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Un movimento autonomista napolitano

di Zenone di Elea
(se vuoi, puoi scaricare il testo in formato ODT o PDF)
Rds, 23 agosto 2009

Dopo anni di parole ci si sente afflitti da overdose. Una ubriacatura di righe che ti appaiono inconcludenti e ti suggeriscono la perfida domanda che ringalluzzisce i nostri numerosi avversari (1): - Ma chi me lo fa fare?

Questa domanda avvilente mi si è affacciata stamattina mentre leggevo l’articolo di Gigi Di Fiore su Libero e ripensavo al comunicato che ci è giunto dalla Calabria sulla costituzione di un comitato per la cittadinanza.

Cominciamo dall'articolo su Libero.

Certo, vedere la firma di Gigi di Fiore è un bel passo avanti, ma il suo intervento, perfetto sotto tanti punti di vista, lasciava intravvedere in un passaggio uno degli argomenti prìncipi e più sottili della propaganda risorgimentalista: la estraneità del popolo meridionale, l’essere altro, dove alterità fa rima con impermeabilità alla modernità – tipo “Cristo si è fermato a Eboli”, “cambiare tutto perché nulla cambi”, eccetera. Ma questa non è la causa del fallimento della unificazione di questo paese, ne è un prodotto, anzi “il” prodotto!

Il problema, lo abbiamo affrontato già tempo fa, non è dato dalla incapacità di comunicazione tra gli ufficiali piemontesi e i contadini – perché se fosse toccato a degli ufficiali napoletani comunicare in una valle bergamasca non ci sarebbe voluto un interprete?!


Popolo e risorgimento

Questa storiella dell'assenza del popolo dal movimento risorgimentale – una delle colpe principali della elaborazione culturale della sinistra a partire da Gramsci è stata quella di inserire questa bufala nel dibattito storiografico – è una manfrina senza senso.

Il popolo meridionale partecipò eccome!

Ci siamo dimenticati le migliaia di picciotti siciliani arruolati dai vari La Masa, Rosolino Pilo, Crispi. E Carmine Crocco – combattente garibaldino prima di diventare brigante – apparteneva forse al ceto mercantile o baronale? Dopo l'enigmatico disarmo dei diecimila soldati borbonici a Soveria Mannelli, nel sud continentale liberali e massoni insorsero e si impadronirono delle città e dei paesi. Se il cosiddetto popolo non fosse stato ammansito con le voci di una spartizione delle terre fatte circolare ad arte (in Sicilia circolarono grazie ad un decreto che prometteva la terra ai combattenti per la patria italiana) magari avrebbe fraternizzato con i soldati borbonici invece che restare a guardare.

Il Risorgimento fu preparato e gestito dalla nascente borghesia sia al nord che al sud – forse che al nord ci furono tutte 'ste centinaia di migliaia di contadini combattenti per la unità della patria? Ma per favore...

La differenza fra il destino del centro-nord e quello del sud la fece la guerra di resistenza che si scatenò nelle terre dell'ex-regno. Mentre nei palazzi si combatteva una lotta senza quartiere fra le varie anime che stavano unificando il paese – tra quella sabaudo-cavourrista e quella radical-mazziniana tanto per semplificare e per intenderci (2). – per il controllo delle leve del potere, nelle provincie meridionali divampava la guerra di resistenza contro quello che si era rivelato nei fatti un proditorio attacco di uno stato straniero senza alcuna dichiarazione di guerra.


La guerra di resistenza

Come ogni guerra di resistenza che si rispetti c'era chi combatteva sul campo e chi tramava dietro le quinte: i combattenti erano gli sbandati dell'esercito borbonico e i contadini presto disillusi dalla rapacità dei galantuomini che avevano gestito il trapasso di regime, gli orchestratori erano spesso notabili ed ecclesiastici, fedeli al re Francesco II o per principio o per timore che tornasse sul trono.

Non rientra nella economia di questo articolo descrivere la vicenda di Carmine Donatelli Crocco, ma essa è emblematica del rapporto fra guerriglieri e alcuni possidenti meridionali.

Se la guerra di resistenza ebbe la peggio non fu per la superiorità militare degli “invasori” piemontesi, bensì per il fatto che la guardia nazionale meridionale creata a tutela degli interessi dei cosiddetti galantuomini finì con lo schierarsi definitivamente con l'esercito italiano contro i briganti (3).

La guerra però durò degli anni e nelle aule parlamentari fu utilizzata continuamente come spauracchio per mettere a tacere le “perplessità” che pure taluni parlamentari meridionali esprimevano sulle condizioni dell'ex-Reame delle due Sicilie (4).


I rappresentanti meridionali nel parlamento

I rappresentanti meridionali nel parlamento – tutti appartenenti alle classi abbienti che avevano voluto la unificazione – si trovarono di fronte ad un bivio: continuare ad appoggiare la nuova monarchia vista come tutela dei propri interessi di classe o rimettere in discussione l'unificazione con l'incubo di un salto nel buio.

Questo incubo si chiamava resistenza armata, dove la massa di manovra era data dal popolo, dagli ultimi. Quei notabili borbonici che in un primo tempo avevano appoggiato e finanziato la lotta armata col passar del tempo presero le distanze, altettanto fece pure la monarchia esule a Roma.

E così un movimento di resistenza sorto per difendere il proprio paese si trasformò nel grande alibi per far digerire ai deputati e ai senatori meridionali di tutto e di più. Da quel pantano non ne siamo mai usciti, ancora oggi ci ritroviamo con una rappresentanza parlamentare che oscilla continuamente fra lamentazione meridionalistica e unitarismo di fatto.


E Napoli che fa?

La nascita della Lega Nord, direttamente o indirettamente, ha rimesso in discussione l'impianto statuale nato il 17 marzo 1861 – di fatto l'Italia risorgimentale oggi non esiste, la modifica del titolo V e il federalismo fiscale hanno iniziato a modificarne anche la veste giuridico-formale.

Ancora una volta, come accadde nel 1860 e nel 1946-48, è la Sicilia a rinegoziare per prima la propria collocazione rispetto al nuovo stato in gestazione: la nascita dell'MPA sta lì a testimoniarlo.

E Napoli che fa? Fa l'italiana e l'europea, aspetta e spera.

In questi giorni ci è capitato di leggere un testo che i nostri rappresentati politici (soprattutto continentali, penso ai Bassolino ai Vendola, ai Mastella, ma la lettura servirebbe anche ai siciliani, la fiducia che pone l'autore nel varo dello statuto fa tenerezza se pensiamo a come NON è stato utilizzato per lo sviluppo della Trinacria!) dovrebbero tenere sul comodino accanto a letto e recitarne qualche riga prima di addormentarsi.

Si tratta de Il Mezzogiorno dinanzi al terzo conflitto mondiale di Renato di Giacomo, pubblicato nel 1948.

Non lasciatevi fuorviare dal titolo, è un testo la cui lettura vi consiglio caldamente. Rientra in un filone perdente della politica meridionale, napoletana in particolare, il filone autonomista, sconosciuto ai più e che pur è esistito.

Diversi autori, anche di parte borbonica, nei primi anni del dopo unità, di fronte al disastro incombente del loro paese suggerirono la soluzione della confederazione, come unica strada per amalgamare parti e interessi tanto differenti.

La guerra di resistenza contribuì – ipotesi nostra, questa – a far prevalere quella linea piemontese-bonapartista che tanti guai ha causato alla nostra terra, impoverendola e riducendola ad una colonia di consumo dei prodotti del nord.

Il Mezzogiorno dinanzi al terzo conflitto mondiale di Renato di Giacomo


Comunicato sulla cittadinanza

Oggi capovolgere questo destino è possibile, ma per farlo occorre una rappresentanza politica consapevole del proprio ruolo e fiera del nostro passato. Abbiamo dato tanto a questo paese, che ora abbiamo solo da chiedere. Le storielle dei soldi dilapidati con la cassa per il mezzogiorno le lasciano ai gonzi. Non ci interessa neppure sfatarle. Siamo ancora a credito e di tanto (5).

E veniamo al secondo punto di cui si accennava in apertura: il comitato per la cittadinanza. Premesso che i torti subiti dai meridionali nei luoghi di immigrazione non sono iniziati oggi e sono tipici di tutti i migranti: i cartelli con “non si affitta ai meridionali” negli anni sessanta-settanta si esponevano a Torino ma anche nella civilissima e rossa Modena. Se volete vi parlo anche della signora siciliana che mi raccontava della sua infanzia nella Romagna degli anni cinquanta, quando a scuola tutte le mattine si ritrovava la maestra che le guardava il collo scuro e le diceva che era sporca e puzzava.

Roba da migranti come dicevamo prima, che per decenni è rimasta nascosta o velata sotto il manto da libro cuore della patria una. Oggi quel manto è stato levato, in parte perché fa comodo alla lega e alla sua anima più estremista, quella secessionista, ed in parte perché esiste una schiera (ancorché esigua) di meridionali che reagiscono con orgoglio di fronte ad episodi che prima venivano gestiti in maniera e con accomodamenti e sopportazioni individuali.

Si inserisce in questo rialzare la testa, di fronte ai soprusi, il comunicato sulla cittadinanza firmato da un gruppo di belle teste, alcune delle quali ci onoriamo di conoscere e di stimare profondamente.

Motivo in più per dire sinceramente la nostra opinione in proposito. La prima obiezione è di merito, riteniamo che talune iniziative (a cui potremmo aggiungere la richiesta di chiudere la sede della Lega Nord di Napoli dopo il Salvini-show) siano controproducenti in quanto rischiano di alimentare gli episodi che vogliono combattere.

La seconda obiezione è di opportunità. Non riteniamo utile aggiungere altre iniziative quando ancora non siamo riusciti a far decollare un movimento politico unitario (6). Basterebbe un movimento politico con diramazioni in tutto il sud per opporsi degnamente ed efficacemente a certe intemperanze leghiste o razziste che dir si voglia. O ci illudiamo che basti sventolare un articolo della costituzione che condanna le discriminazioni razziali per risolvere magicamente un problema che è serio.

A noi pare una battaglia di retroguardia trincerarsi dietro una costituzione repubblicana (7) che non ci è servita a nulla quando era solida figuriamoci ora che è a brandelli.


Un movimento autonomista napolitano

Il nostro problema è storico-politico come direbbe Renato Di Giacomo. Storico per la genesi del problema e politico per la soluzione del problema stesso.

Serve urgentemente un movimento autonomista napolitano che faccia valere gli interessi del sud continentale e che insieme all'MPA contratti – col nuovo stato che si sta delineando – il nostro destino.

Non siamo espertissimi di cose economiche, ma una no-tax area – che con la scusa del terremoto potrebbe, tanto per cominciare da qualche parte e per un buon motivo, investire prima l'Abruzzo e poi essere estesa a tutto l'ex-regno delle due Sicilie – potrebbe essere una equa e realistica forma di risarcimento, abbastanza indolore (si fa per dire), per tutto ciò che noi meridionali abbiamo dato a questa Italia.

Per ottenere ciò, siamo realisti, serve fare i conti con la classe dirigente meridionale attuale. Se non con tutta almeno con una parte, con quella più disposta (quale che ne sia il movente poco importa) ad aprire gli occhi, sul nostro passato e sul nostro futuro.

In fondo ne abbiamo già degli esempi: politicamente parlando Lombardo non è nato ieri, la Poli-Bortone, che pare stia incamminandosi sulla buona strada, neanche.

L'arcipelago dei movimenti sudisti potrebbe fornire quella cultura identitaria che a tanti politici nostrani (=meridionali) manca completamente.



__________



(1) Nostri si intende riferito al “sudismo” non alla persona che scrive, tanto per essere chiari.

(2) Mazzini e Cavour erano massoni ma i loro obiettrici erano leggermente divergenti! A Napoli per esempio Lemmi riuscì a farsi assegnare l'appalto delle ferrovie meridionali, se vi pare cosa di poco conto! Non si trattava certo di un cavourrista

(3) Il termine briganti è esemplificativo, ce lo ha consegnato la storia, lo usiamo solamente per farci capire.

(4) La storia del trattamento riservato alla opposizione al nuovo regime, il sequestro di CENTINAIA di giornali sgraditi al potere, il ricorso continuo a leggi liberticide (non parliamo solo della Legge Pica ma anche della legge dei sospetti del 1866) è ancora tutta da scrivere. Mentre al nord si verificarono solo sporadici casi a fronte di garanzie statutarie effettive nelle regioni meridionali con la resistenza armata si creò una frattura col resto del paese anche sul piano giuridico. Se ripercorriamo i decenni che ci separano dal 17 marzo 1861 ci troviamo davanti a continui episodi di scontro fra stato e popolazione, durante i quali il braccio violento della legge ha fatto sentire tutto il suo peso.

(5) Leggetevi Nord e Sud di Francesco Saverio Nitti, fece i conti appena quarantanni dopo la proclamazione del regno d'Italia.

(6) Per la precisione in luglio qualcosa si è mosso, alcuni gruppi (L’ALTRO SUD, COMITATI DELLE DUE SICILIE, PARTITO DEL SUD, PER IL SUD, ANTICA TERRA DI LAVORO,ASSOCIAZIONE NAZIONALE POPOLARE RIFORMISTA. ) da settembre promettono iniziative comuni. Siamo però ancora abbastanza sparpagliati, basti pensare all'ipotesi del parlamento del sud avanzata dai neoborbonici, ipotesi che non disprezziamo ma che non capiamo, visto che fino ad ieri affermavano che prima andava educato il popolo e che non era ancora l'ora della politica!

(7) E' veramente impressionante per la sua preveggenza l'analisi di Renato Di Giacomo della Costituzione e del congegno rappresentativo che già nei numeri impedivano – secondo lui, ma la logica sta dalla sua parte – al Meridione di aver una voce autorevole. 








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