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Noi siamo affezionati al libro di Carlo Scarfoglio. Lo scoprimmo una trentina di anni fa, cercando nella biblioteca Gambalunga di Rimini testi sulla storia del Meridione.

Insieme a "La conquista del Sud, Carlo Alianello" e a "L'Unità d'Italia: nascita di una colonia, Nicola Zitara" diventò uno dei nostri compagni migliori dei primi anni di permanenza in Padania.

E' un testo che pochissimi hanno letto e in pochi ne conoscono l'esistenza (ci vengono in mente solamente Zitara e il proprietario della libreria Neapolis di Napoli).

In rete lo abbiamo trovato citato solamente in lingua francese!

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Homo mediterraneus*

Tratto da "IL MEZZOGIORNO E L'UNITA' D'ITALIA"
di Carlo Scarfoglio, Parenti Editore, Firenze 1953 (cfr. pagg. 20-28)

La lunga storia della lotta tra l'aristocrazia romana dei Patres, e la plebs, nella quale quello che i Patres rimproveravano agli avversarii era la mancanza di quello che negavano loro, cioè il matrimonio regolare di diritto paterno (nubent more ferarum), il diritto del Padre di dar le sue figlie in matrimonio (mito di Virginia) etc., è stata raccontata da Livio, e spiega chiaramente come questo istituto abbia potuto, una volta diventato non più oggetto di dissidio, ma di competizione, allargarsi cosi completamente da obliterare, in tutte le classi sociali, ogni traccia dell'istituto precedente.

Le permanenze delle forme più antiche del diritto paterno sono rimaste nel Mezzogiorno fino ad epoche incredibilmente tardive, cosi che bisogna credere che nel Mezzogiorno il diritto paterno abbia spinto radici più profonde che altrove; cosa che è confermata, del resto, dai costumi ancora in vigore nel popolo, nel quale fino all'attuale generazione il rispetto del Padre è assai maggiore che ovunque altrove, e l'abitudine dei figli di baciar la mano al Padre e di parlargli in seconda persona non è ancora scomparsa.

Si noti ancora che si può trovare nel poeta dialettale Cortese come nel 1600 fosse ancora in vigore nel Mezzogiorno l'uso della sublevatio, uno degli istituti più antichi e allo stesso tempo più tipici del diritto paterno, per il quale non era legittimo il figlio o la figlia se, dopo che erano stati posti a terra dalla levatrice, il Padre non li avesse sollevati, o avesse dato l'ordine che fossero sollevati.

Anzi nel Cortese è la prima forma, più antica e più genuina (aizala, cumpà, dice la levatrice al Padre) che appare esser stata in vigore. Queste osservazioni mostrano che realmente il sabellismo si è sposato totalmente all'anima delle stirpi meridionali e ha formato con esse un ethos unico. Non è necessario di dire che a questa conclusione non si oppone il fatto che le stirpi meridionali non sannitiche abbiano conservato la loro indipendenza e si siano atteggiate politicamente in maniera differente e anche ostile ai Sanniti, perché è materia di comune conoscenza che popoli dello stesso costume si sono combattuti e si combattono ferocemente.

In realtà, se andiamo alle origini, riconosceremo che quello che forma l’ethnos comune è l'ethos comune per lungo passar di generazioni; e questo è quanto è avvenuto nel Mezzogiorno nel Il e 1 millennio, fino alla rottura del baluardo sannitico da parte dei Romani. Ma un terzo elemento si è fuso in questo crogiuolo, l'elenco greco delle Città costiere. Qui sopratutto la fusione è avvenuta in seguito alla lotta tra il demos locale a riti chthonii ed a diritto materno e le nuove aristocrazie a riti pubblici e maschili ed a diritto paterno. Mentre infatti l'aristocrazia romana dei Patres ha dovuto lottare con una plebs che era dello stesso sangue e della stessa lingua, perché era formata dalle popolazioni latine della bassa Valle del Tevere, i Greci delle Città costiere del Mezzogiorno hanno dovuto lottare con un demos di lingua e di razza differente, perché essi non avevano portato con loro, indubbiamente, il loro demos dalla Grecia. Il Grecismo si è dunque mescolato alle stirpi meridionali indigene attraverso l'assorbimento dei demoi circostanti.

Cosi troviamo come elementi formativi dell'ethnos meridionale, anzitutto, la vasta piattaforma delle stirpi originarie, quelle che abitavano indubbiamente il Mezzogiorno nel II millennio av. C., e che era già preparata alla fusione col Grecismo da un attivo rapporto di scambi, di commerci, e di passaggio di culti; il sabellismo, che occupando il centro della penisola ha trasformato il suo ethos e i suoi culti fino a dove giungeva la sua influenza, e ha probabilmente avuto in questo fenomeno il peso più decisivo e più importante; il Grecismo, che fondendosi colle popolazioni costiere ha addolcito il durissimo costume sabellico - tetrica gens Sabella, la chiamavano i Romani, che pure non erano di vita facile - e ha mantenuto costantemente aperte le vie del mare, aumentando fino al massimo possibile quella immersione del Sud nella vita delle stirpi del Mediterraneo meridionale e orientale che gli è sempre stata assai più naturale, più istintiva, più profittevole che qualunque legame cogli affari del resto della Penisola.

Non è necessario dire che la formazione dell'ethnos settentrionale è stata differentissima. Trascurando il mito della «discesa dal Nord», per il quale non abbiamo nessuna base scientifica, tutto quello che ci dà il poco che è rimasto dagli scrittori antichi, tanto parchi di notizie per quello che riguarda il Settentrione d'Italia quanto ricchi per quel che riguarda il Meridione, è l'esistenza di popolazioni sparse, nominate Ligures nell'Occidente, Veneti nell'Oriente, sulle quali ad una certa epoca si stende la grande coperta Etrusca (tal Tevere all'Arno fino alle foci del Po.

Successivamente sappiano con sicurezza che le Alpi sono superate da una invasione storicamente accertabile di tribù Celtiche, le quali battono a poco a poco gli Etruschi e contendono loro il territorio, meno fortunatamente in Occidente, più fortunatamente in Oriente, fino a stabilirsi, da questo lato della Penisola, sul Rubicone, è difficile dire quanto gli Etruschi prima, i Celti dopo, abbiano contribuito fisicamente, come mescolanza diretta di sangue, alla formazione dell'ethnos di questa vasta regione; indubbiamente tuttavia vi è stato un lunghissimo regno di culti, conseguentemente, di costume e di vivere, tenuto dagli Etruschi prima, dai Celti poi, cioè da due civiltà, quali che siano state, completamente estranee alla formazione meridionale.

Dall'altro lato è indubbio che per le Alpi le stirpi settentrionali e centrali hanno comunicato molto coll'esterno, perché mentre tutti i passi alpini conservano ancora tracce di frequentazione antichissima, esistono anche vere e proprie vie commerciali, aperte indubbiamente dopo l'invasione celtica, come quella del Piccolo San Bernardo, sul cui passo esistono ancora i resti del tempio celtico a Pen, poi trasformato dai Romani in quello di Iupiter Perminus, secondo il sistema romano. E poiché le vie commerciali antiche conducevano da un Santuario all'altro, è indubbio che la strada del Piccolo San Bernardo terminava nell'Ad Penninum, che è il vero nome dell'Appennino toscano-emiliano, poi esteso a tutta la catena interna italiana; e si può notare che la forma ad indica precisamente, l'esistenza di un Santuario.

E' una catena che si potrebbe far giungere fino ai Pennine Range, in Inghilterra, che anch'essi hanno avuto il nome da Pen. La toponomastica di tutta la Valle Padana, cosi tipicamente celtica, dimostra che, anche sotto il predominio etrusco, quel celtismo che ha dato la forma definitiva etnica al massiccio dell'Europa centrale, dalla Bretagna per la Francia fino alla Germania e almeno fino alla attuale Czecoslovacchia, aveva unito etnicamente tutto il Nord di Italia a questo grande crogiuolo.

Non si può quindi non concludere che mentre niente dice che le stirpi originarle siano state le stesse nel Meridione e nel Settentrione d'Italia, anche la formazione successiva, i contatti coll'esterno, la direzione geografica, la direzione politica, e, infine, il culto ed il vivere sono stati per l'una e per l'altra assolutamente differenti, e, si potrebbe anche dire, contrarii, almeno in quello che riguarda la direzione politica e geografica.

Non era possibile che non si creassero lentamente dei tipi antropologici differenti. Il primo, quello settentrionale, appartiene a quello del massiccio dell'Europa Centrale, fatto di una sovrapposizione del Celtismo all'homo alpinus. Il secondo tipo antropologico non può esser invece definito che come homo mediterraneus. Su una piattaforma di stirpi mediterranee pure le sole immissioni sono, se possibile, ancora più mediterranee; il sabellismo che forma la colonna vertebrale del sistema non sembra dovere alla Sabina propria altro che il nome originale, che è stato probabilmente una forma di distinzione religiosa, non etnica; per il resto, infatti, non troviamo tra la Sabina e il Sannio antico alcun doppione toponomastico, alcuno di quei segni che indicano la provenienza da una determinata regione. Al di fuori del sabellismo, in tutta la zona costiera, se vi sono immissioni, nuovi arrivi, sono tutti mediterranei puri. E' difficile immaginare due formazioni etniche cosi differenti.

Ma dall'altra parte, è innegabile che fino a quando il mezzogiorno ha vissuto la sua vita mediterranea pura, senza esser mescolato ad altri affari che ai proprii, che non erano che affari mediterranei, esso ha vissuto la sua grande epoca. La potenza, la forza e la ricchezza alla quale giungono in poco tempo le Città greche del litorale supera di molto persino quella straordinaria espansione della Grecia propria, che pure ha dato i meravigliosi frutti dell'epoca periclea.

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In Italia il genio greco sembra aver polinoni più grandi, o più aria da respirare; quel particolare carattere dell'ellenismo che è la megaloprepeia, la grandezza della visione e della concettuazione nell'arte, nei monumenti, nella politica, nella vita pubblica e privata trova nel Mezzogiorno d'Italia un ambiente ancora più favorevole, si direbbe, che nella piccola e ristretta Grecia. Ma quello che è notevole è che in nessun luogo si ha la sensazione che si tratti di un puro e semplice fatto di importazione. Le date, del resto, smentirebbero una interpretazione cosi ristretta. E’ strano a dire, ma il linguaggio delle date parla in senso differente; come se l'importazione fosse stata dall'altra parte. E’ in ogni caso certo che il primo tempio dorico è stato costruito a Taranto, non nella Grecia propria. E’ certo che Cuma è di due secoli anteriore all'Atene di Pisistrato, che è anteriore di un secolo all'Atene di Pericle. Dire che l'ellenismo sia nato nel Mezzogiorno d'Italia potrebbe sembrare un'assurdità; ma sarebbe soltanto assurda l'espressione, la quale dovrebbe esser soltanto differente, e dire invece che l’ellenismo, in realtà, è un fenomeno mediterraneo che va dall'Asia Minore alla Sicilia, che ne è la manifestazione più occidentale.


Questa colossale fioritura artistica e civile, politica e militare, non avrebbe mai potuto verificarsi senza la piattaforma di una straordinaria prosperità materiale, che è stata fornita dal Mezzogiorno d'Italia, soltanto perché viveva nel modo che la natura e la geografia hanno preparato e destinato per questa regione. Se la prosperità materiale può esser misurata in volume, le colossali proporzioni delle rovine di Selinunte, Acragas, Syracusa, parlano di una ricchezza in mezzi e in possibilità che nessun’altra parte del Mediterraneo ha goduto in quei tempi, e forse anche nei tempi successivi.

Le rovine di Roma imperiale, per non parlare di quelle di Roma repubblicana, diventano meschine al paragone, soprattutto se si pensa che alla costruzione degli edifici della Roma imperiale sono state impiegate le ricchezze di tutto il mondo allora conosciuto, mentre alla costruzione degli edifici delle Città greche del Mezzogiorno non sono state impiegate che ricchezze di origine 'locale e quello che proveniva dal commercio. Né questo si restringe alle sole Città greche, perché anche dove sono altre stirpi, per esempio nella organizzazione Etrusco-Opicia della Campania, Capua sta come la città più ricca dell'Italia di allora, ricca per agricoltura, industria, arte; di fronte alla organizzazione Etrusco-Opicia, l’organizzazione Greca sale alla stessa prosperità, e la fossa graeca, che non è se non la Dicearchia cumana fino ai confini di Capua e di Nola, conserva la sua fama di prosperità e la sua prosperità attuale anche a lungo sotto l'Impero. Altrettanto deve dirsi delle Città non greche sulla costa orientale, tutte in diversa misura fiorenti per commerci, agricoltura, industria.

Bisogna anche aggiungere che come popolazione, in questo più felice tra tutti i periodi della sua lunga vita, il Mezzogiorno d’Italia sembra esser stato anche molto fittamente abitato. t probabile che nel Il millennio il centro montagnoso lo fosse scarsamente, o niente, e che soltanto sulle coste si trovassero zone densamente abitate; e, infatti, i nomi più antichi di stirpi meridionali appartengono tutti a popoli costieri. Ma nel I millennio il Mezzogiorno è popolato dovunque, dal Sanniti nel centro, dalle antiche popolazioni (Apuli, Calabri, Messapi., Salentini, Lucani, Bruttii) sulle coste o sulle pendici che declinano alle coste. Che questi popoli siano numerosi lo si desume dalle grandi battaglie che contro di loro debbono sostenere i Greci, quando entrano in conflitto con essi, e in una delle quali, secondo Erodoto, morirono più Greci che non ne fossero morti in nessuna delle battaglie combattute su suolo greco.

Questo fenomeno si verifica egualmente in Sicilia, e forse in misura maggiore. Noi non abbiamo dati precisi per stabilire quale fosse la popolazione del Mezzogiorno negli ultimi secoli della sua autonomia, ma Polibio, che passa per il più accurato degli storici greco-romani, ha lasciato un singolare documento di quello che è stata la potenzialità demografica e militare del Mezzogiorno d'Italia ed anche del segreto di molte vittorie romane. In un'epoca che era già di decadenza e di spopolazione causata dalle Guerre Sannitiche, egli racconta che quando nel 528 a. U. C. i Galli Cisalpini decisero di por fine alle continue invasioni romane della loro zona, e chiamarono gesati (mercenari celti) e altre tribù transalpine per un attacco a fondo contro Roma, questa fece appello alla solidarietà nazionale di tutti i socii Italici a sud dell'Adpenninum. Il Mezzogiorno, che si trovava in fase di pacificazione e alleanza con Roma, rispose all'appello. Secondo Polibio l’esercito che cosi si radunò alla difesa di Roma fu formato di 768.000 uomini a piedi e a cavallo, dei quali il Mezzogiorno, senza la Sardegna, forni 581.000, cosi divisi: 77.000 Sanniti, 50.000 Iapigi e Messapii (lapigi era il nome che i Greci davano agli Apuli), 8800 Siculi e Tarentini, 30.000 Lucani, 24.000 Sabelli abruzzesi, 25.000 tra Campani e cittadini romani meridionali, cioè quei meridionali delle colonie e dei municipia che non erano soci, ma avevano ricevuta la piena cittadinanza romana. 1 Romani proprii non fornirono in questa guerra che due eserciti consolari, cioè 22.000 uomini, più 20.000 restati a difendere Roma; in tutto 42.000 uomini. E bisogna notare che probabilmente la Sicilia avrebbe potuto fornire quattro o cinque volte il contingente che forni se le Guerre Puniche, allora in corso, non avessero consigliato di non sguarnirle e di far loro assumere una partecipazione nominale. Perché non bisogna dimenticare che Syracusa soltanto, tra le Città greco-sicule, è stata indubbiamente più grande e più popolosa di Roma, se è vero che all'epoca del suo fiorire ha raggiunto 600.000 abitanti, cifra che non sembra Roma abbia mai raggiunta.

Queste cifre sono sufficienti a mostrare quale pienezza di vita e di forza abbia raggiunto il Mezzogiorno nella sua grande epoca, che è poi la sola, con qualche eccezione di breve durata, nella quale ha goduto di una piena autonomia.

* Il titolo è nostro (Web@master)

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Ecco dove puoi trovare l'unico documento esistente in rete in cui è citato il testo di Scarfoglio:

https://www.uqac.uquebec.ca

Riproduciamo la pagina in cui abbiamo trovato la citazione del testo di Carlo Scarfoglio, "Il Mezzogiorno e l'Unità d'Italia":


LAURA LEVI MAKARIUS

L'origine de l'exogamie et du totémisme

Collection : Bibliothèque des idées.
Paris : Éditions Gallimard
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1961, 382 pages
Nombreux sont les éléments indiquant que la conception primitive du mariage est marquée au sceau de la fraternité. D'abord les mythes de tous les peuples se réfèrent à des relations incestueuses des ancêtres ou fondateurs des groupes, ou des êtres mythiques ; parfois, il s'agit de la forme la plus étroite de l'endogamie, de l'union du " couple gémellaire ", comme chez les Dogon 1. Ensuite, les systèmes de parenté les plus primitifs gardent la confusion entre la " sœur " et " l'épouse ", confusion qui est maintenue en certaines expressions du langage. En japonais, le terme imo désigne tantôt la sœur et tantôt l'épouse 2 ; dans le Midi de l'Italie, le mot nzorarsi, qui devrait signifier littéralement insorellarsi (" s'ensœurer "), signifie se marier, en parlant des hommes 3.
Parmi les nombreux rites de mariage qui semblent manifester l'intention de rendre les époux consanguins par l'échange de sang, certains sont étendus aux parents des mariés. Au Cambodge, le prêtre qui accomplit le rite de mariage marque le front de tous les parents avec le signe du sang 4. Dans certaines parties de la Polynésie, c'était le sang des mères du couple qui était mêlé au cours de la cérémonie nuptiale 5. Auprès des Mundar, les mères et les tantes des deux époux s'arrosent symboliquement d'eau sacrée avec une feuille de mangue et s'embrassent 6. Des rites de ce genre, souvent remplacés ou complétés par un banquet, ont l'allure de fraternisations entre les deux groupes qui vont s'allier par le mariage.
À mesure que la loi d'exogamie se précise, s'affirme et se généralise, les coutumes de fraternisation artificielle entre ceux qui doivent s'unir sexuellement perdent du terrain et sont repoussées. Au moment où on s'unit à certaines femmes non pas parce qu'elles sont devenues des " soeurs ", mais parce qu'elles sont des étrangères, non pas parce qu'elles sont symboliquement consanguines, mais parce qu'elles sont réellement non consanguines, la fraternisation, en tant qu'instrument pour l'établissement des liens d'interdépendance, non seulement n'a plus de sens, mais ne peut plus être effectuée : ce sont justement ces liens organiques entre ceux qui vont s'unir sexuellement qui sont redoutés, et qui doivent être repoussés avec la dernière énergie. Mais l'effet a, désormais, remplacé la cause, et l'apparentement symbolique est désormais remplacé par l'apparentement réel, qui est celui de l'intermariage. Si, auprès de certaines peuplades, on trouve encore des survivances d'hospitalité sexuelle où l'hôte cède au visiteur sa sœur, en général dans les coutumes de fraternisation cérémoniale entre individus, en vigueur aujourd'hui, on a bien soin de spécifier que les femmes qui s'échangent entre les partenaires ne sont que les épouses, car l'échange des consanguines serait considéré

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1 M. GRIAULE, Dieu d'eau, p. 234.
2 B. H. CHAMBERLAIN, Translation of « Ko-Ji-Ki », cité par LÉVI-STRAUSS, loc. cit.,
p. 63.
3 Carlo SCARFOGLIO, Il Mezzogiorno e l'Unità d'Italia, p. 7.
4 BRIFFAULT, loc. cit., vol. I, p. 559.
5 FRAZER, loc. cit., vol. IV, p. 242.
6 BRIFFAULT, loc. cit., vol. I, p. 559.

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