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Noi e loro ovvero la città duale

di Zenone di Elea

Rds, 10 settembre 2006

Abbiamo trascorso lo scorso capodanno conversando amabilmente con una gentile signora della borghesia napoletana del quartiere Santa Lucia. Da allora ogni volta che sentiamo parlare di Napoli violenta e criminale ci vengono in mente le sue parole, quel “Noi e Loro” che ci aveva così colpito e – lo confessiamo – aveva fatto vacillare in noi tutte le nostre certezze su Napoli e il suo destino.  Ripiombandoci nei soliti luoghi comuni in cui ci hanno allevato nella scuola italiana, ovvero la tesi della grande rottura che sarebbe intercorsa fra popolo napoletano e borghesia(1) nel 1799 con la eliminazione di molti esponenti dell’intellighenzia napoletana.

Da un punto di vista storico non si tratta altro che di un aneddoto – il termine lo prendiamo in prestito da don Benedetto Croce – e tale sarebbe rimasto se la propaganda risorgimentale non ne avesse fatto un mito patriottico e antiborbonico, riducendo i lazzari(2) napoletani e i sanfedisti di Ruffo(3) a plebaglia ignorante manovrata dal clero e dalla monarchia, praticamente una massa da redimere(4).

La signora in questione più che negare l’altra Napoli – quella plebea e violenta – voleva ribadire in quel “Noi e Loro” il proprio diritto a vivere in quella città, nonostante ci fossero “Loro”, di cui essa non aveva alcuna paura. Ma era stato proprio quel trarsi fuori da “quell’altra Napoli”, quel volersi distinguere in modo netto e radicale da “loro” che ci aveva impressionato.

Questo volersi distinguere dal cuore profondo (chtonio, per usare un termine caro a Scarfoglio) della città è condiviso da tutta la Napoli-bene, quella che non solo si sente italiana ed europea ma presume di esserlo a pieno titolo e si “vergogna” di vivere in una città in cui “quegli altri” ne deturpano l’immagine. Spera di confinarli nei quartieri ghetto e che colà si ammazzino pure fra loro, l’importante è che non ne escano, che non si mostrino alla luce.

L'espresso. Napoli addio - Settembre 2005
Settembre 2005

L'espresso. Napoli perduta - Settembre 2006
Settembre 2006

Questa grande illusione, gli appartenenti alla Napoli-bene la coltivano dal lontano 1860, quando si trovarono di colpo a dover vivere in una città degradata da grande Capitale a miserabile Villaggio, in cui l’ordine pubblico era stato affidato ai camorristi(5). Una illusione che hanno coltivato e coltivano invano.

Napoli, nonostante tutto, è ancora una capitale, o meglio come afferma Dicè un simbolo, il simbolo di un territorio ridotto a colonia e abitato da schiavi. In un territorio del genere non vi è posto per uomini liberi, neppure per coloro i quali appartengono per censo o per fortunati eventi personali alla Napoli-bene. Si vive tutti una sorta di schiavitù che tiene in ostaggio ricchi e poveri, onesti e criminali. Tutti finiscono per vivere ai margini di qualcos’altro. E l’altra Napoli ogni tanto esce dal buio e sporca le vetrine luccicanti dei quartieri bene, facendo spargere fiumi d’inchiostro sia ai pennivendoli forestieri(6) che a quelli nostrani(7).

Contro quella Napoli oscura si invocano sfracelli, misure eccezionali – sulla stampa leggiamo che in ottobre si terrà nella citt? partenopea addirittura una seduta del consiglio dei ministri. L’invocazione di misure straordinarie costituisce un rito, che si ripete periodicamente e che non trova e non potrà trovare soluzione perché “o Napoli torna capitale o muore(8).



Riportiamo le parole tratte dal sito dei https://www.ladridisogni.net/:

"Se hai un sogno, rincorrilo e realizzalo. Tienilo stretto a te, fallo crescere come se fosse tuo figlio. Non lasciare che ladri suadenti te lo portino via, non scambiare il tuo sogno per le loro illusioni, perché se lo farai, del tuo sogno e delle loro false illusioni non resterà che morta polvere". (S.T.)


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1 I "patrioti", come i rivoluzionari si facevano chiamare, si accorgono ben presto di essere estranei alla grandissima parte della popolazione, isolati anche dalle cerchie borghesi neutrali e tenuti in pugno dai francesi. Invece di governare, si perdono in problematiche ed elucubrazioni che costituivano soltanto uno schermo davanti alla tragica realtà; i dibattiti, le leggi, la pubblicistica, l’organizzazione dello Stato si riducono a un gioco da salotto. Nessun problema particolare viene affrontato, ma si enunciano solo grandi utopie; nessuna realtà concreta è discussa, ma solo idee astratte, solo grandi ideali impersonali. I "patrioti", che credevano alla magica virtù della "Libertà" e veneravano il regime repubblicano come una forma eterna e infallibile, avente quasi carattere religioso, credono che basti promulgare certe leggi fondamentali per attuare automaticamente la felicità dei popoli. Scoprono, però, come era già accaduto ai loro colleghi francesi, che il popolo reale non era il "Popolo" da essi idealizzato: pertanto, paralizzati tra il seducente miraggio di un popolo mitico e il terrore di una "plebe" concreta, decretano che questa era corrotta e occorreva costringerla alla "virtù". Cfr. FRANCESCO PAPPALARDO, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 3, inverno 1985 - La "democratizzazione" forzata.

2 Dovunque, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze, nei vecchi palazzi anneriti dagli incendi, dovunque si inciampa nei corpi dei lazzari caduti. Alcuni luoghi, dove il combattimento è stato più aspro, sono dei veri e propri carnai. Diecimila di loro, secondo altri studiosi ottomila (ma non si conoscerà mai l’esatto numero), sono morti, armi in mani, per testimoniare ai posteri che la Nazione Napoletana non è un’invenzione. Financo i vincitori devono ammettere l’eroismo dei lazzari in difesa della Napoletanità. Scrive il generale Championnet nella sua relazione per Parigi: "...si combatte in ogni strada; il terreno è disputato palmo a palmo; i lazzari sono guidati da capi intrepidi. I lazzari, questi uomini meravigliosi (ètonnants) sono degli eroi...". Il capo di stato maggiore, il generale Bonnamy, scriverà poi, al termine del suo rapporto, queste lapidarie parole "...l’azione del lazzari farà epoca nella Storia!". Cfr. Orazio Ferrara - manoscritto inedito "l cuore a Sud", 1998

3 Fabrizio Ruffo aveva offerto ai capi della rivoluzione la possibilità della fuga via terra; ma costoro si fidarono più di un protestante che di un cattolico, e si consegnarono all'ammiraglio inglese, il quale fece impiccare 99 di loro, con l'approvazione di Maria Carolina più che di Ferdinando.

4 L’idea ossessiva e nobile di educare la plebe fece loro pubblicare in soli cinque mesi un numero enorme di pubblicazioni che miravano alla mobilitazione della coscienza pubblica. Il più grande limite, invece, fu quello di non riuscire a porsi per tempo il problema del latifondo e della proprietà contadina. Cfr “Repubblica, atto primo” - Luigi Mascilli Migliorini, docente di Storia moderna presso l’Istituto universitario orientale di Napoli - Cultura - Dicembre 1998 (https://www.nautilus.tv/9812it/cultura/1799.htm)

5 "Or come salvare la città in mezzo a tanti elementi di disordini e d'imminenti pericoli ? Tra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata per la gravezza del caso, uno solo parvemi se non di certa almeno di probabile riescita e lo tentai. Pensai di prevenire le tristi opere dei camorristi offrendo ai più influenti capi un mezzo per riabilitarsi. Laonde, fatto venire in casa il più rinomato di essi, sotto le apparenze di commettergli il disbrigo di una mai privata faccenda lo accolsi alla buona e gli dissi che era venuto per esso e per i suoi amici il momento di riabilitarsi dalla falsa posizione in cui avevali sospinti non già la loro buona indole popolana, ma l'imprevidenza del governo il quale aveva chiuse tutte le vie all'operosità priva di capitali [...] Improvvisai allora una specie di guardia di pubblica sicurezza come meglio mi riuscì a raggranellarla tra la gente più fedele e devota ai nuovi principi ed all'ordine, frammischiai tra questo l'elemento camorrista in modo che anche volendolo non potea nuocere". Cfr. Liborio Romano, Memorie politiche, Napoli, 1870

6 Cfr. L'espresso. Napoli addio - Settembre 2005 e L'espresso. Napoli perduta - Settembre 2006

7 Cfr. "Napoletani fuggite Domani è troppo tardi" di Marcello D'Orta, pag. 15 de il Giornale 8 settembre 2006.

8 Cfr. “Napoli capitale” di Nicola Zitara, 1997 ( https://www.eleaml.org/)




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