Ringraziamo l'autore per averci autorizzato a pubblicare questo suo intervento in un suo vecchio blog STELE DAUNIA ora migrato in postpartout dove potrete leggere un altro interessante articolo "Via Chiaia di sera".
In questi giorni, dalle colonne de «Il Mattino», il filosofo Aldo Masullo ha lanciato un appello a tutte le forze sociali –intellettuali ed istituzionali- di Napoli per avviare un processo di riscatto della città. La risposta che, quotidianamente, il giornale aggiorna dedicandole ampio spazio nella cronaca locale è davvero ampia e comprende pensatori e professionisti di tutte le categorie.
Non voglio negare che sia un segnale di vitalità questo coro di
voci, ma è anche vero che a parlare ci vuole poco; non voglio
neanche pormi al di sopra degli interessati per il solo fatto che si
sono mossi (per ammissione di qualcuno di loro) con notevole ritardo
rispetto alle necessità, giacché ciascuno di noi
sperimenta nella vita l’indolenza e
l’irresponsabilità di fronte ai doveri.
Ciò che non sopporto è che a parlare ci vuole poco, e che
una volta ancora lo fa un manipolo di persone che non rappresenta la
città (tutt’al più una parte della città ci
si può identificare) ed è abituata a comandare o
indottrinare col culo comodamente seduto sulla poltrona. Queste persone
possono essere animate dalla migliore e più genuina buona
volontà (chi lo mette in dubbio?), ma non saranno mai loro a
poter cambiare le cose.
E questa è la mia critica:
innanzi tutto si parla col linguaggio e col distacco sociale proprio delle istituzioni: “dobbiamo fare”, “la città deve”… Ma chi è questa città? Li conoscete davvero coloro ai quali vi rivolgete? Anzi, vi dico qualcosa di più radicale: non pensate che sia un errore –un grave errore- il fatto stesso che voi vi rivolgiate a qualcuno? E chi è questo qualcuno?
Sarebbe il destinatario delle vostre preoccupazioni e delle speranze di
riscatto che nutrite; sono i napoletani, sono Napoli. E voi li trattate
come meri oggetti del vostro discorso, che di conseguenza assume
più i toni di un soliloquio che di un dialogo.
Scendete nei vicoli dei quartieri più poveri e rovinati (nel
senso con cui si dice “rovinare al suolo”) a parlare con la
gente? Li incontrate davvero? O pensate che basti farlo nella vostra
mente, per mezzo dei modelli antropologici o sociologici, o politici
che vi fanno senza dubbio grandi?
Qualcuno di voi si dichiara marxista, quasi tutti o tutti di sinistra,
eppure perpetuate un modo di agire che i marxisti definirebbero
“reazionario”. Tutt’al più sembrate un
consesso di sovrani illuminati alla maniera del Settecento.
Convocate un’assemblea aperta ai cittadini (sono d’accordo,
e ci mancherebbe altro!), e per luogo che fate, scegliete
un’università? Non sarebbe stato meglio incontrarli in una
piazza? Credete forse che al padre di famiglia schiacciato dalla
criminalità di via Taverna del Ferro interessi qualcosa di
entrare nell’Università tal dei tali?
Credete che senta ospitale questo luogo come voi, che magari vi
insegnate? Perché non girate quartiere per quartiere, a stanare
la gente dai suoi buchi, a chiamare le persone col megafono, a viva
voce, a tirare le loro giacche con le vostre mani? Perché non vi
rendete pari ai cittadini che dite vi stiano tanto a cuore,
perché non fate sentire loro la vostra vicinanza, la vostra
reputazione e incolumità parimenti esposta che la loro?
La verità è che voi avete ancora conculcata in mente
quell’ideaccia borghese e positivista di un tempo, in
virtù del quale basta avere dei buoni modelli teorici e guidare
le masse per ottenere dei cambiamenti. Ma siete in coscienza degni e
capaci di guidare qualcuno? Potreste rispondermi che non aspirate
affatto a diventare dei Ghandi napoletani, ma soltanto a fornire
stimoli e impulsi per una nuova azione sociale e politica che
altrimenti non si realizzerebbe mai. E invece è proprio qui che
sbagliate di grosso: dovete fare i Ghandi, dovete scomparire tra le
folle, e se necessario farvi ammazzare in mezzo a loro.
Cosa credete che gliene freghi a quei troppi napoletani che ogni giorno
è un miracolo se non affogano delle vostre parole da teorici?
Hanno problemi che voi non immaginate neanche: e bollette, e
taglieggiatori, e violenza, e famiglie sfasciate, e figli spacciati o
spacciatori, e poco spazio, e figliezoccola dappertutto e sempre,
pronti a fregarti, e tutto il resto di una normalità che nessuno
ha mai conquistato.
Ecco, l’ho detta la parola che sembra essere il nuovo tabù
di questa città e soprattutto di questa amministrazione
comunale. Con un sindaco che ha l’ardire di contestare le
dichiarazioni spontanee e sincere di tanti suoi concittadini i quali,
in un sondaggio, hanno dichiarato di non sentirsi affatto sicuri a
girare nelle vie di Napoli. Perché ha paura che venga infranto,
il tabù: NORMALITÀ.
Il Comune continua a pensare alle grandi opere (di per sé
necessarie e giuste) e all’abbellimento del centro (quale?
dove?), e si dimentica dei suoi peggiori quartieri, degli arti in
cancrena di questo grande corpo tumorale che è Napoli; no, dice,
noi non ci dimentichiamo di nessuno, non lo sa lei che stiamo facendo
questi e quest’altri progetti proprio nelle zone più
degradate della città? guardi guardi quanti fondi abbiamo
stanziato, e questi due cantieri sono già partiti, a fine anno
ne partirà un altro.
Ok, signori politici, sapete ben volgere le parole a vostro vantaggio,
ma voi credete davvero che basti costruire un parcheggio multipiano una
nuova tangenziale o un ospedale per restituire la dignità a chi
se l’è vista tolta?
Forse non avete ben chiaro che avete sbagliato scala; sì,
intendo dire la scala come quella delle carte geografiche, la scala di
rappresentazione della politica attraverso la quale essa si rapporta
alla sfera di vita e di azione dei singoli cittadini. E la scala di
quel povero dio che abita a via Taverna del Ferro non è la
grande infrastruttura; alla massaia del terzo piano interessa lo sapete
che cosa?
Non ci credereste mai: interessa di avere un marciapiedi dove poter
camminare senza essere falciata dalle auto per andare e tornare dalla
spesa.
Tutto qua. Interessa non dover fare lo slalom tra cumuli di immondizie
che nessuno toglie per settimane e dove si trovano cadaveri di gatti
cani e topi. Questa è la scala della politica locale. A scuola
nessuno si sognerebbe di insegnare a qualcuno le equazioni
differenziali se prima non si conoscono le basi dell’aritmetica;
perché nella politica questo ovvio principio viene completamente
disatteso?
Adesso che Masullo grida (e Dio gliene renda merito!) si svegliano
tutte le coscienze, ma costoro dov’erano in tutti gli anni
–undici, ormai- in cui, mentre si indoravano e infiocchettavano
le zone (guarda un po’) dello struscio e del commercio, i
Ponticelli, i Secondigliano, i Pianura, i Chiaiano i Cavalleggeriaosta
e le Raffinerie continuavano a marcire a riempirsi di intonaci
scrostati di marciapiedi impraticabili di strade che sbucano su
cantieri mai chiusi o contro palazzi crollati di lampioni che
illuminano con speciale acribia piazzali vuoti e svuotati dove si
alienano i drogati e i camorristi si passano le mazzette o fanno le
scommesse sulle corse clandestine?
Dov’erano i diritti dei cittadini del Centro Antico in quei dieci
anni in cui i varchi del sistema Centaur per la Z.T.L. sono stati prima
installati, poi mai messi in funzione e per tutto questo tempo lasciati
all’abbandono e alla furia dei vandali, di modo che, quando
accadrà il miracolo di ripristinarli, ai soldi già spesi
dai napoletani se ne dovranno aggiungere altrettanti?
Già, come sarà l’anima di quei poveri dii? Nera,
come vuoi che sia; nera come le loro vie, le loro fogne e le loro
cantine. Hanno o non hanno una dignità umana, costoro? Vogliamo
continuare a sostenere la politica ipocrita di chi ingioiella le vie
dei negozi (e solo per alimentare il commercio, non mi vengano a
raccontare scuse) e lascia i propri cittadini nella merda?
Per me il primo dovere di un sindaco è quello di conquistare la
normalità per tutti, di assicurare i servizi necessari, di
restituire la dignità non solo alle persone, ma anche ai luoghi
(le due cose, in realtà, vivono in simbiosi reciproca); solo
allora, quando non ci si dovrà più vergognare di come e
dove si è costretti a vivere, si potrà pensare a tutto il
resto.
E siccome non sono neanche uno che vive con la testa fra le nuvole e mi
rendo conto della realtà della politica e delle altre voci che
un’amministrazione locale deve ascoltare, allora dico che si
sarebbe potuto dividere a metà il bilancio, e dedicarlo parte
alla conquista di quella normalità, e parte all’inizio
anticipato del suo superamento, in modo da fornire anche un ulteriore
stimolo a tutta la cittadinanza (“vedete? È così
che saremo se…”).
Invece no: si pensa alle grandi infrastrutture, e poi tutti i lavori
realizzati –anche nel tanto decantato centro, che è
pericoloso come la periferia- vengono puntualmente pianti sulle pagine
dei giornali che ne riportano il precoce e insopportabile degrado. Ma
come, avevamo appena riaperto al pubblico questo luogo, e già
è tutto rotto? Ma è ovvio!
Svegliatevi, signori delle poltrone, shake ya body! Girate per le
strade malfamate, guardate in faccia la vita e la violenza degli
evasori dell’ICI e delle bollette, degli abusivi che ci passano
accanto e con cui dividiamo i pullman!
Se sono violenti e sono evasori è perché magari da loro,
nella strada deserta e invasa dalle erbacce, in cui non si può
camminare nemmeno di giorno che ti sparano e ti fottono pure le mutande
condecenzaparlando, lì, signori amministratori, negozi che
alzino la voce per i loro incassi non ce ne sono, avvocati e notai non
ce ne saranno mai, e chi ci vive –o meglio: ci sopravvive- ce
l’ha col mondo, ce l’ha con voi con me con chi non
c’entra niente perché non è solo
l’umanità marcita che lo pungola e aizza come un cane da
combattimento, che lo abbrutisce e lo addestra all’odio, ma
è l’ambiente stesso.
Ci sono degli antropologi, fra voi: spieghino a tutti che cosa
significa, per un essere umano, vivere in un ambiente degradato, ed
avere l’anima svuotata e triste come i capannoni abbandonati dove
si rintanano i Rumeni e gli altri abusivi, gli scamazzati i pezzuttati
gli scumbinati gli scardati sfrantummati scassati del nostro mondo?
Non potete chiedere la luna a tanta gente per la quale la camorra
è meglio della legalità. Li denigrate ed esecrate, dalle
cattedre. Voi, al posto loro, avreste saputo agire diversamente?
E questa è la seconda cosa che volevo dirvi: Napoli ha bisogno
di missionari. Una missione laica, certo (ma ben venga anche quella
religiosa), però, di qualunque sorta sia, di una dedizione senza
mezzi termini; ha bisogno di smuovere tutti, e di smetterla di
rischiare solo con le parole.
Qui sono i nostri corpi, il respiro che esaliamo ogni secondo, a dover
essere messi a repentaglio. Dobbiamo rischiare la vita, scendere in
strada e stanare la camorra e tutti coloro che questa città non
la vogliono cambiare, perché sta bene così per i loro
affari.
«Senza il popolo siamo spacciati», disse uno
‘ndranghetista ad un altro, intercettati a telefono. È
proprio vero. Ma tutti, proprio tutti, a calcinculo, ci dobbiamo
essere. Ne muoiono dieci?
Ne scendano in piazza cento. Ne muoiono cento? Ne scendano altri mille.
Senza la nostra paura, i vampiri delle pistole e
dell’ammenummfottenisciuno non sono nulla, non sono nessuno, non
hanno speranze.
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