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Dalle bonache alle cosche di Zenone di Elea - 28 Agosto 2012

Fonte:
"La Sicilia", 13 febbraio 2011

L'antimafia non è un'ambigua legalità

DINO PATERNOSTRO


 LA SINTESI. «Va strettamente legata con la giustizia sociale
 - sostiene - affinché possa essere difesa dai cittadini» "


Questo mio libro - dice Giuseppe Carlo Marino - spero che potrà aiutare nell’interpretazione del fenomeno mafioso, in un quadro unitario, che dalla Sicilia si estende al mondo intero.

Il mio è, oso dirlo, il primo modello interpretativo del genere, il primo in assoluto. Nella decisione di scriverlo c’è una mia personale disperazione, civile e politica. Trovo disperante, infatti, che - a dispetto di tanto parlare e scrivere di mafia, di mafie, di mafiosi, di eroi e di morti ammazzati - si continui a dire e a scrivere, sia a destra che a sinistra, che la mafia è un fenomeno di "criminalità organizzata", senza coglierne la vera natura, che è quella di un sofisticato e permeante sistema di potere illegale, così intrecciato con quello legale da ottenerne di fatto un’ufficiosa legittimazione.

Solo se si capisce questo, si capisce anche perché la mafia stia diventando ovunque più forte.

La globalmafia (cosa ben diversa e ben più sofisticata della pura e semplice criminalità più o meno organizzata) si avvita al capitalismo globale come un serpente al tronco". Nell’analisi del professore Marino una questione centrale nella comprensione del fenomeno mafioso è il tema della mafia dei "colletti bianchi".

"Anzi, è la questione", afferma. Per primo fu lo studioso toscano Leopoldo Franchetti, durante la sua approfondita inchiesta sulla Sicilia del 1876, a rendersi conto del rapporto organico che intercorreva tra l’aristocrazia agraria (i baroni) e il brigantaggio. E aveva ben compreso che parlare di mafiosi (quali protettori e complici di briganti) era quasi la stessa cosa che parlare di baroni e, un po’ in subordine, di gabelloti. "A quei tempi - aggiunge Marino - la vera mafia, la mafia-mafia, quella di cui la criminalità brigantesca era il braccio armato, la si sarebbe potuta opportunamente definire "mafia in guanti gialli". Già allora esistevano i borghesi "colletti bianchi" (notabili, mediatori, affaristi, politicanti, notai, avvocaticchi, ecc.), variamente partecipi dell’universo mafioso. Ma sarebbero balzati in primo piano negli anni successivi, in gran parte ereditando e "modernizzando", attraverso attività "borghesi", ovvero capitalistiche, evolutesi fino a quelle assai raffinate dell’attuale globalmafia, l’egemonico ruolo mafioso svolto in passato dai baroni e dai loro gabelloti". Il libro di Marino, sfidando disattenzioni e luoghi comuni, cerca di arrivare ad una spiegazione il più possibile compatta e convincente, che comporta anche una riflessione sull’attuale stato di salute della democrazia nel mondo.

"Purtroppo - sottolinea ancora lo storico palermitano - avrei anche altri motivi per dirmi disperato.

Trovo infatti disperante il fatto che si insista nel proporre l’azione antimafia in termini di difesa di un’astratta e ambigua "legalità", a fronte di una mafia che, nelle sue più varie forme, viene spesso di fatto "legalizzata", mentre è vero, piuttosto, che non esiste una qualsiasi legalità che sia degna di essere tutelata e difesa se non coincide con la giustizia sociale.

Al contempo, mi sembra scandaloso sentir dire che combattere la mafia sarebbe un compito da realizzarsi al di sopra delle contrapposizioni politiche tra "destra" e "sinistra", nel segno di uno spirito legalitario al di sopra delle parti. Tanto ecumenismo potrebbe proporsi se la mafia fosse solo "criminalità organizzata" e non un preciso fenomeno di potere, come lo è in Messico, in Russia e - temo - anche in Italia".


Ecco cos'è la «Globalmafia»

In un libro lo storico Giuseppe Carlo Marino analizza la criminalità organizzata di questo terzo millennio, auspicando che per combatterla in maniera efficace possa nascere una «internazionale» della lotta all’antistato

DINO PATERNOSTRO

Ha dovuto ricorrere al neologismo "Globalmafia" il professore Giuseppe Carlo Marino per descrivere la mafia di oggi, sempre più in sintonia con "i tempi moderni", che si moltiplica nelle mafie.

Dal singolare al plurale, con varie dizioni "nazionali" e con un ruolo ormai molto vistoso della ’ndrangheta e della camorra. La "Globalmafia", che alle attività criminali tradizionali è in grado di cumulare attività criminali inedite, operando un mix sempre più pericoloso e difficile da combattere. Accanto al tradizionale narcotraffico, infatti, ormai c’è lo smaltimento dei rifiuti tossici, il traffico di organi per i trapianti, il commercio di esseri umani costretti a moderne schiavitù. Ma, soprattutto, un’economia illegale, alimentata da una dilagante corruzione, e il controllo dei grandi flussi finanziari nel mercato mondiale dei capitali. Infatti, la mondializzazione dell’economia reca con sé anche il fenomeno della mondializzazione sia della "cultura" e degli stili della mafiosità, sia delle attività della mafia moltiplicatasi nelle mafie. Tutti dati inquietanti, differenziati per ambienti sociali, territori, volti e lingue, ma tutti riconducibili a un concetto originario e unificante. Per provare a combattere la "Globalmafia" non sono più sufficienti gli strumenti, anche sofisticati, dei singoli Stati. Ci vuole, invece, una vera e propria antimafia mondiale.

Sulla base di questo ragionamento, il professore Marino ha usato proprio il termine "Globalmafia" per dare il titolo al suo nuovo libro (il prossimo 16 febbraio sarà nelle librerie, edito da Bompiani). E come sottotitolo ha voluto usare la frase "Manifesto per un ’Internazionale antimafia". Un libro "militante", dunque, che contiene un contributo di eccezionale importanza del procuratore Antonio Ingroia, che vi approfondisce l’idea di una "Procura internazionale antimafia", lanciata nel novembre dello scorso anno. Sulla copertina del libro è riprodotta una splendida pittura del maestro Gaetano Porcasi, che si trova in esposizione permanente nel Laboratorio della legalità di Corleone, ospitato nella casa confiscata al boss mafioso Bernardo Provenzano.

Marino, che a Firenze negli anni ’60 fu allievo di Giovanni Spadolini, insegna storia contemporanea nella facoltà di scienze politiche dell’Università di Palermo. Ha scritto tanti libri di successo, tradotti in numerose lingue, tra cui "Storia della mafia", "I Padrini" e "La Sicilia delle stragi".

Quali sono i contenuti di questo libro? "Non si tratta di una delle solite narrazioni di misteri, orrori e misfatti di mafia - risponde lo storico palermitano - ma di un testo agile e compatto che, nel costruire un quadro interpretativo unitario del fenomeno mafioso, spiega che cos’è la globalmafia. Alla base della scelta di scriverlo c’è certamente la volontà di offrire ai lettori una specie di epilogo della mia lunga esperienza di ricerca e di riflessione sull’argomento, ma soprattutto uno slancio di passione civile, sotto la molla di un’altrettanto civile disperazione. Una disperazione la cui origine è tanto culturale e scientifica, quanto è decisamente politica. Da storico, non posso non ricordare che nei lontani anni Venti del secolo scorso il prefetto Cesare Mori guidò con efficacia una grande operazione di polizia, che avviò al confino di polizia e alle patrie galere migliaia di criminali, proprio mentre la vera mafia, la mafia dei "baroni", stava realizzando un’alleanza con il fascismo, che ne avrebbe fatto un apparato segreto fondamentale per la tenuta del regime di Mussolini in Sicilia e nel Mezzogiorno. Mi chiedo: mutati i tempi e mutato l’orizzonte strategico delle attività mafiose, che cosa di analogo sta accadendo oggi? La risposta cerco di fornirla nel libro. Mi sembra di poter registrare una contraddizione clamorosa tra i successi dell’azione contro la criminalità organizzata e le dinamiche che vanno rendendo la mafia (moltiplicatasi nelle mafie) sempre più forte, dati i rapporti che ha saputo istaurare non solo in Italia, ma nell’intero sistema di potere politico-economico della globalizzazione. Naturalmente, per capire la contraddizione, e per non cadere nella mistificazione che ne consegue, occorrerebbe avere idee ben chiare sulla vera natura del fenomeno mafioso".







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