, i quali credono che il più bel paese sia il loro, quantunque piccolo, senza vita pubblica, a più di mille metri sul livello del mare, povero e pettegolo. Parlate con un abitante di Bagheria, Misilmeri, Partinico, Monreale e giù giù; vi dirà, con una serietà e con un'aria di profonda convinzione che vi trascina a sorridere, che il suo paese non ha nulla da invidiare a Palermo. Qui sta l'esagerazione.

Gli affetti di famiglia sono intesi dai siciliano con una prepotenza egoistica, sempre apparente e traboccante. Egli non dice: «mio padre, mia madre», ma «il papà, la mamà»; quasi i genitori per eccellenza. Non si contenta di dare all'amata i soliti aggettivi «bella, simpatica, divina, ecc.», ma, nella foga del sentimento, esclama: «Tu sei mia, tutta mia,.

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Lo stesso va detto per tutti gli altri affetti, ove 170, il possessivo si affaccia sempre vivo e, come direbbe il Turiello. II siciliano, quasi senza volerlo, sente sé stesso in tutto ciò che lo riguarda, negli affetti come nella proprietà, nelle idee come nei sentimenti; e sotto questo punto di vista non è per nulla esagerato il motto: «orgoglioso come un siciliano», ché si dà sempre delle arie baronali.

Chi non conosce intimamente il siciliano, direbbe che egli per ostentazione, per calcolo; e s'ingannerebbe a partito. Egli in tutta buona fede si ritiene il più scaltro, il più intelligente, il più educato, il più ricco, il più virtuoso, il più dignitoso uomo del mondo (1). Niente desta la sua meraviglia, e vedesse anche la cosa più grande e bella del mondo, solo per compiacenza si farebbe scappare un:

A quali e quante esagerazioni conduca questo esuberante sentire di sé, è facile immaginarlo. Osservo però che esso è maggiore nell'interno e nei piccoli paesi; e minore nella classe colta di Palermo e dei grandi centri.

Questo sentimento rende il siciliano generoso fino allo scialacquo, ospitale fino al sagrificio, ingenuamente paradossale sino al comico. Rammento in proposito, molti aneddoti piccanti; ne racconterò uno solo, caratteristico. Nel 1865 veniva a P. Tonorevole Sella. P. è un paese di montagna, circondato da montagne e da latifondi, non ha nulla di bello all'interno, anzi è dirupato, irregolare, povero di fabbricato; era di settembre, e la campagna circostante formava una distesa infinita di térra secca, senza un filo d'erba, senza una foglia d'albero. L'onorevole Sella fu pregato dai maggiorenti del luogo di salire sulla più alta rocca del paese, con la promessa di fargli osservare uno stupendo paesaggio. Il grande alpinista si sottomise volontieri a questa fatica, ma, giunto sul luogo e non vedendo che il deserto, rimase sorpreso e taciturno, e frattanto quei signori lo assordavano con dei:

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«Bello, stupendo, meraviglioso, non è vero, Eccellenza?».

Ci volle tutta la fermezza e la cortesia del grande ministro per trattenersi da una clamorosa risata. Lungi da me la più lontana idea di voler offendere i miei compaesani, nei quali questo esagerato egoísmo proviene forse dal secolare isolamento in cui furono lasciati. Ho voluto constatarlo per rilevarne un lato pericolosissimo.

Questo è lo sdegno, l'odio, tenaci, violenti, insaziabili fino alla vendetta, nella quale appunto predomina. La giustizia collettiva e legale non soddisfa il siciliano, egli vuoi farsela da sé, e quindi solo per necessità ricorre a quella, senza sentirsene però solidale, perché la ritiene un ente a sé, distante, estraneo, e non rinunzia mai a prendersi all'infuori di essa una soddisfazione, una riparazione personale. Mi spiegherò con uno tra i tanti esempi.

Nel furto, per quanto ingente possa essere, il siciliano non bada al danno economico, non ammette che il ladro sia spinto da interesse, da lucro illecito; egli, il derubato, si sente oltraggiato nella sua dignità e scaltrezza, vede nel furto uno, unouna mancanza di riguardo. «Ah! dice a sé stesso, non mi temono, credono di poter fare afidanza con me, mi prendono per minchione!». Ecco la sua eterna preoccupazione! Epperò la condanna del reo, il recupero della non lo lasciano mai interamente soddisfatto. Viceversa, non è raro il caso in cui il ladro, scoperto dalla polizia privata degli amici del derubato, si presenta a lui avanti a testimoni, gli chiede scusa in un modo o nell'altro, si prosterna, e quegli perdona, gli la, e, se occorre, lo scagiona, lo difende avanti la polizia e la giustizia.

Passar per minchione! ecco la preoccupazione, la più grande sciagura che possa capitare ad un siciliano!

A questo bisogno di egli sagrifica ogni altro sentimento; in tutto mette uno studio continuo di parere da più che realmente non sia; e quindi sfoggio di forme e di parvenze, anche nelle feste religiose, che sono una gala,

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un'orgia di spese, di abiti, di parati, di fuochi, nei quali il sentimento religioso ci sta per un di più.

Con gradazioni più o meno spiccate questo soverchiante amore di sé è comune alle classi alte e medie, ai contadini del litorale ed a quelli di montagna, che hanno ancora coscienza di sé stessi. Io credo che il tempo e la civiltà, togliendo il lato negativo e pericoloso a questo sentimento, farà del popolo siciliano uno dei più forti, generosi e gagliardi fattori della grandezza nazionale, e per dimostrarlo accenneré ad un fatto recente. Per le feste del centenario dei Yespri il popolo di Palermo e quello multiforme dell'interno dell'isola, diedero un esempio splendido di armonía, di calma, di solidarietà morale; tutti si affaccendavano, si sagrificavano perché le feste riuscissero superiori all'aspettazione generale, come difatti riuscirono. Solenne e forse única fu la dimostrazione fatta al generale Garibaldi. più di 400,000 persone, che si accalcavano nelle piazze e nelle vie per vederlo, pregate dai sindaco di Palermo a fare un po' di silenzio, si tacquero completamente ed accompagnarono la carrozza del Generale per oltre tre chilometri, calme, mute ed ordinate, malgrado il tumulto degli affetti che trasparivano in tutti i visi. E il gran Capitano, con la magia sopravvivente della sua parola, diede loro un gran premio, con quella lettera, in cui disse: «Con un popolo come questo mi fiderei di conquistare il mondo!».

Ma guardiamo il rovescio della medaglia.

Se nelle classi alte e medie l'esagerato egoismo può in tempo più o meno breve spogliarsi del lato negativo ed antigiuridico per l'educazione, pel contatti e per tutto l'insieme di quelle leggi di progresso che sono inerenti ad un popolo governato a libertà, nella massa dei contadini esso, mentre assume forme più primitive, ereditarie, brutali, richiederà ancora molto tempo, forse parecchie generazioni, prima di avviarsi ad un sensibile miglioramento. Essi sono poverissimi, e dai 1860 poco o nulla hanno migliorato economicamente (1).

(1) Il Daraiani, il Franchetti, il Mosca ed altri dicono anzi che hanno peggiorato.

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Abbandonati a sé stessi, schivati anzi dalle altre classi sociali, il miglioramento non potrà venire dai contatti. In tutti i bisogni materiali e morali sono lasciati in balia della classe dirigente, che, per la legge ispirata a libertà, ed autonomia, per l'egoismo stesso, sfrutta esclusivamente per sé le risorse amministrative, e lungi dallo avvicinarsi agli inferiori per studiarne i difetti e i bisogni, se ne allontana sempre più, forma una oligarchia rigida, e non giungendo a vedere le vere cause del malcontento popolare, escogita nuovi rimedii dottrinarii, aumenta cioè quelle libertà che, inutili pel contadino, sono invece nuovi mezzi di predominio per essa.

Basti un esempio. 11 contadino non può fruire delle scuole elementari, poiché la miseria e la distanza dai luogo del lavoro rende necessario togliere a 6 anni il ragazzo dai paese per impiegarlo nei piccoli servizii campestri; ad otto anni poi trova sempre mezzo di non averlo più come una vera passività nel bilancio della famiglia, o facendogli pascolare una pecora, o impiegandolo pel, come garzone di pastori. è evidente che la scuola accessibile a lui sarebbe l'asilo infantile, dai 3 ai 6 anni; la scuola serale e festiva, dopo. Or bene: nessuno dei Comuni di Sicilia ha l'asilo, nessuno paga le scuole serali e festive, che sono lasciate all'iniziativa dei maestri diurni, con la speranza di qualche sussidio del Ministero. Invece ogni Comune ha la sua brava terza e quarta classe, frequentata da qualche dozzina di allievi appartenenti alla classe dirigente, e che da sola costa più dell'asilo; e molti anzi hanno la pretesa di voler la scuola tecnica o ginnasiale.

Ecco perché il popolo delle campagne non trae profitto né dalle scuole, né dagli istituti di beneficenza, né dagli incoraggiamenti ed aiuti che il Governo con attività e cure attentissime va profondendo; ecco perché quanti si sono occupati della Sicilia, sono venuti in questa desolante conclusione: «Il popolo siciliano, meno quello delle città, non è migliorato dopo 25 anni di libertà e cure amministrative, e ciò fa si che la maffia vi spadroneggi ancora, più o meno larvata e camuffata magari da Governo locale».

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Avviciniamo per poco questi contadini, e facciamoci guidare da un conoscitore competente ed insospettabile, l'on. Damiani (1):

«Il marito lontano (per la necessità di recarsi sul lavoro) perde di vista la famiglia; la povera moglie, sottoposta a dure prove e lasciata in balia di sé stessa, cede spesso al bisogno, cattivo consigliere, e diventa infedele; tanto più facilmente, per quanto più numerosa la figliuolanza lasciata a suo carico. La malsania e ristrettezza delle abitazioni; la mancanza di case rurali; la scarsa viabilità; l'influenza molto spesso malefica del prete, o ignorante, o corrotto, o corruttore: l'antica ignoranza dell'agricoltore, che spesso è di una brutalità inconcepibile pei tempi che corrono»; ecco tante cause che, rilassando i vincoli di famiglia, uccidono il senso morale.

«Qui si violano le fanciulle per la falsa credenza di vincere la sifilide; là gli incesti sono frequenti; altrove si vende la verginità delle figlie, come un oggetto qualsiasi, a chi può meglio pagarla; poiché il mantenere una concubina non è ritenuta cosa vergognosa, anzi naturalissima; tanto che gli stessi preti ne sono provvisti e non lo nascondono. La figliuolanza illegittima raggiunge proporzioni spaventevoli, gli stupri son rari per la facilità con cui le donne si abbandonano. E tutto ciò si compie spudoratamente, quasi opera di cretini, incoscienti di sé. Ed intanto superstizioni immense, fede superficiale, immagini di santi ad ogni svolto di via ed in ogni tugurio, e tutto il treno degli inconvenienti che sogliono accompagnare l'ignoranza spinta fino all'abbrutimento».

L'egoismo brutale, le vendette impulsivo istantanee, l'odio tenace, feroce, non sono rattenuti da alcuna considerazione di moralità, poiché questa è nulla, è sopraffatta completamente dalla barbarie ereditaria, atavistica. Le donne, specie nei paesi ove predomina il reato di sangue, sfogano il loro affetto sui proprii bimbi, baciandoli e sncchiandoli in viso, nel collo, nelle braccia nude ed in altre partì del corpo, fino a farli piangere convulsivamente, ed intanto van ripetendo:

(1) Relaz. cit., pag. 32 e seg.

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«Chi ssi duci, ti mangiu, ti rusicu tuttu» (1), e mostrano, cii facendo, di provare una grande voluttà. - Se un loro ragazzo fa una lieve mancanza, esse non ricorrono alle percosse semplici, ma in pubblica strada lo inseguono e lo mordono al viso, alle orecchie ed alle braccia fino a sangue. In quei momenti una donna anche bella si trasforma di fisonomia, divien rosso-paonazza, con occhi iniettati, con denti digrignanti e con tremiti convulsi, e solo l'accorrere di altre, che devono durare fatica per strapparle la vittima, mette fine a tali scene selvagge. - Tra uomini e donne la minaccia più comune si esprime cosí: (Ti voglio mangiare il cuore e bermi il tuo sangue). Si narra da testimoni oculari di aver visti omicidi in rissa leccarsi le mani calde del sangue della vittima; ed io stesso, accorrendo presso un morto, ho trovato la moglie e il fratello a baciargli le ferite sanguinolenti, a far vista di succhiarle, e, col muso sporco di sangue, gridare: «Così voglio bere il sangue del suo uccisore, ne ho sete ardentissima!».

Non è un ritorno atavistico alla barbarie, non sono vestigia di cannibalismo, queste? Non è vero che gente siffatta, come dice l'illustre Lombroso, sono barbari perduti nella moderna civiltà?

Come si incarna nelle relazioni sociali, nella vita pubblica questa indole varia nella sua complessa unità,?

«In generale non si osserva la parola data e si depone facilmente.

Il falso in giudizio. Le eccezioni sono rarissime. Qualche volta, per favorire un amico, tal altra per spirito di partito, non raramente per obbedire alla maffia, si dissimula con pertinacia ed imperturbabilmente il vero stato delle cose e con tanta solidarietà, da sviare la giustizia dalla retta via e da renderle impossibile di procedere contro i falsari. Ciò conduce spesso all'impunità di molti e gravi reati. -

(1) Come sei dolce, ti mangio, ti rosicchio tutto.

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Del principio di autorità non si ha un esatto concetto, confondendosi sovente l'autorità con la persona che la rappresenta, la giustizia con colui che l'amministra; d'onde la persuasione che la legge non sia fatta che pei ricchi, che nella lotta giudiziaria il povero debba soccombere», mentre l'altro riesce sempre onnipotente.

Ed ora raccogliamo le vele. Datemi un contenuto storico medioevale, una popolazione in massa egoista, pochi ricchi tradizionalmente prepotenti e burberi, schivi dei contatti con le classi basse - queste, poverissime, male educate, ignoranti, superstiziose, diffidenti verso il Governo e verso i ricchi, immorali e semi-barbare - un nucleo di violenti risoluti a farsi valere su tutti e su tutto e con tutti i mezzi (dalla semplice intimidazione all'omicidio ed all'assassinio), che, organizzato nella generale disorganizzazione, formi e dia bella e fatta l'opinione pubblica - soprapponete a tutto ciò un Governo liberale, che rispetti tutte le autonomie e che faccia sentire la sua azione quanto meno è possibile, e ditemi se la maffia non è un portato necessario, immancabile, naturale; se essa non si imporrà, ai buoni alti e bassi, perché disgregati, se non interessati per timore a subirla; e se non troverà, complici nella massa ignorante e povera, pronta a delinquere al luccichio di poche monete d'argento.

Accenneremo in corso della seconda parte a varii rimedii; qui li riassumeremo in due:

1° Amministrazione equa, pratica, morale e severamente controllata dai Governo centrale;

2° Polizia e giustizia forti, pronte, accessibili a tutti, autonome e responsabili; tali da imporre a tutti il convincimento che, al di sopra di tutto e di tutti, unica forte, unica arbitra è la legge!

PARTE SECONDA

I.

Maffia Omertà Manutengolismo.

Avrei voluto risparmiare al lettore una definizione della maffia, convinto come sono che un fenomeno sociale complesso come è appunto la maffia, mal si presta ad essere con precisione ed esattezza circoscritto in una definizione, e che più di questa vale a dame un'idea completa lo studio oggettivo delle sue manifestazioni. Ma poiché fra noi dura ancora il gusto ed il bisogno delle definizioni, riporteré quelle degli onorevoli Bonfadini e l'ranchetti che più e meglio delle altre si avvicinano al concetto complesso di questa piaga sociale.

«La maffia, scrive l'on. Bonfadini (1), non è una precisa società segreta, ma lo sviluppo ed il perfezionamento della prepotenza, diretta ad ogni scopo di male; è la solidarietà istintiva, brutale, interessata, che unisce a danno dello Stato, delle leggi e degli organismi regolari, tutti quegli individui e quegli strati sociali che amano trarre l'esistenza e gli agi, non già dai lavoro, ma dalla violenza, dall'inganno e dalla intimidazione».

Ed il Franchetti (2) «unione di persone d'ogni grado, d'ogniprofessione, d'ogni specie, che, senza avere nessun legame apparente, continuo e regolare, si trovano sempre riunite per promuovere il reciproco interesse, astrazione fatta da qualunque considerazione di legge,

(1) Reí. cit., pag. 114.

(2) Pag. 63.


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di giustizia e di ordine pubblico, è un sentimento medioevale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercé il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall'azione dell'autorità e delle leggi».

Queste due definizioni, come si vede, in quanto allo scopo differiscono sostanzialmente, e prese anche insieme non sono ancora sufficienti a dare un criterio completo del contenuto vasto, vario e proteiforme della maffia. Bisognerebbe aggiungere che essa non ha regole fisse, né gerarchia prestabilita, che ciò non pertanto s'insinua dappertutto, che è subita con pazienza generale anche dagli onesti che per le tradizionali violenze e vendette la ritengono ancora potente ed invincibile, che essa ha gradazioni varie dalla marina alla montagna, e che infine il suo scopo, oltre l'illecito lucro e il farsi giustizia da sé, è quello di imporsi al debole, di collegarsi per resistere al più forte, di guardarsi quindi dai Governo osteggiandone gli atti, non apertamente, ma con una specie di forza d'inerzia e col sotterfugio. Né ancora la definizione sarebbe completa, onde, come dissi, più utile lo studio oggettivo di essa.

Anzitutto, come si vede, nello scopo ha molti punti comuni con la camorra e con altre associazioni criminose, ma nella costituzione differisce essenzialmente, in quanto che non è organica, non ha statuti né capi o sottocapi fissi e costanti. è bensì vero che in dati luoghi e territori l'elemento maffioso si organizza in perfetti sodalizi criminosi, e di fatti si dice la (1) del tal paese o della tal famiglia; il tale è la di tal paese o contrada, ma anche senza questi parziali organismi la maffia esisterebbe lo stesso, poiché essa, come ben comprese il Franchetti, non indica la cosa o le persone che la compongono, ma un modo di essere, di sentire e di operare.

(1) Cosca vale foglia e cacocciula, carciofo. Un gruppo di maffia quindi viene assimilato ad un carciofo, di cui il capo piglia nome dai tutto, e gli aderenti dalle foglie.

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V'ha di più: quasi in ogni paese, a motivo delle clientele, vi sono due o più gruppi di maffia nemici tra di loro, che pur trovansi d'accordo nel mantenere il silenzio sulle imprese criminose anche dei nemici stessi, spinti in ciò dall'interesse comune di sottrarsi alla repressione legale.

Si è fatta la distinzione tra alta e bassa maffia, tra maffia in berretto e maffia in guanti gialli, ma essa ha un valore relativo, come tra protettore e protetto, patrono e cliente, mandante ed esecutore materiale, ciò che meglio si scorge dai seguente brano di lettera del compianto principe di Galati, uomo quant'altri mai conoscitore delle nostre condizioni storiche e sociali. «Strumenti e vittime dell'alta maffia, Leone Nobile e compagni, non esistono più. Domani vi saranno nuovi strumenti e nuove vittime. Scorrendo la storia di Sicilia, si è notato mai un brigante che non sia finito sulla forca o sotto le palle? Tutti, incominciando da Giangiorgio Lancia impiccato nel 1582, e terminando a Leone ucciso nel 1877, hanno avuto una triste fine. Non un solo ha potuto morire impunito. L'alta maffia è stata sempre risparmiata da tutti i Governi, incominciando da quello di Don Arrigo de Guzman, conte di Olivarez, e terminando a quello dell'on. Nicotera.... è vero che l'on. Nicotera fece ammonire parecchi baroni.

Ma lievi punizioni, castighi illusori! L'alta maffia è intatta. Essa ha gettato al potere gli strumenti delle campagne, ma ha preservato quelli della città» (1). Come si vede da questo brano traspirano la braveria antica, la clientela moderna. Questo del capo morale, per così dire, del patrono d'una cricca, d'una minoranza organizzata ai danni delle maggioranze disorganizzate, e quindi paurose, è il il semenzaio, il germe riproduttivo della maffia e delle sue croniche manifestazioni antigiuridiche.

(1) Riportato dai Turiello, Governo e Governati, vol. I, pag. 112.

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A questa condizione di cose difficilmente può sottrarsi il ricco, sia tale come discendente dagli antichi baroni, sia gabelloto vuoi per le inimicizie ereditarie, vuoi per solidarietà di antichi delitti, vuoi per ispirito di supremazia, vuoi per paura o per necessità di meglio guarentire la persona e gli averi affidandoli ad uomini abili e risoluti. Io non faccio un carico al ricco onesto che si rende ligio alla maffia, essendovi spesso costretto dall'ambiente che lo circonda. Le tradizioni glielo impongono sotto pena di vedersi abbandonato, manomesso, rovinato o anche sottratto violentemente. Ché se qualcuno volesse per intelligenza e coraggio (e son rari) spezzare questi legami, si vedrebbe tosto esposto al disprezzo, all'isolamento ed alle violenze del maffioso anche isolatamente preso. Parlate ad un proprietario confidenzialmente e resterete sorpresi nel sentirgli deplorare con accenti convinti di esser costretto a subire questi contatti, anzi questi patti imperiosi nella loro vile ed ossequiosa forma dai maffioso di bassa sfera; ma che ciò è necessario, poiché la legge non lo guarentisce sufficientemente, perché, tardiva, liberale prematuramente, va cercando solennità di forme, chiarezza di prove, ecc., mentre quello sommariamente e improvvisamente si impone col fuoco e col piombo. Una schioppettata è presto corsa, una uccisione in massa di animali, un incendio rovinoso di messi, una lettera di scrocco, un sequestro di persona, un assassinio sono avvenimenti troppo probabili perché un ricco signore possa dimenticarli a cuor leggero. - II gabelloto di feudi come quello di zolfare vi dicono: è necessario, indispensabile mostrarsi violenti, brutali anche nel linguaggio, passare forse per maffiosi, sotto pena di essere rovinati negli averi e peggio. - Avviene anzi che i parenti di una vittima tacciono, e son costretti ritenere l'uccisione di un congiunto come un male minore e passato, di fronte ai mali maggiori di cui potrebbe esser gràvido l'avvenire, se ricorressero alla giustizia. è ignoranza, egoísmo, viltà o malvolere?

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- Un po' di tutto a seconda i casi, ma principalmente convinzione che tra la legge e la maffia la più temibile non è la prima. - Presi singolarmente i siciliani vi sembreranno tante vittime, preso l'insieme vi sentite circondati, invasi dall'ambiente morboso che si chiama maffia. Ecco perché tutti in Sicilia propendono per l'arbitrio governativo, per un Governo energico, onnipotente, provvidente e, cosa notevole, vi dicono che la libertà è troppa perché ridonda a beneficio dei soli audaci e violenti; ecco perché dopo il 1877 il rigore e la risolutezza del Governo sbandarono il manutengolismo, sbaragliarono il brigantaggio militante e rialzarono il coraggio degli onesti e il prestigio della legge. Per molti ricchi quindi l'essere o atteggiarsi a maffiosi é, secondo essi, una necessità. Ma non ve n'è che lo sono per elezione propria, per gusto o per interesse? Oh! si, e non saprei dire se il maggior numero appartiene alla prima o alla seconda classe.

La stessa necessità o interesse s'impone al contadino. Difatti, finché si mantiene onesto e laborioso egli si vede angariato, vilipeso, impossibilitato ad emanciparsi economicamente, male o scarsamente nutrito, peggio alloggiato. Se invece compie un paio di ribalderie, spesso con la conseguente impunità (perché rarissimi sono i testimoni d'accusa, molti quelli a discolpa) lo sconosciuto di ieri acquista importanza, diventa un. 11 gabelloto che ha sempre uno stato maggiore, una guardia d'onore di maffiosi emeriti, e che aveva guardato sempre colui come un minchione, lo prende a stimare, un po' per paura un po' per servirsene, lo copre della sua influenza, e spesso del vile bracciante si fa un temuto campiere con stipendio fisso. è così che il neo-delinquente si vede di punto in bianco sollevato economicamente e moralmente - il delitto che fu per lui una rappresaglia o una necessità, diventa un merito, un'abitudine conveniente; gli stimoli ad esso si accrescono e il contatto con gli altri maffiosi farà il resto.

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Anche la classe operaia, fin qui la più moralmente sana, comincia a dare il suo contributo alla maffia, minimo forse, ma che accenna ad incremento, per l'accedere di essa alle lotte dei partiti locali che l'adulano, la incoraggiano e ne fomentano le ambizioni. Non sono rare le società operaie che nei loro statuti sanzionano apertamente questo principio: Sarà provveduto a spese del sodalizio l'avvocato e il mantenimento alla famiglia del socio che venisse imputato di qualche delitto - e quelle che non lo sanzionano apertamente, l'osservano tàcitamente. Io non so quanto vi sia da lodare in questo sentimento di solidarietà, ma rammento benissimo che questo è uno dei tanti articoli fedelmente osservati dalle associazioni dei malfattori fin qui scoperte.

Altra distinzione bisogna fare in fatto di maffia, a misura che dalla montagna si scende alla marina. Colà, la delinquenza è più primitiva, diretta, brutale come il brigantaggio, la grassazione, l'abigeato, il sequestro di persona, con un predominio spiccato dei reati contro la proprietà; in marina invece prevale il reato di sangue e la frode, indiretti, scaltriti, perfezionati per cosi dire. Della marina ci occuperemo a lungo nel capitolo sulle associazioni, e altrove anche della delinquenza della montagna; per ora ci basti aver distinto la maffia dirigente e proteggente, da quella militante ed operante, ed accennato ai modi di reclutamento.

Sorge così spontanea la domanda: Se la maffia non ha statuti ed organismo unico, come fanno i maffiosi a conoscersi?

Dissi altrove che il vero proprietario del latifondo abita in città, ed affitta questo al gabelloto. Da qui una prima fonte di relazioni tra le classi alte della campagna e quelle della marina. Lo scambio dei prodotti, il fatto che i gabelloti non hanno limiti fissi di territorio nei loro affitti, che si estendono da una in altra provincia, ed altri contatti fanno più numerose e continuò le conoscenze.

La posizione delle terre fa si che i prodotti non vengano contemporaneamente a maturità, che in marina anticipa sempre d'una quarantina di giorni.

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La mancanza di macchine agrarie rende necessario il lavoro di molti contadini. così all'epoca della mietitura numerose carovane di scendono alla marina, e più tardi ivanno in montagna.

Questi periodici riavvicinamenti servono di scambio potente di idee, amicizie e nemicizie e sistemi di delinquenza; il patrimonio morale e materiale della maffia si accresce, la mala pianta si ringagliardisce. V'è di più. Nei mesi d'inverno il gabelloto manda i suoi armenti in marina, da una provincia all'altra, per isvernare. E qui altri riavvicinamenti, altre conoscenze, altre solidarietà di maffia, altro incremento alla delinquenza.

Il mezzo più potente e più generale di riconoscersi sono poi i mercati di bestiame, o, come qui si dice, le

Si può affermare con sicurezza che da aprile a tutto ottobre vi è un vero calendario di fiere annuali, e non havvi borgese o gabelloto che si rispetti che ignori una data o un luogo in cui ricorre mercato di bestiame. - Immaginate una vasta pianura o due, tre colline coperte letteralmente di buoi, vacche, muli, cavalli, asini, pecore e capre di ogni qualità e valore, ed un brulichio di persone d'ogni ceto (meno gli operai) che non si vedono, ma s'indovinano dalle lunghe verghe,che, come torce aventò, s'innalzano e spiccano su quella massa compatta di uomini e di bestie... ed avrete un'idea di che cosa sia un mercato d'animali in Sicilia. Entrando in questo brulicame vi colpiscono tutti gli accenti delle quattro provincie di Palermo, Caltanissetta, Girgenti e Trapani; vedete con sorpresa parlarsi con confidenza come vecchie conoscenze persone di due lontanissimi paesi, farsi cortesie tra un compiere ed un ricco proprietario di diversa provincia, tra due bestiamari, l'uno di San Cataldo e l'altro di Gibellina; si direbbe di assistere a negozi tra vecchi amici. - è in queste fiere che la maffia di ogni gradazione si riconosce al fiuto, si rivede, mette in comune le gherminelle dei vari i paesi, raffina i suoi progetti e ne prepara l'esecuzione; in breve: queste fiere sono dei veri congressi interprovinciali della maffia, specialmente agricola.

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Havvi poi un tal quale gergo. Giova però osservare che qui non si tratta di quel gergo completo organico per così dire, ma di un linguaggio alquanto metaforico, ma che da un certo accento, dalla intonazione, dall'atteggiamento burbanzoso e rígido, dall'insieme della persona, rivela il maffioso a primo acchito. (stadera) è la sciabola che come la stadera appunto si appende dall'estremità più grossa: la (rosario) le catenelle o manette; di Cavour (occhiale) i pollici introdotti tra noi dopo il 1860, sotto il governo di Cavour o dei piemontesi; (leccasapone) il coltellaccio, per la somiglianza che ha con la paletta con cui i merciai prendono il sapone, tra noi poco solido;(scucitore) coltello,ecc. (1). è strano che in questi paesi caldi ed immaginosi, ove il linguaggio ordinario tanto mellifluo, iperbolico e figurato, quello dei maffiosi è breve, sobrio, reciso. Eccone certe frasi:(da, confusione) per dire: rispondi in modo confuso, contraddittorio. -, queste due parole hanno un significato vasto, vario e complesso e contengono quanto si potrebbe dire con una conversazione di parecchi minuti. - (lascialo andare), intendi con disprezzo: Caro mio, hai da fare con un imbecille, ci va della tua dignità a misurarti con lui, non val la pena di occuparsene e compromettersi. - (lascialo stare), in apparenza questa frase è identica a quella prima ricordata, eppure ha un significato affatto opposto, e si traduce: Costui merita una severa lezione, ma per ora non il caso, aspettiamo, e quando meno se lo aspetta lo raggiungeremo. - Concludendo si può dire che il gergo maffioso è poverissimo, variabile, inorgànico; ma ciò si spiega facilmente laddove si pensi che i siciliani con lo strizzar dell'occhio, col gesto, con l'espressione variabilissima della faccia e della voce si comprendono facilmente pur rovesciando il significato naturale delle parole.

Coloro che hanno studiato i maffiosi nei soli racconti e sui giornali credono di riconoscerli al vestire.

(1) Lu cullegiu, lu siminariu (collegio, seminario) le prigioni.

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La tradizione delle antiche (giacche di velluto) e delle (berretti dai grosso fiocco di seta) fece ritenere ai funzionari del continente che tutti coloro che ora vestono a quella guisa fossero pericolosi soggetti, e caddero in errori di una comicità qualche volta dolorosa per le conseguenze. Bisogna ripetere che la nota dominante del carattere dei maffiosi è la diffidenza e la dissimulazione, specialmente da quando si accorsero che il nuovo Governo non scherzava e li perseguitava davvero. Smisero quindi tosto quella foggia di vestire, che fu adottata dagli ingenui innocui che con essa credevano di darsi importanza, e che i veri maffiosi chiamano(buca capanne), volendo indicare che essi non son capaci che di fare un buco nelle frasche di cui son costruite le nostre capanne.

Il maffioso vero veste dimessamente, assume un linguaggio ed un atteggiamento di bonomia fratesca, ingenua, stupidamente attenta, soffre pazientemente l'ingiuria e gli schiaffi, ma alla sera... ti spara. Il invece finché si parla prende mosse tragiche, si gonfia come un tacchino, ma ad un gesto che accenni al calcio o allo schiaffo... scappa e dimentica. A questa categoria, che potrebbe chiamarsi la parodia della maffia, appartengono per lo più gli operai della montagna.

Questa dissimulazione si riscontra anche nel maffioso della classe alta. Un funzionario poco conoscitore crederà. che il gabelloto che non si vede mai in paese e per gli ufficii, calmo, taciturno, sia un maffioso; e che l'altro che parla sempre di libertà, di moralità, che avvicina spesso gli uffici raccomandando or l'uno e l'altro e mostrandosi anzi ligio alla polizia, cui qualche volta promette i suoi servigi e i suoi aiuti, sia un fior di galantuomo. Ebbene, se crede a queste apparenze prenderà, delle vere cantònate, poiché il primo è un onesto o un indifferente, l'altro è semplicemente il contrario. Ed ora occupiamoci delle manifestazioni, cominciando dalle indirette e che potrebbero dirsi sussidiarie: e (1).

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A dir vero parrebbe Che manifestazioni della maffia siano quelle che direttamente si compiono nel dominio del codice penale; che l'omertà non sia che un ausiliario indiretto di esse, e il manutengolismo un reato, in quanto che con la prima facilita il permanere e l'impunità del delitto vero e proprio. Riflettendo però che omertà e manutengolismo sono qualcosa di vago e di comune al tempo stesso a tutti i fattori e a tutte le manifestazioni della maffia, e non volendo incorrere in inutili ripetizioni, meglio occuparcene súbito. Essi poi hanno comune lo scopo, facilitare l'impunità, e potrebbero definirsi reciprocamente cosí: l'omertà il manutengolismo della parola, e questo l'omertà dei fatti.

Che cosa è essa, l'omertà?

Il Turrisi, il Ciotti, il Bondi, il Rudini, siciliani, il Villari, il Tommasi-Crudeli, il Sonnino, il Franchetti, continentali, il Torelli, il Calenda, il Taiani ed altri esimii funzionari politici e giudiziari sono d'accordo nel dire che essa suona, aver sangue nelle vene, da, uomo.

Il Ciotti così ne spiega l'origine: «Corrotto il Governo, corrotti i suoi agenti, corrotta la pubblica forza per lunghi secoli, a poco a poco la turpitudine nelle masse vestí le forme del dovere e della virtù, si trasfuse nella lingua, negli abiti della vita, ed ebbe il suo decàlogo. Per questo la giustizia, l'autorità si trovarono circondate da un generale mutismo, nel quale si riveri una virtù». Ed il Tommasi-Crudeli: «Cosi è avvenuto che adagio adagio sieno penetrati nei costumi di tutto un popolo i principii di un codice speciale che si dice dell'omertà, il quale stabilisce come primo dovere di un uomo quello di farsi giustizia colle proprie mani dei torti ricevuti, e nota d'infamia e addita alla pubblica esecrazione e alla pubblica vendetta chiunque ricorra alla giustizia o ne aiuti le ricerche e l'azione. Per cui anche il più onesto ira i popolani crede far opera virtuosa sottraendo alle ricerche della giustizia un assassino,

(1) Di esse pensavo di parlare alla fine del volume, ma riflettendo meglio ho creduto più opportuno di farlo ora. Ciò dico per spiegare qualche ripctizione dei capitoli seguenti già, scritti col primo proposito.

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o negandosi di testimoniare contro di lui, perché il codice dell'omertà dice che quando ci è il morto deve pensarsi al vivo, e che la testimonianza è cosa buona finché non noccia al prossimo».

Senza l'autorità e la competenza di questi benemeriti scrittori, mi permetto manifestare un dubbio sulla esattezza dell'etimologia dell'omertà. Stando alla pronunzia io credo chesignifichi umiltà. In ciò mi conforma il fatto che nel primo significato dovrebbe da formarsi e non. Né vale il dubbio che potrebbe far nascere la usata per, laddove si pensi che la pronunzia popolare abbonda della prima consonante sostituita nella lingua corretta alla seconda. così si dice e non (parlo), sebbene l'infinito del verbo sia invece di per n ecc. Non negò che il significato di omertà per essere uomo serio e risoluto non sia attendibile e fino ad un certo punto bello, ma ho le mié ragioni per non escludere l'altro di umiltà riferibile ai più verso i meno, cioè di obbedienza e rispetto a certe massime volute dai forti e dai potenti. Cosi ho sentito spesso ripetere da persone del popolo (che sono le più competenti in questo genere di lessicografia furbesca):(con la giustizia bisogna correre e servirla, ci vuole umiltà). (si ottiene di più con l'umiltà che con la prepotenza), e quest'ultima espressione toglie, mi pare, ogni dubbio.

É poi più probabile che la stessa parola abbia or l'uno or l'altro significato (cosa non nuova nei gerghi), a secondo che si riferisca ai facinorosi o al popolo. ciò spiegherebbe il diverso significato di quelle massime che, impropriamente dette decalogo e codice dell'omertà, sono il contenuto, il nocciolo del senso morale dei maffiosi.

Alcune di esse infatti sanciscono l'ubbidienza, il silenzio, il rispetto verso la maffia, altre sono dei "Veri motti di sfida alla giustizia ed all'autorità. Potrei riferirne molte, ma mi limiterò alle principali e più comuni (1).

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1.

A cu ti leva lu pañi levacci la vita.

2.

Cappeddn e mala passa dinni beni e stanni arrassu.

3.

Scupetta e magghieri non si imprestano.

4.

Si moru mi drivocu, si campa t'allampu.

5.

Vali cchiü n'amicu nchiazza ca cent'anzi nsacca.

6.

La farca e pri la poviru, la giustizia pri la físsa.

7.

Ca avi dinari e amicizia teni ncala la giustizia.

8.

Zoccunun ti apparteni né mali, né beni.

9.

Quannu cc'é lu mortu bisogna pin- sari a la viva.

10.

La tistimanianza é bona sinu a quan nu nun fa mali a la prossima.

11.

Ca mori si drivoca, ca campa si ma- rita.

12.

Carzari, malatii, e nicissita provanu la cor i di l'amici.

1.

A chi ti fa perdere il mezzo di vivere (qualsiasi) levagli la vita.

2.

Cappello (per galantaomo e funzionario)e mali passi, dinne bene ma stanne lontano.

3.

Fucile e moglie non si prestano noti il fucile messo prima della moglie).

4.

Se muoio saró sepolto, se sopravvivo ti acciderò.

5.

Val piü un amico influente che cento onze (L. 1275) in tasca.

6.

La forca é pel povero, la giustizia pei minchioni.

7.

Chi ha denari ed amicizia tiene in culo la giustizia (2).

8.

Di ció che non t'appartiene non dir né mal, né bene.

9.

Qaando c'é un morto, bisogna pen sare ad aiutare il vivo.

10.

La testimonianza é buona finché non fa male al prossimo (3).

11.

Chi muore va sepolto, chi vive prende moglie.

12.

Carcere, malattie e disgrazie provano il cuore degli amici.

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A che moltiplicare queste infami massime? Rileviamone invece il poco riposto significato, per far meglio spiccare il doppio contenuto da noi attribuito all'omertà.

Le prime sette si riferiscono evidentemente ai maffiosi e comandano la violenza: - Se qualcuno ti toglie il mezzo di lucrare, qualunque esso sia, uccidilo, e per poterlo fare tieni cara e vicina l'arma più della stessa moglie. - Dei galantuomini (compresi i funzionari) giova dirne bene, ma stame lontani come dai precipizii. - Si noti qui il sentimento d'odio verso i ricchi che molti hanno voluto negare. - Se si rimane offesi o anche feriti non bisogna mai ricorrere alla giustizia, giova anzi ingannarla; se si muore si va in sepoltura e i parenti penseranno a vendicar l'offesa, se si guarisce si uccide l'avversario,, si ammazza subito come il lampo. - Né si deve aver timore della giustizia, poiché è uno spauracchio da minchioni (fissa), ma chi ha un amico influente in piazza (si noti l'allusione alle clientele) è più che ricco; e se ha denari ed amicizia, tanto meglio e niente paura, perché se ne impipa della giustizia, la tiene in c...!

Le cinque rimanenti per contro impongono il silenzio agli onesti.

La giustizia deve eludersi ed illudersi per aiutare il maffioso, sia rimanendo neutrali tra quella e questo (ciò che non ti appartiene non far né dir male o bene), sia con la reticenza (la testimonianza non deve offendere il prossimo), sia col prendere addirittura le difese dell'imputato, poiché il morto è morto e bisogna pensare al vivo (chi muore va sepolto, chi vive prende moglie). Del resto l'esser colpito dalla giustizia è una disgrazia come le malattie, e allora si provano i veri amici.

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- Come si vede questa è la quindicesima opera di misericordia, dimenticata dalla Santa Chiesa, e migliore delle altre quattordici, perché è tanto corporale quanto spirituale.

Ora è il caso di esaminare quanti osservino questi strani comandamenti per istinto, interesse o convinzione e quanti per paura, o meglio quanti siano i seguaci della prima specie e quanti quelli della seconda. Guardando sommariamente le immense difficoltà, che si parano dinanzi alla polizia ed alla giustizia, e i loro frequenti insuccessi, parrebbe che tutta la Sicilia fosse un covo di malfattori cointeressati e fortemente organizzati; ma se ricorriamo alla statistica questa ci dice che, almeno ora, il numero e la gravità dei delitti di poco supera quelli di molte altre regioni italiano (1). Da ciò emerge chiaramente che la classe delinquente non è più estesa che altrove, e che l'insuccesso dell'autorità va cercato nella reticenza, nell'apatia, nella neutralità paurosa delle popolazioni.

Vediamo un po' all'opera i maffiosi e i paurosi, esaminiamo l'esplicarsi dell'omertà nei primi e nei secondi.

I facinorosi, i delinquenti, e i loro congiunti ed amici correligionari, essendo quelli che debbono la loro potenza ed impunità al predominio, all'osservanza di questo modo di sentire, sono naturalmente i primi a rispettarlo, per dar l'esempio agli altri, anche contro il loro momentaneo interesse. I maffiosi non accusano il loro carnefice, mostrano anzi di difenderlo, di sottrarlo alla repressione legale per riserbarsi la vendetta privata. I manutengoli per mestiere, i complici, le persone tutte, che vivono con modi più o meno collimanti con le sanzioni del codice penale, hanno anch'essi interesse a che l'impero di queste regole non venisse scosso, e in tempi forse non lontani ne curavano e sorvegliavano l'osservanza da parte dei giurati e dei testimoni nelle aule stesse dei nostri tribunali e delle nostre Corti d'Assisie.

(1) Vedansi le statistiche giudiziarie degli ultimi anni, specialmente dai 1882 a questa parte, ove si indovina la mano maestra del comm. Bodio che ringrazio vivamente per avermele favorite, come ringrazio il prof. Lucchini per la sua geniale rivista dei discorsi di apertura degli anni giuridici.


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Diffatti sino a pochi anni fa non sfuggivano ai pratici le manovre, le arti tortuose e subdole con cui i maffiosi cercavano di salvare dalla meritata pena i loro correligionari, che malgrado ogni loro sforzo erano caduti in potere della giustizia. Il lavorio cominciava nel periodo istruttorio, buttando, come suoi dirsi, bastoni attraverso le gambe dei giudici perché non arrivassero allo scopo. False testimoniare, anonimi, controversioni di fatto, cosidetti fogli di lumi, articoli di giornali, tutto si metteva in giuoco pur di demolire l'accusa o quanto meno renderla incompleta, equivoca, debole in fatto di prova specifica. E se malgrado ciò la magistratura teneva duro e rinviava alle Assisie, cominciava una nuova e ricca serie dievoluzioni e raggiri che finivano solo col verdetto dei giurati.... non sempre conforme a giustizia. Si cominciava col procurarsi i nomi dei giurati, cercando quali erano da rifiutare, quali da accettare. Per questi ultimi si sfruttavano conoscenze ed amicizie per influenzarne la coscienza, insinuando che l'imputato era innocente, un povero diavolo carico di famiglia, ridotto alla miseria dai carcere preventivo, insomma vittima di tenebroso macchinazioni di nemici, ma per contro aveva molti e potenti amici che lo avrebbero e al caso anche. Se il giudicabile era un proprietario, un pezzo grosso in maffia, oltre agli argomenti ordinarii, gli ne facevano campeggiare due, come due ritornelli: í¡ vittima di gare di partito perché il più ricco e il più rispettato in paese, ma ha una vera falange di amici vicini e lontani per salvarlo. Ya da sé che chi non credeva facilmente alla quistione del partito, si lasciava convincere dai secondo argomento, che sotto il nome di amici faceva intravvedere rappresaglie e vendette tutt'altro che lontane. E su questo punto la maffia aveva dato i suoi esempi terribili perché qualcuno si attentasse a resistere. Si sapeva di testimoni e di giurati uccisi all'indomani di un verdetto affermativo in pieno giorno, magari in città.

S'indovina facilmente infine che il denaro non veniva risparmiato né coi giurati, né coi testimoni compiacenti.

E con questi auspicii cominciavano i dibattimenti.

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Prima ancora che l'aula si aprisse, dell'accusato gironzolavano pei corridoi a gruppi, tutti sorrisi e strette di mano pei giurati e i testimoni, lanciando occhiate torve a quelli - Finalmente, andavano ripetendo, il gran giorno è venuto, e vedremo come finirà pel nostro povero amico, oh! - e sottolineavano quest'ultima parola con un tuono di voce nel quale era difficile indovinare se essa esprimeva una speranza o una minaccia. Durante i dibattimenti poi formavano una approvando o disapprovando con cenni significativi del capo, con parole susurrate ai vicini a voce piuttosto alta. II risultato spesso giustificare le degli amici: le reticenze si ammucchiavano, il testimonio che nel processo scritto aveva attenuava la sua dichiarazione scritta, o la disdiceva addirittura; in ogni caso faceva degli sforzi inutili per, si mostrava perplesso, confuso pentito di aver detto a quel modo - dopo quella prima dichiarazione aveva inteso cose che modificavano il suo convincimento. E gli amici a ripetere: Vedete? questo infame era nemico del povero accusato, a quattr'occhi col giudice istruttore lo calunnie, ma ora in pubblico la sua si ridesta, e sente rimorso del mal fatto, pezzo d'infamone! ovvero: questo schifoso è pagato dai nostri nemici.

Gli amici più fidi e risoluti sfilavano poi a discolpa, e abbastanza scaltri per non compromettere sé stessi o l'imputato non ne facevano un completo panegirico; uno diceva di aver sentito dire che quello era incapace di commettere il reato che gli si addebitava; un altro che era invidiato da rivali in ricchezza e potenza; un terzo faceva delle insinuazioni maligne sui testimoni del carico; un quarto rammentava benissimo che il aveva altri nemici, e che l'accusato fu visto poco prima o poco dopo del reato in luogo molto lontano da quello che fu teatro del truce avvenimento; e così pezzo per pezzo si smontava l'accusa e si costruiva la difesa, il resto lo faceva l'abile avvocato.

Quali armi ha la legge per combatiere vittoriosamente tanti nemici della giustizia? La ormai vana e labile formalità del giuramentò? Le sanzioni penali contro i falsi testimoni?

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Ma queste non esistono pel periodo istruttorio, ed in pubblico si trova sempre il mezzo termine, la frase ambigua ed elastica che rasenti e scivoli attraverso gli articoli del Codice penale, senza impigliarvisi.

Ora in questo stato di cose, che per avventura permane ancora, è gran meraviglia, è gran colpa se molti assistendo a questi spettacoli si convincano che a mentire avanti i tribunali non c'é poi gran pericolo, mentre con l'offendere la maffia si rischia la pelle? Per quanto si possa amare la verità e la giustizia, per quanto si possa essere coraggiosi, la certezza d'una vendetta, o anche la sola probabilità di essa rende titubanti e reticenti anche ji migliori, tanto più che con delle frasi indeterminate ed ambigue è facile sfuggire alla legge, serbandone in apparenza il prestigio, mentre in realtà è quello della maffia che resta inconcusso e temuto.

Da tutti si può pretendere quella somma di sentimenti morali che formino, per così diré, la media sociale della moralità, ma non la virtü del sacrificio, che non ò un dovere di tutti,ma una virtü di pochi e d'immenso valore là dove appunto quella tal media è molto bassa!

Si dirà: ma allora "bisogna concludere o che i tristi siano molti, o che i buoni sono un branco di vigliacchi! E pure la verità non è in questi estremi. II male vero viene da ciò che i maffiosi nell'interesse di conservar se stessi e le loro criminòse industrie sentono impulsivamente un vigoroso vincolo di solidarietà, sono fortemente organizzati a difesa comune e non rifuggono da alcun mezzo illecito per affermar la loro potenza; mentre la maggioranza, i buoni non hanno eguale necessità di organizzarsi, ognuno fa come meglio può e sa i fatti proprii, e lascia che altri s'incarichi di formare ed imporre la cosidetta opinione pubblica.

Nasce e si perpetua perciò il sentimento che la maffia sia più forte della legge. E difatti i più tra noi non chiedono libertà e guarentigie, ma governo energico e magari arbitrario, come molti hanno osservato. Difatti quando nel 1877 il Governo si mostrò tale, l'omertà ed il manutengolismo

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caddero in gran ribasso, la giuria si mostrò rigorosa ed il brigantaggio militante fu battuto e vinto.

Quello che ho fin qui detto sull'omertà si attaglia quasi perfettamente al manutengolismo. Pochi sono i manutengoli per calcolo e per interesse e rientrano tutti nella classe maffiosa, come vedremo più avanti. I più poi lo sono per necessità, per paura, malvolentieri. II proprietario, il gabelloto che deve attraversare vasti territori spopolati, che ha tutti i suoi capitali investiti negli armenti e nei seminati sa pur troppo che, rifiutando ospitalità e soccorsi ai malandrini, corre pericolo di sequestro, di vita; sa che una uccisione in massa del suo bestiame, o un incendio delle sue messi non sono che facilissime imprese dei maffiosi. Fra la miseria, la rovina e la morte, sceglie il male minore, si rende manutengolo avanti alla legge, paga il suo tributo alla maffia ed aspetta apaticamente, dai di fuori, da altri, tempi men feroci e più tranquilli.

Un gran progresso si è fatto negli ultimi dieci anni, e tutto accenna al suo incremento. Ma sotto forme più o meno indirette e dissimulate il male esiste ancora e pervade la società siciliana. II rimedio quindi è sempre lo stesso: affermare la superiorità, l'onnipotenza della legge, scuotere l'ereditario convincimento che la maffia sia più forte di lei! «Un popolo, scrive lo Stuart-Mill, uomo non certamente tenero di dispotismo, un popolo che è più disposto a nascondere un delinquente che ad arrestarlo; un popolo che si farà spergiuro per salvar l'uomo che l'ha rubato, piuttosto che di darsi il fastidio di deporre contro di lui, ed attirarsi con ciò una vendetta; un popolo che ha l'abitudine di passare dall'altro lato della strada quando vede un uomo assassinarne un altro sulla pubblica via, ritenendo essere còmpito della polizia occuparsene, e poco sicuro l'immischiarsi di ciò che non lo riguarda; un popolo finalmente che s'indegua per una esecuzione, ma che non sente ribrezzo per un assassinio; questo popolo ha bisogno di autorità repressive, meglio armate che in qualunque altro luogo, imperocché le prime e le più indispensabili condizioni di vita civile non hanno altre garanzie!».

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II.

Brigantaggio.

É stato detto, e nessuno ormai lo mette in dubbio, che la delinquenza, essendo un fenomeno sociale, per quanto patologico, segue anch'essa la legge che governa l'evoluzione della società. Accennai nella prima parte di questi studi come siffatta legge si riscontra nella criminalità della Sicilia, rilevandone le diverse manifestazioni, a secondo che dalla montagna si scende alla marina.

La popolazione montagnose ha uno sviluppo intellettuale e morale inferiore a quella di marina, ambiente fisico più disadatto ai rapidi movimenti, contatti meno frequenti tra le varie classi sociali, e per conseguenza vi predomina il reato diretto, brutale, impulsivo; le relazioni tra malfattori sono occasionali e s'interrompono spesso.

In marina invece lo sviluppo intellettuale è più inoltrato, i ravvicinamenti, i contatti sociali più facili e continui; e il delitto, non meno funesto per le sue conseguenze, mostra però maggiore tecnicismo, più costanza di caratteri, e rivela già i forti legami tra grandi e piccoli delinquenti.

In montagna abbiamo il brigantaggio, dalla montagna alla marina l'abigeato, in marina l'associazione dei malfattori. Ogni clima storico, ogni stadio sociale ha i suoi prodotti utili speciali, e, per parallelismo sociologico, le sue speciali manifestazioni antigiuridiche.

Nello studio quindi della criminalità siciliana seguirò questa gradazione, perché meglio vengano posti in evidenza i rimedi opportuni, sotto il doppio punto di vista della prevenzione e della repressione.

A dír vero il brigantaggio militante è vinto e forse per sempre; ma il suo vivaio non è peranco inaridito e potrebbe in date occasioni dar nuovo rigoglio alla mala pianta.

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Il brigante è un uomo fuori legge, che si pone brutalmente, apertamente contro la società; esso lotta più o meno lungamente con gli organi della giustizia, ma presto o tardi vi rimane impigliato, vinto. più forte e compatto è l'organo della polizia, e più presto il brigantaggio viene distrutto; difatti, mentre le prime bande armate avevano la durata di 10 e più anni, dai 1877 in poi esse hanno avuto una vita breve, effimera.

Intorno al brigantaggio se ne sono dette e scritte di ogni specie, gli si volle dare una missione politica, se ne volle fare un vendicatore del povero e dell'oppresso, fu circonfuso di un'aureola leggendaria di generosità e di coraggio. L'immaginazione popolare fervida ed impressionabile, come quella dei popoli primitivi, e l'interesse dei manutengoli hanno creato la leggenda del brigantaggio come quella di Garibaldi. 11 popolino ha sete del vago, dell'indeterminato e del meraviglioso, ma l'uomo di studio ha il dovere di guardare prosaicamente le cose e di porle al loro giusto posto.

Il brigante siciliano non ha compreso mai la politica, per lui un Governo debole vale quanto una rivoluzione; tutta la sua politica si riassume in una frase: aver libertà ed impunità di delinquere.

Esso viene per lo più dalla classe agricola e ne rispecchia l'ignoranza crassa, feroce, il carattere brutale, superstizioso, diffidente e vile al tempo stesso. Sarà stato spinto al primo delitto dalla miseria, dall'abbrutimento, da tutti i fattori insomma che determinano la delinquenza, ma principalmente dalla sua costituzione fisica e psichica. Malfattore volgarissimo, inetto alla lotta feconda del lavoro, imprevidente, fiacco e sensuale, cede alla prima tentazione, si lascia travolgere dalla corrente e si vede costretto a battere la campagna finché pué:

Se potesse farsi uno studio individuale di ogni famoso brigante siciliano, secondo i dettami della psichiatria e della antropologa criminale, la teoria del delinquente nato ed abituale forse diverrebbe meno controversa e combattuta.

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Ma sciaguratamente ciò è quasi impossibile, e siam costretti a contentarci di qualche biografa. A suo tempo forse ne raccoglierò alquante; per ora basti accennare all'ultimo e più famoso, Antonino Leone.

Come molti altri egli al 1860 corse con le squadre in cerca di avventure, ma non certamente per amor di libertà. più tardi fu soldato nell'esercito regolare e subì varie punizioni disciplinari.

Tornato al suo paese senz'arte, né parte, e più che mai schivo del lavoro di campagna, fu preso a ben volere dai suo che ne fece un trafficante.

Andava egli da Ventimiglia (suo paese) a Palermo a comprare tessuti per conto del padrino, ed abusando della costui fiducia si faceva dare dai negoziante più roba che quegli non richiedesse, appropriandosela. L'appetito viene mangiando; quindi le truffe presero proporzioni tali che l'ingenuo padrino dovette accorgersi del giuochetto. Lo sdegno e il danno economico resero pericoloso costui, ed il anche istigato da qualche nemico personale di quello, se ne liberò con una schioppettata.

Da qui la latitanza, la conoscenza di altri briganti e le tradizioni di Valvo e Lo Cicero finirono di. Fu gregario di Rocca e Rinaldi e dopo la morte di costoro eredità il comando.

Amico e compagno del temuto Di Pasquale, non tardò a divenirne rivale, perché in lui, nel Leone, l'istinto alla truffa, alla frode era superiore a qualunque altro. Non avendo quindi riguardo per certi luoghi e per date persone, la cui incolumità interessava al Di Pasquale, cominciarono le rappresaglie tra le due bande: l'una rubava, ricattava nei domini dell'altra; finché l'astuzia del Leone, già ferito dai Di Pasquale, gli diede il sopravvento, ed il temuto rivale fu ucciso (1).

(1) Alcuni bene informati e conoscitori assicurano che Leone non avrebbe avuto il coraggio di affrontare il feroce Di Pasquale. Credono che altri più potenti se ne disfecero e il Leone se ne attribui il merito relativo per tornaconto e per salvare i veri autori. II caso non sarebbe né unico, né raro nella storia della maffia.

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Solo padrone del campo, innalzato nell'opinione delle plebi da quest'ultimo delitto, il Leone non ebbe più ritegno, terrorizzò le campagne ed i borghi del circondario di Termini. tutte le sue imprese brigantesche rivelano il suo istinto fraudolento; le sue lettere di scrocco sono sempre rispettose, untuose, piene di devozioneparrebbe ch'egli fosse stato costretto a scriverle da una forza maggiore; uccise quasi sempre e brutalmente le persone ricattate... dopo aver loro strappato il prezzo del riscatto; mancò di riguardo e di parola ai suoi più fidi manutengoli... truffò tutti e a sua volta fu truffato. Morì da vile qual visse, lasciò la famiglia nella miseria e ricchi i suoi manutengoli. Ebbene, attorno al suo nome la leggenda plebea prese proporzioni epiche. Egli fu il vendicatore degli oppressi! - Niente affatto; fu audace, brutale, feroce coi deboli; rispettoso, doppio, diffidente col forte. Egli sfuggi sempre la forza pubblica, anche quando il numero e la posizione gli davano speranza di vittoria; egli ingannò sempre i suoi gregari, buttandone qualcuno là dove temeva un agguato per se e non dicendo mai dove prendesse le sue vacanze dopo un affare clamoroso; egli tradì, derubandoli, gli stessi suoi protettori, dall'ingenuo padrino all'ultima delle sue vittime, ricattata e bàrbaramente uccisa col servo che aveva portato il prezzo del riscatto. Egli fu generoso coi poveri? Sfido io! che potea togliere loro? - nulla - è forse generosità questa? Qual povero, qual contadino ebbe da lui favori, all'infuori dei malandrini e dei manutengoli? Ma se la stessa sua famiglia vive a spese della carità pubblica?

Che resta dunque della leggenda? Niente, eccetto che superstizione, brutalità, ferocia, dissimulazione e vigliaccheria. Ed il Leone, giova ripeterlo, ò il brigante attorno a cui la fantasía popolare si riscaldò di più, attribuendogli fatti e gesta degne di un paladino della tavola rotonda.

Quello che ho detto del Leone si attaglia perfettamente agli altri e meglio ancora ai semplici gregari.

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Essi non ebbero nemmeno la nota cinicamente ispirata di Troppmann, né le allucinazioni vanitose di Lacenaire, né la maschera política di certi capibriganti calabresi.

Più tetragono, perché meno apparente del brigantaggio, si mostra l'ausiliario di esso, o meglio quella classe di malfattori che lo creano, e lo sfruttano. Essi sono quelli che si convenne di chiamare II malandrino vive in apparenza onestamente, esercita un mestiere, si mostra di regolare condotta e gode il pieno possesso dei suoi diritti civili e politici. Ma è esso in realtà l'organizzatore, il direttore delle marachelle dei briganti; esso li protegge ed aiuta materialmente e moralmente, esso ne sfrutta il bottino; quando poi è scoperto (ciò che di rado avviene), e tutto gli fa intravvedere una condanna, si dà alla campagna, diventa brigante alla sua volta.

11 malandrinaggio dei paesi e dei feudi è per conseguenza il vero fattore del brigantaggio. In ogni paese dell'isola si parla a mezza voce di certe fortune improvvise: il tale che era un semplice contadino, un miserabile campiere, un modesto borgese, in pochi anni ha messo su casa, possiede un capitale rispettabile, si è elevato alla dignità di gabelloto. Come? In confidenza vi diranno che era il manutengolo ed il socio del tal brigante, colui che gli proponeva i furti, le grassazioni, i ricatti, aiutandolo indirettamente e talvolta anche direttamente.

Il malandrino, come dissi, vive apparentemente in modo regolare, ma è realmente il malfattore più pericoloso perché sconosciuto, nascosto; fomenta il brigantaggio, ricetta il bandito e il prodotto della sua» industria criminosa, di cui si fa sempre la parte migliore, e qualche volta finisce per tradire la banda che viene sbaragliata e distrutta, mentre egli resta unico e tranquillo possessore del ricco bòttino.

Né è a credere che i malandrini vengano tutti dall'infima classe sociale. Tra essi non manca l'agiato gabelloto che si serve della ora per aver superiorità incontestata nel suo paese,

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ora per aumentare le sue ricchezze, ora per far eseguire le sue vendette, spesso per poter liberamente girare in campagna senza timore o pericolo di aggressione..

Il malandrino delle classi medie e basse è anch'esso un malfattore comune, più o meno pericoloso ed invincibile finché riesce a dissimulare la sua qualità, ma non certamente tanto quanto il ricco gabelloto. Costui sfugge più facilmente e quasi sempre all'azione preventiva e repressiva della giustizia. Sfugge alla prima perché, capo di una clientela, governi lui il paese, o sia in minoranza, sarà impossibile colpirlo, perché muoverà le sue grandi influenze politiche, si atteggierà a persona onesta, calunniata dai partiti locali, porrà in giuoco l'opinione pubblica, le ricchezze, i mezzi tutti di cui dispone per sfuggire alla debole e titubante azione delle autorità locali di Pubblica Sicurezza. Sfugge alla repressione anche quando la polizia è convinta della sua colpevolezza, perché, se si tratta di reati contro le persone, egli non li commette da sé, ma per mandato dato espressamente o indovinato dai briganti e 'malandrini a lui devoti; se, invece, di reati contro la proprietà, i suoi feudi, le sue relazioni in un vasto ed accidentato territorio, le sue influenze ed amicizie renderanno sempre infruttuose, sterili le indagini della polizia.

E poi questa si trova necessariamente nella perplessità e nell'indecisione, perché, dato pure, ciò che è difficile, che il manutengolismo del ricco gabelloto sia provato chiaramente, esso verrà attribuito alla servitù del feudo, ovvero vi si dirà: «Ma posso io rifiutarmi di alloggiare e far cortesia ad una banda di briganti, i quali presto o tardi potrebbero massacrarmi? E le mie vaste proprietà non sono alla mercé loro? Quali guarentigie mi dà il Governo perché io possa e debba mostrarmi sprezzante verso i briganti? Tra i due mali, io sono costretto a scegliere il minore, passar per manutengolo per non essere ucciso o rovinato finanziariamente».

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Ora a me sembra che il punto debole degli organismi repressivi stia appunto in ciò, che è difficile, direi quasi impossibile, stabilire una linea netta di demarcazione tra il manutengolismo volontario, doloso e quello involontario, per timore. La paura delle vendette dei briganti è sentita qui da tutti, irresistibilmente, perché l'eco delle vendette pronte, sanguinoso, feroci, terribili è pur troppo viva, e, giurato o gabelloto, proprietario o miserabile, un uomo non può pensarvi con indifferenza. Accennammo a questo fenomeno psicologico parlando dell'omertà, e qui ci piace riassumere quanto ne scrive il Franchetti, con quella intuizione lucida, pronta e comprensiva che gli è tutta propria:

«La mente si affatica lungamente invano intorno a questo problema. Se i proprietari ricevono cortesemente i briganti, li albergano, li rivestono, li armano, non è certo per carità cristiana. Non è per uno spirito di rassegnazione e di umiltà poco verosimile; lo dimostrano gli odi ed i rancori implacabili coi quali i signori ingannano i lunghi ozi della loro vita neghittosa nei paesi dell'interno. Non è perché i Siciliani non sappiano, al bisogno, unirsi per un dato fine; lo prova la stretta unione fra i membri di ciascuno dei partiti, che in tanti Comuni si contendono il primato di generazione in generazione; lo prova la stessa solidarietà dei malfattori fra loro. D'altra parte i mezzi materiali di difesa non mancano. I proprietari hanno modo di assoldare gente risoluta in loro difesa. Qual è dunque la ragione della loro mancanza d'unione, della loro impotenza, della loro docilità di fronte alla potente organizzazione del malandrinaggio?

«Veramente a veder sottomettersi con tanta facilità tutta una classe di persone, cui basterebbe agire d'accordo per tre giorni per far sparire il brigantaggio, la prima impressione è che questa rassegnazione non sia altro che complicità. Ma anche appoggiandosi sopra questa ipotesi, la mente cerca invano un criterio che la guidi nel giudizio dei fatti. La complicità apparente è universale. Ma in Sicilia l'apparenza di complicità non ha significato.

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Chi troverà il mezzo di distinguere quella, che viene imposta dai terrore, da quella, spontanea e lucrosa? Taluni proprietari, per aver rifiutato ospitalità o informazioni ai briganti, hanno avuto il bestiame distrutto, le piantagioni e le case bruciate, sono stati ricattati, assassinati. Ma nel tempo stesso altri si sono arricchiti col manutengolismo, col tener mano ai ricatti, dando informazioni ai briganti, magari prestando il luogo dove rinchiudere il ricattato. Taluni devono una fortuna considerevole all'industria del ricoverare nel loro fondo il bestiame rubato, per curarne poi la vendita o l'esportazione» (op. cit., pag. 51). «Ma d'altra parte pubblicamente noto che taluni grandi proprietari sono costretti, loro malgrado, a lasciar ricoverare nel loro fondo il bestiame rubato dai briganti. Dovrà considerarsi come indizio di manutengolismo se un proprietario sta tranquillamente in campagna colla famiglia, gira senza scorta dappertutto e non è molestato? Nemmen questo: conviene talvolta ai briganti di non farsi nemico un signore ricco e potente, e rispettarlo, senza esigere da lui altro che il silenzio sui loro movimenti e lo stretto necessario per i loro bisogni. Questo non si può considerare e non si considera come manutengolismo, e non v'é proprietario che non sia in questo modo in contatto continuo coi briganti, e che non lo dica apertamente anche alle autorità. E in taluni casi di manutengolismo vero e proprio a fine di lucro, chi il colpevole, il proprietario od i suoi fattori ed impiegati? II proprietario è spesso il primo ad essere vittima del manutengolismo del suo fattore. Questo ha interesse a tenere il padrone lontano dai suoi fondi colla paura. Molto più ciò che ha apparenza di manutengolismo del proprietario, può essere atto di brigantaggio vero e proprio commesso dai fattori. Le firme dei briganti nelle lettere di scrocco non sono autentícate da notaro. Chi garantisce se sono vere od imitate? Quando i proprietari, invitati a rendersi presso l'autorità pubblica per affari correnti, non rispondono all'invito per timore d'esser sospettati di aver denunziato un malfattore, è probabilmente il solo terrore che li trattiene.

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Ma chi può dire se il loro silenzio riceve o no il suo compenso all'occasione? Si potrà dire almeno che non è manutengolo il proprietario il quale da parecchi anni non osa uscire dai paese per paura dei briganti, oche vien da essi ricattato od anche ucciso? Nemmeno» (pag. 53).

«Ma il proprietario che non voglia avere i fondi ed il bestiame in balia del primo ladruncolo venuto deve avere alcuni fra i suoi che si facciano rispettare, e il modo più facile per farsi rispettare in buona parte di Sicilia è l'essere in fama di aver commesso qualche omicidio. Ma il modo di non aver nemica una banda di briganti o qualche altra potente associazione di malfattori dei dintorni l'avere al proprio servizio una persona che sia in relazione con loro, che possa trattare con loro, per riavere, contro competente compenso, il bestiame che hanno rubato al padrone. II loro salario, a quanto dicesi, è talvolta fuor di proporzione col loro ufficio; è la tassa che il proprietario paga alla banda o all'associazione, ed una specie di premio d'assicurazione o di riscatto contro l'abigeato. E chi può dire se quel campiere non è stato da essa imposto al proprietario? I proprietari dichiarano essi stessi apertamente di essere obbligati a tenere ira i loro impiegati dei facinorosi» (pag. 55).

«La mente si affatica invano a cercare i criteri che in una tale condizione di società distinguono il bene dai male, l'innocenza dai delitto. Chi è del tutto innocente, chi ò del tutto colpevole? Un atto per il quale, in paesi che sono in condizioni diverse, non si esiterebbe a mandare un uomo in galera, qui è ammesso e non si può punire.

«Se un brigante temuto, già stato campiere, rispetta i beni del suo antico padrone, mosso da un sentimento di deferenza, naturale sopratutto in Sicilia, non si potrà certamente imputare a delitto al proprietario se si lascia rispettare, se approfitta della libertà di girare sicuro gratuitamente le campagne. Ma se questa amicizia gli procura il rispetto altrui, che colpa ne ha esso?


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Potrassi nemmeno rimproverargli se tollera, senza trarne guadagno, che quel brigante ricoveri nei suoi fondi il bestiame rubato? Opponendosi, non otterrebbe nulla e se ne farebbe un nemico. E se pure in fondo quel proprietario provasse un sentimento di gratitudine per quel brigante che potrebbe nuocergli senza pericolo, anzi con suo guadagno, e non lo fa, un tale sentimento, nelle circostanze in cui si trova la Sicilia, non solo sarebbe naturale, ma anche segno di un'anima ben nata. Chi può dire il punto dove i proprietari finiscono di favorire il malfattore per timore della sua inimicizia e principiano a farlo nella speranza di trar vantaggio dall'amicizia sua? Nessuno, e nemmeno i proprietari stessi. Una volta ottenuta la loro sicurezza con questa preziosa amicizia, 6 naturale che, presentandosi l'occasione di valersene e compensarsi per tal modo delle gravi spese che è loro costata, ne approfittino. Trovano la forza bella e pronta a loro disposizione, come potrebbero non usarne? Molto più che, giova ripeterlo, l'usarne in Sicilia non è ritenuto disonorante» (pag. 229).

«Colui che volesse giudicare il manutengolismo siciliano ed apprezzarne la moralità od immoralità coi criterii ammessi nell'Europa centrale, generalmente considerati come in istato normale, si ingolferebbe in una confusione inestricabile di equivoci, dove la sua mente si perderebbe inevitabilmente, e finirebbe o coll'abbandonare la questione come insolubile, o col portare un giudizio parziale ed avventato. In Sicilia, la distinzione fra il manutengolismo moralmente scusabile perché imposto dai timore di un danno grave, e quello moralmente condannabile perché provocato dai desiderio di avvantaggiarsene, non ha significato. Tenga in mente il lettore che si tratta qni di un paese dove il criterio del diritto è la forza, dove, per circostanze speciali, una classe di malfattori è venuta in possesso di una forza considerevole, e dove in conseguenza le azioni dei malfattori non sono considerate come delitti dai senso giuridico dell'universale,

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come già cercammo di dimostrarlo, e come lo prova specialmente il già descritto sentimento ispirato dai facinorosi alle popolazioni. Le condizioni di fatto che hanno prodotto nei Siciliani questo modo di il diritto, sussistono ancora, e per tal modo uno dei principali mezzi di promuovere od anche di tutelare i proprii interessi materiali e morali (parliamo qui di una porzione della Sicilia) è la forza, cioè i malfattori. Da ciò risulta che negli animi dei cittadini non è legato il concetto d'immoralità coll'atto di valersi di quelli. Manifestamente, in una siffatta condizione degli animi e delle cose l'usare i malfattori piuttosto per difendere che per avvantaggiare i proprii interessi potrà dipendere da una infinità di cause secondarie, come il carattere più o meno intraprendente d'una persona o da circostanze indipendenti dalla volontà umana, o dalle occasioni. Ben più, l'essere amici o nemici dei malfattori potrà dipendere da una questione avuta con loro per caso, da un malinteso, da un calcolo di tornaconto più o meno falso, ma non da una diversità di concetto sul valore morale della violenza in generale e degli atti dei malfattori in particolare. Tutte le specie di relazioni coi malfattori sono moralmente lecite in modo uguale. Insomma, le condizioni di fatto della Sicilia non permettono l'esistenza di un criterio per distinguere il manutengolismo lecito, perché forzato» (pag. 225).

Altro ausiliario interessato e utilissimo al brigantaggio è il basso manutengolismo. Caprai, pastori, contadini, campieri, in campagna ed in paese, con le loro relazioni di famiglia si fanno un dovere (per tornaconto o per necessità) di tenere informati i briganti di tutte le mosse della polizia. Una pattuglia esce in direzione di un feudo, ove probabilmente si annida un manipolo di briganti. Ora, a parte che le condizioni topografiche del terreno (quasi nudo d'alberi, accidentato, scarso di case rurali, e di una tinta uniforme) mettono in grado il brigante di scorgere a gran distanza la forza pubblica in uniforme, come le sue vittime, e di nascondersi a tempo dietro un'ondulazione del terreno, una vera rete di telegrafi semaforici circonda la forza.

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Una schioppettata, un fischio convenzionale, un fuoco di bivacco fatto da un vecchio e miserabile pastore, che, più che diffidenza, desta pietà, mette in sull'avviso i ricercati, i quali o fuggono, o si nascondono dietro qualche accidentalità del terreno. è questa infima classe di manutengoli che, pratica, pronta, fedelissima ed infrenabile, fa il servizio di polizia e di posta della banda. Essi non portano indosso lettere, ma riferiscono a voce; non portano gli abiti e le armi destinati ai travestimenti ed alle imprese della banda, ma li passano da una all'altra mano, li nascondono in qualche luogo recondito, sconosciuto alla polizia, ben noto ai briganti, che, avvisati, trovano tosto modo di averli in loro potere.

Che ci può fare la polizia direttamente? Nulla; sospetta, indovina, ma rimane sempre impotente. Osservo però che questi manutengoli d'infima specie sono la forza e nel tempo stesso la debolezza del brigantaggio. Il brigante se li tiene ligi con dei regalucci, con delle piccole generosità, e spesso soltanto col non molestarli nella loro misera proprietà. La polizia, o non li scopre, o, scoperti, li ammonisce, li arresta e se li rende nemici. Eppure sarebbe facile farseli dalla sua, per poco che li pagasse meglio che non faccia il brigante.. è cosa facile il capire che in costoro punto d'onore, lealtà, senso morale, carattere sono parole vuote di senso, appartenenti ad una lingua sconosciuta. Essi son mossi da due molle: la paura ed il denaro. Guarentiti col segreto, e pagati, diverrebbero la rovina, i bracchi del brigantaggio. Ma di ciò meglio più tardi.

Diamo intanto uno sguardo alla di questo pseudo-organismo che è la. Essa forma il nucleo, lo stato maggiore, il centro dell'esercito dei delinquenti. Ha una costituzione fissa, una gerarchia preordinata, una disciplina rigida ed infrangibile nell'interesse collettivo. II semplice gregario, è vero, può fare dei furti alla spicciolata per conto proprio, purché non li nasconda al capo e glie ne chieda il, pel caso che le sue marachelle non offendano gli amici della banda, o non la espongano a dei pericoli.

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Eppure talvolta i gregari riuscirono ad ingannare il capo, ed allora, se scoperto a tempo, l'infido veniva, i maggiorenti si riunivano e gli facevano la. Triste parodia dei tribunali! In una capanna o dentro una grotta il capo-banda si assideva un gregario faceva da accusatore, un altro da difensore, alcuni da testimoni ed altri da giurati. Quasi sempre questi terribili ed inappellabili dibattimenti finivano con una condanna a morte, eseguita lì per lì,

Alla banda, nelle imprese importanti e che richiedevano molto personale, si univano i malandrini o amici delle contrade ove essa scorrazzava, talvolta dovendo operarsi in diversi luoghi contemporaneamente si riunivano due bande coi rispettivi alleati e manutengoli. Quando il colpo era fatto, si scioglievano, ciascuno prendeva le sue vacanze, rientrava nel proprio paese o in quello del più fido manutengolo, spesso dell'amorosa, giacché ogni brigante, anche ammogliato, aveva sempre una o più ganze, che, ben pagate e temute dalle comari, erano le più affezionate e fedeli sorgenti di informazioni per lui. Anche all'inverno, cioè quando la solitudine della campagna ed i rigori del clima rendevano inoperosa la banda, questa si scioglieva temporaneamente, prendeva, per cosi dire, i suoi quartieri d'inverno Una parola d'ordine, un cenno del capo trasmesso dalla posta rapida e misteriosa dei manutengoli bastava a riunirli in un giorno ed in un luogo dato, ove, attorno ad una tavola splendidamente imbandita si facevano i per l'avvenire.

Il capo-banda godeva di un'autorità indiscussa su tutti i gregari. I titoli, i mezzi, con cui aveva conquistato il suo posto non erano certamente la superiorità intellettuale e morale, ma, come tra i barbari, la forza fisica, la brutalità, la ferocia. Per taluno inoltre bastava che fosse il solo a saper leggere e scrivere, per un altro l'aver un ricco protettore o la più numerosa falange di manutengoli perché diventasse. Fuvvi anche il caso che questo invidiato posto fosse trasmesso per eredità, per predilezione del vecchio capo ucciso od arrestato.

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Investito del comando, primo pensiero del nuovo capo era quello di imporre a tutti il convincimento che egli solo era l'autorità invincibile nelle contrade che batteva la banda, e che esso non ammetteva né ribelli, né rivali, né altro potere. S'indovinano i modi con cui questa convinzione veniva affermata ed imposta.

Con piccoli beneficii, con promesse di impunità, ed, occorrendo, con qualche severo esempio, il capo si faceva un vero esercito di manutengoli sicuri e fedeli, a cui affidava, con rigoroso controllo, i del suo dominio, principalmente la contro-polizia, la posta ed il telegrafo. Oltre la plebe dei manutengoli, gli occorrevano un paio di protettori altolocati, che nelle loro masserie offrissero asilo, aiuti, soccorsi, armi per la banda e nascondigli per gli animali ed altri oggetti delle sue. Due o più ricchi gabelloti facevano al caso, accettavano per amore o per forza questa pericolosa alleanza, pagavano senza fare osservazioni, talvolta con forme obbliganti e semi-cavalleresehe i tributi che, sotto forma di viveri ed armi, la banda chiedeva loro, e per compenso essi rimanevano al sicuro degli altri malfattori, potevano, senza timore di ingrato sorprese, andare e venire dalla campagna, e se qualche profano audace si attentava a manometterne la proprietà, una vendetta pronta e terribile lo toglieva di mezzo e levava ad altri la tentazione di ripetere il giuoco. Se questi mecenati poi volevano disfarsi di rivali o nemici non avevano che a dirlo, a farlo capire, ed erano tosto soddisfatti.

Compagni di delitto latitanti, malandrini ancora liberi, perché simulanti una vita laboriosa ed onesta, servizio di posta e di contropolizia fatto rapidamente da una plebe di manutengoli numerosa ed invisibile, qualche protettore ricco, volontario o forzato, terrorismo imposto dalla rapidità e ferocia dei castighi, affermazione brutale della propria autorità, riconosciuta efficace, invincibile, ineluttabile: ecco ciò che occorre ad un capo-banda.

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I posti secondari sono occupati dai gregari, a seconda delle rispettive abilità ed attitudini, e talvolta si ebbe un cassiere, un segretario, ecc.

Quando la banda è così costituita, stanno a sua disposizione i prodotti agricoli, i grandi ed i piccoli armenti, la libertà e la vita di coloro che, per la loro industria, sono costretti ad abitare o a frequentare la campagna. «Montati su cavalli che non sono loro proprietà, armati di schioppi e di che non hanno comprati, girano (i briganti) da signori per i monti e per le valli, per i colli e per le pianure. Se si fermano ad una masseria, ad un feudo, s'aprono per loro tutte le porte; il fittaiuolo, il fattore, tutti gli impiegati si affrettano intorno a loro; la cantina, la dispensa, la scuderia sono messe a loro disposizione. Nelle parti dove sono soliti passare, conoscono tutti e sono da tutti conosciuti; non v'é proprietario il quale si occupi dei suoi fondi che non pratichi con loro

Trovano, dove vogliono, amici, alleati, ricettatori, spie. Nessuno ambisce la gloria pericolosa di rifiutare la proficua alleanza; i malfattori, quando abbiano saputo farsi temere, hanno libera la scelta degli amici. I proprietari, i fittaiuoli, i fattori, tutti gli impiegati delle aziende agricole sono, per la forza delle cose, complici e ricettatori dei briganti» (1).

Si potrebbe credere che con questo terrorismo, con la certezza in cui è la banda di non essere tradita, non tema la forza pubblica. Eppure questa è la sua eterna preoccupazione, e ammeno che non voglia riaffermare la propria onnipotenza trucidando a tradimento un'innocua pattuglia, essa, aiutata dalla giacitura del terreno e dalla numerosa e variopinta falange dei manutengoli, pone ogni studio a schivarla, a nascondersi: anzi il servizio di contro polizia è quello a cui il capobanda tiene maggiormente ed in cui profonde le maggiori spese. Egli sa che soldati e carabinieri non lo risparmierebbero, come non risparmiarono mai i suoi colleghi e predecessori,

(1) l'ranchetti, op. cit., pag. 89-40.

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tiene alla vita come ogni altro mortale che non abbia una grande idea per sagrificarla: in breve, feroce, violento, audace coi deboli, è vile, diffidente, guardingo con la forza. E poi si vuoi dare ai briganti un carattere politico, un coraggio, una generosità che non hanno mai avuto e che non possono avere. Sono malfattori vol garissimi, strumenti inconsci della maffia che sfrutta i loro criminosi guadagni, li tiene nella sua nave, carico prezioso finché non le torna conto di buttarli alla polizia come inutile e pericolosa zavorra!

Quali sono le industrie dei briganti?

Esse si svolgono principalmente sulla classe agrícola alta e bassa per la forza stessa delle cose, per l'ambiente sociale ed economico che li circonda e feconda: sono il prodotto negativo ma spontaneo del latifondo.

Una prima fonte di guadagni viene ad essi, come accennai, dai dominio incontestato che esercitano in date contrade. Un consenso tàcito e consuetudinario, regolato solo dalla prudenza del capobanda e dalla rassegnazione delle vittime fa si che mentre la banda guarentisce sino ad un certo punto l'incolumità delle persone e delle proprietà di un dato territorio, essa in compenso ne riceve asilo, viveri, armi ed, occorrendo, una vera e periodica contribuzione pecuniaria, chiesta con maniere dimesse e rispettose, ma data puntualmente, prontamente. A quest'ultima risorsa però si viene in tempi difficili, quando cioè la banda è costretta all'inazione dalla stagione rígida che spopola la campagna o dalla caccia attiva che le dà la polizia; ma in tempi ordinari essa, la banda, ricorre ai mezzi diretti e pronti per far bottino: la grassazione, l'abigeato, la lettera di scrocco, il sequestro di persona.

Sulla grassazione poco o nulla havvi da osservare di speciale alla maffia, eccetto la prontezza, l'invariabile obbedienza con cui sei e più persone, anche armate, si buttano faccia a terra alla tradizionale intimazione di un malandrino. La grassazione talvolta è diretta contro le vetture postali, e in queste spedizioni la presenza dei due militari di scorta

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non impedisce la consumazione, poiché la banda ha in suo favore il numero e la posizione, sicura com'è che i viaggiatori, sebbene armati fino ai denti, si lasceranno mansuetamente frugare e derubare. Talvolta poi la grassazione o è un tranello, o il preludio di altri reati; mentre infatti la forza corre in un luogo ove una depredazione è avvenuta, briganti e malandrini vanno al punto opposto a compiervi un sequestro di persona, un abigeato, un'uccisione di bestiame, ecc.

Dell'abigeato mi occuperò a lungo nel capitolo seguente, osservando qui solo che le bande armate non vi ebbero ricorso che raramente, quando cioè non avevano ancora mezzi più pronti e sicuri di far guadagni, e quando trovavano in qualche grosso armento sicuro asilo pel bestiame rubato, e che sapessero trame denaro. Un'altra ragione rendeva le bande poco inclinate all'abigeato, il fatto cioè dei complici o compari che, non potuti sorvegliare, traevano dalla re-furtiva il maggior guadagno per sé, e con poche centinaia di lire accontentavano la banda, cui raccontavano che gli animali si dovettero vendere ad un prezzo molto inferiore dell'effettivo, che ciò malgrado era difficile trovar compratori che si compromettessero con la giustizia con siffatti acquisti, che bisognò sostenere spese ingenti per condurli in paesi diversi, procurarsi le false, sensali compiacenti, ecc., ecc.

La vera, la grande risorsa del brigantaggio sta tutta nel ricatto, lettera di scrocco o sequestro di persona, poiché esso, gettando nella perplessità ed in un continuo od ignoto pericolo le persone, produce quasi sempre pronto, certo e ricco lucro.

Strano stile quello delle lettere di scrocco! Si potrebbe supporre che esse siano gonfie di minacce e di bestemmie, che dai loro tuono spiri la violenza e la vendetta. Niente affatto: quando una di queste lettere piene di rodomontate capita, si può esser sicuri novantanove volte su cento che essa è opera di delinquenti novizi, di facinorosi esordienti che con le minacce, e talvolta anche firmando coi nomi dei briganti, vogliono nascondere la loro debolezza.

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La lettera di un vero capobanda invece è tutto quanto di calmo e di rispettoso si possa scrivere, ed essa fu perfezionata dai Leone, truffatore anche nello stile epistolare. Essa incomincia con una profusione di titoli; il (Vostra Eccellenza), l'eccellenza e la signoria illustrissima abbondano; si fa appello alla generosità, al buon cuore del signor, si è dolentissimi di dovergli arrecare un disturbo; la colpa è della miseria, dei tempi, delle ingiuste persecuzioni che costringono dei poveri padri di famiglia a stare in campagna, esposti a tutti i rigori ed i pericoli; si chiede quindi un soccorso (2, 3 e magari 6 mila lire) perché gli sventurati sono Essi sono sicuri di ricevere questo beneficio e fanno già proteste di eterna riconoscenza, di devozione incondizionata e lo pregano (1). Il denaro deve esser consegnato al campiere tale, che montato sul mulo tal altro percorrerà con un finto carico qualsiasi le (vie mulattiere) e i feudi indicati. Quando sarà avvicinato da qualcuno che gli domanderà un fiammifero o una presa di tabacco consegnerà il denaro e tornerà indietro per altre vie.

Più dimesso e rispettoso è il tuono della lettera e maggiore è la costernazione, lo spavento del malcapitato destinatario, e più facilmente raggiunge lo scopo. Eppure talvolta si trovano degli avari o dei coraggiosi che tentano resistere, che con parenti ed amici risoluti a non cedere si mettono in guardia ed aspettano. Qualche giorno dopo giunge una seconda lettera per posta o la si trova sotto la porta di casa, o consegnata in campagna ad un povero contadino con ordine minaccioso di portarla al suo destino. Spesso il è uno dei fedeli corrieri della banda, ma come si fa a provarlo?

La seconda lettera fa malinconicamente sentire che lo scrivente è compromesso di fronte ai compagni, i quali mandano fuoco e fiamme, lo sospettano traditore. Come potrà egli impedire a costoro di agire come vorranno?

(1) Questa frase ba forse un doppio senso. Per star tranquillo intendono non solo rassicurarsi, ma non far neanche rumore con la polizia.

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Egli è dolentissimo di questo fatto perché ha tutto il rispetto pel signore, lo vorrebbe libero, tranquillo, senza molestie, ma se egli non lo aiuta? Si risolva e creda che non avrà a pentirsi di aver fatta una buona azione, in caso contrario non risponde di nulla. E qui nuove istruzioni sul modo con cui il denaro dev'essere recapitato.

A volte si dà un termine di sei ad otto giorni per scontare queste strane lettere di cambio, si consiglia di non ricorrere alla polizia, e se si ha a che fare con persona di poca influenza in maffia, le minacce aperte fanno capolino.

Ordinariamente alla seconda lettera la vittima obbedisce; fa una riduzione, uno sconto alla somma richiesta, viene a trattative come se si trattasse di un negozio ordinario. Se vuoi resistero ancora badi a sé, si guardi dall'uscir di casa! Frattanto giunge un campiere tutto desolato annunziando che la notte precedente furono uccisi trenta e più capi di bestiame, e fu appiccato l'incendio ai seminati e fatta una scarica di fucilate al casamento del feudo, il cui personale demoralizzato vuoi scappare in paese.

Resisterà ancora? ricorrerà alla polizia? Allora è condannato irremissibilmente dalla banda, la quale nel rifiuto insolito non vede soltanto una perdita di guadagno, ma anche e più un attentato alla sua onnipotenza. L'esempio potrebbe essere contagioso, bisogna quindi riaffermarla ad ogni costo. Si manda una terza lettera lacònicamente terribile: Siete morto! - ovvero: Non dubitate; pagherete presto e caro!

La banda va altrove ad esercitare la sua industria, o si scioglie per qualche tempo. La polizia si dà attorno, comincia una caccia lunga, faticosa e sterile attraverso campi, boscaglie e dirupi; tutte le persone sospette vengono strettamente sorvegliate: ma dopo uno o due mesi l'insuccesso calma gli ardori, la forza poco alla volta si ritira, la speranza rinasce nell'animo del malcapitato proprietario, il quale ardisce uscire di casa e finalmente si arrischia fino in campagna circondato da uno stuolo di campieri ed amici.

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Una bella sera però, cioè, in un brutto tramonto rimbombano alcune schioppettate, e colui che aveva ardito ribellarsi alla tremenda autorità della banda riceve le popolazioni indovinano tosto d'onde viene la lezione, sentono che non si resiste impunemente che I' infelice volle stupidamente morire per non voler capire che «dove ci vogliono denari non ci va vita d'uomo»: l'onnipotenza, il terribile prestigio dei briganti è rialzato!

Se poi essi ne hanno il destro piombano imprevedutamente sul ribelle signore, ed invece di assassinarlo lo sequestrano.

É questa la più difficile ed arrischiata impresa del brigantaggio, ma è anche la più lucrosa: è una sfida aperta alla società ed alle sue leggi, la grande guerra alla polizia, e richiede lungo studio, minuziosi ed accurati preparativi e tutti gli aiuti del malandrinaggio e del manutengolismo alto e basso.

Il sequestro di persona getta nella costernazione e nelle ansie più dolorose molte famiglie e un intero distretto, polizia e truppa, autorità politiche e giudiziarie, Governo ed opinione pubblica. è difatti il crimine più brutale ed efferato che si possa immaginare: l'omicidio attacca la persona ma lascia incolume la proprietà; il furto, l'abigeato, la grassazione stessa ordinariamente toccano alla roba e non attentano alla vita. 11 sequestro invece colpisce la persona, privandola nella migliore ipotesi della libertà fisica e morale: la proprietà, obbligando una famiglia a realizzar presto e ad ogni costo una somma vistosa pel riscatto: la tranquillità pubblica e privata, seminando timori e costernazioni tra i parenti del sequestrato e tra gli altri proprietari che hanno da temere un simile attentato: la polizia e la giustizia che, manomesse dai briganti, si vedono anche fatte segno alle accuse più plateali di impotenza o inettitudine: le industrie, i commerci, tutte le manifestazioni feconde della vita pubblica e privata ne risentono un contraccolpo doloroso. II sequestro è appunto il delitto che più di ogni altro rivela la barbarie atavistica del brigante, la vile ferocia dell'uomo semiselvaggio, la forza brutale elevata ad arte di guerra!

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La perpetrazione di un sequestro non si improvvisa: essa, come dissi, ha d'uopo di un minuzioso lavorio di preparazione, di uno studio di alta tattica malandrinesca. Anzi in esso la banda, i briganti non sono che il braccio, lo strumento, gli esecutori materiali, mentre tutto quanto si riferisce alla preparazione, al riscatto, ecc., è opera di malandrini e manutengoli sconosciuti, presi nella più complessa energia e proteiforme manifestazione.

Un primo gruppo di costoro studia accuratamente e di lunga mano le abitudini e i movimenti della vittima designata e delle persone che la circondano. A tal uopo nella maggioranza dei casi si ottiene la indiretta coadiuvazione di qualcuno dei servi o campieri di quella, perché dia notizie e schiarimenti, informi durante la detenzione sui movimenti e sulle pratiche della famiglia. è rarissimo il caso in cui i banditi non abbiano un complice nel personale di servizio del sequestrando, anzi per lo più è questo complice che, afflitto e premuroso, accetta la parte di mezzano,fa le trattative del riscatto; e la famiglia colpita, pur sospettando la vera natura di questa apparente devozione, la subisce sempre volontieri e riconoscente. Ecco perché la vittima nella grotta o nel burrone ove vien condotta trova i cibi di sua predilezione e perfino quella qualità di sigari che suole abitualmente fumare.

Uno studio non meno accurato ed esatto vien fatto dei luoghi ove la vittima frequenta, dei giorni e delle ore in cui vi si reca abitualmente, dei punti ove il colpo può tentarsi con maggior probabilità di riuscita.

Un'altra squadriglia numerosa, scelta con cura su tutti i punti del s'incarica della contropolizia. Pastori e mendicanti, bordonai e venditori ambulanti, campieri e curatoli (1) compongono questa pseudo-polizia invisibile ma numerosa, sempre vigilante, che spia con raggiri ben dissimulati ogni menomo cenno,

(1) Fattori o castaldi.

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ogni più insignificante mossa della polizia regolare, e con segni convenzionali che sfuggono ad occhi anche ben esercitati, con movimenti prestabiliti che affettano le abituali occupazioni della vita, mette in sull'avviso briganti e malandrini, che schivano così destramente le sorprese e gli incontri molesti, conoscitori come sono di tutti i burroni, di tutte le accidentalità, dei terreno che offrono un sicuro nascondiglio.

Vien fatta quindi la scelta di uno o più luoghi sicuri destinati a ricoverarvi il sequestrato. Una casetta confusa nell'immenso fabbricato di un feudo, una grotta poco visibile e vicinissima al luogo dell'avvenuto sequestro perché non possa destare i sospetti della polizia, una solitaria casa rurale posta in un circondario diverso da quello ove il sequestro si consuma e qualche volta una casa dentro l'abitato di un vicino Comune fanno perfettamente al caso. Perché poi questi luoghi sfuggano meglio all'attenzione della polizia, vengono preventivamente ed a sufficienza vettovagliati; ché se l'operazione per circostanze imprevedute andasse per le lunghe si avrebbe sempre agio di procurarsi altri cibi, di notte, in qualche o in paese a mezzo dei soliti contadini insospettabili che, con un alla spalla ed una zappa ad armacollo, vanno a depositarli sotto una siepe ben nota ai briganti.

Compiuti questi preparativi si stabiliscono le modalità dell'esecuzione. I briganti si travestono in guisa da sembrare un proprietario con alquanti campieri reduce dai feudo, altri prendono i posti di osservazione dandosi l'aria apatica e stanca di poveri contadini intenti ad ovvero è una pattuglia di carabinieri e bersaglieri che avvicinerà indifferentemente la vittima, chiedendo il permesso d'armi e le armi a lei ed ai campieri e rivelandosi quindi per quel che è realmente; o infine i briganti sbucano da un burrone e con un audace colpo di mano s'impadroniscono del proprietario prima ancora che questi ed i suoi abbiano il tempo di pensare alla fuga o alla resistenza.


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Quello che più importa non è il modo della sorpresa, poiché la fantasia dei malandrini e il terreno stesso in cui operano ne offrono all'infinito; ma principalmente interessa che il colpo decisivo si dia sull'imbrunire di guisa che col sopraggiungere della notte si possa comodamente e senza sorprese condurre il sequestrato al nascondiglio, se no bisognerebbe cambiarlo nelle notti successive e non senza pericoli.

Con questo preordinato lavorio il malcapitato casca imprevedutamente nell'agguato. Le prime parole dei briganti sono improntate al tuono vilmente o sardònicamente ossequioso delle lettere di scrocco; la brutalità selvaggia del fatto è addolcita dalla correttezza della forma. Sono le solite proteste di devozione e di omaggio, le promesse più smaccate di riguardo, il dispiacere di dover arrecargli un disturbo per colpa dei tempi, del Governo, quasi quasi per necessità ineluttabile di cose(l). 11 sequestrato viene delicatamente bendato, posto a cavallo e condotto cosi un po a destra, un po' a sinistra, alquanto in salita e poi in discesa, e dopo una o due ore di questo strano viaggio sente di trovarsi al coperto. Trattanto gli altri briganti trattengono i campieri che scortavano il padrone, e dopo che questi è al gli si fa scrivere una lettera con cui, rassicurando alla bell'e meglio la propria famiglia e raccomandando la calma ed il silenzio, la prega di mandare al più presto 50 o 100 mila lire in quel modo che i si compiaceranno di indicare.

La lettera consegnata ai campieri giunge alla famiglia producendovi la confusione e lo spavento paragonabili a quelli dello scoppio d'un fulmine a ciel sereno. Realizzare in pochi giorni una somma ingente? Ma come, dove, da chi? - Ricorrere alla giustizia?

(1) Qualche famoso brigante, rimproverato dai presidente delle Assisie delle sue più audaci imprese, rispondeva con aria compunta e quasi ebete: Faceva come Dio voleva! - Si direbbe che si fosse fatto brigante per destino, per forza irresistibile!

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E non sarebbe lo stesso che firmare la sentenza di morte del congiunto? - E se il sequestro fosse una vendetta, non si perderebbero il denaro e il parente? E se i briganti o qualche malandrino temesse di essere conosciuto dalla vittima non la ucciderebbero lo stesso? - Queste sole domando bastano a far intravvedere il baratro di costernazioni e di ansietà dolorose in cui la famiglia colpita da uno di questi efferati delitti si vede cadere inopinatamente.

Ritroviamo il sequestrato. Egli è guardato a vista da due o più briganti tutti cure e riguardi, premurosi di soddisfarne ogni desiderio. Parrebbe di trovarsi avanti ad un padrone circondato da alquanti servi devoti e riconoscenti. - «Voscienza vuoi fumare? Ábbiamo qui dei romani, poiché sappiamo che fuma soltanto di questi». II malcapitato accetta e ringrazia. - «Voscienza vuoi fare un boccone? Siamo dolenti di non poterle offrire roba degna del suo mérito, ma in campagna bisogna adattarsi e compatire». - Eppure poco dopo una tavola è imbandita e non vi manca né il pane bianco e fresco, né un pollo discretamente cucinato, né il buon vino. Talvolta il servizio culinario è più completo e squisito; si va fino al caffé ed alla forchetta d'argento. Né i vigili custodi si permettono di mangiare assieme al prigioniero, non dimenticano l'enorme distanza sociale che lo separa da loro, lo servono come meglio possono e quindi pensano pei loro stomachi. - Rammento un aneddoto. Al giovane signor S., sequestrato nel 1878, furon trovate indosso poco più di 150 lire. I briganti con questa somma riuscirono ad avere succulenti refezioni e a fine di tavola portavano allo S. il conto sur un piattello, come nelle migliori trattorie di città. è inutile dire che nel conto veniva compresa la porzione mangiata separatamente dai servitori-custodi. più tardi la forza pubblica inseguì dappresso la banda, ne uccise ed arrestò parecchi membri e il povero S. dovette per molti giorni correre di notte, a piedi, cibandosi di frutta e verdura che trovava sul cammino.

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Le pratiche pel riscatto intanto seguono il loro corso, malgrado la sorveglianza della polizia e le innumerevoli pattuglie che solcano la campagna in tutti i sensi. Fuvvi un tempo in cui si credette di levar la voglia ai briganti di sequestrar le persone, impedendo alle famiglie di mandare il prezzo del riscatto. «Quando i briganti capiranno che il ricatto non frutterà nulla, smetteranno di farne». L'autorità quindi sequestrava per conto suo parenti ed amici della vittima, ma questa un bel giorno ricompariva in paese dopo avere pagato lo scotto a dispetto di tutti gli ostacoli.

Difficilmente e solo nei casi di vendetta una banda di veri briganti uccide il sequestrato. A che prò infatti aggravare la loro responsabilità? Non sono essi abbastanza conosciuti in lotta aperta con la società? l'inché potranno sfuggirle la cosa andrà, se cadranno tanto meglio, invocheranno le circostanze attenuanti per non avere assassinata troppa gente. - L'industria del ricatto però fu esercitata qualche volta da semplici malandrini non per anco noti alla giustizia: la loro inesperienza in questi affari, la necessità di non essere scoperti ed accusati dalla vittima, ne provocano invariabilmente la uccisione. Si può affermare che su venti sequestrati da briganti diciotto tornarono in famiglia, mentre su altrettanti ricattati da malandrini spiccioli, associatisi provvisoriamente, soli due o tre sopravvissero.

Pagato il riscatto il proprietario vien messo in libertà con tutti i segni d'un sincero pentimento, di una rispettosa riconoscenza. Gli si offre di accompagnarlo di notte nei pressi di un paese convenuto, ed ivi giunti la banda pone piede a térra, il capo ordina di chiedere scusa e baciar la mano al signore, ed b lui il primo a compiere quest'atto tradizionalmente rituale.

Questa per sommi capí è la costituzione e l'industria del brigantaggio in Sicilia. La sua forza è tutta riposta nel terrore che incute alle popolazioni, nel tornaconto che vi trovano il malandrinaggio ed il manutengolismo,

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che ne sfruttano in gran parte le prede, nelle condizioni propizie del terreno e dell'agricoltura a latifondo, e finalmente nella insufficienza ed inopportunità dei mezzi usati fino ad un certo tempo nel combatterlo.

Bisognerebbe pertanto indirizzare gli sforzi e l'azione dell'autorità a scalzare queste cause dirette.

Or si potrà lungamente, e per avventura infruttuosamente, discutere sulla convenienza giuridica di combattere il terrore degli uni e l'interesse degli altri col terrore legale e l'interesse sociale, ma se dai campo delle astrazioni scientifiche scendiamo in quello dell'opportunità ed utilità pratica di estirpare un male cronico ed eminentemente contagioso, nessuno potrà dissentire dai bisogno evidente di una repressione vigorosa, energica e senza falsi ed esagerati riguardi. Violenza per violenza, ripetono tutti qui, val meglio quella delle leggi che quella privata. Bisogna tener conto che coi briganti non è il caso di parlare di prevenzione, e tanto meno di quel sentimentalismo ad ogni costo che si chiama emenda del colpevole - la piaga è troppo sanguinante, troppo cancrenosa perché possa guarirsi coi semplici lenitivi, che si riducono ad alquante ammonizioni circoscritte alla minutaglia dei manutengoli. Bisogna portare il ferro ovunque i tumori si manifestano, senza preoccuparsi troppo del caso, del resto poco probabile, che tra i colpiti dalla legge temporaneamente vi sia il grosso manutengolo volente o nolente.

Queste idee, potrebbero sembrare autoritarie e peggio, massime oggi che il brigantaggio militante può considerarsi sbaragliato per sempre: ma esse hanno l'autorità dell'esempio. Tate che, come dai 1877 in poi, il Governo si mostri risoluto ed energico, che riesca a disfarsi dei più famosi banditi e vedrete svanire il terrore, il convincimento della loro onnipotenza: i gregari si vedranno chiudere sul muso le porte che prima erario per loro aperte a due battenti; malandrini e manutengoli aspirando la tempesta si ritireranno dalla loro industria

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divenuta pericolosa, gli onesti rialzeranno il capo, riprenderanno coraggio, ed il male verrà estirpato.

La inferiorità intellettuale e morale dei briganti, la loro impotenza quando venisse meno il manutengolismo, si desume da un fatto generale e costante, al quale per avventura non si è data tutta l'importanza che merita.

Il brigante scorrazza costantemente per un determinato territorio, in quello cioè che conosce topograficamente e dove è da tutti conosciuto, e non ne esce che raramente e per poco. Necessità naturale, incapacità di imporsi altrove e forse quell'attrazione inconscia ed irresistibile che bestie ed uomini sentono per la famiglia e pel proprio paese natio costringono il brigante ad aggirarvisi sempre, a non allontanarsene quasi mai. Vedete infatti dove finirono tutti i più famosi ed audaci briganti: Valvo, Lo Cicero e Di Pasquale nativí di Montemaggiore caddero in quel territorio, Capraro di Sciacca presso questa città, Rocca e Rinaldi in quel di San Mauro, l'araci ed altri nella loro Mezzojuso, Leone tra Yentimiglia e Montemaggiore. Nessuno, proprio nessuno, fuori del natio circondario! - Questo fatto ci fa pensare che la polizia avrebbe potuto più presto e facilmente disfarsi del brigantaggio sol che avesse concentrato la sua energia in date circoscrizioni, abbandonando il formalismo e la simmetria artificiale. Ne aveva però i mezzi legali?

Ecco una quistione che richiederebbe un esame troppo lungo e scabroso che ci porterebbe lungi dai nostro compito. Diremo solo che non riusciamo a comprendere come si facciano tante declamazioni ammirative per gli ordinamenti amministrativi inglesi e non se ne imitano poi che quelle parti che sono negative e quindi inefficaci. Colà quando un male sociale minaccia seriamente l'ordine e là prosperità pubblica si ricorre alla sospensione delle guarentigie statutarie. - Perché tra noi non si potrebbe fare lo stesso per dati luoghi e tempi? Lasciamo da parte la quistione se tal potere sia esclusivamente devoluto al Ministero (salvo l'ottenerne un

bill

di indennità)

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o al Parlamento, certo è però che esso condurrebbe diritto allo scopo, e questo raggiunto non avrebbe più ragione d'essere.

Invece da noi si fece un largo ed inefficace uso della truppa, che, denunziata dall'uniforme, legata dalla disciplina militare, ignara di luoghi, costumi e dialetto, pagò un periodico e non indifferente contributo di zelo, coraggio e vite, destinate certamente a scopo più nobile di quello che non fosse lo esporsi alle palle di malfattori comunissimi. A vete inteso mai dire che un sequestrato fu liberato dalla sola truppa? che un'associazione di malfattori fu scoverta e catturata da soldati? - No, come si ò mai visto un corpo di polizia risolvere problemi di tattica, di balistica o di strategia militare.

Un'ultima osservazione. Si fe detto e si ripete che senza manutengoli non vi sarebbero ladri; ed io aggiungo che senza manutengoli non vi sarà buona polizia. Mi spiego: dato pure che questa non riesca a bella prima a conoscere i più pericolosi malandrini, i più grossi manutengoli (caso del resto non molto difficile), ne ha però abbastanza dei piccoli. La plebe dei manutengoli eccelle per l'assenza di moralità e di dignità personale, per miseria e per una tal quale stupida avidità di lucro. Lo dissero tutti i capibanda. I ladri ed i briganti sono stati sempre vittime dei loro manutengoli, essi li sfruttano e, quando non han più nulla da cavar loro, li vendono al migliore offerente. Aumentate quindi il guadagno che essi traggono dai malandrini, senza troppa pubblicità e senza diffidenti pastoie contabili che li espongano alle vendette terribili dei malandrini, ed essi ve li consegneranno.

Isolare il brigante, stringerlo davvicino, imitarne la tattica dissimulata e tortuosa, i raggiri, i travestimenti, cercarlo più spesso in paese che in campagna, togliergli i suoi due grandi alleati,e manutengoli, ecco i mezzi diretti di repressione - e sopratutto non si dimentichi che ed un po' anche... la polizia.

III.

L'abigeato.

Importa che i criteri direttivi della prevenzione sieno attinti alle stesse dottrine che govemano il magistero penale.

Lucchini,

L'ammonizione.

Nella prima parte di questi studi mi venne detto che la manifestazione più saliente della maffia e quindi della delinquenza nell'interno della Sicilia è l'abigeato, ovvero il furto di grosso bestiame. Esso costituisce 1'industria criminosa tradizionale della maffia nei feudi o latifondi, e si sempre rivelato tetragono agli sforzi della prevenzione e della repressione, anzi dà tuttavia a quella l'impronta di una vasta e ben organizzata associazione di malfattori.

I Governi intesero con pertinacia ed in ogni tempo a combatterlo: basti rammentare che la storia di un corpo di polizia locale si collega appunto al bisogno di reprimere questo fenomeno criminoso. Intendo accennare a quell'istituzione detta un tempo Compagnie d'armi, più tardi gendarmi, quindi militi a cavallo e, dopo la seria e rigorosa riforma malusardiana (1877), Guardie di pubblica sicurezza a cavallo. Eppure, con periodi di intermittenza poco sensibili, l'abigeato permane, si perfeziona con sempre nuovi scaltrimenti, si che non temeraria l'affermazione che esso dia il più ingente contributo ai reati contro la proprietà (1).

Perché questa immanenza delittuosa?

(1) Vedi Statistiche giudiziarie, specialmente quella particolareggiata del 1880.

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Non esito a dirlo: per la insufficienza e inopportunità dei mezzi preventivi, per la troppa fiducia sui pochi che si hanno, sotto un certo punto di vista pel personale disadatto che si impiega alla repressione, ed infine per l'ignoranza dei luoghi e delle persone che facilitano la perpetrazione di questo reato. £ ormai assicurato che solo uno studio accurato dei fattori dei reati (individuali, fisici, sociali), può dare criteri esatti di prevenzione, o quanto meno i mezzi più confacenti nella pronta e sicura repressione. II guaio maggiore però sta appunto nella mancanza di questi studi, cosicché si può dire che

Abbiamo infatti prevenzione e prevenzioni (ci si passi il bisticcio). Astrazione fatta dalle discussioni teoriche, nel nostro diritto positivo (legge di P. S.), si parla in termini generali di prevenire il maleficio: meglio ancora si dice che la Polizia non è chiamata a reprimere se non quando non ha saputo o potuto prevenire. Ma dove sono le norme direttive della prevenzione? Se si eccettuano l'ammonizione ed il domicilio coatto, date come panacea universale e spesso come tali accettate, dove trovare quel corredo di notizie, di conoscenze, di indirizzi tali da porre il funzionario e l'agente di polizia sulla buona via? è bensì vero che nel progetto di riforma della legge di pubblica sicurezza si leggono alcune disposizioni dirette a prevenire i furti, ma son ben poche e molto vaghe. Desidereremmo invece che per ogni fenomeno criminoso, almeno pei più gravi, si avessero norme adatte di prevenzione desunte dalle modalità,

(1) In ciò convengono tutti ¡ cultori del giure penale, classicisti e positivista anzi questo lato della scienza é stato messo in luce dalla scuola positiva di diritto penale e ne forma una delle migliori glorie. Comprendo che ben altra é la prevenzione sociale come la intendono i professori Ferri (Nuovi orizzonti), Puglia (Prolegomeni), Garofalo (Criminologa) e Lombroso(opere), ma non crediamo azzardato il concetto che coefficiente importante di essa sia la prevenzione diretta o di polizia in senso stretto, se ispirata ai criteri scientifici di diritto.

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con cui esso si prepara, si consuma e si compie; dallo studio della classe sociale che più spesso vi si abbandona e dei luoghi ove più facilmente si manifesta e permane.

Molti sorrideranno a questo esclamando: Vorreste per avventura un codice di prevenzione accanto a quello repressivo? - E perché no, risponderemo noi? - Non è nostro compito discutere se le regole della prevenzione dovessero codificarsi o formare oggetto di speciali regolamenti: a noi basti stabilire che senza di esse avremo sempre tanti criteri preventivi quanti funzionari di polizia, che dovranno formarseli con un tirocinio lungo, personale, che spesso giustificherà le accuse di impotenza e di arbitrio. Le nuove deduzioni della scienza penale, la ricca messe di disposizioni sparpagliate nelle istruzioni e nelle circolari che Ministero, Prefetture e Questure mandano agli uffici dipendenti, e le esperienze che tuttodì si van facendo nelle Corti e nei Tribunali formano per altro un sostrato sufficiente per abbozzare un sistema uniforme e corretto di prevenzione in senso stretto (1).

. Ma di ciò basti per ora, e torniamo al nostro compito molto più modesto. Esso è appunto quello di studiare l'abigeato nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni locali e di desumerne certe norme che, a nostro debole avviso, varrebbero ad una più pronta e proficua prevenzione di esso.

L'abigeato è così definito dai nostro Codice penale (art. 609): «É qualificato pel luogo, e punito con la reclusione, il furto dei cavalli, di buoi, di bestie da soma, da tiro o da cavalcare, di bestiame grosso o minuto, commesso in aperta campagna o nelle stalle.

«Se però il valore del bestiame rubato eccedesse le lire cinquecento, è qualificato abigeato, e la pena della reclusione non sarà minore degli anni sette, e potrà estendersi a quella dei lavori forzati a tempo».

(1) Non siamo lontani dai tentare uno studio speciale su questo argomento, ma per ora ce ne manca il tempo e l'opportunità.

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É chiaro che a differenza dei passati codici che desumevano la qualifica di questo furto soltanto dalla qualità della cosa (ritenendo gli animali come mezzo e non fine, cioè come ausiliari dell'agricoltura), il Codice vigente la desume invece dai luogo e in via incidentale dai valore. Crediamo più giusta questa disposizione, e più rispondente all'indole giuridica del reato, poiché poco o nulla conferisca alla sua gravità o contenuto politico la destinazione della cosa rubata, mentre i criteri di punibilità in fatto di furto van desunti dalla maggiore o minore facilità di perpetrarlo.

Il concetto infatti di gravità nell'abigeato sgorga dai fatto che stando per lo più gli animali in luoghi aperti e disabitati s'intendono per così dire esposti alla fede pubblica, e quindi il ladro, che facilmente può appropriarseli, mentre danneggia il proprietario, offende anche la fiducia pubblica.

Ciò premesso, entriamo nel campo delle osservazioni oggettive.

L'abigeato, inteso generalmente in Sicilia come furto di grosso bestiame, senza distinzione di valore, per quanto antico vi è localizzato, stratificato per così dire nelle quattro Provincie occidentali (Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanissetta). Diffatti esso è raro nelle altre Provincie, ove perfino è caduta in disuso la bolletta (1), tanto curata e ricercata nelle prime per scopi altrettanto comodi quanto opposti.

Per meglio comprendere le modalità del reato in tutte le sue fasi, è bene conoscere i vari modi di allevamento del bestiame, e i vari usi cui esso è destinato. Tale nozione non è superflua, in quanto che ha una grande importanza sia pei luoghi e per le persone, sia pei modi con cui il reato si organizza e si consuma, come per quelli con cui si disperde il corpo di esso e si deviano le operazioni della polizia.

A parte la coltura dei cereali a latifondo, non pochi gabelloti mantengono un numero vario, ma sempre importante

(1) Su questo documento ibrido e sai generi vedasi appresso.

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di bestiame, o per l'industria dei latticini e della carne, o per quella degli animali da sella e da soma. La grande mandra o armento riesce poi di grande aiuto per i lavori e le rotazioni agrarie.

Il personale di custodia di questi armenti è nella grande maggioranza composto di maffiosi prepotenti e maneschi, che con la loro presenza tengono a rispetto i ladri di bassa sfera, mentre quelli di rango sono loro amici, si rispettano reciprocamente e non temono quindi (1).

Spesso con gli animali del padrone altri ve ne sono di piccoli speculatori i quali pagano le spese di pascolo e custodia, dette con unica voce:

Altra specie di mandra è quella in associazione tra varí possessori di animali che prendono in comune le terre da pascolo e dividono gli utili e le spese a seconda dei capi di bestiame che possiedono o pongono in fida.

Sonvi poi i caprai, possessori d'una ventina di capi di minuto bestiame, che vivono con astuzie più o meno fortunate di pascolo abusivo e di furto campestre. Costoro, meno pericolosi per cié, lo sono maggiormente perché tra essi l'abigeato trova i più perniciosi ed assidui cultori, il manutengolismo d'ogni specie il suo vivaio inesauribile.

É infine da notare che ogni infimo borgese o colono possiede sempre un paio d'animali da lavoro.

Siccome i pascoli in Sicilia non sono perenni in tutte le stagioni e i luoghi, gli armenti emigrano periodicamente dalle terre alte (montagne) alle mezzane, e nei mesi rigidi in quelle basse (marine). Altre emigrazioni succedono in tempi di fiere o mercati, come ebbi occasione di osservare nella prima parte di questo studio.

Questo l'ambiente fisico e sociale in cui l'abigeato prospera; ora alle persone che vi si dedicano e ne fan le spese.

(1) In Sicilia si dice fare uno sfregio ad un campiere o custode di bestiame il commettere un furto nei luoghi o sugli animali affidati alla sua custodia.

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Noto anzitutto che solo il borgese ed il piccolo proprietario sono fatti segno al furto, poiché è ben raro il caso che il padrone di un grosso armento sia molestato nella sua proprietà. ciò si spiega facilmente laddove si pensi che costui ha feudi proprii, sufficiente personale di custodia (tra cui si annida sempre una squadriglia di maffiosi emeriti e risoluti a non subire sfregi), clientele ed influenza in una vasta zona di feudi, spesso da una provincia all'altra. è vero bensì che qualche volta anche le grandi mandre furono prese d'assalto, ma solo ai tempi delle bande armate, le quali più che al furto si abbandonavano alle uccisioni del bestiame, a guisa di rappresaglia, quando non riuscivano nel ricatto, mezzo potente e spiccio per ottenere ricco bottino (cosi fecero Valvo, Lo Cicero, Rocca, Leone, Capraro ed altri capibanda). Al di fuori del brigantaggio quindi raro rimase l'abigeato sugli armenti, e se qualche volta avviene, i funzionari di polizia sieno cauti ed accorti, perché queste razzie hanno loro ragione d'essere nelle gelosie e nei rancori tra grossi gabelloti. Niente di più comune che un proprietario ordini e talvolta diriga una scorreria di tal genere per vendetta, per ispirito di superiorità in maffia. II ladro di mestiere non vi si arrischia da solo, non essendo per lui facile rubare una dozzina di animali con evidente pericolo di esser tosto scoverto, non avendo mezzi atti a nascondere sicuramente il corpo del reato, che in tali casi lascia traccie troppo apparenti. Quando uno di questi ingenti furti succede, è quasi mutile cercarne gli autori fra gli abigeatari di mestiere: bisogna invece tener d'occhio i grossi gabelloti, le loro inimicizie, i loro armenti. Ordinariamente ad uno di questi furti ne tien dietro un altro, o poco dopo avviene una numerosa uccisione di bestiame, un incendio su vasta scala,cosicché i reati si succedono senza apparente legame, mentre sono cause ed effetti reciproci.

L'abigeatario ordinariamente ruba il piccolo possidente, il borgese. Carattere dominante e necessario per l'abigeato ò l'associazione, intesa non solo come vera e propria società organizzata con personale fisso e gerarchico, ma intermittente, occasionale tra autori, complici e manutengoli.


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La classe che in Sicilia vi si dedicaquella dei caprai, pastori, bestiamari, bordonai (1) e qualche contadino. Come si vede, il contingente degli abigeatari è dato dà persone pratiche nel maneggio ed allevamento del bestiame. L'abigeatario raramente anche grassatore, quasi mai ladro di paese (di scasso o effrazione, ecc.): tolto alla campagna come un pesce fuor d'acqua, anzi se ne può fare una sottodivisione, essendovi ladri che di preferenza rubano animali equini e da soma, ed altri che più spesso ed abitualmente si danno al furto di bovini, dettiQuesta distinzione è necessaria, diverse essendo le modalità del furto e la destinazione della re-furtiva. così vien riconfermato quel tecnicismo della delinquenza, quella, per cosi diré, stratificazione del delitto così bene messa in luce dalla scuola positiva di diritto penale.

più che quello degli autori interessa lo studio dei complici. Primo fra essi, impersonale ma fido, quella specie di pervertimento morale che qui fa chiamare spia, infame il malcapitato che desse il benché minimo indizio su di un reato o sui suoi autori. L'omertà, di cui ci siamo precedentemente occupati, impone ad ogni siciliano il silenzio più assoluto, anche se danneggiato, sugli autori di un reato, e guai al coraggioso o all'ingenuo che rompesse la neutralità che deve esservi tra maffia e giustizia, aiutando questa. II meno che possa capitargli è l'essere sfuggito da tutti come un appestato, quando non venisse sottratto violentemente. Basti ciò a daré una idea delle grandi difficoltà che la polizia deve durare per venire a capo dei malfattori.

I complici veri poi sono i sensali di bestiame, i trafficanti ed i macellai, che vedremo or ora all'opera.

Nella mandra di bovini tenuta tra soci, ve n'è sempre uno o due che posseggono il maggior numero di capi di bestiame.

(1) La mancanza di vie rotabili tra feudi e paesi fa si che ogni gabelloto tenga una o due cosi dette retine di mule, di sette ognuna, guidate da un contadino a stipendio fisso, detto bordonaio.

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Costui, come il grosso proprietario, non è quasi mai molestato nella sua proprietà, avendo influenze e mezzi sufficienti di vendetta. Chi fa le spese del furto è il socio possessore di due o tre animali, che li tiene a fida e non dimora sul luogo.

Il reato si commette ordinariamente nelle prime ore della notte, perché si abbia il tempo sufficiente di allontanare la re-furtiva, e non per vie ordinarie e battute, ma per viottoli e balzi poco conosciuti e frequentati, impraticabili per uno che non sia del luogo. Or dato, ma non concesso, che l'autore del furto sia estraneo al personale della mandra, deve in questo e sempre trovarsi il còmplice. Le modalità con cui il furto si commette, le condizioni di luogo e di tempo in cui avviene, la natura stessa dell'oggetto del reato rendono necessaria la. connivenza, la cooperazione dolosa di persona pratica, conoscitrice. Basti osservare che gli animali d'armento sono semi-selvaggi, hanno ognuno il proprio nome, e mentre fuggono spaventati alle voci di persone estranee, accorrono verso i conoscenti e si fanno prendere e legare plàcidamente. Bisogna essere stati qualche giorno in un armento per ammirare da un lato l'istinto socievole e di conservazione di queste povere bestie, e dall'altro la gran memoria dei vaccari, analfabeti, che al momento di mungere chiamano a nome più che cento di quelle, che senza esitare accorrono una ad una nel chiuso con lieti ed affettuosi muggiti. La numerosa muta di cani in ogni mandra dà poi l'allarme, o morde se non mangia il ladro estraneo.

Quando, dopo il furto, l'animale è lontano dalla mandra, cioè all'indomani, incomincia il lavorlo dei complici per la dispersione delle traccie e della bestia. Se si è vicini ad un grosso Comune, od a diversi piccoli e poco distanti tra loro, il sabato si macella il bue in un burrone od in una capanna (quando non si abbia una casa campestre od una grotta (1). Diviso in quarti, lo si introduce destramente nei vari paesi, un quarto per bottega, cosicché in breve è sparso in tre o più borgate.

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Né il bottegaio mette in evidenza la carne rubata-, tiene anzi i quarti del bue macellato col beneplacito della polizia in bottega, e ben nascosto, anche nel domicilio privato, quello di furtiva provenienza, che vende pezzo per pezzo, o a suo tempo comparisce al posto dell'altro legittimo.

Or dato che un funzionario di pubblica sicurezza concepisca dei sospetti, e sorvolando sulla inviolabilità del domicilio e su molte formalità di legge di cui assume le scabrose conseguenze, esponendosi a recrimine interessate ed a critiche acerbe e virulente di teorici irresponsabili, scopre il quarto di carne rubata, vi saranno sempre cento scuse per giustificarne la provenienza. Si dirà che è parte del bue macellato col permesso dei superiori, che lo si tiene nascosto per non esporlo al calore, e se di ciò il funzionario scaltro non si contenta e sequestra la carne, che avrà provato? - Dove sono gli altri quarti; dove la pelle, dai cui colore e dai cui marchi più o meno autentici si può avere un barlume di prova diretta? - La pelle o fu distrutta, o giace cogli intestini in qualche burrone, preda di complici inconsapevoli, i corvi e gli avvoltoi!

Eppure tutti i cosidetti onesti del paese sanno che il delegato indovina, possono contare vita e gesta dell'abile macellaio, comprano e mangiano la carne rubata e tacciono anche quando sono convinti che qualcuna delle loro bestie farà la stessa fine.

Si dà anche il caso che un intero animale rubato si consumi in unico Comune, ma allora si ha sempre la bolletta falsa o sostituita, di cui parleremo più tardi.

Si penserà che non dovrebbe aspettarsi tanto dalla polizia, e che essa dovrebbe porsi subito sulle traccie dei ladri. è questa una delle solite accuse che i sapienti della stampa quotidiana fanno alla polizia. Ma quando giunge la denunzia del furto alla pubblica sicurezza? Vediamolo.

(1) Per non parlar di altre, sono celebri le grotte dell'Inserra presso Palermo, ove un bel giorno la Questura trovò tutti gli attrezzi di un ?ero macello, invisibili ad occhi anche esercitati. Erano la tomba degli animali che si rubavano in un ambito di oltre cento chilometri.

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Il vaccaro o custode della mandra, che quasi sempre è complice dei ladri, si presenta al padrone dell'animale rubato non prima di due giorni dopo il furto, e gli annunzia tutto compunto che l'altro ieri, numerando le bestie, si accorse che mancava il bue A. «». Il padrone non va tosto dalla polizia, ma invece rifà le ricerche per conto proprio, ed alla sera si reca dall'uno o dall'altro dei soci più influenti, o da qualche altro uomo pratico di questi affari (leggi maffioso conosciuto) il quale risponde invariabilmente: «Mi dispiace, compare, la vostra disgrazia; domani farò delle pratiche, parlerò a qualche amico (collega in maffia), e vi darò risposta. Voi intanto fate il vostro dovere con la giustizia» (1).

Ecco finalmente, dopo tre giorni almeno dall'avvenimento, il derubato ed il delegato di fronte. - Signore, mi manca una vacca. - Da quanto tempo? - Ma, non saprei, solo ieri io lo seppi. - Credete vi sia stata rubata? - E chi può di rio? Può essersi smarrita. - Avete dei sospetti? - Quali sospetti vuole che io abbia? Non ho nemici, le persone di custodia sono oneste e fidate, e perciò non voglio dannarmi 1'anima accusando della buona gente. - II delegato si mette in moto con guardie o carabinieri, si batte la campagna, e si ritorna la sera stanchi, scorati, digiuni, mentre altri digerisce tranquillamente la carne rubata.

Se le bestie sottratte sono diverse ed il danneggiato ha buone relazioni in maffia, qualche amico si mette in moto, e poi torna dicendo:

(1) Intendi denunziare il reato, e non per aver aiuto dalla polizia, ma pel pregiudizio popolare che non denunziando il furto patito si può incorrere nella pena dell'occultamento di reato. Senza questa falsa credenza, pochi tra noi ricorrerebbero alla giustizia.

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«Compare, due dei vostri animali finirono, è meglio non pensarci più. Per gli altri, un amico di cuore mi assicura che se siete prudente, e fate un regaluccio di cento lire ai, c'é speranza di ricuperarli». II derubato naturalmente sceglie il male minore, sborsa qualche centinaio di lire, e dopo uno o due giorni avverte il delegato che si sono trovati alcuni dei suoi animali e si augura che troverà il resto; così allontana dai funzionario l'idea del furto. Spesso, per colmo d'ironia, è una pattuglia che, lieta e contenta, trova gli animali, e che reputa cosi di aver reso un servizio alla sicurezza pubblica!

Questo è il modo più comune con cui si rubano gli animali bovini, ma se ne conoscono degli altri non meno sicuri ed ingegnosi. Le fiere 0 mercati sono veri ricettacoli di bestie rubate. La vacca del tale in pochi giorni fa parte della mandra del signor tal altro a molti chilometri di distanza, in altra provincia; e sfido il funzionario più audace e scaltro a scovarla fra duecento altre. Ché se ardisce cercarla là, il padrone, che è un ricco gabelloto, un feudatario, dirà che l'ha comprata vattelapesca dove, che se non basta la sua parola, presenterà la sua bolletta; e qui h meglio non insistere, per non essere burlati doppiamente con una falsa bolletta, e per non esporsi alle ire, ai ricorsi e peggio di quel signore di tener mano a ladri e maffiosi.

Nei vari Comuni poi vi sono varie persone che fanno il traffico degli animali bovini, o comprandoli per conto proprio o facendola da sensali, e girano per tutti i mercati, per vari feudi (1). Questa gente si odora, si conosce e si avvicina dovunque. Uno di loro con alquante bestie rubate, passa da un piccolo Comunello e si presenta al sindaco od all'assessore, che, se non è un povero ignorante od un dilettante di campagna, è sempre una persona della massima buona fede e timidezza.

(1) In certi Comuni di due o tre mila abitanti, ove solo esiste una stazione di quattro carabinieri, poco pratici delle male arti dei ladri, si contano a dozzine questi sedicenti trafficanti e sensali, senza fisso mestiere e senza mezzi di sussistenza, che pur vivono benone.

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« (Comune di altra provincia).(sono i compari del paese),». II sindaco, sull'attestazione dei suoi due amministrati, fa staccare la bolletta al segretario, allo scrívanello, certificando come qualmente il signor Rocco Rapetti sia legittimo possessore di tanti buoi o vacche di questo o quel colore, marcati al eolio od all'anca con le iniziali A, 6, C, D; firma e bolla (1).

Come attaccar di falso un simile documento?

I testimoni di ieri a loro tempo diventeranno trafficanti, e nel paese del signor Rapetti si procureranno le bollette dei loro animali sulla affermazione testimoniale di costui.

Passiamo ora al furto degli equini.

Esso ha caratteri diversi di quello finora studiato. Anzitutto non abbiamo la mandra sociale o in accomandita, ma il grande armento del ricco gabelloto, presso il quale si gli animali dei piccoli speculatori.

Spesso anzi, per sfuggire ai disastri finanziari del furto, chi possiede una giumenta ne vende tre quarti a tre altri piccoli possidenti, e ne compra vari quarti da altri. così si dice avere un piede del tale animale; e chi potrebbe averne due interi, ne ha invece otto quarti di otto diversi. Se un anímale vien rubato, sono quattro i danneggiati, ciò che rende meno sensibile il danno.

Ogni discreto borgese possiede un mulo od un asino, e nel tempo della semina si trova il compagno per fare il paio necessario all'aratro.

(1) Né questo avviene solo nei piccoli Comuni. É proverbiale la facilità con cui si ottengono di siffatte bollette al macello pubblico di Palermo, ove un incaricato del Municipio le stacca sulla sola affermazione di due testimoni, fossero anche stati condannati o ammoniti per abigeato, e pur troppo si é ritenuto che chi le rilascia non assume alcuna responsabilità.

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Se la perpetrazione di questo furto è più facile perché l'animale equino corre, e si può quindi prestamente fare allontanare dai luogo del reato, diventa però più difficile il ricavarne profitto, poiché il mulo ed il cavallo non si mangiano. A questa difficoltà si è riparato con stratagemmi e ripieghi ingegnosi.

Qui il giuoco principale lo fa la bolletta, questo atto ibrido, escogitato per prevenire il furto, e ridotto ormai ad essere uno dei più sicuri ed incoscienti ausiliari del ladro d'animali.

Per quanto abbiam cercato e domandato, non ci venne fatto conoscere l'epoca in cui apparve questo documento, né se fu istituito per legge o per consuetudine. Nelle provincie occidentali dell'isola è in grande uso, quasi indispensabile, e la sola mancanza di esso dà la presunzione di reità nei detentori di animali, mentre poi è raro e poco apprezzatò in quelle orientali. Ciò non pertanto si può affermare che sin dai 1830 si trovano traccie dell'uso delle bollette.

Scopo evidente di questo documento è quello di dar giustificazione della provenienza dell'animale, impedendo la vendita di quelli rubati, sul criterio che rubando l'animale non è facile rubar contemporaneamente la bolletta.

Il concetto di essa è buono, ma le modalità per realizzarlo false, fluttuanti, arbitrarie talmente che, secondo me, e tutti i funzionari di P. S., sarebbe meglio non tenerne conto addirittura piuttosto che offrire con tal mezzo una facile scappatoia ai ladri.

E di fatti la bolletta non è un atto di notaio assunto con formalità e guarentigie serie, ma un semplice atto di notorietà, oggettivo, quasi impersonale.

La formòla più comune è la seguente: -

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Né il modulo è fisso, e si è perfino sottratto alla tassa di bollo comune a tutti i certificati, dicendo che lo si rilascia a scopo di

La bolletta perciò ora è a stampa, ora manoscritta - magari a firma del segretario comunale o di Un semplice scrivano - ora singola ed ora per diversi animali, niente affatto descritti nei contrassegni.

Si arguisce da ciò la grande facilità di falsificare un simile documento, la cui validità giuridica è cosi arbitraria e fluttuante, laddove si pensi che per poche lire se ne possono avere parecchie centinaia a stampa insieme a falsi timbri, e che chi è capace di rubare un animale non va tanto pel sottile a fare una firma più o meno apocrifa.

Allo scopo poi di conoscere la provenienza degli animali si stabili un marchio speciale per ogni circondario (allora distretto) e per ogni Comune, in guisa che con due iniziali si riconoscesse il circondario ed il Comune d'origine dell'animale. L'iniziale per circondario è fissa ( per Palermo; per Termini, ecc.) ed accanto poi la lettera progressiva dei Comuni per Palermo; per Bagheria; per Ficarazzi, ecc.). Anche questo era un mezzo utile alla prevenzione; ma le lettere non sono regolari né per forma, né per dimensione; cosicché ogni fabbro-ferraio può fabbricarne quanti se ne vogliano. Arrogi che ogni proprietario di mandra si può fornire un altro marchio di suo gusto.... uso e consumo e si comprenderà di leggieri che anche il marchio degenerò, e divenne un facile mezzo per ingannare la polizia ed eludere la giustizia.

Ciò posto la continuità dei mercati in paesi lontani l'uno dall'altro, il gran numero di sedicenti sensali, vero esercito di manutengoli, la facilità di procurarsi bollette e marchi d'ogni specie, il sicuro rifugio nelle grandi mandre, e le relazioni tra abigeatari, falsari e manutengoli, bastano a dare un'idea approssimativa della lunga serie di intrighi con cui il ladro ed il possono dar bazza alla più oculata vigilanza.

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La classe pericolosa per questo reato non è l'autore materiale, che poco o nulla ne ricava, ma il sensale, specie di vampiro senza fisso domicilio, e se lo ha, buono solo a tenerlo nelle buone grazie del segretario o scrivano comunale per ottenerne quante bollette gli fan comodo.

Ma v'ha di peggio; e su certe manovre giova fermarsi alquanto.

a) Il sensale fa far delle bollette e quando gli si chiedono i testimoni si mostra quasi offeso - esce, trova i primi due imbecilli, qualche volta gli stessi inservienti municipali, e, affettando l'uomo onesto offeso nella sua delicatezza, li prega a far da testimoni: (non voglio andare in carcere);Gli ingenui abboccano, si profondono in offerte e firmano. Cosi, oltre al compratore o venditore degli animali, che spesso danno falsi nomi, si salva anche il sensale e la responsabilità resta ai due testimoni di buona fede.

b) Quando una cricca di abigeatarii lavora assiduamente, il prodotto delle loro arrischiate speculazioni viene mescolato nell'armento del signor B., il quale, o come dilettante o come protettore di abigeatari e spesso anche per timore di rimanerne a sua volta vittima, offre sicuro rifugio alla re-furtiva. Nel miglior caso il padrone è ignaro di questa manovra, ma il suo soprastante, i campieri e i bestiamari, uomini di mondo, sanno che un tal favore non si rifiuta agli amici. Ora, qual funzionario dubiterà dell'onestà del ricco signor B.? e se dubita, e va a verificare, riuscirà a trovare fra tre o quattrocento animali semi-selvaggi sparsi in un vasto feudo i due rubati? E se per sua gran fortuna li trovasse, 1'indomani gli si metterà. sotto il naso la bolletta. In ogni caso il signor B., ricco e grosso elettore, prenderà l'operato del delegato come un affronto, scriverà all'amico deputato e.... il resto s'indovina sol che si rammenti che il debole fa le spese al più forte (1).

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c) Il borgese P. ha una giumenta pregna. Otto giorni prima o dopo il parto la giumenta ed il figlio (seguace) spariscono. Dopo alquanti giorni la giumenta ritorna al padrone, ma il muletto no. - Perché? - è semplicissimo: la giumenta ai contrassegni, ai marchi si riconosce e può riconoscere il padrone - il figlio no, gli si applica un marchio qualunque, si fa la bolletta, si dice che è figlio d'una giumenta propria e tutto va liscio liscio pel ladro e compagni.

d) In tempo di fiera si fanno un gran numero di bollette e storni (2). Per risparmio di tempo e seccature il sindaco firma vari registri di bollette a madre e figlia in bianco, e li affida allo scrivano o al messo comunale che deve riempirle all'occasione (persone queste la cui onestà e posizione economica di poco si elevano sullo zero) e costui fa quel che gli sembra più comodo.

Eppure gli amici sensali non si contentano della sua manica larga, e gli fanno la burletta; difatti sul più bello si accorge che manca un libro di duecento bollette firmato e bollato. Non resta che mettere nomi più o meno veri di compratori e venditori e la descrizione degli animali, e così le bollette autentiche serviranno a legittimare o futuri prodotti dell'abigeato.

e) Il signor T. è un impiegatuccio comunale in ritiro per motivi più o meno veri di anzianità- prudente, riservato, religioso e che sa far le cose a modo. Pochi lo avvicinano (non sempre di giorno) e mediante una segreta ricompensa egli s'incarica di fabbricar bollette stampate, firmate e bollate dai sindaci di vari Comuni e lontani.

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Però, siccome qui il reato di falso si esercita su vasta scala e il signor l'. non è poi tanto ingenuo come sembra e non vuoi vedere il cielo a scacchi, venditore e testimoni sono semplicemente immaginari. Un bel giorno la polizia nuta la cosa, perquisisce la casa l'. e vi trova molti registri di bollette e molti timbri comunal i.

f) Rapetti va in un lontano Comune a vendere o comprar derrate. Nei fondachi, sugli stradali il discorso è presto intavolato con un collega; si parla del più e del meno, si giunge in una borgata solitaria e si beve un bicchiere alla prima osteria. II vino scioglie la lingua a Rapetti, che del resto ha l'aspetto un po' stupido, e dice alla sua nuova conoscenza: Bene, compare, voi mi fate simpatia, ed anche il vostro asino. Volete far cambio col mio mulo? Vedete, è uno stupendo animale, ma l'annata scarsa non mi permette di tenerlo. Col vostro asino e con cento lire che mi date pel di più del prezzo tirerò avanti nei miei affari. - Il compagno, che ha bevuto molto e a spese di Rapetti, vede che nell'affare c'è da guadagnare, e conchiude il negozio. Si cambiano gli animali e le bollette che ognuno poi si farà stornare al proprio paese. L'asino e la bolletta che va al Rapetti sono genuini, l'altro animale e rubato, la bolletta falsa.

Un bel giorno la polizia ci si immischia, e il povero uomo che credeva d' aver fatto un bel guadagno, rimane come Don Bartolo, esclamando: E dire che pareva uno stupido buon uomo!

g) Il mulo rubato ad un contadino ha il marchio O. I. II sensale o il ladro trovano il mezzo facilissimo, infuocando un punteruolo, di cambiarlo in Q. L. II contadino un bel giorno riconosce la sua bestia, ne presenta la bolletta, ove si legge il marchio O. I. - Buon uomo, gli si dice, il marchio non corrisponde, perché il mulo porta Q. L. non O. I. - Allora, risponde il pover'uomo, non sarà il mio.... eppure ci rassomiglia tanto! (Lo credo, per Dio!).

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h) I camporealesi (1) hanno poi elevato alla massima finezza l'arte di far cambiar pelo, contrassegni ed abitudini agli animali equini. Sono i più audaci e incorreggibili abigeatari e manutengoli, e possiedono tutti muli (falsi, che tirano calci) per non averli rubati. Quelli che a loro volta rubano, fossero mansueti come agnelli, dopo una quindicina di giorni divengono selvaggi, recalcitranti.

E perciò se il derubato riconosce il suo mulo (dato che non abbia cambiato pelo) a tutti i connotati, sarà costretto a dichiarare che il suo era mansuetissimo, mentre quello che gli sta davanti (che è poi lo stesso) ha il difetto di tirar calci.

Cosí il ladro lo si rasenta, si denunzia, ma la Camera di Consiglio deve dichiarare non farsi luogo per insufficienza di prove, e il ladro sfugge alla pena.

Sarebbe ormai superfluo intrattenermi ancora sui vari mezzi con cui si elude la pena in fatto di abigeati; essi variano sempre, poiché la fantasia dei ladri non accenna ad esaurirsi. Quanto ho detto credo basti a provare:

1° Che l'abigeato è un reato associato, ben organizzato e meglio protetto dalla maffia d'ogni gradazione;

2° Che la prevenzione di esso, in senso diretto, ed anche la repressione ne è difficilissima coi mezzi attuali, ché anzi la bolletta ed i marchi a ciò istituiti divennero complici inconsci dei delinquenti;

3° Che senza una conoscenza esatta di luoghi e persone, una energia e sveltezza congiunte a conoscenza di diritto ed a lunga pratica le difficoltà ingigantiscono.

E dopo ciò quali i rimedi?

Osservo anzitutto che il fenomeno criminoso, come ogni altro fatto sociale, è complesso ed evolutivo, e non ai presta quindi ad una diagnosi precisa; ond'è che i rimedi non possono essere sempre gli stessi e sempre sicuri.

(1) Il comune di Camporeale si chiamava e ¡1 volgo tuttora lo chiama Macellaro, forse a motivo della gran quantità, di animali rubati che vi trovavan la fine. Gli odierni abitanti per pudore ne han cambiato il nome.

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Che ve ne siano di quelli indiretti, che appartengono al sociologo ed all'economista nessuno vorrà dubitarne, e credo non sia mio compito additarli. Mi limiterò quindi ad accennarne alcuni diretti, di polizia preventiva in senso stretto.

E primo fra essi é, come dissi, lo studio stesso del reato, ma non oggettivamente, sibbene nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni. Questo studio non sarh mai abbastanza raccomandato ai funzionari di polizia, ai quali, senza pretese ma senza reticenza, dirò che più che dalla legge il buon risultato dipende dalla loro attività, dai loro zelo e dalla rettitudine e fermezza di propositi. Studiar sempre l'ambiente sociale in cul son chiamati ad operare, rendersi ragione di luoghi e persone, non accasciarsi alle prime difficoltà, vegliar sempre, val più che tutte le misure di rigore e le disposizioni di legge più o meno ristrettive della libertà,. Guai al funzionario che si riposi da questo studio! sarebbe uno strumento inutile, un organo atrofizzato dell'amministrazione. In questo senso ilche Gaborieau attribuiva al suo Lecoq non è una figura retorica.

Quanto ai fattori dell'abigeato, che riassumo nei luoghi e nelle persone che lo perpetrano e che gli tengono bordone, ecco secondo me alcuni mezzi diretti alla prevenzione:

1° Far obbligo ai proprietari di mandre o di molti animali di tenerne un completo inventario, in guisa che il funzionario possa verificarne il numero, la provenienza e la destinazione. Per ogni animale, dopo un mese dalla nascita, tenere la rispettiva bolletta, e denunziare infra otto giorni tutte le variazioni che avvenissero poi nei contrassegni di esso.

2° Le bollette dovrebbero staccarsi dagli uffici di P. S. con modulo fisso, prestabilito, e sotto la responsabilità non soltanto degli interessati, ma ben pure dell'ufficiale che la rilascia e che all'uopo potrebbe farsi assistere da un perito maniscalco. II tergo della bolletta dovrebbe essere diviso in tanti piccoli scompartimenti per annotarvi i passaggi di proprietà come suoi farsi delle fedi di credito.

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3° II marchio comunale dovrebbe essere applicato sotto la vigilanza dell'ufficio di P. S., e così anche quello che i proprietari volessero usare per conto proprio.

4° Per controllare le denunzie dei proprietari, oltre i mezzi ordinari che ha il funzionario (come i registri del censimento del bestiame e quelli per le tasse sul medesimo) dovrebbe essergli fatta facoltà di visitare ove e quando lo creda le mandre e i relativi registri.

Si dirà che tutto ciò lede la libertà individuale e quella di commercio. è il solito ritornello! S'invoca sempre questa benedetta libertà senza riflettere a quante sciocchezze siansi commesse in suo nome? Bisogna intendersi ormai, la polizia non può far miracoli; se volete che guarentisca la proprietà dàtele i mezzi opportuni; se no se li prenderà e si griderà all'arbitrio ed alla violazione della legge! O che il codice di commercio intacca la libertà quando obbliga i commercianti a tenere registri, inventan, ecc. ecc.? Ovvero questi obblighi saranno più dannosi dell'ammonizione con le sue conseguenze?

5° Al personale di custodia, alto e basso, bisognerebbe far obbligo di denunziare al più presto le scomparse di animali all'autorità di P. S., di avvisarla delle migrazioni delle mandre, e di porla in grado di seguirne i movimenti.

I signori proprietari che si lagnano dell'impotenza della polizia poi dovrebbero convincersi che la loro proprietà è in pericolo dai momento che viene affidata a custodi di nessuna o pochissima moralità, mal retribuiti, e che unico titolo che abbiano al rispetto dei ladri fe quello appunto di esserlo essi stessi. Vero è che lupo non mangia lupo, e quindi maffioso non tradisce maffioso (1), ma è vero bensì che la maffia è una piaga sociale; bisogna combatterla ovunque e comunque, tutti, i privati coi loro mezzi, la polizia coi propri.

(1) Sebbene ciò non si verifichi mai tra ladri - e difatti il celebre capobanda Pugliese, che doveva intendersene, diceva nella sua propalazione: a I ladri sempre, prima e dopo il diluvio, si rubarono a vicenda come a vicenda si scannarono sempre i masnadieri!». Resoconto per l'avv. Aiello.


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Eppure non havvi proprietario che non si fidi troppo dei maffiosi e che non ponga in giuoco la sua influenza laddove qualcuno di essi venisse denunziato per l'ammonizione, la quale, tra parentesi, qui riesce frustrànea più che in altri casi, poiché è quasi impossibile sorvegliare persone sparse per lontani feudi, ed in migrazioni continue.

6° A quello sciame di cavallette che si fan chiamare sensali e trafficanti di bestiame bisogna applicare con mano ferma e sicura le misure di prevenzione, poiché sotto queste mentite spoglie si annidano l'ozio e il manutengolismo più perniciosi. Son essi che tengono vivo il furto degli animali, e se non fosse per loro facilitato il ricavar da quello pronti lucri, gli autori materiali diminuirebbero a vista d'occhio. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il manutengolismo è il focolare, il del malandrinaggio, e gli uomini di tutte -le polizie lo han sempre ripetuto: Senza manutengoli non si avrebbero ladri.

7° I macelli ed i negozi di carne dovrebbero essere equiparati agli esercizi pubblici, ai mestieri posti sotto la vigilanza della P. S., né si dovrebbe permettere la macellazione dei bovini senza la presenza di un agente della forza pubblica che ritirando la bolletta controllasse i contrassegni dell'animale.

A parte le sanzioni penali vigenti che autorizzano perfino l'arresto dei detentori di animali di cui è sospetta la provenienza, per le violazioni delle prescrizioni nuove che verrebbero imposte potrebbero comminarsi pene pecuniarie, ed in caso di recidiva anche il carcere.

Potrebbero per avventura escogitarsi altre misure, ma non esito a ritenere che le sole da me ventilate basterebbero a far diminuire il numero degli abigeati, sol che si pensi che esso verrebbe indirettamente colpito dalla vigilanza sulle mandre, dalla gran difficoltà di falsificare la bolletta, che fin'oggi ha reso tanto facile la dispersione della re-furtiva, e dallo sbaragliamento del più importante suo fattore, il manutengolismo.

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Rialzato così il concetto della prevenzione, diretta non soltanto al reato, ma ai suoi fattori principali, determínate per legge le misure preventive, mentre si darebbe alla polizia la sfera di sua azione chiudendo l'adito alle accuse di arbitrio e di impotenza, sarebbe legittimo pretendere dai suo personale utili e pratici servizi.

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IV.

Associazioni di malfattori.

Lo studio sull'abigeato ha posto in rilievo i legami tra la maffia della montagna o dell'interno della Sicilia e quella della marina o littorale: la prima ruba gli animali, la seconda attende a realizzarne i lucri illeciti; quella è lo strumento diretto, questa l'indiretto. Il montagnese, più ignorante ed imprevidente, si espone al pericolo maggiore; lo scaltro marínese trae il miglior guadagno dai furto, senza affrontarne la più grave responsabilità; infatti, scoperti entrambi, quello incorrerà nella pena dell'autore principale, questo, tutto al più, subirà quella del complice, non sempre necessario per la nostra legge penale. E si badi che il possesso di un animale rubato non è sempre un estremo sufficiente a costituire la complicità, perché la natura stessa del reato e gli scopi diversi cui può servire la bolletta renderanno facile al complice l'atteggiarsi a vittima di una frode, e sarà quindi sempre difficile trovare la nota chiara del dolo. Questo ho voluto dire per dimostrare che la maffia del littorale, pel suo più avanzato sviluppo intellettuale (sempre più basso dell'ordinario però), non ricorre al delitto repentino e diretto, ma è più previdente, cauta, raffinata e tecnica, per così dire. Premunirsi, dissimulare, rasentare tutto al più il codice penale, ma non attaccarlo di fronte, trovar modo di circondarsi di mistero, di deviare ed ingarbugliare l'opera della polizia, essere e non parer delinquenti: ecco la qualità dominante dei maffiosi della marina.

Richiamiamo i precedenti storici. Dissi nel primo capitolo (Fattori storici) che in sul finire del secolo passato i patrizi per nascita furono sopraffatti da una classe di nuovi abili ed abbienti che, forti, avidi e padroni della braveria,

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costrinsero gli antichi signori a ritirarsi nei grandi centri, specialmente in Palermo. I vecchi baroni vegetarono a Corte, e per respirare di tanto in tanto l'aria della campagna, si fabbricarono lungo il littorale casine e ville, castelli in sessantaquattresimo. Gli antichi e più fedeli bravi li seguirono, ed ebbero il loro posto all'ombra dei nuovi edifici; altri audaci, compromessi colla giustizia o avidi di avventure equivoche affluirono in questi nuovi asili della maffia. La vicinanza di un gran centro, la ricchezza ed il lusso dei signori, la rigogliosa vegetazione intensiva erano delle tentazioui potentissime: ivi pronti e facili guadagni, protettori influenti, nascondigli sicuri. Sorsero così le borgate del littorale, che ben presto si popolarono, come Roma dopo la sua fondazione; con la differenza che per Roma siamo nel campo della leggenda e qui in quello della nuda storia, che là si ebbe un solo collettivo ratto delle Sabine e qui il ratto permane in pieno secolo decimonono (1).

Anche adesso affluiscono nel littorale e nelle grandi città tutti gli spostati, tutti coloro che vogliono affermarsi ad ogni costo, cavalieri rusticani e genii incompresi in cerca di fortuna, o persone di equivoco passato cui abbisogna un rifugio sicuro alle insistenti ricerche della polizia, e pur troppo riescono per lo più a trovarsi aiuti e protezioni. Si sente già la braveria, con la differenza che dopo il 1860 i suoi membri han cambiato nomi e sembianze, si fanno ora passare per servitori, coloni, castaldi, clienti; e, diffatti, che cosa è la clientela se non una braveria riveduta e corretta per adattarsi al colore dei tempi?

(1) Nei paesi della Conca d'oro il contadino e l'operaio rapiscono le loro promesse spose e passano la lana di miele nei giardini a dispetto dei parenti e delle leggi. In montagna un matrimonio contrastato finisce col clandestino, matrimonio sommario ed a sorpresa avanti il parroco, di cui ci dà una stupenda descrizione il Manzoni. In marina si scappa senza preoccuparsi del prete. Cavalleria rusticana o tradizione ereditaria? Nol so: questo é certo che i2[3 Jei matrimoni delle classi basse cominciano con la fuga e sono i genitori che più tardi pensano al prete ed al sindaco per riparare l'onore offeso. Dopo qualche giorno un banchetto di generale pacificazione lava le reciproche offese e contenti gli sposi... contenti tutti.

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Quando la braveria era quasi un'istituzione riconosciuta non si nascondeva, ora invece cambia nome e maniere, ma in fondo rimane la stessa: un gruppo di violenti organizzato a danno delle maggioranze indifferenti e disorganizzate.

I vari gruppi di clienti hanno ciascuno un protettore o patrono nel paese e. nella città. Ambizione di dominio, spirito di supremazia, bisogno di ingannare i lunghi ozii, ovvero nemicizie tradizionali tra due primati di un Comune, son tutte occasioni al sorgere e costituirsi di queste clientele, che, formate per lo più da individui dei bassifondi sociali, acquistano burbanza ed audacia. Si vedono infatti carezzati e protetti e quindi cominciano a credere di essere più importanti che non pensassero. Guardano la persona e le proprietà del padrone, lo difendono nei pericoli, lo vendicano occorrendo, ma pensano principalmente a trarre il maggior profitto da queste protezioni, e delinquono per conto proprio. Él inutile dilungarmi su questo fenomeno patologico delle così dette clientele, che, se dai punto di vista amministrativo esistono per avventura dovunque, come gruppi di facinorosi sono una vera e propria privativa siciliana. Sotto le parvenze politico-amministrative, spesso si nasconde il gruppo di maffia, cosicché si rende necessario, direi quasi indi» spensabile, il bisogno di aderire, cordialmente o per timore, ad una clientela, o, come qui si dice, ad un partito. Non si comprende la vita privata e pubblica esclusivamente nel dominio delle leggi, ma sempre dentro un partito, perché l'uomo onesto, anche ricco, ma isolato, è esposto alle prepotenze ed alle vessazioni del primo venuto, mentre un volgare mascalzone trova nel partito aiuti, difensori e riguardi anche di fronte ai gruppi rivali.

É qui, io credo, il germe, la potenzialità latente delle associazioni di malfattori, anch'esse prodotto spontaneo delle condizioni storico-sociali. Si noti che qui non intendo parlare di quei sodalizi fortuiti, improvvisati ed intermittenti tra alquanti ladri, malandrini e manutengoli d'ogni specie, formatisi con un determinato genere di delinquenza,

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ma sibbene di quelli numerosi e formidabili, che, senza rubare direttamente, traggono ingenti guadagni dalla loro proteiforme industria, e che, compatti e vigorosamente organizzati nel mistero, s'impongono in uno o più paesi. In altri termini, sono superfetazioni o evirazioni del principio di associazione, prodotti negativi e morbosi di questo principio cotanto fecondo nelle evoluzioni della vita sociale, e che, secondo la frasé di un illustre sociologo, formerà una delle principali note caratteristiche e differenziali del nostro secolo. II contenuto di queste pseudo-membrane del corpo sociale si riassume nel voler prepotere al di fuori ed al di sopra della legge, sfruttandone anzi i principii liberali e di autonoma a benefizio di una cricca che qui si atteggia a partito amministrativo, là a società di mutuo soccorso agricole, operaie, ecc. Perfino le confraternite religiose non sono nel più dei casi che veri e proprii gruppi di maffia cointeressata, i quali, nemici tra loro, traggono guadagni ed influenza dalle feste, dai collettivismo delle rappresaglie e delle vendette. Non ci troviamo di fronte al delinquente isolato, brutalmente egoista, ma ad un neo-organismo tacito evolutivo di vari delinquenti. Se non temessi di profanare le grandi leggi sociali, direi che le associazioni criminose corrispondono ai sentimenti ego-altruisti o collettivisti che dir si vogliano, senza cessare di essere, nella civiltà moderna, un regresso a forme sociali primitive.

Ciò spiega il perché, tra noi, esse esistono in modo latente e sotto qualunque parvenza in tutte le manifestazioni della vita collettiva; ciò dà la genesi di quel fenomeno non per anco completamente spiegato, per cui ogni giudicabile si atteggia a vittima di un partito contrario che realmente fa da accusatore, mentre l'altro si assume la discolpa, e, non per l'obbiettività speciale dell'accusa, ma per ispirito di solidarietà. II partito, insomma, è il rifugio, è il, la causa e l'effetto di ogni più efferato delitto! Ci piace a tal proposito riportare le parole del signor Colacino, che recentemente,

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scrivendo sulla vasta e temuta associazione dellao di Girgenti, senza essere siciliano od ufficiale di polizia, cosi si esprime: «In tutti quei Comuni (Favara, Grotte, Racalmuto, Naro, Canicatti, Aragona ed altri), le inimicizie di famiglia acquistando le proporzioni di veri partiti come nel medioevo e tramandandosi di padre in figlio, provocano lotte, che, uscendo spesso dai campo domestico, entrano in quello della pubblica amministrazione, sicché le gare municipali vi sono fomentate dai privati rancori. Chi non conosce l'indole di queste popolazioni forti, svelte, intelligenti (?), ma facili al risentimento, tenaci nell'odio e nella vendetta, non può farsi un esatto giudizio di quel che fosse la pubblica quiete e la tranquillità in quei Comuni all'epoca cui si riferiscono le imprese della I più ambiziosi o astutamente malvagi, che nelle facili passioni della moltitudine videro un'arme alle loro mire di prevalenza; la plebe dei tristi, che, lusingata nelle sue cupidigie di sangue per ereditato istinto di vendetta trovò nella garentita le impunità la maggior soddisfazione dei suoi appetiti, s'intesero; l'idea di un'associazione come forza collettiva balenò alle loro menti con la luce di una verità indiscutibile, e sorse la, mostruosa degenerazione del fecondo principio di reciprocanza, che è precipua caratteristica della moderna società. Ed invero, capovolgendone il significato morale, il mutuo soccorso era in quel sodalizio canone principalissimo, poiché il suo statuto portava che tutti gli affigliati dovevano garentirsi a vicenda da ogni danno od ingiuria, senza titubanza, senza antipatie per nessuno,. Ed era legge per conseguenza l'agevolare ad un fratello il compimento» di una vendetta o di un qualunque disegno malvagio, assicurandone poscia l'impunità con l'intimidire gli offesi e fuorviare le ricerche della giustizia. La falsa testimonianza pertanto, elevata a sistema, fu una delle armi più potenti del criminoso sodalizio.

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In un simile ambiente adunque, ove il senso morale era completamente sconvolto, anche gli onesti ed i buoni, per tema di peggio, dovevano decidersi a salvaguardare i proprii interessi e la vita, ricoverandosi, o sotto le ali della (1).

Le associazioni, come si desume anche dai brano citato, han capi diretti e protettori nascosti, e questi ultimi corrispondono ai grandi manutengoli del brigantaggio, come costoro spinti a proteggere i tristi per paura, o per incolumità, o per ambizione, o per spirito di maffia, o per tutte queste cause prese insieme. Appartengono a quella classe che dai nome e dalla ricchezza trae la sua influenza, e che «più appassionatamente ambiziosa di prepotere, più impaziente» delle ingiurie, più aspra nelle gare di potere, d'influenza ed anche» di guadagno, più implacabile negli odii, più feroce nelle vendette,» ha tutta una storia di gare e rivalità ereditarie» (2), I rapporti tra e cliente non conoscono limiti: ogni persona che ha bisogno di aiuto per far valere un diritto o per commettere una violenza trova súbito posto nella clientela, con che vi porti il suo braccio e quel sentimento illimitato di solidarietà nelle imprese della stessa. «Né potrebbe essere altrimenti: una volta che esiste» siffatto stato di relazioni sociali a mano armata, chi vuoi godere» una certa influenza, o, talvolta, solamente essere rispettato nel» l'onore e negli averi, conviene che abbia a suo comando una forza» armata di una certa importanza e faccia sapere che l'ha» (3). Queste relazioni sociali venivano per la prima volta denunziate coraggiosamente dai comm. Calenda, Procuratore Generale, nel 1873, con le parole riportate dai Franchetti

Colacino, La Fratellanza. - Nella Rivista di discipline carcerarie, diretta dai comm. Beltrani-Scalia, anno xv, 1885, fase. 5-6. Ho posto un interrogativo alla parola intelligenti perché non so conciliarla con le seguenti affermazioni dell'egregio scrittore, che accennano tutte ad imperfetto sviluppo intellettuale.

Franchetti, op. cit., pag. 10.

Id., ibid., pag. 13.

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a pag. 13, e che qui ripetiamo: «Egli è mestieri che una buona volta sian rotti codesti vincoli, che, come la trista genia dei bravi ligava un tempo ai Don Rodrigo, cosi questa dei mafiosi, che son dei bravi i successori, camuffati a foggia dei tempi nuovi, stringe a talune delle classi abbienti dell'oggi. è mestieri che cessino codesti rapporti di patronato e di clientela, pei quali è agli uni assicurata protezione per quando hanno a far conti con la giustizia, agli altri l'opera del braccio, e quel potere d'intimidazione, per cui si procaccia rispetto alla persona ed agli averi, e spesso aiuto di suffragi, se del voto popolare b mestieri ad attingere alcun seggio nei pubblici consessi».

Ma è ormai tempo di occuparci dei capi e gregari diretti, tutti malfattori volgarissimi appartenenti alla classe agricola, ed in parte alla zolfifera ed operaia.

Curatolo (castaldo) o guardiano particolare, giardiniere o sensale di frutta, gabelloto o lavorante di zolfare, dai momento che un individuo si mostra noncurante delle leggi, manopronto, insofferente, brutale, e commette un paio di delitti, riuscendo all'impunità, acquista subito i titoli più valevoli alla protezione di qualche signore, all'influenza ed al rispetto degli uguali. Egli vien guardato con ossequio e timore dai più, diventa un centro di attrazione pei neofiti del delitto. Chi ha saputo conquistarsi questa posizione morale diventa una vera e propria autorità, concilia o giudica senza appello le controversie tra eguali e talvolta anche tra padroni e servi, o si asside giudice del campo nelle lotte feroci tra facinorosi; è consultato in ogni processo penale e detta consigli ed ordini che nessuno si attenta a trasgredire; i ricchi proprietari gli affidano la scelta dei guardiani dei proprii fondi, convinti che custoditi da persone oneste nulla ne ricaverebbero, mentre nel caso opposto si assicurano una parte del prodotto, molti amici e l'incolumità personale. è un'applicazione cerne un'altra del

Questo il tipo sommariamente abbozzato di un capo di associazione di malfattori.

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Tutti coloro che hanno un bisogno da soddisfare risolutamente, purché diano prove di insensibilità, di coraggio senza scrupoli, diventano gregari, dietro un noviziato più o meno lungo, ma sufficiente a convincere il capo che eglino osserveranno fedelmente lo statuto del sodalizio, che con differenze insignificanti si riassume nelle seguenti massime:

a) Obbedienza passiva, pronta, inalterata ai capi;

b) Assoluto silenzio sui componenti il sodalizio e sulle loro criminose imprese;

c) Aiuto materiale, morale e pecuniario ai colleghi, specialmente quando sono in guai (in carcere);

d) Riferire ai capi ogni cosa e non ricorrere mai all'autorità legale.

La trasgressione di uno di questi canoni fondamentali importa tradimento, e i capi non ricorrono per punirlo a varietà e graduazione di pene, ma si appigliano sempre alla stessa, pronta, sicura, esemplare e terribile... la morte.

Si è parlato lungamente di riti di iniziazione. Si racconta in tuono leggendario che dopo il 1866 girava per vari Comuni una specie di missionari, i quali andavano facendo-proseliti per una causa, che, camuffata a religiosa e politica, sotto le finte cioè di far trionfare la religione ed abbattere il Governo usurpatore e scomunicato, metteva capo realmente al delitto. Furono da costoro introdotti riti tra il mistico ed il settario, che con lievi varianti si resero poi comuni alle varie associazioni di malfattori. Il neofita veniva presentato al consiglio dei capi-sezione da due soci emeriti o padrini. «L'iniziato si inoltra nella sala e si ferma in piedi innanzi a una tavola, sopra cui si trova spiegata l'effigie di un santo qualsiasi: offre ai due compari la mano destra e questi punzecchiandone il pollice, ne fanno stillare tanto sangue che basti a bagnarne l'effigie. Sopra codesta immagine l'iniziato presta il giuramento, poi la brucia con la candela accesa; indi è salutato compare ed è il primo ad essere adoperato nella prima esecuzione deliberata in assemblea» (1).

(1) Lombroso, L'uomo delincuente, 3a ed., pag. 534, in nota.

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I soci avevano segni di riconoscimento e ben presto il tenebroso sodalizio si sparse in vari Comuni. Yuolsi che all!atto del giuramento l'iniziato dovesse anche tirare un colpo di pistola ad un crocifisso colà appeso, quasi per dimostrare che dopo avere sparato al Signore non avrebbe esitato ad uccidere qualunque persona, anche a lui cara.

Colacino, nello studio citato, riporta la formòla del giuramento. Eccola: «Giuro sul mio onore (!!) di essere fedele alla come la è fedele con me; come si brucia questa santa e queste poche gocce del mio sangue, così verserò tutto il mio sangue per la e come non potrà tornare questa cenere nel proprio stato e questo sangue un'altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la

«Correndo un pericolo doveva esclamare: Ne ho passati cento e con questo cento e uno. Con ciò, se a lui vicino vi eran degli altri, veniva soccorso e protetto. Volendo un altro farsi conoscere, domandava: (mozzicone di sigaro) (dente molare)? Alia qual domanda si risponde: l'ho. Oppure:

«- Che ora fate?

«- II mio orologio va 30 minuti indietro.

«- Da quanto tempo non va bene?

«- Dai 25 marzo, giorno dell'Annunziata.

«- Dove eravate in quel giorno?

«- Ero a... (luogo ove l'interrogato era stato ammesso).

«- Chi ci era?

«- Bella gente.

«- Chi adorate voi?

«- Il sole e la luna.

«- Chi è il vostro Dio?

«- A remi (una delle quattro specie delle carte da giuoco).

(1) Lombroso, L'uomo delinquente, 3a ed. pag. 534 in nota.

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«Questo strano miscuglio di misticismo e di cabala, di concetti sacri e di insipide volgarità senza pensiero, nel cui assieme si scorgono i rei propositi mascherati di apparenze men tristi, prova ancora una volta che nella mente dei malvagi, il nome di Dio o di un principio associato alle loro male pratiche, sembra, e qualche volta riesce, facile argomento per sorprendere la buona fede altrui e coonestare il maleficio cui consacrano la loro esistenza» (1).

Si assicura che primo a sorgere questo tenebroso sodalizio fu in Monreale, d'onde poi fu trapiantato in Parco, San Giuseppe Jato, Santa Cristina, Montelepre, Borgetto, Misilmeri, Bagheria, ecc., assumendo vari nomi, come Compari, Stoppagli (turaccioli), Fratuzzi, ecc.; e finalmente nella provincia di Girgenti, ove all'epoca della mietitura affluiscono molti contadini del settentrione, alcuni dei quali, per la loro perizia nella cultura delle viti e dei giardini, vi trovarono stabile dimora. Fors'anco concorse a questa emigrazione la polizia, che in Palermo essendo più vigorosa e scelta diede ai sodalizi criminosi tremende lezioni, cosicché molti soci non per anco scoperti, si affrettarono a trovare altrove un terreno più adatto per trapiantarvi la loro industria. Ciò dico senza voler infirmare l'opinione del Colacino, che assicura essere stato importato da un'isola di coatti il germe della

Altri assicura che questi riti e questi statuti non esistono e non sono necessari, bastando il reciproco vincolo di, l'istinto di conservarsi non svelandosi, l'infamia che colpisce chiunque ricorra alla giustizia, e l'omogeneità di sentire ed operare per rendere uniti e fedeli i membri delle associazioni criminose, timidi e silenziosi gli onesti. Sarà,dico io,ma il dubbio non sembra più possibile dopo quanto fu posto in luce dai processi di Monreale e Bagheria, e da quello recentissimo di Girgenti.

(1) Colacino, loe. cit., pag. 181-82.

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Gli stessi nomi improntati a vincoli di parentela, l'analogia di costituzione e di imprese rivelano l'esistenza collaterale ed omogenea di tutte queste associazioni antigiuridiche. Del resto è chiaramente provato che queste presentarono sempre una specie di organismo sociale tutto proprio dipendente da un'autorità primitiva e quindi fondata sull'assolutismo della forza e il cui contenuto codificate o consuetudinario fu fedelmente osservato.

O perché in questa somma di coefficienti antisociali improntati allo spirito religioso e settario stranamente deturpati deve mancare il battesimo, ovvero il giuramento di ammissione? Che se a qualcuno sembrasse inverosimile il mescolarsi del sentimento religioso in queste brutali e feroci associazioni, si rammenti che l'idea di Dio, come ogni altra, varia a seconda dei cervelli in cui si contiene, che tutti i briganti portavano indosso immagini di santi taumaturghi, e che molte congregazioni religiose sono anche gruppi di maffia.

Una volta costituito il primo nucleo del sodalizio, questo si espande rapidamente, reclutando aderenti nelle classi dei pregiudicati e dei malviventi d'ogni genere. Questa forza di espansione, dato l'ambiente antropologico e storico della Sicilia, è spaventosa e invade vari Comuni in brevissime tempo. Quelli che,timidi o deboli, rifiutassero di accedervi, vi son costretti con adescamenti e minaccie, salvo a farli tacere per sempre laddove insistessero nel rifiuto. Cosi ogni paese ha la sua conventicola, ogni quartiere la sua sezione, ogni contrada il suo nucleo, comandati gradualmente da capi, sotto-capi, ecc., che formano il gran consiglio, l'anima direttiva dell'associazione.

Ed ora: quali sono gli scopi di questi terribili e misteriosi sodalizii? Con quali mezzi vengono raggiunti?

Tutti gli scopi si riassumono in poche parole: il lucro illecito, la vita agiata con poco o nessun lavoro onesto - i mezzi anch'essi, vari nella estrinsecazione, van compresi in due motti: l'intimidazione e la violenza. - Ma questi son pure lo scopo ed i mezzi del brigantaggio!

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- SI, pur troppo: ma la differenza sta tutta nelle forme diverse del lucro, nella varia parvenza che assumono le violenze.

E qui mi si permetta una parentesi, o meglio una pregiudiziale. Molti, tra cui il Villari ed il Franchetti, e di recente più recisamente il Colacino, vedendo come nelle associazioni di malfattori predominasse il reato di sangue, vennero alla conclusione che in esse l'idea di lucro illecito fosse esclusa. Riporto le parole del Colacino. «In essa (la Fratellanza) lo scopo di furto, come argomento di común lucro, era eliminato. La Fratellanza non era un'associazione di ladri gli attentati alla proprietà potevano essere un mezzo di vendetta, poiché questa si compie contro una persona anche devastandone i beni La tendenza al sangue vi è maggiore che al furto; la Fratellanza non volle né rubare per avidità di lucro, né ribellarsi contro il capitale, né attentare alla forma di Governo. Tuffarsi nel sangue del nemico od offensore avidamente, ferocemente, impunemente, questo fu il suo ideale.

Osservo anzitutto che lo stesso signor Colacino, la cui finezza di osservazione psicologica riconosciamo volontieri, conviene in due cose: Io che alcuni degli imputati più gravemente dovevano rispondere di depredazioni; 2o che per l'obbligo di difendere i soci e di assicurarne l'impunità, chi avesse rubato per proprio conto vi era maggiormente spinto da quella specie di salvaguardia solidale. Ma la personale esperienza e l'esame dei processi già fatti per altre associazioni mi induce ad affermare che in esse il lucro illecito è uno dei cardini principali, per quanto ben dissimulato. Se il signor Colacino conosceva meglio il dialetto siciliano avrebbe osservato che la parola per eufonia locale è cosi pronunziata, ma che generalmente i dice ovvero per quella specie di carte da giuoco che nella forma e nel colore arieggiano ai marenghi.

(1) É dolce il vino, ma h più dolce ancora il sangue dei cristiani. - Rammenti il lettore quanto dicemmo avanti sulle tracce di cannibalismo da noi riscontrate.


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Rammenti ora che uno dei dogmi della Fratellanza così si manifestava: Qual é il vostro Dio? - Aremi (oro). - è chiara l'allusione? - Son d'accordo con lui finché parla di furto associato e di grassazioni; ma questi non sono che due delle infinite forme con cui il lucro illecito si realizza. Mi segua per poco, il signor Colacino, nella disamina che vado a fare delle. varíe parvenze che assume la maffia associata, e mi lusingo di convincerlo meglio.

Un primo mezzo per realizzare l'illecito guadagno consiste nel diritto che ha il socio di assicurarsi una posizione agiata e poco faticosa per vie traverse. Quando la sua riputazione di uomo serio, cioè di affigliato, è fatta, non ha che a chiedere personalmente o a mezzo dei colleghi un impiego o di guardiano particolare o di e magari di guardia campestre. Uno dei capi si presenta a tal uopo ad un proprietario e con le forme della più rispettosa devozione gli consiglia di cambiar guardiano. Il padrone azzarda qualche obbiezione, ma, sempre rispettosamente, gli si fa osservare che l'attuale guardiano è un imbecille incapace di, ovvero un ladro (?) che ha molti nemici e che facilmente tenendolo ai suoi servizi potrà risentirsene danno. Dato il caso raro che il proprietario resista ancora, il capo si ritira chiedendo scuse. Dopo qualche giorno un pezzo di giardino è devastato (taglio di alberi) e vi si trova una croce o un rettangolo di ciotoli che simboleggia un cataletto, qualche palla, aglio e sale o altro segno di minaccia terribile nella sua semplicità. II padrone raramente ricorre alla giustizia. A che pro infatti? Darà dei sospetti, ma come raccogliere la prova? E se anche questa potesse aversi con alquanti giorni di carcere il colpevole se la caverebbe, ma l'associazione con una schioppettata insegnerebbe all'imprudente proprietario a conoscere il mondo. Ond'è che ordinariamente dopo uno di questi avvisi taciti ed eloquenti al tempo stesso quegli cede, licenzia il guardiano e se il non offre il nuovo è il proprietario che lo prega di trovargliene uno di

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Ilcollocato si assicura un'apparente occupazione onesta con poca fatica e con uno stipendio fisso, poiché basta l'esser conosciuto come per tenere in rispetto la minutaglia dei ladri campestri, mentre quelli di mestiere o sono suoi amici o sarà l'associazione che li metterà. In breve egli guarda il fondo più con l'influenza nominale che gli viene dalla sua qualità di che con l'attività personale, con lo zelo, di talché gli rimane altro tempo da impiegare in minuti traffici, ed una risorsa derubando con prudenza il padrone stesso, che lo sa e tace. Ogni imprudenza di estranei, ogni è prontamente, severamente punito con la morte!

La ricchezza e varietà delle colture dà un gran valore alle acque irrigue, i cui proprietari son costretti a far amministrare e custodire dai membri dell'associazione. Questi guardiani d'acqua impongono, o meglio una regalia ai vari inquilini, se no danno mezz'ora meno di irrigazione e li fanno oggetto di vessazioni d'ogni specie. Si noti che un'ora d'acqua vale 100 e perfino 200 lire, per cui se lo inquilino rifiuta la regalia, perde la piantagione ed il guardiano vende ad un altro l'acqua rubata al primo. E se questi si lagna o ricorre alla giustizia? Muore!

Al tempo della raccolta uno della che fa da sensale (mestiere elàstico ed ambiguo) si presenta col sorriso sulle labbra ed il berretto in mano al proprietario e gli annunzia che alcuni negozianti di sua conoscenza lo incaricarono della compra del tal genere di frutta. «lo, continua, mi rammentai del suo giardino e vengo a proporle l'affare; anzi per servirla ho già concluso il negozio ed eccole la caparra.» Ma, fa timidamente il proprietario, a qual prezzo? - A tanto, signorino, risponde il sensale. - Che! amico mio, la piazza fa prezzi più alti. - Eh! non è vero... e poi è quistione di pochi soldi più o meno, vuole stare a queste inezie e per qualche centinaio di lire farmi mancar di parola? Lo sa lei che senza il guardiano che le ho procurato non avrebbe raccolto tanta produzione?

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Che figura farò io coi compratori? vorranno la doppia caparra come è d'uso. Del resto faccia come crede, io dire che lei rifiuta formalmente 6 non si vuol». - II malcapitato proprietario intravvede quante minacce, quanti pericoli nascondano quelle parole umili e melate, china il capo, si acconcia alla perdita, prende la caparra e per giunta alla derrata... paga la sensalla. - Eh per Dio! egli lo sa benissimo che un proprietario delle vicinanze per avere mostrato della riluttanza a queste vendite, per aver voluto fare di sua testa fu ucciso nel suo stesso giardino!

I negozianti (soci anch'essi) introducono alla lor volta il frutto in città, lo pongono in commercio per rivenderlo al minuto, e con un accordo ammirevole e degno di miglior causa ne il prezzo. Ecco spiegato l'equivoco del proprietario: il prezzo della piazza fatto pei ricompratori e non pei produttori - se il sensale ed il trafficante non dovessero guadagnare sugli uni e sugli altri, o perché farebbero il loro mestiere? - Eppure sorfvi di quelli che non vogliono capirla, che resistono e che minacciano uno scandalo con la polizia. Ah!... muoiano.

Palermo (e relativamente le altre città) è il centro assorbente di tutta la produzione siciliana: vuoi pel consumo interno della città, vuoi per l'esportazione tutti i prodotti dell'isola vi affluiscono giornalmente. A chi ci ha seguito fin qui sarà facile indovinare quale e quanta varietà di speculazioni subdole oflra alla maffia locale questo fatto economico-commerciale, quanti contrabbandi, truffe, camorra e frodi possa impunemente consumare abbassando e rialzando artificialmente i prezzi dei prodotti, screditando l'uno ed imponendo l'altro, monopolizzando, in breve, la piazza, la borsa ed il eredito (1).

Dai ricco gabelloto dell'interno che manda quotidianamente in Palermo cereali, formaggi ed animali da macello, al povero mulattiere che vi porta polli ed uova per scambiarli

(1) Rammento, fra gli altri, il processo dell'associazione fra sensali di frumento, mugnai, pastai e panettieri, celebre col nome di Posa,

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con merci e manufatti, nessuno sfugge alla proteiforme speculazione della maffia litoranea, che dispone di un vero esercito di sensali, magazzinieri, pseudo-negozianti e neo-banchieri... coi rispettivi fallimenti. Questi o poi han sempre mezzi pronti e sicuri per porsi in corrispondenza coi malfattori delle vicine borgate, così che, venga in città o ritorni al suo paese, l'ingenuo trafficante della montagna non è mai sicuro di arrivare sano e salvo al suo destino, perché ad ogni svolto di stradale può trovarsi di fronte a due bocche di fucile e sentirsi rintronare alle orecchie il terribile e tradizionale: Giorgio, a terra! - così svaligiato e spesso contuso e ferito prosegue il suo cammino e giunto in un prossimo paese fa la sua malinconica denunzia alla polizia, la quale corre sul posto; ma attraverso quelle foreste di aranci e di pesche profumate, in quella rigogliosa vegetazione tropical© ogni traccia dei malfattori si perde. Trova dei poveri zappatori, chiede loro se per caso avessero visto o inteso qualcosa, ma non ne ottiene che negativo monosillabiche per la semplice ragione che spesso i grassatori sono essi stessi e la re-furtiva coi facili giacciono ben nascosti in qualche vicino soleo. II prodotto di queste grassazioni rientra a suo tempo in città, lo si vende o baratta con tutti i mezzi e nascondigli che offre un centro popoloso e poi viene diviso con gli altri tra i

Ma dentro e fuori la città la maffia non ha solo l'agricoltura ed il commercio da sfruttare: vi è pure l'industria. Cosi le manifestazioni tutte della vita sociale sono messe a contributo, offrono guadagni facili, pronti, considerevoli alla maffia che sfiora bensì, ma non intacca il codice penale! - Si appaltano lavori pubblici o privati? Si vendono all'asta beni ecclesiastici o demaniali? Si dà agli incanti la gabella di un fondo, d'un corso d'acqua, d'un mulino?La maffia ci si intromette nell'interesse proprio o di un, e fa pulitamente capire che non gradirebbe che 1'asta fosse animata, che l'amico merita ogni riguardo e deve restare a lui.

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Con un cenno del capo, con l'ammiccar degli occhi, con una frase a doppio senso l'antifona è compresa e gli oblatori si allontanano placidamente. Se ve n'è qualcuno profano a queste gli si fanno capire, e se si ostina... tanto peggio per lui, prenderà ma ad un prezzo alto e poi pagherà in la sua cocciutaggine. Talora l'associazione non ha un interesse diretto nell'asta, ma non rinunzia perciò a trame profitto. Un paio di soci fanno sapere agli aspiranti che anch'essi concorreranno agli incanti e che altri amici faranno delle offerte. «Voi però non avete d'uopo di ritirarvi: se volete essere padroni del campo la cosa può accomodarsi; dateci tre o quattrocento lire e, tanto noi che i nostri amici, ci presenteremo all'asta per pura formalità, poiché dopo una breve ed effimera gara abbandoneremo a voi l'affare».

Che più? L'influenza della maffia si fece talvolta sentire anche nelle amministrazioni locali e perfino nelle elezioni politiche!

Or non è evidente che nella gran maggioranza dei casi il reato di sangue non è fine a se stesso, ma mezzo per ottenere l'illecito lucro, per punire i recalcitrante i rivali e gli imprudenti? L'omicidio impressiona per la sua gravità e perché è impossibile nasconderlo; ma quante estorsioni, quante truffe, quanti atti di maffia non rimangono nascosti? Ché se insieme all'omicidio si scopre l'estorsione, questa diventa la causa a delinquere e resta assorbita nella maggior pena di quello. Vero è che pria di ricorrere all'assassinio per le quistioni minime si esauriscono le intimidazioni con tagli d'alberi, croci, ecc. ma quando si tratta di puniré una persona sospetta di spiare la società o di comprometterla con la giustizia, o alcuno che fece ingiuria ad un socio, o un gruppo rivale di maffia, l'unico ed infallibile mezzo è l'omicidio. Questo talvolta diventa un mezzo di lucro esso stesso, un'impresa a cottimo; chi ha bisogno di disfarsi di un nemico infatti non ha che a ricorrere all'associazione,

(1) Processo Amoroso - propalazioni di Angelo D'Alba. Di questo originalissimo tipo di delinquente-nato ci occuperemo quanto prima nell'Archivio di psichiatria.

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la quale mediante un prezzo convenuto (dalle 50 alle 500 lire) s'incarica dell'affare.

La procedura più comune dell'assassinio è la seguente. Dopo che i capi han fatto, come suoi dirsi, la causa alla vittima (in contumacia s'intende), ovvero hanno riconosciuto che la sua mancanza menta realmente la terribile punizione, si tira a sorte il sicario, ovvero si dà, l'incarico della esecuzione ad un novizio per provarne il coraggio e l'obbedienza. S'ingannerebbe però chi credesse che l'operazione venisse abbandonata all'opera esclusiva del sicario; egli per lo più non fa che prender l'arma (sempre il fucile) dalle mani di un collega e scaricarlo sulla vittima, talvolta a lui sconosciuta(l). Appena fatto. il colpo il fucile passa rapidamente da uno all'altro socio appostati a breve distanza, e sparisce come per incanto, mentre il sicario facendo un giretto per le vie può accorrere sul teatro della strage come un semplice curioso. Alcuni altri soci accorrono anch'essi e mentre la polizia prende le prime misure ed ascolta, credendosi inosservata, tutte le dicerie, quelli cominciano a far serpeggiare insinuazioni e sospetti con mezzefrasi ed esclamazioni ingenue ed indifferenti. «Poverino, il morto, vero è che era un po' avaro e di carattere burbero, ma non meritava poi quella fine - aveva dei debiti e non voleva pagarli - c'erano quistioni in famiglia - aveva nemici in certi paesi - era un po' ladro di campagna - che avesse qualche relazione amorosa illecita? - Questi motti diretti a sviare la polizia dalla vera causa a delinquere e riportati dall'uno e dall'altro agente di P. S. si parano avanti al povero funzionario come tanti punti interroganti: comincia per lui un lungo lavorio di accumulazioni ed eliminazioni di ipotesi contrarie, e se è ignaro dei costumi locali abbocca facilmente a queste versioni, arresta l'uno, perquisisce l'altro, trova qualche addentellato in qualche vecchia ruggine, raccoglie facilmente alcune contraddizioni dell'arrestato e cosi si apre un processo. più tardi però gli indizi svaniscono, i testimoni dicono che intesero la tal voce dalla, specie di araba fenice comodissima perché elastica... e una sentenza della Camera di Consiglio dichiara non farsi luogo per insufficienza di prove.

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Queste arti sopraffine di allontanare la giustizia dalla vera causa a delinquere e dai veri colpevoli raggiunge una vera perfezione quando l'assassinio si commette per vendetta dell'associazione o per mandato, e se ne prepara la consumazione di lunga mano.

Il socio offeso ovvero il mandante per l'intromissione di alquanti altri soci autorevoli atteggiantisi a pacieri attirano la vittima condannata a in una bettola, in giorno di festa, ed una (desinare) clamorosa, pubblica, molto appariscente, preludia ad una finta riconciliazione. Si mangia, si beve, si brinda anche alla salute dell'uno e dell'altro avversario, che, eccitati entrambi dai si son date ampie spiegazioni facendosi scuse reciproche; quindi si abbracciano e baciano, e la pace viene suggellata con l'ultimo bicchiere. - è il bacio di Giuda, e guai all'ingenuo che lo crede sincero! Da quel momento l'associazione gli tiene gli occhi addosso, ne segue i passi, ne spia e sorveglia la vita. Passa qualche mese e magari un paio d'anni, e per un dissidio, per un malinteso qualsiasi la vittima designata scambia parole calde con qualcuno, corrono con la solita facilità ingiurie e minacce, ed alla sera quella... cade sotto un colpo di fucile!

I col solito sistema delle voci vaghe formano la voce pubblica, pongono in evidenza il diverbio recente, il nemico di ieri è ventilato, arrestato. Ma le prove a suo carico mancano perché realmente innocente, e dopo qualche giorno è rimesso in libertà. Né si creda che il vero autore dell'assassinio è il vecchio nemico col quale intervenne la finta pace. Tutt'altro: è un amico, un socio che si è incaricato dell'esecuzione, mentre il mandante si trovava con molti amici in una bettola, in caffè a fare il (passatella) o a bere la gazosa, cosicché se la polizia, troppo corriva, ripesca nel passato la vecchia nemicizia si troverà di fronte ad una legione di testimoni a discolpa che proveranno la clamorosa riconciliazione e stabiliranno in modo chiaro e perentorio dell'incolpato.

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- Si è visto il caso in cui l'esecuzione di una vendetta che interessa i fratuzzi del paese è stata assunta da quelli del comune, salvo a coloro di sdebitarsi incaricandosi di un'uccisione che stia a cuore a questi ultimi. La brutalità, e l'audacia, che per noi è vera e propria imprevidenza, furono talvolta spinte fino all'inverosimile. Si trova un imbecille,unfacinorosoqualsiasi estraneo al sodalizio e con adescamenti o minacce lo si incarica di al tale. Se rifiuta lo si ammazza come un cane, se, come avviene comunemente, accetta, si crede di esser sicuri del silenzio: nella peggiore ipotesi essendo egli l'esecutore materiale sarà lui solo condannato, e se accuserà altri o non sarà creduto ovvero sarà impossibile provare il mandato, il cui prezzo, che ha per posta una vita umana, non raggiunge spesso quello di un cavallo e magari di un asino!

O eterni e facili declamatori sull'impotenza della polizia, scendete in questa rete inestricabile di inganni, di omertà e di paure; in questo profondo pervertimento del senso morale che stabilisce l'assioma: quando c'é il morto bisogna pensare al vivo; in questo istinto atavistico è tenace della vendetta che impedisce ai moribondi di denunziare i carnefici per trasmetterla di padre in figlio e ditemi poi quanto coraggio paziente, pertinace ed imperterrito non abbisogna al funzionario che anela ad una nobile e sospirata meta, e si trova in fine con un pugno di mosche in mano, amareggiato dalle accuse dei profani e dagli incitamenti dei superiori!

Queste per sommi capi sono la costituzione, le imprese e la espansione di quel terribile fenomeno morboso che si chiama. Vorrei documentare le mie osservazioni generali coi fatti la cui triste eco si ripercuote e risuonerà ancora nelle aule dei nostri tribunali; vorrei fare una storia sommaria della Posa, degli Stoppaglieri, dei Fratuzzi, degli Amoroso, della Fratellanza e di molti altri sodalizi che, come idre dalle cento teste risorgono sempre vigorose malgrado i continui e profondi tagli che polizia e giustizia ne van facendo.

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Ma un tale studio, mentre nulla aggiungerebbe di nuovo, mi porterebbe troppo lungi dai mio compito e lascerebbe ancora il lettore in un'atmosfera che sa di sangue e di cadavere!

Quali rimedi a tanto male?

Qui non abbiamo la miseria: contadino o traficante il malfattore del litorale gode d'una discreta agiatezza; non l'abbrutimento e l'ignoranza soltanto, poiché lo sviluppo intellettuale e una tal quale istruzione vi sono comuni; non la sola eredità atavistica del sangue, poiché laddove si pensi che questa ci dà una vera minoranza di delinquenti abituali o nati, questi avrebbero dovuto finire sotto i colpi reiterati della giustizia, mentre invece si osserva che i sodalizi criminosi, decimati continuamente di membri, ne trovano di sempre nuovi e gagliardi.

Il tempo, l'incremento dell'educazione e di tutte le attività feconde della vita pubblica e privata modificheranno l'ambiente e porteranno buoni frutti, ma lentamente, attraverso parecchie generazioni. E frattanto?

Parrà audacia autoritaria la mia, ma la verità profondamente sentita va detta ad ogni costo, avvenga che pué. Uno dei rimedi più urgenti sta tutto nel rinvigorire e rinnovare gli istituti preventivi e repressivi, rendendoli forti, autonomi, responsabili, ma pronti e coscienti nel colpire il male sotto qualunque falsa parvenza si mostri, ovunque si annidi, in alto come in basso, a destra o a sinistra. Quando malintenzionati ed onesti si persuaderanno davvero che al disopra della violenza privata, comunque dissimulata, havvi la legge uguale per tutti e per tutti ugualmente forte e chiaroveggente, i primi rientreranno nell'ordine, i secondi prenderanno coraggio e il germe del male sarà estirpato. Se no... no!

Certo la polizia da alquanti anni ha dato in Sicilia, specialmente nella provincia di Palermo, prove di coraggio e di vigore non comuni, ha tolto il lato acuto del male, ha inflitto severissime e terribili lezioni alla maffia;

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ma molto le resta ancora a fare, ed il migliore augurio che io possa fare chiudendo questo imperfetto studio è appunto quella di vederla più razionalmente e vigorosamente organizzata.

«Come spunta un nuovo diritto, scrive il Pugliese (1), una nuova relazione organica sociale, così insieme spunta ad un tempo una nuova forma di delinquenza, contro la quale deve sorgere un nuovo modo di prevenzione e repressione. Ogni organismo deve obbedire, per vivere e funzionar bene, alla legge dell'adattamento nell''ambiente; ed in proporzione della perfezione di questa idoneità ai pronti e nuovi adattamenti h la perfezione statica e dinamica dell'organismo. Or bene, gli istituti penali sono come tanti organi di difesa sociale, preventiva e repressiva, e tutti devono obbedire a questa legge; oppure moriré o viver male. E quindi come per l'evoluzione sociale resta modificato l'ambiente sociale, e nuovi pericoli sorgono, e nuove relazioni si formano, e nuovi diritti si affermano capaci di nuove lesioni, e nuove spinte e causali a delinquere agitano la società, in luogo delle antiche o con prevalenza sopra di esse, così è necessario che l'organismo di difesa sociale nella sua doppia funzione si adatti prontamente ed esattamente al nuovo ambiente. Altrimenti tutti si starà male: ed il male si aggiungerà al male, la marea della delinquenza e del fango salirà, e salirà, ed all'uomo virtuoso ed onesto null'altra cosa avanzerà che gridare invano col Carducci: Liberateci da questo fango che sale, che sale, che sale».

(1) Archivio di psichiatria e scienze penali, voi. v, fase. Io, pag. 44.

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Dissi nella prefazione che non mi sembrava opportuno occuparmi estesamente dei rimedi della maffia; rimedi indiretti che l'onorevole Castagnola chiamava radicali (1) in qnantoche tendono ad eliminare, o quanto meno a modificare in bene, i fattori stessi di quella; e rimedi diretti o politici consistenti nella prevenzione e repressione della delinquenza. Dei primi si hanno studi più o meno completi nelle opere citate intorno alla maffia e per analogia in tutte quelle altre che, occupandosi della criminalità e delle sue cause, avvisano ai mezzi più opportuni per eliminar queste; dei secondi mi occuperò io in una monografia, alla quale pure accennai:

Ma la necessità mi impose di accennare qui e colà agli uni ed agli altri, ond'è che per non lasciare al lettore un'impressione vaga ed informe del criterio che io mi faccio dei rimedi, ne esporrò le linee principali.

Per la prevenzione e repressione diretta della delinquenza, prodotto spontaneo e necessario della maffia, non vedo che il mezzo più volte annunziato, una polizia idonea, autonoma e responsabile, leggi penali inspirate, non al sentimentalismo dottrinario e patologico che vede un presunto innocente in ogni imputato, ed un soggetto emendabile in ogni condannato, ma al concetto più sano, più giusto, scientifico ed umanitario ad un tempo, quello cioè della sicurezza sociale.

(1) Villari, Lettere meridionali.

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La riforma della polizia, incominciata nel 1877, negli ultimi anni è stata attivamente continuata dall'illustre uomo di Stato che dirige la nostra politica e presiede al Governo, riforma che riguarda la materia stessa dell'istituto di polizia (1), ed il personale di essa (2). Ma siamo ancora ben lungi dall'avere una polizia unica nella divozione, pronta' ed elastica nei suoi movimenti, libera da preoccupazioni estranee alla sua missione, come la si ha in Francia, in Inghilterra e in parte anche nella Germania. Come nelle altre istituzioni amministrative così anche in polizia ci sentiamo nelle vecchie e rigide forme delle leggi piemontesi, e le riforme non fanno che ritoccarle, ma non rinnovarle integralmente ed organicamente. Deriva da ciò che mentre l'evoluzione sociale procede rapidamente e fatalmente, scoprendo nuovi orizzonti tanto all'attività positiva e feconda, quanto à quella infeconda ed antigiuridica del corpo sociale, l'organo della prevenzione e della repressione rimanendo cristallizzato nelle vecchie forme riesce o impotente o arbitrario.

Nella riforma penale abbiamo seguito pure una via lunga e tortuosa, poiché non ci siamo preoccupati di avere un codice adatto al nostro clima storico, ma più principalmente di averlo perfetto, migliore degli altri popoli; e cosi il desiderio dell'ottimo ci ha privato del meno peggio. Gli studi su di esso, ufficiali e scientifici, sono un vero monumento di scienza penale, ma che non è riuscito a liberarci di quel primato della delinquenza al quale certamente non pensava il Gioberti scrivendo le stupende pagine del suo

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Dimentichiamo cosi che «senza un organismo governativo forte e durevole, di cui esso segna lo svolgimento, mai una società raggiungerà un gran progresso (2)».

Per ciò che si riferisce ai rimedi indiretti di prevenzione sociale, che la scuola positiva di diritto penale chiama sostitutivi penali, mi basterebbe riportarmi allo studio dei fattori della maffia e dire: «Quando li avrete eliminati non avremo più maffia». Il far lo però è ben più difficile che il dirlo; epperò mi si permettano alcune osservazioni relative.

I fattori storici che si completano in quelli che chiamai politico-amministrativi, ci condussero a questa conclusione: Il popolo siciliano abbrutito dalla miseria e da secolare servitù era impreparato alla libertà, non seppe usarne, ond'è che rimane estraneo alla vita pubblica, fonda il suo diritto nella violenza privata, vede nel Governo un nemico più o meno forte da combattere subdolamente, e i pochi abili coalizzati sfruttano le forme liberali dell'amministrazione. - Occorre quindi che si persuada del contrario; che sia reso idoneo al sentimento sano della libertà con una larga e ben intesa educazione popolare; che si abitui a vedere nel Governo il curatore geloso e provvido degli interessi collettivi da un canto e dall'altro la sola forza onnipotente perché la sola legittima.

Scuole infantili e popolari accessibili alle basse classi sociali pertanto, che adesso non abbiamo: tutela, controllo governativo più efficace nelle amministrazioni locali, specialmente dei piccoli Comuni, oggi in preda al disordine morale ed economico per l'audace impunità delle piccole clientele; e, torniamo sempre a ripeterlo, affermazione rigorosa del principio di autorità scalzando la violenza privata ovunque

(1) Beltrani-Scalia, La riforma penitenziaria, Roma, 1879; Lombroso, Sull'incremento del delitto; L'uomo delinquente, ecc., l'orino, Bocea; l'erri, Studi sulla criminalità in Francia; I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, ecc., e tutte le opere formanti la Biblioteca antropologico-giuridica, edita dai fratelli Bocca.

(2) Spencer, Introduzione alla scienza sociale, cap. 3°, pag. 63.

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e comunque si manifesti, creando all'uopo organismi ami ministrativi autonomi ma responsabili (1).

Osserviamo invece che le riforme preparate tendono ad allargare sempre più l'autonomia irresponsabile dei Comuni ed a restringere l'azione equa e tutrice del Governo centrale rendendolo sempre più lontano dai governati in grazia di quella frase che, come tante altre , ha fatto fortuna: II miglior Governo è quello che governa meno. - Tutti oggi ripetono decentramento,ma pochi per avventura se ne formano un criterio pratico, organico, adatto al nostro clima storico. Si inneggia al inglese e si dimentica che esso in Inghilterra è il prodotto vivo, spontaneo, storico, della coscienza pubblica e non l'importazione, il d'una legge qualsiasi soprapponentesi aduna società impreparata. Colà le leggi si limitano a riconoscere e sanzionare i fatti compiuti, da noi con le leggi si vogliono creare i fatti: ivi le leggi si adattano agli uomini, qui gli uomini si vogliono plasmare secondo le leggi, inspírate ad un credo politico-amministrativo che non è sempre Condeso dalle masse; colà si hanno più tradizioni che leggi, noi abbiamo troppi codici simmetrici e pochi costumi giuridici.

I fattori economici si completano con quelli fisici, e si riassumono nel latifondo. Si è da molti proposta l'abolizioúe di esso ed una legislazione agraria che presieda alle relazioni tra proprietario e contadino, prevenendo ogni abuso. Con tutto il rispetto che questi illustri pensatori mi ispirano, mi permetto di essere di parere contrario. Un attacco diretto al latifondo scontenterebbe i proprietari e i gabelloti senza contentare i contadini incapaci di trame vantaggio; creerebbe pericoli serii,

(1)

Baer, Il decentramento in Inghilterra e le sue possibili applicazioni in Italia; Bonati, Della responsabilità penale dei ministri e degli altri pubblici funzionari; Carpí, L'Italia vivente; Franchetti, Dell'ordinamento interno dei Comuni rurali; Gueist, Lo Stato secondo il diritto; Manfrin, II Comune e l'individuo in Italia; Minghetti, I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell'amministrazione; Mosca, Sulla teorica dei Governi e sul Governo parlamentare; Turiello, Governo e governati in Italia.


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morali ed economici, spostando violentemente i rapporti sociali e scuotendo le basi stesse della produzione. Chiarirò brevemente questo concetto con due esempi.

a) L'alienazione dei beni ecclesiastici tendeva evidentemente a creare la piccola proprietà e, ponendola in concorrenza con la grande, dimostrare con l'evidenza quanto quella sia più feconda. Ma le condizioni intellettuali, morali ed econòmiche del contadino siciliano frustrarono le buone intenzioni del Governo, il quale, mentre vide accrescere il latifondo che voleva combatiere (checché ne dica in contrario l'illustre prof. Corleo), raccolse il malcontento del povero fomentato dai componenti delle corporazioni disciolte.

b) Nel litorale non esiste il latifondo; la proprietà divisa, frazionata e stupendamente coltivata; il contadino sta economicamente meglio che in ogni altra regione... eppure la maffia vi del pari potente e tetragona alla repressione.

Da questi due fatti in apparenza contraddittorii traggo una sola conseguenza: La causa principale della maffia non risiede nell'ordinamento economico, ma nella mente e nel cuore del contadino, nelle condizioni storiche e morali dell'ambiente. Non modificando l'uomo avremo sempre le stesse conseguenze atterrando anche il latifondo. Bisognerebbe del resto essere ciechi per non vedere come questo va deperendo a vista d'occhio, fatalmente. Le leggi che indirettamente ed insensibilmente ne intaccano là vitalità (1), la stanchezza della terra sfruttata da secoli dalla coltura dei cereali, la concorrenza vigorosa dei grani esteri, l'emigrazione e molte altre cause impalpabili ma non meno vere, lo preparano ad una trasformazione omogenea, lenta ma continua, e costringeranno proprietari, gabelloti e contadini a compierla, a meno che non vogliano suicidarsi economicamente, ciò che ripugna al buon senso.

(1) E fra esse quella sulla perequazione fondiaria, cotanto combattuta dai meridionali, vi apporterà l'ultimo crollo.

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Questa trasformazione anzi è incominciata e si osserva procedendo dalla marina alla montagna, cosicché, come il flusso e riflusso del mare, la maffia venne dall'interno al litorale, e per legge corrispettiva il progresso morale ed economico dai litorale risale alla montagna. Molti patrizi infatti non isdegnano più di occuparsi direttamente della coltura dei proprii beni, l'incremento del vigneto e della coltura intensiva sensibile, l'industria nascente dei nostri vini accenna ad una non lontana e florida vitalità. Dal canto suo il Governo non risparmia lavori pubblici, incoraggiamenti e soccorsi d'ogni specie.

11 verme che rodé profondamente la classe agrícola non si annida soltanto nei contratti agrarii, ma principalmente nell'usura più che ebraica che ne divora tutte le risorse e più che metà della produzione. Tate che il contadino trovi ad equo interesse il piccolo capitale, amministrate meglio il suo patrimonio, ed egli risorgerà, a nuova vita e benedirà, la mano potente e visibile che lo solleva moralmente e lo spinge alla prosperità. I dotti volumi sull'inchiesta agraria e su quella delle opere pie son 11 a ripeterlo, e constatiamo con vero compiacimento che sotto questo punto di vista il Governo si mostra animato da una vigoria e buona intenzione innegabili. Una delle prime necessità quindi riposta nell'ordinamento del credito agrario (1).

La classe dirigente e politica però e più ancora quei tali che troppo rivolti all'avvenire dimenticano il presente e sognano la panacea universale nella parola, sembrano schivi degli studi particolari e pratici, e si dibattono attorno ad una frase che, imbrandita come una clava a scopi diversi, fa strage del senso morale o si scioglie in un mare di retorica. 11 desiderio di un tutto irrealizzabile, minaccia il poco già realizzato!

La quistione sociale, ecco là gran frase. Se vivesse ancora l'autore del dizionario sulla fortuna delle parole, son sicuro che ce ne avrebbe regalato un altro su quella delle frasi.

(1) Vedansi in proposito le opere dello Allocchio, del Gasea, del Luzzati, Mangili, Viganò, Levi, Petitti di Loreto, Vitali ed altre più recenti che non abbiamo potato consultare.

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Lontana da me l'idea di voler fare dello spirito in una materia tanto importante quanto controversa; la stessa produzione letteraria e scientifica a cui ha dato luogo ne impongono irresistibilmente la serietà del contenuto, e siamo tutti d'accordo nell'affermare che dovunque c'è un malessere sociale che si rivela nella delinquenza, nel suicidio ed in altri fenomeni morbosi, evvi una quistione che va studiata accuratamente e coraggiosamente, come fin qui abbiamo fatto noi.

La controversia e la lotta incominciano quando si cercano i mezzi di risolverla, i rimedi.

Alcuni credono di averli trovati nella libertà e nelle riforme politiche. Noi invece aspiriamo alle riforme pratiche, parziali e modeste che, conservandoci il gran bene dell'unità nazionale e quegli altri minori che 25 anni di essa ci hanno acquisiti, valgano a preparare organicamente e senza scosse un migliore avvenire. Queste riforme si contengono tutte nel dominio dell'amministrazione, e non in quello della politica: amministrazioni locali, servizi pubblici, liberi si, ma efficacemente controllati dal Governo centrale, responsabilità e giustizia per tutti (1).

Molti lo hanno detto e chi vive in mezzo al popolo non per lusingarne con falsi miraggi le passioni,ma per interpretarne i bisogni e i malcontenta lo ripeterà continuamente: Esso non ha sete di maggior libertà, sente inconsciamente di averne già troppa perché la giudica privilegio degli audaci coalizzati, ma di giustizia e di buon governo; esso non pensa al suffragio universale perché non sa che farsene, ma al sollievo economico ed all'incremento della produzione, suffragio più solido e nutritivo.

(1) L'indole di questo studio non ci consente una larga disamina di queste riforme, largamente sviluppate nelle opere citate dei Baer, Bonasí, Minghetti, Cardòn, l'uriello, ecc.

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Punto con la libertà e le riforme politiche, avanti con la giustizia e le riforme amministrative; se no, Dio ci guardi, l'istruzione continuerà a creare spostati, sognatori, vaghe aspirazioni e pericoli tremendi, gente che non chiederà più, ma prenderà e strapperà più di quello che gli è dovuto; la giustizia s'indebolirà sempre più; l'amministrazione darà risultati negativi e ci accorgeremo tardi di aver innalzato il grande edifizio nazionale per distrarlo come il fanciullo fa del suo castello di cartone; e l'Italia morrà ridendo come morì Margutte, direbbe il De-Sanctis, per l'antinomia tra l'essere ed il parere, tra il pensare ed il fare, tra le idee ed i sentimenti, tra l'arcadia letteraria e scientifica ed il feticismo per un sillabo politico più irrealizzabile e più funesto di quello con cui il Vaticano voleva arrestare il corso del pensiero umano!

Ma vedo che anch'io casco nella rettorica e che mi si potrebbe dire: Padre Zappata, voi predicate bene e razzolate male. - Ebbene, se ho torto che il Dio che illumina la stella d'Italia mi condanni alla pena dei falsi profeti, obbligandomi a vedere un giorno in cui le mié lugubri previsioni siano smentite dai fatti.

Allora, ma allora soltanto, reciterò il e chiederò l'assoluzione del mio grosso peccataccio... quello di aver fatto gemere i torchi sulle miserie della mia terra natale.

Amen, direbbe l'on. Petruccelli della Gattina.

Conclusione



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