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Se nel Sud l'autonomismo comincia a pagare politicamente i due poli ne vedranno delle belle. Certo, una parte di questo elettorato può rientrare nelle due "case" (destra o sinistra) ma una altra parte non rientrerà mai più - esiste un retroterra cullturale anche nel meridione continentale che può costituire la base per la creazione di nuove aggregazioni politiche di tipo autonomistico o per lo sviluppo di quelle già esistenti.

Con questo dato occorrerà fare i conti volenti o nolenti perchè la spinta probabilmente non si risolverà con qualche ampolla d'acqua del Volturno - tanto per parafrasare recenti ritualità padane.
Grazie e tornate a trovarci.

Web@master - 21 maggio 2005
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Fonte:
La Stampa 19-05-2005

SE IL SUD CAMBIA LINGUA

di Lucia Annunziata

DALLE elezioni catanesi sale un profumo di zagare. Al di là di tutte le analisi, è il linguaggio che identifica il nuovo trend della politica nazionale. Il Sud che ha votato domenica è tornato a parlare meridionale, con metafore contadine, narrative storiche locali, e un bel po’ di espressioni popolari.


Ricompare così la jella e il suo perfetto contrario, la fortuna simboleggiata da quella parte del corpo che in italiano abbiamo deciso di identificare con il fondoschiena, ma che nel grande Sud rimane citato nella sua breve efficacia.


Spiega infatti il rieletto sindaco Scapagnini di esserne dotato, perché «in politica senza... non si va da nessuna parte», ed è sempre lui che racconta delle armi di distruzione di massa che possedeva Bianco, quella «sfiga che ha accompagnato tutta la campagna elettorale perché loro con la jella hanno provocato ai miei fratelli 11 fratture fisiche, ma elettoralmente parlando le ossa gliele abbiamo rotte noi».


L'opposizione rimasta al palo rispolvera invece la migliore narrativa storica della politica meridionale. Bianco ripesca il voto di scambio à la Lauro (leggendario armatore che nel dopoguerra vinceva dando una scarpa prima e una dopo il voto) raccontando di «voci pazzesche di gente che prometteva tivù e lavatrici»; mentre scomoda «il trionfo della plebaglia», altro grande vocabolo del glossario politico del Sud, il filosofo Manlio Sgalambro; tema su cui si sintonizza il nordico Tabacci che evoca il fantasma dei fantasmi meridionali: «Con tanti Masaniello non andiamo da nessuna parte».


E' una bella differenza, non c'è che dire, dal tecnoinglese rubato ai board-room del management parlato dalla politica fino a ieri: i road-show, i talk-show, gli sponsor, la mondializzazione, la delocalizzazione.


 Il leader degli autonomisti sicialiani Raffaele Lombardo, che dopo una decade di fasti mistici dei vari «signori degli anelli» ha riportato a galla il concreto titolo di «signore del venti per cento», con questa metafora racconta i suoi progetti futuri: «Totò Cuffaro (il governatore siciliano, ndr) ha un pollaio in campagna accanto al mio e un giorno gli ho regalato un gallo. Sapete come è finita? Il mio gallo ha ucciso il suo».


Semplice folklore?


O anticipo di un nuovo vento che spira, una orgogliosa riappropriazione linguistica meridionale da contrapporre a quella nordico-leghista?


Di sicuro possiamo dire, se il linguaggio significa qualcosa, che in quel pollaio catanese è probabilmente morta anche la tecnocrazia burocratica e centralista di coalizioni posticce. Dopotutto, racconta Lombardo, «ora le galline sono più contente, il mio gallo gli dà più soddisfazione, e fanno pure più uova».


Lucia Annunziata

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