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Se nel Sud l'autonomismo comincia a pagare politicamente i due poli ne vedranno delle belle. Certo, una parte di questo elettorato può rientrare nelle due "case" (destra o sinistra) ma una altra parte non rientrerà mai più - esiste un retroterra cullturale anche nel meridione continentale che può costituire la base per la creazione di nuove aggregazioni politiche di tipo autonomistico o per lo sviluppo di quelle già esistenti.

Con questo dato occorrerà fare i conti volenti o nolenti perchè la spinta probabilmente non si risolverà con qualche ampolla d'acqua del Volturno - tanto per parafrasare recenti ritualità padane.
Grazie e tornate a trovarci.

Web@master - 21 maggio 2005
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Fonte:
https://www.repubblica.it/  (17 maggio 2005)
IL COMMENTO

La trincea siciliana

di MASSIMO GIANNINI


IL MEDICO, per ora, ha salvato il suo paziente. Se lo scrutinio finale confermerà i risultati della notte, Umberto Scapagnini sarà confermato sindaco di Catania. E così il clinico salutista che da anni si occupa della cura fisica di Silvio Berlusconi, questa volta, gli avrà allungato anche la sopravvivenza politica.


Erano in molti, anche nel centrodestra, a riconoscere che quella siciliana era l'ultima ciambella di salvataggio, per una maggioranza naufragata in ben quattro tornate elettorali consecutive, tra amministrative ed europee. Erano in molti, anche nel centrodestra, a prepararsi a un definitivo "rompete le righe", nell'ipotesi niente affatto peregrina che fosse caduto anche l'ultimo bastione azzurro, in quella Sicilia del leggendario "61 a 0" ottenuto dalla Cdl quattro anni fa ai danni del centrosinistra.


Se i dati conclusivi confermeranno la tendenza di metà spoglio, l'ultimo avamposto berlusconiano nel Profondo Sud ha retto. Con una percentuale di consensi che oscilla tra il 52 e il 54%, il sindaco forzista può sconfiggere al primo turno Enzo Bianco. Il Polo arretra in modo sensibile, rispetto ai risultati del 2001. L'Ulivo guadagna terreno non solo a Catania, vince a Enna e ottiene il ballottaggio in diversi comuni.


Per la sbandata coalizione del premier non è certo una riscossa, che inverte la tendenza delle ultime regionali vinte per 12 a 2 dall'opposizione. Ma non è neanche il tracollo definitivo, che avrebbe potuto sancire la caduta ineluttabile del Berlusconi bis e il ricorso sicuro alle elezioni anticipate. Il centrodestra, malconcio e diviso quanto si vuole, almeno a Catania sembra tenere. Grazie anche a un'affluenza alle urne sorprendentemente alta e superiore alle previsioni della vigilia: 75,3%, contro una media regionale del 69,5% alle ultime amministrative.


Sempre che a urne svuotate l'esito ultimo del voto siciliano sia davvero questo, per i due schieramenti in conflitto ci sono alcune "lezioni" possibili da cogliere. La prima riguarda il centrodestra. Il Cavaliere, che una settimana fa nel capoluogo etneo ha speso due giorni di tonitruante campagna elettorale, ripete adesso un motto che gli è caro: "Quando Silvio scende in campo la sinistra non ha scampo". Ritrova il coraggio di dire "siamo ancora maggioranza, andiamo avanti così e governiamo il Paese". Ma è l'ennesimo gioco di specchi.


Nei giorni che precedevano il voto, quando i sondaggi davano in forte vantaggio Bianco il premier e i suoi corifei hanno fatto di tutto per ridimensionare la portata del test catanese: un semplice voto locale. Ora che sembra uscire vincitore l'azzurro Scapagnini, il giudizio si sovverte. Il test ridiventa politico, Berlusconi riscopre il rilievo nazionale della sfida siciliana: un referendum sulla sua leadership.


E' una pessima "lente", quella usata dal premier, per leggere a suo piacimento il risultato di questo voto. Soprattutto se non gli servirà a mettere a fuoco un'evidenza oggettiva. Perdere a Catania, probabilmente, gli sarebbe costato il governo. Ma vincere a Catania, sicuramente, non gli basterà a governare bene nell'anno finale della legislatura. Ora il premier può irridere finché vuole i centristi dell'Udc.


Ma in una coalizione che anche in Sicilia dà comunque segni di arretramento, i partiti del centrodestra guarderanno ora con un'attenzione particolare all'andamento dei voti di lista, con l'obiettivo palese di dimostrare che, per vincere, non basta più il leaderismo carismatico del premier, ma servono il contributo di tutti e il supporto di una strategia condivisa.


E in un'Italia in piena recessione, ieri sera Marco Follini avvertiva: "La vera sfida, dentro la coalizione, non era Catania. Io non avrei mai rotto l'alleanza, su una sconfitta di Scapagnini. Il vero scontro sarà l'economia. Sarà la Finanziaria. Sarà la distribuzione dei pochi sgravi fiscali possibili". Su questo si consumerà il vero regolamento di conti nel centrodestra.


La seconda lezione riguarda il centrosinistra. Perdere di misura a Catania può essere un salutare bagno di umiltà. Un benefico ritorno alla realtà. Per troppe settimane, dopo il trionfo oggettivo delle regionali, c'è stato un eccesso di euforia. Il delirio di onnipotenza di qualche leader ha prodotto assurde fughe in avanti verso la spartizione e paradossali spinte centripete verso l'autonomizzazione. Prodi e gli altri leader, a questo punto, faranno bene a riflettere.


E' ancora presto per cantare vittoria. L'Italia si è spostata, 2 milioni di voti sono transitati da un Polo all'altro nelle ultime regionali. Ma quelli che il Censis chiama gli "elettori transfughi", indecisi e poco fidelizzati, possono cambiare idea fino all'ultimo.


Uno studio di Paolo Segatti dell'Università di Milano, appena pubblicato, evidenzia che anche nell'ultima tornata elettorale "a determinare i risultati abbia pesato il maggiore tasso di partecipazione degli elettori di centrosinistra rispetto a quelli di centrodestra".


E il dato siciliano conferma: solo al maggioritario, tra astensioni e regioni non coinvolte dall'ultima consultazione amministrativa mancano all'appello almeno 10 milioni di elettori. Non si sa come voteranno nel 2006. Un fatto è certo: il centrosinistra se li deve conquistare, invece di prenotare già le poltrone ministeriali del futuro governo.







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