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Autonomismo

Zenone di Elea

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RdS, 9 Dicembre 2007


Il blog https://josephepomeo.myblog.it/, secondo il nostro modesto parere, rappresenta la punta più avanzata del dibattito politico-culturale inerente il futuro delle popolazioni delle regioni facenti parte dell’ex Regno delle due Sicilie. Per profondità di analisi, per solidità degli argomenti, per la semplicità “anglosassone” del porre questioni complesse con termini comuni, non per questo banali.

Prova ne sia, l’ultimo intervento, a firma di Joseph Epomeo, intitolato “Quando l’indipendentismo è di sinistra”, nel quale si affronta una tematica assolutamente cruciale sulla quale ci siamo interrogati spesso su questi anni: ideologie politiche “nazionali” e autonomismo meridionale.

Nel Sud – usiamo questo termine per semplificare, lo diciamo per non farci bacchettare ad Epomeo che aborre tutti i termini che implicano l’idea di sotttomissione – assistiamo a questa discrasia: le ragioni delle popolazioni napolitane, a partire dalla annessione piemontese attraverso la farsa dei plebisciti e dalla resistenza armata opposta da sbandati e contadini al nuovo stato, vengono sostenute prima da fedeli alla dinastia sconfitta, quindi borbonici, poi in tempi più recenti da elementi appartenenti alla destra tradizionalista meridionale. Ci vengono in mente due grandi nomi, Carlo Alianello e Silvio Vitale.

Qui l’interrogativo è d’obbligo: come si spiega?

Secondo noi, la fuga vergognosa dell’8 settembre 1943 dei membri della casa Savoia da Roma crearono un malcontento diffuso che venne ereditato – col passaggio all’Italia repubblicana – da ambienti di destra o simpatizzanti dell’MSI.

Questo astio nei confronti di casa Savoia, rendeva possibile proprio nella destra meridionale la possibilità di una saldatura fra le proprie convinzioni ed una rivalutazione della tradizione. Con tutto ciò che ne conseguiva, in termini di rivalutazione della religiosità profonda delle popolazioni meridionali e dell’attaccamento alla tradizione. Da qui ad una rivalutazione della vecchia dinastia borbonica il cui destino si era saldato a quello della Chiesa e ne aveva condiviso le sconfitte, il passo era breve.

Tale rivalutazione – vista dall’esterno – risulta inconciliabile con l’adesione incondizionata alla forma esistente dello stato italiano come esso si è configurato durante il processo di unificazione: questa la grande contraddizione in cui si è dibattuta la destra meridionale “revisionista”. In cui ancora oggi si dibatte.

Conciliare l’attaccamento allo stato italiano con la ricoperta della propria storia si rivela secondo noi insostenibile, in quanto tale riscoperta comporta un ripensamento della forma dello stato consegnatoci dalla vicenda risorgimentale.

In questa sede l’eventuale risposta a tale esigenza, sia essa una forma federalista o macroregionalista, quindi moderata, oppure quella estrema separatista della formazione di uno nuovo soggetto statuale comprendente le regioni dell’ex regno borbonico, non ci interessa.

Resta un dato di fatto: il tema non è mai stato affrontato in ambienti di destra, ma il tempo di affrontare l’interrogativo e di fornire una risposta è giunto per tutti, siano essi di destra o di sinistra.

Per quanto riguarda la sinistra, noi siamo scettici che a breve  da quella parte possa venire qualcosa di positivo per il Sud.

In Italia – meglio dire, nelle regioni meridionali – la sinistra (se si esclude Nicola Zitara, che rappresenta la punta più avanzata sul piano storico-politico-economico dell’autonomismo meridionale continentale) è molto in ritardo nel ripensamento della storia risorgimentale, rimane prigioniera di vecchi schemi culturali – ben condensati in testi come “Cristo si è fermato ad Eboli” e il “Gattopardo” – e inorridisce al semplice suono del termine “borbonico”. E continua a gingillarsi nelle solite menate del risorgimento visto come rivoluzione incompiuta, dell’assenza delle masse popolari dal processo di unificazione, come se in Francia – tanto per fare un esempio – il regime napoleonico fosse stato frutto dell’azione dei contadini e non della borghesia nascente.

Questo ritardo culturale rischia di pagarlo tutto il Sud.

Con la bocciatura della riforma costituzionale approntata dalle destre e dalla lega, l’appuntamento con la storia è stato solo rimandato. Infatti in questi giorni lo si sta riproponendo, sui giornali si è accennato ad un progetto di riforma costituzionale che da qualche mese sarebbe in cantiere e sul quale verrebbe coinvolta anche la lega.

A cosa è dovuto il ritardo della sinistra?

Non solamente al fatto che essendo di matrice internazionalista sia poco propensa a interessarsi di questioni nazionalitarie. Si tratta di una questione - in parte tutta italiana - che ha radici giacobine. Lo stato nazionale è sorto all’insegna della diffusione degli ideali di libertà in contrasto con le vecchie dinastie considerate assolutiste .

Un ruolo importante, bisogna riconoscerlo, venne svolto da logge massoniche che in nome della libertà portarono un attacco spietato e senza quartiere alla chiesa cattolica vista come un retaggio del passato, un passato buio da illuminare con la fede nella ragione e nel progresso, in altre parole la modernità.

Tutte, queste, tematiche ereditate dalla sinistra.

Spiegatemi voi, come si possa pensare che sia agevole per un meridionale di sinistra, oggi, liberarsi di questi orpelli ideologici, rivalutare i borbone, quindi la chiesa, e ripensare la forma dello stato.

Gli amici di sinistra saranno gli ultimi a rendersi conto che nel Sud qualcosa va cambiato, riallacciandosi alla propria storia non rinnegandola come si è fatto sinora, con boiate passateci dalla mitologia risorgimentale, tipo “negazione di dio”, “re bomba”, “franceschiello”, “arretratezza secolare” e chi più ne ha più ne metta.

Il riscatto del Sud, per noi passa quindi attraverso un incontro fra uomini di buona volontà di destra, di centro e di sinistra che presa coscienza della propria identità storica capiscano che occorre dare risposte nuove ad un problema antico.

 Antico non più di centoquarantasette anni.











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